Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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mercoledì 24 settembre 2014

Machittevòle@festivalfilosofia: padri, madri e lo sdraiatismo ci accompagna.

L'intervento di Chiara Saraceno va, a nostro giudizio spocchiometrico, ad integrare involontariamente la querelle sullo sdraiatismo innescata da Michele Serra & contraddittori a Mantova. Del resto, tout se tient.

La sociologa affronta l'attualità del comandamento "Onora il padre e la madre". La parola ebraica che significa 'onore', ci dice lei, copre in realtà lo spettro semantico anche della gloria e del rispetto. Il genitore onorato, quindi, è anche oggetto degli altri due riconoscimenti.

Facile, del resto: concetti simili hanno goduto di salute eccellente per tutto il tempo (millenni) in cui la società della mezzaluna fertile e poi dell'occidente si è basata su una rigida struttura gerarchica e patrilineare (escludendo quindi Creta), all'interno della quale il capofamiglia godeva di un prestigio pressoché automatico, in quanto reggitore delle sorti del casato, membro anziano dotato di eccelsa saggezza venuta dall'esperienza, custode evidentemente anche del patrimonio e delle attività atte a ingrassarlo. La fredda gerarchia asimmetrica, che prevedeva diritti sterminati del padre sui figli senza controbilanciamento, non implicava necessariamente che tra i due poli dell'oikos spirasse anche amore. Era al contrario obbligatorio il rispetto, cilieginescamente attaccato all'onore.

Oggi no, dice Saraceno: la società post-qualsiasicosa in cui veleggiamo ha provveduto a stabilire, anche per via legislativa (benché parzialmente disattesa) tramite decreti ad hoc, una serie di diritti dei figli e di obblighi dei padri nei loro confronti. L'asimmetria sembrerebbe dunque rovesciarsi, con genitori cui non è automaticamente spettante l'onore se essi non compiono atti che possano guadagnarlo.

L'atto che la sociologa ritiene il più onorogeno è la 'generatività', che non vuol dire, beninteso, la capacità di mettere al mondo prole, bensì quella di mettere a disposizione della prole medesima degli spazi di azione, sì che essa prole, gradualmente e mai del tutto lasciata sola, possa muovere i suoi passi nel mondo, esperirne il bello & il brutto, vedendo gradualmente ritirarsi l'ego genitoriale, per sua natura propenso a picchettare i propri confini e a dire: "IO!!!" con sovrabbondanza quando non con eccedente sovrapposizione a danno dell'indole dei pargoli.

Eccetera eccetera, ma a noi tanto basta.

Di primo acchito, notiamo che la proposta saracenesca, non ce ne voglia (sì, ma mica ci legge...), non ha gran pregio di originalità se la si rapporta ad epoche certo remote, nelle quali però il dibattito sul tasso di autorità del padre nei confronti dei figli era già fiammeggiante.

Mi spiego: lungi da noi voler fare i classicisti fanatici, quelli che "tanto gli antichi hanno detto tutto, non c'è più nulla di nuovo", nondimeno non è la prima volta che dalla voce dei sociologi sentiamo provenire modelli di lettura del reale che vengono dati come nuovi di pacco, ma hanno invece qualche corposo precedente nell'età classica. Michel Maffessoli, capoccione parigino, venne 10 anni fa giusto a Carpi a opinare che MAI PRIMA DEI NOSTRI TEMPI si è assistito ad una compenetrazione così invasiva di cultura occidentale e orientale, ed è chiaro che l'ottimo accademico si dimenticò del fenomeno dell'Ellenismo, che sarà pure restato confinato entro il bacino del mediterraneo orientale, ma come esempio di possente sincretismo ovest-est funziona perfettamente. Col che, ribadiamolo, noi non si vuol dimostrare nessuna universale immutabilità del mondo d'oggi rispetto a quello di allora, ma solo rimarcare come le costanti dello spirito umano abbiano spesso un andamento non solo carsico, ma spiraliforme.

Sarebbe quindi eccessivo usare la commedia latina del II secolo a. C. come specchio fedele della società romana, e lo stesso vale per la poesia elegiaca di un secolo dopo. Certo però, vedere portati sulla scena o messi per iscritto atteggiamenti e stili di vita fortemente corrosivi rispetto ai costumi consolidati, lascia sospettare che qualcosa fermentasse davvero. Letteratura, certo, e sappiamo ormai da mo' che chi vive non coincide sempre a puntino con chi scrive: guai a vedere in Terenzio un sociologo o negli elegiaci dei precoci figli dei fiori. Resta però il fatto che il commediografo scipionico ci ha regalato gli Adelphoe, sapida (per la media di Terenzio, s'intende...) pièce in cui si affrontano due fratelli, Demea e Micione, che allevano i figli del primo, sì che quello affidato a Demea cresce sotto lo staffile della più rigida autorità, l'altro gode del maggior lassismo micionesco e quindi di margini di manovra più morbidi. Non mancano monologhi e dialoghi in cui la discussione tra i due stili educativi va accaldandosi, là dove pare che Micione punti più all'autorevolezza che all'autorità, per dire cioè che costui è tutto fuorché pre-sessantottino, se ha senso retrocedere indiscriminatamente all'antico certe categorie moderne, come sarebbe errato il contrario. Però quell'idea di generatività proposta dalla Saraceno mi pare in qualche modo tralucere dal testo terenziano. E non dubiterei che della cosa si discutesse davvero, perlomeno presso i 'circoli' più progressisti dell'Urbe. Detto poi certamente che nessun paterfamilias dell'epoca, neanche il più filelleno, avrebbe mai pensato di vedersi crescere uno sdraiato in casa (domo, se preferite), tanto per riagganciarci a Serra. Salvo casi isolati di degenerazione del fenomeno, anche nei momenti più bui del mos maiorum il reggicasato romano aveva ben chiaro che eventuali spazi generativi potevano essere concessi al figliuolo solo entro una certa età, finita la quale il figliuolo stesso avrebbe dovuto metter via corone di edera e astragali per dedicarsi alla carriera del buon civis; dall'altra parte, non vorrei pensare che il genitore generativo, se Demea e Micione non sono solo finzione letteraria, mirasse davvero ad acquisire un plus di onore da parte del figlio. Poteva al più trattarsi di un problema di adeguamento dello stile di vita ai nuovi modelli provenienti dalla greconia, ma restava fuori discussione che al vertice della famiglia, con tutti i diritti ultimi più sacrosanti e relativa onorabilità, permanesse la figura paterna. Non c'erano insomma esigenze 'di contrattazione' coi figli, direi.

Ciò che invece pare accadere oggi, e non solo nel variopinto universo bimbominkia. Quando mi trovo a colloquio madri sottomesse ai capricci dei figli, quelle che "lo so che mio figlio va male a scuola, ma qui si trova bene, ha tanti amici, e poi se l'è scelta lui...", quando vedo madri prontissime a mandare a lezione privata i figli prossimi alla bocciatura, "ma non domani, dopodomani, perché stasera ha una festa in discoteca", quando vedo padri che non battono ciglio se il figlio spinge e fa cadere un altro bambino, o altri che "non so come dire a mio figlio che non lo mando più a calcio perché se no non studia", o altri che non riescono a sganciarlo dall'Ipad neanche ricorrendo a minacce estreme come: "Guarda che adesso noi saliamo in camera e tu resti qui!", e lui bellamente va avanti con Angry Birds, ecco che il generativismo saracenesco va ad interrogarmi assai. Cioè: perché questi genitori non sono passati da autoritari a generativi, bensì a schiavi dei propri figli?

La risposta, secondo alcuni, sarebbe da ricercarsi negli effetti perversi del lassismo sessantottino che ha creato una generazione di gente convinta di avere solo diritti. La generazione dei Serra, tanto per dire. Il quale, a giudizio di quelli che hanno sparato a palle incatenate contro il mio post e il sottoscritto, avrebbe ben poco da lamentarsi dello sdraiatismo, in primis di quello dei figli, essendo esso fenomeno l'esatta risultante di un certo tipo di cultura portata avanti da Serra e confratelli in quei lontani anni. In sostanza: "Caro Serra, avete lottato per anni contro la società dei doveri, promuovendo la fantasia al potere, il rifiuto dell'autorità, lo smantellamento delle gerarchie e delle tappe esistenziali obbligate? E di che vi lamentate, adesso?".

È vero, ma solo in parte. I sessantottini hanno fatto il loro, e i danni sono qui tutti da vedere, ma le generazioni odierne sono anche vittima di ciò che i sessantottini non avrebbero mai avallato, ovvero il consumismo sfrenato. Il paradosso da noi spocchiosi già affrontato riposa appunto sul fatto che, nel proclamare solo diritti contro una società oppressiva e culturalmente arretrata, i sessantottini e i contestatori in genere hanno involontariamente aperto la strada a TUTTI i diritti, compreso quello a procurarsi tutto ciò che l'industria mette sul mercato. Se ogni desiderio è lecito nel momento stesso in cui viene formulato, e il 'sistema' mette a disposizione in modo copioso gli oggetti atti a soddisfarlo, come si può dir di no? Ora, i sessantottini potranno anche essersi fermati in tempo, evitando cioè di rendersi docili schiavi delle logiche consumistiche che Bauman ha messo perfettamente in luce, ma altre tipologie di genitori no. Questi ultimi, senza saper nulla, o poco, di sessantottismo, senza veder nulla di male nell'acquisto di tutto ciò che placa, momentaneamente, il bisogno di novità, di up-to-date, di status symbol, includono nel pacchetto anche la felicità dei figli, per ottenere la quale si è disposti a eliminare dalla vita di costoro tutti quegli elementi di disturbo che potrebbero minarla, accontentandoli in tutto e dando loro qualsiasi cosa, coi terribili effetti diseducativi di cui quotidianamente noi gente di scuola facciamo esperienza. È anche da questo versante che poi salta fuori lo sdraiatismo, ma non si può parlare di gente 'dde sinistra', filoserrana o ex-post-una volta sessantottina. La colpa è semmai di quel Potere senza volto che già Pasolini oscuramente avvertiva in azione negli anni '60-'70, il potere dell'omologazione consumistica (Pasolini parlava appunto di edonismo e joie de vivre), del benessere per tutti in grado di appiattire ogni tradizione passata sotto la pressa dell'avere senza essere, come direbbe Fromm (circa.... ).

È chiaro che questo Potere non può non andare ad intaccare la generatività dei genitori, in forme che ovviamente Terenzio non avrebbe mai conosicuto. Un Micione dell'epoca poteva pure preoccuparsi di essere meno restrittivo nei confronti del figlioccio, ma mai avrebbe inteso, come invece fanno i genitori sdraiogeni odierni, costruire intorno al ragazzo una vita senza ostacoli, prono ad ogni suo più immaturo capriccio.

E però, s'è detto, abbiamo sdraiati che saltano fuori anche da famiglie tutt'altro che sdraiogene, né sessantottine né schiave del Potere pasoliniano. Eppure succede. Succede perché l'indole del figlio ha zone di autonomia su cui l'azione genitoriale, anche la più illuminata, non ha effetto, ma succede anche perché il caleidoscopio di stimoli mediatici, con relativi modelli etici ed assiologici, in cui il figlio è immerso è oggi obiettivamernte incontrollabile. Se il genitore, o il docente con pretese predicatorie, dice 'alfa', ma la tv, internet, twitter, youtube, facebook, ask, instagram, netlog dicono 'beta', va a finire che la maggioranza vince. È democrazia anche questa, per quando ridicola. La democrazia del piacere.


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