tag:blogger.com,1999:blog-81796085399929988472024-02-08T04:58:29.897+01:00MachittevòleUnknownnoreply@blogger.comBlogger194125tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-14479095642916054212023-02-08T21:01:00.004+01:002023-02-08T21:01:47.735+01:00Sanremo ventiventitré, notte in Blanco<p>
</p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
È evidente che, con una catastrofe sismologico-umanitaria in atto
appena al di là del mare, discettare sulle prodezze di un
conterraneo millennial che, LEGGERMENTE imbaldanzito (leggasi:
gonfipallonito) dai più recenti (effimeri? traslucidi?) successi
discografici, si è messo a sfasciare il palco del Sacro Festivàl di
Sanremo (le Dionisie italiche, if you know what I mean…), potrebbe
risultare fuori luogo. Anzi, lo è di sicuro. Poiché però di
mestiere non faccio il sismologo né ho competenze in materia di
protezione civile, ma mi occupo di ammannire contenuti formativi,
preferisco parlare di ciò che so. E so che lo spettacolo blanchesco
di ieri sera non è stato triste solo per la cosa in sé (potremmo
citare perlomeno il ricco precedente dei Placebo nel 2001 o la goffa
galanteria di Al Bano nel 1999 che estirpò mezza aiuola dalla
scenografia per porgere un fiore alla presentatrice), ma per i
messaggi che esso veicola.</p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br /></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.ilriformista.it/wp-content/uploads/2023/02/20616545_small-1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="800" height="133" src="https://www.ilriformista.it/wp-content/uploads/2023/02/20616545_small-1.jpg" width="200" /></a></div> <p></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">Ora,
il nostro [Riccardo Fabbriconi, in arte] Blanco, a fronte del
problemino con gli auricolari, non ha, come qualsiasi persona matura
(ha già 20 anni, remember) chiesto di interrompere l’esibizione,
aggiustare il guasto e riprendere. No. È andato avanti a distruggere il distruggibile<a href="https://www.ilriformista.it/wp-content/uploads/2023/02/20616545_small-1.jpg" target="_blank"> </a>con la risibile motivazione che “non funzionava
niente, non si poteva fermare [?] comunque mi sono divertito”. Che
il nostro Blanco non sia un mago della subordinazione era chiaro già
dall’anno scorso, quando le sue risposte nelle interviste non
superavano la reggente, una coordinata per asindeto, una risata,
un’espressione gergale (“siamo saliti sul palco abbiamo fatto i
felicioni”) e ciao. Ma del resto, si diceva, il suo mestiere è
cantare [accusa di spocchia da laureato in Lettere in arrivo tra
3...2...1...]. Certo. Poi è chiaro che una capacità di articolare
il pensiero dovrebbe essere spia di un’altrettanta capacità di
articolare i comportamenti. E, sapendo che nel periodo esistono una
reggente e le sue subordinate, si dovrebbe di conseguenza capire che
in una situazione formalizzata come il Sacro Festivàl non si può
fare quel che si vuole, ma esistono delle regole (certo, anche
Catilina subordinava benissimo, almeno a leggere i resoconti
sallustiani, e per poco non rovesciava il governo di Roma, ma
insomma).</p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.napolimagazine.com/images/0/0/locandine/0/Untitled-062158.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="538" data-original-width="800" height="135" src="https://www.napolimagazine.com/images/0/0/locandine/0/Untitled-062158.jpg" width="200" /></a></div><br /> <p></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">Se
poi ieri sera la sua scarsità espressiva non ha mancato di
manifestarsi con quel “mi dispiace A tutti” ansimato a microfono
in gola, la vera scarsità da intorcinare le ime budella è stata
senza dubbio quella gestionale di [Amedeo Sebastiani, in arte]
Amadeus. Il quale, con la stessa espressione da “scusate, non so
fingere che sia tutto combinato” già impiegata nell’indimenticato
(pseudo-) alterco Bugo-Morgan di tre anni fa, non fa quello che ogni
adulto normosenziente avrebbe fatto, cioè afferrare Blanco per un
orecchio, trascinarlo giù dal palco, portarlo gentilmente fuori
dall’Ariston, caricarlo su un Boeing di sola andata per Albenga
urlandogli di non tornare mai più, risalire sul palco, scusarsi col
mondo intiero e offrire il capo alla (metaforica) ghigliottina di
giornali, Moige e social assortiti sperando in una (prevedibile)
assoluzione (“eri in buona fede, dai”). Macché: come certi
genitori schiavi dei capricci dei figli, anzitutto zittisce a più
riprese la platea inferocita (perché ovviamente il problema non è
Blanco che l’ha combinata, ma il pubblico che se l’è presa), si
rivolge con l’occhio umido a Blanco, gli chiede di spiegarsi,
Blanco non fa altro che aggravare la sua posizione a colpi di frasi
giustapposte una più imbarazzante dell’altra e poi arriva
subliminalmente la proposta di andare a rilassarsi un attimo in
camerino, “perché la canzone di Salmo bisogna sentirla, poi, se
vorrai, DOPO LA RICANTI”. </p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"> </p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://199xhokutonoken.files.wordpress.com/2012/07/35.jpg?w=1400&h=" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="422" data-original-width="750" height="113" src="https://199xhokutonoken.files.wordpress.com/2012/07/35.jpg?w=1400&h=" width="200" /></a></div><br /> <p></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">Certo.
Poi si passa, come si trattasse con un bambino cinquenne, a fare
l’esegesi dei fischi del pubblico, perché il ventenne Blanco (20
anni = diritto di voto = maturità) evidentemente non ci arriva da
solo: “Fischiano perché [anzi x’] non capiscono perché l’hai
fatto”. E Blanco cosa risponde? “No, li dovevo spaccare comunque”
e Amadeus subito a fargli eco asilo- style guardando in galleria: “Li
doveva spaccare comunque... perché, qual è il significato?”. Qui
Blanco poteva fare il Luigi Tenco 4.0, millantare crisi esistenziali
che manco Jean-Michel Basquiat, oppure denunciare i mali del mondo,
chiamare l’Occidente a raccolta contro la farina di grilli,
qualsiasi cosa E INVECE: “Il significato è che non andava la voce,
allora mi son detto mi diverto comunque [??]… tanto la musica è la
musica [???]….” più altri ragionamenti ugualmente
incomprensibili. La folla folleggia e Amadeus, in luogo di prendere
Blanco per un orecchio, trasformarsi in Rubber di <i>One Piece</i> e
con una sola torsione del braccio scaraventarlo direttamente a
Calvagese, scendere dal palco e farsi sostituire nella conduzione da
Dodò de <i>L</i><i>’</i><i>A</i><i>lbero Azzurro</i>, che fa?
Esige il silenzio dal pubblico, “magari non è stato bello quello
che avete visto e lo comprendo PERÒ siccome non ha funzionato niente
se vuoi torni dopo”. E Blanco: “Sì, dai, mi piace la musica”.
Del resto, chiosa Amadeus, povero cocco, era agitato e “gli è
partita la sciabbarabba”. No, caro [Amedeo Sebastiani, in arte]
Amadeus: prima che arrivino i soliti benaltristi a insabbiare il
tutto con frasi tipo: “vi scandalizzate per Blanco quando c’è di
peggio in giro”, diciamo subito CHIARO E NETTO che di [Riccardo
Fabbriconi, in arte] Blanco parliamo QUI E ORA e, consci di tutte le
tragedie dell’umanità in corso, esprimiamo il nostro assoluto
disgusto per la scenetta da bambino viziato andata in onda ieri e
soprattutto di come TU, assecondando l’andazzo che “i giovani
vanno capiti, se li sgridi si traumatizzano” che sta letteralmente
distruggendo la nostra società a partire dalla scuola, hai
minimizzato il tutto, forse anche con un occhio all’Auditel, agli
sponsor, ai diritti d’autore di Salmo, boh. Sarà la (super)star da
tenere buona a tutti i costi, ma di fronte a comportamenti incivili
come il suo non esistono attenuanti, altrimenti il messaggio che
passa ai giovani impressionabili è: “Visto che figo? Ha spaccato
tutto e lo hanno anche invitato a ricantare”. L’idea cioè che se
fai un po’ di caos tutto ti è perdonato perché, poverino, bisogna
capirti, che a 20 anni “sei ancora un ragazzo”, che in fin dei
conti “non hai fatto niente di grave”, che tutto ti è dovuto.
Poi – sempre POI- ci si straccia le vesti quando si assiste ad atti
di vandalismo assortiti, violenze di ogni tipo su cose & persone,
si organizzano pensose trasmissioni “su dove stiamo portando i
nostri giovani” e “chissà come mai siamo arrivati a questo
punto” quando la risposta è già lì. Ma ovviamente è sempre
colpa degli altri.
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">Raramente
abbiamo visto una simile prova di inciviltà giustificata, ma se c’è
qualcosa che ancor più ci indigna è il comportamento dei giornali
che riportano la notizia della Blancheide come fosse un dettaglio di
colore. Un unico articolo di condanna su <i>Repubblica</i> online è
sparito dopo che Blanco ha pubblicato il rap di scuse su Instagram;
per il resto, il nulla. Fosse accaduto nei Festivàl condotti da
[Giuseppe Raimondo Vittorio, in arte Pippo] Baudo, minimo ci
sarebbero state edizioni straordinarie con titoli a scatola [ORRORE
ALL’ARISTON] e richieste di ergastolo ostativo: tanto per dire, il
presunto aspirante suicida di Sanremo 1995 fu subito oggetto di
sarcasmo da parte dei giornali che pensarono immediatamente alla
montatura. Qui no, del Festivàl ormai si parla sempre e solo bene,
perché parlarne male non fa vendere le già poche copie che i
giornali riescono a piazzare. Altri tempi quando titoli come:
“Sanremo, va in onda la noia” erano pronti già un mese prima,
adesso un Festivàl che dal 2010 non si schioda dai 10-11 milioni di
spettatori a sera, che ai tempi di [Giuseppe Raimondo Vittorio, in
arte Pippo] Baudo sarebbe stato un ascolto fallimentare – e Sanremo
1995 non scese mai sotto i 15 milioni medi a sera - è sempre
celebrato come un trionfo perché invece dei numeri assoluti si è
deciso di considerare lo share. Il che non è certo un male, ma serve
a coprire l’emorragia di ascolti rispetto ai tempi d’oro. Ma chi
ne parla più? Ogni serata è un colpo di genio, sempre meglio
dell’anno prima, e i giornalisti snobboni – gli stessi di oggi–
che crocifiggevano [Giuseppe Raimondo Vittorio, in arte Pippo] Baudo
perché a Sanremo 1995 era finita ultima Patty Pravo con Giorgia
vincitrice, giornalisti che si vantano di aver dato del tu a De André
e di scambiarsi messaggi di buon Natale con De Gregori e Fossati,
oggi si spellano le mani ad applaudire i Coma_Cose, Madame [anch’essa
perdonata a furor di Spotify, “in fin dei conti cos’è un Green
pass falsificato…?”] e Tananai. Certo certo. Tengo famiglia. E
Blanco in fin dei conti è un ragazzo.
</p>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiddsbRaRVpdzXdFTYpKLfgto3bITGAZ5HSMyd1hTwAJQJhWeKwR-DR_7XhTHBY7O2N45xgjUep1fjjwWy6-omzBOFSNppfLqhu4iVKZZWsvQaTYLw_6rKe4jdLDwikfhyphenhyphenAeOQT9nfD6kQ/s811/amazon_format4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="811" data-original-width="620" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiddsbRaRVpdzXdFTYpKLfgto3bITGAZ5HSMyd1hTwAJQJhWeKwR-DR_7XhTHBY7O2N45xgjUep1fjjwWy6-omzBOFSNppfLqhu4iVKZZWsvQaTYLw_6rKe4jdLDwikfhyphenhyphenAeOQT9nfD6kQ/w153-h200/amazon_format4.jpg" width="153" /></a></div><br /><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">[ultima
nota ai benaltristi: prima di sentirmi chiedere – dopo tanto
pontificare- se anche noi della scuola non abbiamo da fare
autocritica, la risposta è ovviamente sì, ma le cause remote di
questi disastri – rassegnatevi – stanno altrove]</p>
<p><style type="text/css">p { line-height: 115%; margin-bottom: 0.25cm; background: transparent }</style></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-86744075411653114712022-05-08T20:25:00.005+02:002022-05-08T20:25:27.344+02:00Appunti di umanesimo quantistico#3<p>
</p><p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
4.</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<br />
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-style: normal;">L’umanesimo quantistico come
impostato sopra può inverarsi in qualche esperienza reale al di
fuori del web? I miei dubbi a riguardo sono stati ulteriormente
stimolati dalla lettura di un romanzo uscito </span><span style="font-style: normal;">(</span><span style="font-style: normal;">relativamente</span><span style="font-style: normal;">)
di recente</span><span style="font-style: normal;"> (2016): </span><i>Una
vita come tante </i><span style="font-style: normal;">della scrittrice
hawaiana Hanya Yanagihara, edizione italiana a cura di Sellerio,
titolo originale </span><i>A Little Life</i><span style="font-style: normal;">.
Romanzo che, diciamolo in esergo, ha spaccato perfettamente in due
parti pubblico e critica tra ammiratori sfegatati e odiatori
inconvincibili. </span><span style="font-style: normal;">Il motivo di
questa polarità di gradimento risiede a mio giudizio nella
raffigurazione del dolore irredimibile cui è soggetto il
protagonista (Jude St Francis), le cui fratture esistenziali sono
impossibili da ricomporre, come se la sua anima fosse perennemente la
recidiva di un tumore. Senza spoilerare troppo, la vicenda si svolge
tra New York e </span><span style="font-style: normal;">circondario
più </span><span style="font-style: normal;">o meno tra gli anni ‘80
del secolo scorso e gli anni ‘10 di questo e ruota attorno alle
vicende di un gruppo di quattro amici che inseguono i rispettivi
sogni: tre di loro (Malcolm, JB – che starebbe per Jean-Baptiste –
e Willem) si dedicano a professioni creative (architettura, pittura e
cinema), mentre Jude è un brillante avvocato che durante il romanzo
lascerà l’ufficio del procuratore per il ben più lucroso incarico
in uno studio associato specializzato nel salvare i farabutti. Man
mano che la storia si dipana, ci rendiamo conto che il protagonista
principale è proprio lui e scopriamo gradualmente (MOLTO
gradualmente) che </span><span style="font-style: normal;">il suo
passato </span><span style="font-style: normal;">di orfano </span><span style="font-style: normal;">è
stato irrimediabilmente rovinato</span><span style="font-style: normal;">
da una serie di gravissimi abusi subiti fino all’età di 16 anni
che hanno lasciato tracce più visibili (sul suo corpo, in
particolare </span><span style="font-style: normal;">sulla schiena e
</span><span style="font-style: normal;">sulle gambe) </span><span style="font-style: normal;">e
altre meno (nella psiche) che tuttavia si ipostatizzano in ripetuti e
incontrollabili atti di autolesionismo. Ciò nonostante, e parliamo
di sofferenze psicofisiche inenarrabili, Jude svolge in maniera
impeccabile la propria professione, come se riuscisse a
compartimentare il suo Io in modo che la parte, per così dire,
malata sia silenziata per tutta la durata della giornata lavorativa.
</span><span style="font-style: normal;">Resta inteso che gli orrori
del passato non cessano di tormentarlo, esattamente come un branco di
iene sempre in agguato e pronte a sbranare la sua fragile serenità</span><span style="font-style: normal;">.
</span>
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-style: normal;">C</span><span style="font-style: normal;">iò
che colpisce nella storia è che solo uno dei tre amici riuscirà a
sapere da Jude tutto quanto riguarda il suo passato, mentre altri
(compreso il medico </span><span style="font-style: normal;">personale</span><span style="font-style: normal;">)
restano completamente </span><span style="font-style: normal;">esclusi</span><span style="font-style: normal;">
da tale conoscenza: eppure, nonostante autolesionismi, menzogne,
incontri sentimentali disastrosi e svolte prossime alla catastrofe
che punteggiano la quarantennale vicenda narrata nel romanzo, Jude è
di fatto circondato da gente che vuole solo il suo bene e fa il
massimo per procurarglielo e consolidarlo, anche laddove Jude sembra
fare di tutto per respingerlo </span><span style="font-style: normal;">e
respingere chi lo circonda</span><span style="font-style: normal;">.
Qui sta il nodo tragico della lunga (1091 pagine) vicenda: il Male si
è a tal punto sedimentato in Jude a tutti i livelli che egli non
riesce ad assecondare gli atti di affetto delle altre persone perché
</span><i>non se ne sente degno</i><span style="font-style: normal;">.
Egli si odia e si disprezza, si sente irreparabilmente corrotto dal
suo passato pur senza avere la minima colpa e pertanto ritiene di
essere, semplicemente, </span><i>inadatto a ricevere il bene</i><span style="font-style: normal;">.
</span><span style="font-style: normal;">L’entrata in scena di una
figura di sadico sessuale, </span><span style="font-style: normal;">così
</span><span style="font-style: normal;">come l’imprevedibile svolta
sentimentale che avviene a circa due terzi della narrazione,
sortiscono evidentemente effetti diversi nella vita di Jude, ma
sarebbe ingenuo pensare che la prima esperienza sia l’acme del male
mentre la seconda costituisca l’inizio della redenzione; basti
pensare che gesti estremi di autolesionismo anche peggiori dei
precedenti avvengono proprio in questa seconda. Eppure nemmeno questa
ripetuta corsa all’autodistruzione (anche quando essa si aggrava
dopo l’ennesima disgrazia personale) fa mancare a Jude </span><span style="font-style: normal;">la
vicinanza </span><span style="font-style: normal;">degli altri
personaggi, che anzi moltiplicano le premure </span><span style="font-style: normal;">nei
suoi confr</span><span style="font-style: normal;">on</span><span style="font-style: normal;">ti.
</span><span style="font-style: normal;">Questo è uno dei motivi-
cardine del romanzo: NESSUNO abbandona mai Jude a se stesso, anche
quando i suoi comportamenti si fanno esasperanti. </span><span style="font-style: normal;">Jude
però è come un buco nero che assorbe la luce, troppo ha patito in
anni decisivi per il suo sviluppo e si rende conto che un ritorno
alla normalità (o a una parvenza di essa) è semplicemente
impossibile. Con un certo nervosismo, alcuni recensori hanno notato
che l’espressione più ricorrente del suo frasario è “I’m
sorry” (ne sono stati contati 215 casi), stigmatizzandone in certo
modo la snervante e pleonastica banalità. Forse però proprio questa
presenza ossessiva di un’espressione così basica svela molto più
del resto: Jude si scusa non tanto di non venire incontro alle
richieste di chi vorrebbe sapere di più su di lui per poterlo meglio
aiutare, né gli pesa davvero ricadere più volte negli stessi atti
autolesionistici, vanificando tutto ciò che gli altri fanno per
dissuaderlo (o anche ostacolarlo): egli di fatto </span><i>si scusa
di esistere così com’è. </i><span style="font-style: normal;">E
nulla e nessuno potrà fargli cambiare idea.</span></p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-style: normal;">A </span><span style="font-style: normal;">inizio
romanzo è proprio Malcolm a definire il misterioso Jude un post-uomo
(specie perché di lui, in effetti, sono ignoti agli amici passato,
etnia, orientamento sessuale ecc.) sì che uno dei siti che con più
entusiasmo hanno recensito il romanzo afferma che Yanagihara </span><i>ha
scritto </i><i>un manifesto letterario sul post-umanesimo del
ventunesimo secolo</i><span style="font-style: normal;">.</span><span style="font-style: normal;">
Dove c’è post-umanesimo c’è forse umanesimo quantistico? Se
seguiamo la linea ragionativa di Rovelli, credo di no. Jude
rappresenta semmai la prova rovesciata della </span><span style="font-style: normal;">coerenza
strutturale</span><span style="font-style: normal;"> dell’umanesimo
classico: egli è incapace di autentiche relazioni perché odia se
stesso, odia per l’appunto il suo semplice essere. </span><span style="font-style: normal;">Un
essere che non si ama, non ama gli altri né può comprenderne
l’amore. </span><span style="font-style: normal;">Egli è un vuoto
di essere che nemmeno la relazione sentimentale più felice (finché
dura) riesce a riempire fino in fondo. Ci sono limitazioni (dicasi:
ferite) relazionali ereditate dal passato che non verranno MAI
superate. Se valessero i temi dell’umanesimo quantistico, Jude
dovrebbe convincersi che tutta la sofferenza patita può essere
semplicemente cancellata dall’affetto degli altri protagonisti,
quasi si fosse trattato di un’illusione. Il venire-all’-essere
quantistico di Jude si esplic</span><span style="font-style: normal;">herebbe</span><span style="font-style: normal;">
sotto il segno dell’abuso psicofisico, nel senso che egli ‘esiste’
</span><span style="font-style: normal;">allorché</span><span style="font-style: normal;">
la sua identità </span><span style="font-style: normal;">di vittima
viene</span><span style="font-style: normal;"> ‘</span><span style="font-style: normal;">attivata’
</span><span style="font-style: normal;">da coloro che lo violentano.
</span><span style="font-style: normal;">Egli non sussiste in sé, ma
è l’oggetto delle violenze altrui che definiscono la sua identità</span><span style="font-style: normal;">.
</span><span style="font-style: normal;">Tuttavia il subentro della
nuova dimensione relazionale non ripara i guasti provocati dalla
precedente: </span><span style="font-style: normal;">trovare una
persona che lo ama – che </span><i>lo fa esistere</i><span style="font-style: normal;">
come essere amato - dovrebbe salvare Jude dal baratro, ma così non
è</span><span style="font-style: normal;">. Ciò perché, a
differenza di quanto un umanesimo quantistico prevederebbe, non siamo
dotati di identità intercambiabili che si annullano reciprocamente a
seconda delle persone con cui interagiamo. Per quanto possiamo
muoverci pendolarmente tra </span><i>nessuno</i><span style="font-style: normal;">
e </span><i>centomila</i><span style="font-style: normal;">, le
diverse interazioni con gli altri si depositano da qualche parte in
noi dando forma, per quanto fluido e instabile, ad un</span><i> uno</i><span style="font-style: normal;">
che serba in sé una memoria anche minima del susseguirsi delle
esperienze relazionali. Non credo però che quest’</span><i><span style="text-decoration: none;">uno</span></i><span style="font-style: normal;">
</span><span style="font-style: normal;">sia semplicemente la
risultante (chimicamente: il precipitato) delle relazioni, perché
esse, nel loro succedersi cronologico, dovrebbero annichilarsi a
vicenda, o meglio in se</span><span style="font-style: normal;">quenza.</span><span style="font-style: normal;">
Se esse lasciano una traccia, ciò comporta che esista </span><i>prima</i><span style="font-style: normal;">
di esse </span><i>qualcosa</i><span style="font-style: normal;"> su
cui po</span><span style="font-style: normal;">sarsi</span><span style="font-style: normal;">.
La coscienza di Jude </span><span style="font-style: normal;">(sfuggente
e auto-trasparente finché si vuole) </span><span style="font-style: normal;">preesisteva
a tutte le esperienze e purtroppo la primazia di quelle devastanti
sulle altre ha curvato in una direzione irrevocabile il suo tracciato
esistenziale. </span><span style="font-style: normal;">E</span><span style="font-style: normal;">g</span><span style="font-style: normal;">li,
per tutto il romanzo, vive come quelle per</span><span style="font-style: normal;">so</span><span style="font-style: normal;">ne
che non sono riuscite ad elaborare un lutto e sono perseguitate da
una perenne afflizione; nello specifico, paradossalmente, il lutto di
Jude non si connette ad un evento di morte </span><i>ma alla sua
stessa vita </i><span style="font-style: normal;">che di fatto</span><i>
è morta per lui </i><span style="font-style: normal;">tra</span><i>
</i><span style="font-style: normal;">gli otto e i sedici anni</span><i>.
</i><span style="font-style: normal;">Tale morte-in-vita è appunto
frutto delle relazioni disastrose vissute da giovane</span><span style="font-style: normal;">:
</span><span style="font-style: normal;">Jude ha perso in un certo
senso il possesso di sé e non è più in grado di relazionarsi in
modo autenticamente sano e costruttivo con gli altri. Alla luce
dell’Umanesimo tradizionale (e ovviamente di tonnellate di manuali
di psicologia e p</span><span style="font-style: normal;">si</span><span style="font-style: normal;">chiatria)
tutto ciò è dolorosamente plausibile. Un umanista quantistico (o un
neuroscienziato) cosa direbbe? Che tutte le sofferenze di Jude sono
state niente più che un’illusione? Che il Jude violentato è tale
solo nella coscienza di chi lo ha violentato, mentre il Jude-in-sé,
che non esiste autonomamente, ha solo</span><i> creduto</i><span style="font-style: normal;">
di aver subito violenza, ma non avendo quest’ultima un fondamento
oggettivo nella coscienza di Jude non può essere realmente </span><i>avvenuta</i><span style="font-style: normal;">?</span></p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-style: normal;">Forse l’umanista quantistico potrà
rispondere a questi quesiti, ma credo che il nodo fondamentale di
questa nuova visione dell’individuo sia ormai chiaro: la sua
portata controintuitiva, se accettata, ci obbligherebbe a rivedere
radicalmente i fondamenti dell’etica, della libertà e della
responsabilità. Non si potrebbe, mi pare, parlar più di
responsabilità </span><i>individuale</i><span style="font-style: normal;">,
ma piuttosto </span><i>relazionale</i><span style="font-style: normal;">.
Ma se le relazioni attivano sussistenze che da sole non
esisterebbero, </span><span style="font-style: normal;">come stabilire
l’oggettività di un danno esistenziale irreparabile come quello
subito da Jude? E soprattutto:</span><i> di che Jude si parlerebbe</i><span style="font-style: normal;">?
</span><span style="font-style: normal;">Credo infatti che l’Umanesimo
quantistico trascenda persino la più estrema prospettiva
idealistica: non si può dire che la realtà non esiste fino a che il
soggetto non la crea, perché al livello di cui parliamo </span><i>il
soggetto</i><span style="font-style: normal;">, semplicemente, </span><i>non
c’è</i><span style="font-style: normal;">, </span><span style="font-style: normal;">sostituito
dalle relazioni.</span><span style="font-style: normal;"> Willem potrà
vedere gli effetti degli atti autolesionistici di Jude, ma non le
violenze subite in gioventù. In prospettiva quantistica, potrà
credere al racconto di un non-soggetto? </span><span style="font-style: normal;">E
quand’anche raccogliesse confessioni tardive dei suoi violentatori,
potrebbe dare a questa relazione di violenza valore oggettivo?</span></p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<br />
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-style: normal;">Se quindi </span><span style="font-style: normal;">vien
facile estendere a livello quasi di catacresi la teoria einsteiniana
della relatività nel classicissimo “tutto è relativo”, o se
l’equazione della funzione d’onda di Dirac ha subito il bizzarro
destino di essere ribattezzata “equazione dell’amore”, finendo
tatuata, spesso con formula erronea, sugli avambracci degli
adolescenti ai quattro angoli del globo, </span><span style="font-style: normal;">la
quantizzazione dell’esperienza soggettiva convertita in “nuvola
di relazioni” (estensione visibile della nuvole di possibilità di
posizione dell’elettrone nel nucleo dell’atomo) può essere
certamente una bellissima creazione dell’intelletto, ma la sua
traduzione pratica, mi pare, avrebbe effetti robusti sui meccanismi
sociali e non solo. Si tratta, come si vede, di un altro dei pedaggi
da pagare nel cammino</span><span style="font-style: normal;"> </span><span style="font-style: normal;">verso
l’era del post-Umano. Se ci sarà.</span></p>
<p><style type="text/css">p { line-height: 115%; margin-bottom: 0.25cm; background: transparent }a:link { color: #000080; so-language: zxx; text-decoration: underline }</style></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-13916951294456761242022-05-08T19:21:00.000+02:002022-05-08T19:21:00.931+02:00Le grandi recensioni (teatrali) di Machittevòle: "Agnello di Dio", l'incomunicabilità dei sottomondi.<div style="text-align: justify;"><br /></div><p style="text-align: justify;">Andò in scena dalle nostre parti in questi giorni la première nazionale di "Agnello di Dio", una pièce piuttosto interessante (e NON, banalmente, perché ambientata in una scuola) dalla cui visione abbiamo trovato uno spunto notevole per approfondire il tema dei temi, ovvero l'incomunicabilità tra generazioni, e forse per capirne la radice profonda. Che è, ancora una volta, l'irrisolvibile contrasto pirandelliano tra forma e vita, con l'impossibilità di una scelta tra le due che soddisfi pienamente. Le info complete sulla pièce sono <a href="https://www.centroteatralebresciano.it/spettacoli/2021/agnello-di-dio" target="_blank">qui</a>, pertanto dunquizziamo rapidamente: scuola cattolica per rampolli rampanti, padre in carriera (Fausto Cabra) convocato da badessa preside (Viola Graziosi) e sua ex compagna di collegio (e non solo...) proprio lì per tema di figlio (Alessandro Bandini) assai carico di disagio esistenziale. Di qui parte l'istruttoria per capire le ragioni del disagio. Ci vuole poco a polarizzare le posizioni, con Samuele (figlio) che riesce a far perdere le staffe agli altri due perché rifiuta di tornare a più miti consigli circa il suo malessere, malessere che soprattutto Marco (padre) vorrebbe liquidare a paturnia passeggera di diciottenne, forse connessa anche al suo DSA (che invece non c'entra nulla, anzi figlio si scoccia assai che i suoi disagi siano ridotti ad uno sterile tandem diagnosi-cura, come se le sofferenze esistenziali fossero trattabili alla stregua di un mal di denti). Detto che figlio riesce pure ad eccepire sulla visione cristiana di badessa, a suo dire troppo legata a formalismi ed esibizionismi, è naturalmente il match con padre che provoca le frizzantezze dialettiche più vivaci. In superficie, le conclusioni cui entrambi giungono, saldamente ancorati ciascuno al proprio punto di vista, potrebbero sembrare scontate - ma non lo sono: padre accusa figlio di essere alla fine un viziato che, avendo avuto tutto dalla famiglia, godendo di uno status economico-sociale che il 90% dei suoi coetanei può solo sognare da (molto) lontano, si permette di 'giocare' al disagiato, disprezzando tutto & tutti con irrequietudini che finiranno solo per ostacolarlo nella vita; figlio ringrazia certamente padre per tutto, ma questo 'tutto' materiale non lo soddisfa, perché egli non sopporta che il suo futuro sia già pianificato e che padre, tutto assorbito dalla sua successful career, abbia smesso di interrogarsi sul perché delle cose e, più di tutto, non ammetta che figlio possa essere attraversato da inquietudini che, anche se difficili da capire, andrebbero perlomeno ascoltate. C'è in effetti, circa a metà pièce, un momento in cui sembra che le controdeduzioni di Samuele aprano una breccia, e si capisce anche dalla prossemica, perché lui si toglie la felpa e rimane in t-shirt, a simboleggiare il suo volersi 'svestire' del ruolo di bravo figlio zero-problems, mentre Marco si slaccia il nodo della cravatta e inizia a sudare e deglutire, come se le ansie del figlio lo stessero in qualche modo contagiando, facendogli perdere l'impeccabile compostezza dell'abito blu scuro con camicia bianca supermanager style. Poi la storia prosegue (no spoiler here), ma il nocciolo che vogliamo snocciolare è proprio questo: perché entrambi pensano di avere ragione? Risposta agile: dai tempi di Atene antica il teatro tragico fa scontrare sottomondi individuali impossibilitati a conciliarsi (Antigone docet). Risposta articolata: tante volte a scuola vediamo dispiegarsi sofferenze alunnizie in cui non è semplice distinguere tra il capriccio passeggero e il disagio profondo (difficoltà su cui convengono anche i genitori). Come sempre sarebbe opportuno evitare gli estremismi, ovvero il poverinismo a oltranza come pure la stringa automatica "ma di cosa si lamenta, non saranno mica problemi questi, io ai suoi tempi...". Ma non è di questo che voglio parlare ora, e ritorno alla non comprensione reciproca: secondo me i tipi umani incarnati da Marco e Samuele, in realtà, si sono compresi benissimo, nel senso che, tacitamente, hanno convenuto su un punto, e cioè che l'esistenza -heideggerianamte- è qualcosa in cui siamo gettati e, una volta avviata la giostra, si può decidere di darsi - pirandellianamente- una Forma, oppure rivendicare l'autonomia della Vita. Nello specifico, Marco rivendica con orgoglio i suoi successi lavorativi ed economici - di cui anche Samuele evidentemente beneficia- perché sente che la carriera che si è costruito gli ha consentito di dare una funzione d'ordine all'altrimenti caotico svolgersi dei giorni. Non ha senso, secondo lui, arenarsi su riflessioni di alto spessore esistenziale che non spostano di un millimetro i problemi concreti del vivere. Samuele ne prende atto, ma si dice disposto a rinunciare a tutto il benessere pur di sentirsi vivo, di avere il diritto di non dare tutto per scontato e già deciso, di aprirsi all'incertezza, al dubbio, al mistero, all'ansia, senza alcuna garanzia di giungere ad un approdo sicuro. Ciò che Marco, secondo lui, non sa o non vuole fare, tutto incellophanato nel suo bell'abito e nella sua gioiosa carriera. Il fatto è che nessuna delle due prospettive, alla fine, vince, perché nessuna delle due risponde alla domanda fondamentale: Che ci faccio qui? La qual cosa potrebbe sembrare curiosa, visto che siamo in una scuola cattolica, ma Samuele vorrebbe un cattolicesimo diverso, meno formale e più aperto alle questioni di senso. Che poi egli cerchi davvero il senso o abbia già deciso per un sostanziale nichilismo, è questione che la pièce non risolve. Resta invece - potente - il conflitto di prospettive: Marco vuole convincere Samuele (e se stesso) che il soddisfacimento a livello deluxe dei bisogni materiali dovrebbe zittire una volta e per sempre le ansie della vita, perché la vita è una sfida spietata ma appagante (se vinta), mentre Samuele replica che, per paradossale che possa essere, l'eliminazione delle preoccupazioni materiali lascia campo liberissimo alle altre: proprio perché sollevato dalle pure necessità della sopravvivenza, l'essere umano alza lo sguardo verso un cielo profondo ed enigmatico e trova il coraggio di chiedersi il perché delle cose. La Verità nel pieno (materiale) e la Verità nel vuoto (della ricerca del
senso), in questa pièce, si sfiorano e si respingono: per Marco,
Samuele è un infelice coi soldi altrui, per Samuele Marco si è
cristallizzato in una vita inautentica (cit.). Ci dice Marco: è utile consumare la vita in dubbi senza sbocco? Ci dice Samuele: è utile vivere rimuovendo di continuo le questioni ultime? Ci ri-dice Marco: e anche una volta che passi tutta la vita a pensare alla morte, quando muori senza aver vissuto cosa ci hai guadagnato? Ci ri-dice Samuele: e quando -presto o tardi- dovrai rassegnarti a perdere ciò che hai sempre saputo che avresti perso, non ti sembrerà di esserti preso in giro da solo per tutto il tempo? Cogliere l'attimo della forma e costruirsi una -precaria- felicità o lasciarsi travolgere dalle pulsioni inquiete della vita, liberi però da schemi & risposte preconfezionate?</p><p style="text-align: justify;">Se poi dall'esistenzialismo estremo scendiamo - si fa per dire- ai problemi più concreti del quotidiano, certamente l'atteggiamento di chi non si riconosce nei disagi dell'altro perché non li ha mai vissuti è la grande croce dei nostri giorni; peggio ancora quando la liquidazione dei disagi medesimi avviene sulla scorta di frasi fatte del tipo: "Le sofferenze vere sono altre", "Non sei il solo", "Guarda avanti". Piccolo o grande che sia, il dolore altrui va capito, perché attendere semplicemente che si estingua come fuoco fatuo è la strategia migliore per farlo ingigantire fino a quando sarà ingestibile. Ogni dolore va sconfitto da dentro, e se è davvero banale la sconfitta sarà rapida, una volta reso cosciente l'interessato della sua inconsistenza. Ma da dentro. Chi si limita a rapide diagnosi esterne corredate da raccomandazioni qualunquistiche e senza spessore, non solo non aiuta nella cura ma si fa complice del male. Questa, secondo noi, può essere l'onda lunga o lunghissima del sasso lanciato dalla pièce: gente giovane che si rovina l'esistenza perché non riesce a vivere come un influencer non va derubricata alla voce "bambocci superficiali", ma aiutata a capire la differenza tra mondo virtuale e reale, anche combattendo - certo ad armi impari- coi numerosi disvalori del mondo massmediatico. Chiuderla sbrigativamente con "ai miei tempi" -o simili- equivale a mettere il fondotinta su un melanoma. </p><p style="text-align: justify;">(Sul versante dei figli che rifiutano carriere preconfezionate, dalla monaca di Monza in giù, la questione è sempre quella: lo status ha un suo costo, se tu figlio vuoi avere voce in capitolo e magari eccepire, calcola bene se ciò che guadagni risarcisce ciò che perdi. Si torna quindi a quanto sopra: la felicità è il prezzo del successo?)(vabbè, questo un'altra volta...) <br /></p><p style="text-align: justify;">Per quanto riguarda gli attori, a cui aggiungiamo la spassosa Ola Cavagna nel ruolo di suora-segretaria, il nostro giudizio da non specialisti è positivissimo: Cabra è certo una conferma, mentre Bandini - del tutto a suo agio nel ruolo di diciottenne pur avendo superato i diciotto da un po'- è stato davvero una gradevole sorpresa. La Graziosi semplicemente perfetta (praticamente la recensione è finita in fondo)(lol). <br /></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-5767654848979553972022-04-30T20:59:00.000+02:002022-04-30T20:59:01.626+02:00Appunti di Umanesimo quantistico#2<p> </p><p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<br />
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-style: normal;">Resta quindi inteso che la Relazione
dinamica di amore presuppone un essere consapevole di sé che,
proprio in forza dell’amore di sé, riesce a individuare un altro
da rendere oggetto del medesimo amore. Essere-in-relazione, sul piano
della condizione divina, non indica una priorità cronologica tra i
due poli del sintagma: l’Essere </span><i>è perciò stesso</i><span style="font-style: normal;">
Relazione. Sul piano umano, evidentemente, </span><i>prima</i><span style="font-style: normal;">
avviene la scoperta del Sé (livello di identità nucleare) </span><i>poi</i><span style="font-style: normal;">
la relazione con l’altro (livello di identità transizionale) </span><span style="font-style: normal;">dalla
quale l’essere arricchisce per via dialettica la propria
autocoscienza. Sarebbe tuttavia, secondo questa prospettiva,
impossibile che la </span><span style="font-style: normal;">r</span><span style="font-style: normal;">elazione
avvenga </span><i>indipendentemente</i><span style="font-style: normal;">
dall’essere. Meglio: sarebbe inaccettabile demandare alla sola
Relazione il compito di definire l’identità dell’individuo. Se
l’individuo non ha anzitutto coscienza di sé, mai potrà gettare
ponti sull’altro da sé.</span></p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Una simile impostazione trova senza dubbio una vivace concorrenza in
una concezione dell’essere e della relazione diametralmente
opposta, le cui radici affondano in un territorio ben lontano dalla
filosofia e teologia medievali, ovvero la fisica quantistica.</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Tale branca della fisica ha raggiunto ultimamente risultati che la
apparentano in modo sorprendente (e sorprendentemente inquietante) a
quelli delle neuroscienze. Queste ultime, indagando più a fondo
l’assioma cartesiano <i>cogito ergo sum</i>, giungono a concludere
che l’anima è di fatto trasparente a se stessa, nel senso che si
percepisce, ma per così dire ‘non sa trovarsi’. Che la sua
origine sia puramente biologica o metafisica (e il neuroscienziato
opta decisamente per la prima ipotesi), resta un fatto che essa non
conosce alcuna ‘dimensione’ di sé: possiamo vedere le nostre
mani e constatare che abbiamo cinque dita, e persino gli occhi grazie
a cui vediamo sono studiabili nella loro anatomia e funzionalità.
L’anima, invece, ‘funziona’ ma non è collocabile né
descrivibile in alcun modo come le altre parti del nostro corpo.</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Certi approdi della fisica quantistica arrivano anche oltre, là dove
forse nemmeno Pirandello si sarebbe mai spinto. Di fatto, sostengono
alcuni, nessuno di noi può dire di avere un’esistenza autonoma
finché non entra in relazione con qualcun altro. Allo stesso modo,
le cose non esistono di per sé, non hanno un’autonoma sussistenza,
ma iniziano ad esistere solo nel momento in cui entrano nel nostro
campo percettivo. Le proprietà sostanziali e accidentali delle cose
si attivano solo se le cose sono in relazione tra loro, allo stesso
modo le persone: esse iniziano ad esistere solo quando altri le
percepiscono ed evidentemente la permanenza (ma addirittura la stessa
sussistenza) di una sola identità è messa fortemente in scacco dal
fatto che ciascuno di noi è sempre la risultante di come è
percepito dagli altri. Il che porta ben oltre il classico<i> Uno,
nessuno e centomila</i>, o meglio toglie dalla serie l’<i>uno</i>.
Per quanto sfuggente e proteiforme essa sia, Pirandello non nega che
ciascuno di noi sia dotato di un’essenza che tuttavia diventa
sempre qualcos’altro da sé non appena entriamo in contatto col
mondo esterno, generando di volta in volta una maschera diversa
(quindi l’evento è di fatto inevitabile); l’approdo quantistico
nega invece proprio la possibilità di una nostra essenza
autosussistente che precede la maschera anzidetta: noi possiamo dire
di essere solo quando siamo in relazione con gli altri, pur con tutte
le ricadute soggettive dell’evento. Come singoli, pertanto, noi non
siamo <i>nessuno</i> finché non ci tuffiamo nelle <i>centomila</i>
maschere che la vita di relazione ci cala addosso. L’anima non ha
il problema di trovarsi; essa <i>non c’è</i>, perlomeno non in
senso classico. Non è prioritaria.</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Se ora torniamo a Dante, possiamo comprendere l’abisso concettuale
tra le due visioni dell’essere: al vertice della Commedia noi
vediamo l’Essere-in-Relazione e capiamo che anche noi, prima di
metterci in relazione con chicchessia, dobbiamo prima avere una
solida e netta relazione con noi stessi. <b>Se cade l’essere, cade
la relazione</b>. L’approdo quantistico tematizza invece un
Essere-Relazione. La soppressione della preposizione ‘in’ gioca
un ruolo fondamentale, perché rovescia completamente i termini della
questione dantesca: l’essere in qualche modo si attiva solo in
presenza della relazione, quindi, esattamente all’opposto di prima,
<b>senza relazione non c’è essere</b>.</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Non è qui il caso di riflettere sulla portata enormemente
controintuitiva della teoria. Semmai si può indagare se tra i tanti
“quantismi” che sempre più diffusamente popolano il dibattito
culturale si possa trovare la sintesi più ardita, ovvero l<i>’umanesimo
quantistico</i>. E’ infatti del tutto evidente che, rovesciando il
rapporto tra essere e relazione nel modo che si è detto, il concetto
stesso di <i>humanitas</i> si deve aggiornare: Il celeberrimo verso
terenziano che costituisce convenzionalmente il sigillo di tale
concetto (<i>Homo sum. Humani nihil alienum a me puto</i>) ci dice
che si può percepire l’umanità altrui solo se essa risulta in
sintonia con una sostanza umana che è anche in noi: <i>homo sum</i>,
cioè <i>dato che</i> sono uomo posso percepire l’umanità in chi
mi sta attorno. Possiamo dunque ipotizzare che esista anche la forma
speculare di umanesimo, quella cioè che rende l’<i>alienum</i> la
radice (il <i>prius</i>) del nostro essere? Attenzione: non nel
senso già ampiamente esplorato dai filosofi dell’identità che si
plasma tramite la relazione, ma in quello tutto nuovo che nega una
sussistenza assoluta dell’identità in assenza della relazione.</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Ipotizziamo una relazione tra il soggetto A e il soggetto B. Sulla
base di quanto detto sin qui, A esiste quando B lo percepisce, non
prima. La cosa è evidentemente reciproca. Ebbene, cosa potrà
<i>provare</i> A per B e B per A? In cosa si declinerà la loro
relazione?
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Potremmo ragionare per sottrazione: se partiamo dal concetto di amore
come darsi all’altro previo il pieno e consapevole possesso del sé,
in un ambito di umanesimo quantistico questo tipo di amore non è
praticabile. Il soggetto A e il soggetto B non sono autosussistenti,
quindi al limite potrebbero amare se stessi solo dopo la percezione
da parte dell’altro. E’ però chiaro che questo amore di sé
durerebbe finché dura tale percezione. Forse allora si dovrebbe
abbandonare il concetto classico di amore, poiché è difficile
pensare che un sentimento che, tradizionalmente, richiede lo scambio
di una pienezza che una concezione quantistica dell’identità non
consente. Si potrebbe dire che A e B, esistendo ciascuno grazie alla
relazione con l’altro, possano piuttosto provare gratitudine<i>
</i>reciproca, dato che si fanno esistere a vicenda. Il soggetto A è
grato a B perché, finché sono in relazione, ha coscienza di sé. Il
problema è semmai come non perdere questa coscienza e il <i>piacere
</i>esistenziale che ne deriva. Il modo è uno solo: stare assieme
più che si può per non uscire dal cono di luce di sussistenza
garantito dalla <i>piacevole</i> relazione con l’altro. Stare
assieme, cioè? Essere dove si trova l’altro, <i>Seguirlo </i>e<i>
farsi seguire</i>.
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-style: normal;">I termini in corsivo di questa
relazione quantistica, se tradotti in inglese, sono ovvi: </span><i>like</i><span style="font-style: normal;">
e </span><i>follow</i><span style="font-style: normal;">. L’architrave
delle reactions su qualsiasi social network. </span><span style="font-style: normal;">Da
quando si è diffuso questo fenomeno, in effetti, tutti gli
osservatori hanno notato che ad essi si lega un bisogno più o meno
intenso (a tratti disperatamente morboso) di </span><i>riscontro</i><span style="font-style: normal;">:
i like e i followers diventano il metro di un prestigio </span><span style="font-style: normal;">immateriale</span><span style="font-style: normal;">
che però diventa per alcuni </span><span style="font-style: normal;">influencer
</span><span style="font-style: normal;">sostanziale (mentre altri
osserva</span><span style="font-style: normal;">va</span><span style="font-style: normal;">no
lepidamente che avere tanti followers su Facebook è come essere
miliardari col Monopoli). La soddisfazione dopaminica di vedere </span><span style="font-style: normal;">tanto
</span><span style="font-style: normal;">il gradimento sotto i propri
post o le proprie foto </span><span style="font-style: normal;">quanto</span><span style="font-style: normal;">
l’aumento del numero di chi segue il profilo si lega evidentemente
non alla propria identità reale, ma a quella virtuale che si
consegna al web </span><span style="font-style: normal;">(sarebbe solo
comico, ma a questo punto è anche significativo, sentire adolescenti
che non possono fidanzarsi perché, a giudizio di lei, lui non ha
abbastanza followers, quindi è un po’ sfigato). </span><span style="font-style: normal;">Si
andrebbe così a creare esattamente una situaz</span><span style="font-style: normal;">i</span><span style="font-style: normal;">one
di umanesimo quantistico, poiché io </span><span style="font-style: normal;">mi
creo un profilo</span><span style="font-style: normal;"> i cui </span><i>like</i><span style="font-style: normal;">
e </span><i>follow</i><span style="font-style: normal;"> – </span><span style="font-style: normal;">cioè
i segni della </span><i>relazione </i><span style="font-style: normal;">–
</span><span style="font-style: normal;">ne costituiscono la vera
</span><i>ragion d’essere</i><span style="font-style: normal;">. </span><span style="font-style: normal;">Con
il like io comunico all’altro profilo che per me lui esiste e
seguendolo ne ‘sostengo’ l’esistenza (e il tutto vale
reciprocamente nei confronti del mio). Senza like e follow il mio
profilo rimarrebbe un puro guscio senza senso, dentro al quale non
c’è alcuna essenza autosussistente che io debba amare per poter
amare le altre: </span><span style="font-style: normal;">a computer
spento, io non </span><i>sento</i><span style="font-style: normal;">
quel profilo, non me ne preoccupo, non ne gioisco, in definitiva</span><i>
non lo possiedo</i><span style="font-style: normal;"> perché l’ho
affidato alla dimensione virtuale. Il mio e gli altrui profili </span><span style="font-style: normal;">sono
per l’appunto perfettamente trasparenti a se stessi e prendono
corpo </span><span style="font-style: normal;">solo </span><span style="font-style: normal;">nell’incrocio
di like e follow. </span><span style="font-style: normal;">Se ad un
certo punto, nel corso di un’intera giornata, nessuno degli utenti
di Facebook (o Instagram o uno qualsiasi degli altri) entrasse sul
suo profilo, ciò significherebbe per per quel giorno i profili,
semplicemente, c’erano </span><i>ma non sono esistiti</i><span style="font-style: normal;">,
a differenza dei loro creatori. </span><span style="font-style: normal;">L’atto
della creazione del profilo mette quindi in azione una
pseudo-sostanzialità che perde lo </span><i>pseudo-</i><span style="font-style: normal;">
solo quando il profilo riceve visite.</span></p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-style: normal;">Si potrebbe pertanto concludere che
un abbozzo (o qualcosa di più) di umanesimo quantistico è già in
essere ad esempio nel mondo dei social, </span><span style="font-style: normal;">in
coesistenza a mio modo di vedere con l’umanesimo ‘classico’.
</span><span style="font-style: normal;">Certo, da un punto di vista
non classico, il profilo social altro non sarebbe che la proiezione
virtuale di una non-identità preesistente, pertanto tra vita reale e
vita virtuale non ci sarebbero in realtà differenze. Rimane da
indagare, ma ce lo teniamo per future indagini, come possa una
non-identità generare un non-profilo. </span>
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<br />
</p>
<p><style type="text/css">p { margin-bottom: 0.25cm; line-height: 115%; background: transparent }a:link { color: #000080; so-language: zxx; text-decoration: underline }</style></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-37416855144133765852021-10-23T23:30:00.002+02:002021-10-23T23:30:19.501+02:00Appunti di Umanesimo quantistico #1<p>
</p><p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">Introduzione</p>
<p style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">Considerando
che ormai l’aggettivo ‘quantistico’ si porta un po’ su tutto
(come l’autodiagnosi di sindrome di Asperger, che pare faccia molto
fino…) è forse il caso di chiedersi se esso possa o non possa
quagliare con il sostantivo ‘umanesimo’. La fisica quantistica è,
al momento, il massimo vertice mai raggiunto dalle scienze
sperimentali, vale a dire il punto attualmente più all’avanguardia,
il più dinamico, il più aperto alla novità, visto che nel mondo
dell’infinitamente piccolo le leggi che governano il mondo dei
fenomeni sembrano (o sono) del tutto sovvertite. Sull’altro
versante sta la perennità delle costanti dello spirito umano quali
l’umanesimo va indagando da quando esiste il pensiero astratto:
esteriormente, cioè, un mondo, più che immutabile, ‘tradizionale’,
o perlomeno radicato in un sistema di pensiero molto antico
(‘vecchio’ lo definirebbero i detrattori) che risulterebbe a
tutta prima incompatibile con la pirotecnica parata di sconvolgenti
novità che il mondo quantistico offre a scienziati e (per chi ci
capisce qualcosa) opinione pubblica. Può dunque la<i> forma mentis
</i><span style="font-style: normal;">quantistica intercettare quella
umanistica, producendo un’ibridazione di cui studiare le
caratteristiche? </span><i> </i><i> </i>
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><br />
</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
1.</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Anzitutto sarebbe opportuno abbattere il primo degli steccati
umanesimo/scienza, ovvero la convinzione che i due àmbiti non
abbiano mai avuto molto da condividere (almeno fino allo sviluppo
delle neuroscienze) perché impegnati ad esplorare dimensioni del
reale troppo lontane tra loro (l’anima dell’uomo e le relazioni
interpersonali da un lato, le leggi della materia dall’altro). <span style="font-family: Liberation Serif, serif;">È</span>
un fatto ad esempio che, proprio negli anni in cui l’ancor giovane
fisica quantistica metteva in crisi le certezze di quella classica,
la letteratura, anche sulla scorta delle scoperte della psicoanalisi,
smontava l’idea di un Io individuale monolitico e perfettamente
conoscibile, ponendo l’umanità di fronte allo scenario vertiginoso
della frantumazione dell’anima e della perpetua mutevolezza dei
singoli sia in rapporto a se stessi (il me di oggi potrebbe non
essere riconosciuto dal me di domani) che in rapporto agli altri
(siamo ciò che gli altri percepiscono di noi). Dei romanzi di
Proust, per esempio, si è detto che hanno applicato in letteratura
le leggi della relatività generale; di recente il pirandelliano<i>
Uno, nessuno e centomila</i> è stato più e più volte citato da C.
Rovelli come esempio di narrazione in senso quantistico della realtà,
poiché secondo il professore la fisica quantistica ci insegna che
non ha più senso cercare il principio ontologico autosussistente del
reale, laddove tutto ciò che esiste deve la propria esistenza solo
all’entrata in relazione con qualcos’altro. Così noi crediamo di
essere unici e perfettamente solidi nella nostra autopercezione, ma
poi ci accorgiamo che i centomila modi in cui gli altri ci
considerano rendono di fatto insussistente la nostra presunta essenza
permanente, della quale noi pure siamo all’oscuro. L’anima, non
appena tenta di individuare se stessa al di sotto dei propri
processi, diventa trasparente a se stessa: ‘sente’ di operare, ma
non ‘vede’ sé stessa in quanto soggetto operante. Il che, per
inciso, va a demolire d’un colpo due colonne portanti
dell’umanesimo occidentale: il socratico ‘conosci te stesso’ e
il cartesiano ‘cogito ergo sum’. Conoscere la propria essenza
profonda è impossibile e il solo atto del pensiero non è garanzia
di essere finché non si attiva la relazione con qualcos’altro.</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Non può quindi negarsi che ci sia una certa pervietà reciproca tra
filosofia, letteratura e fisica quantistica. Le provocazioni che
quest’ultima lancia alle prime due possono spingersi oltre?</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<br />
</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
2.</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<br />
</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Per rispondere al quesito, bisogna ripartire dai fondamenti
dell’Umanesimo occidentale, riassumendoli per pura comodità in due
grandi macro-aree, quella classica e quella cristiana. L’operazione,
che si rende quantomai schematica per esigenze argomentative, porta
ad isolare due tipi di metafisica: la metafisica dell’Essere
assoluto e immobile, caratteristica della speculazione greca in
particolare di Parmenide<sup> </sup>e Aristotele, e la metafisica dell’Essere come Relazione, nella
quale al vertice del processo di generazione del tutto non si colloca
un impersonale Motore immobile (creatore e amato dalle sue creature,
ma non a sua volta amante di esse), bensì un Dio-persona che ama
anzitutto nella propria trinità e per conseguenza ama il creato,
quest’ultimo rappresentando una sorta di tracimazione ontologica
della relazione d’amore che l’Essere supremo vive al proprio
interno (il Padre ama il Figlio – e viceversa – tramite lo
Spirito Santo).
</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Nel pensiero greco, si tratti della dialettica perpetua dell’Uno
metafisico e della Diade di grande-e-piccolo, dell’attività di un
Demiurgo, dell’emanazione dell’Uno plotiniano, ma pure, ove si
guardi a filosofie antimetafisiche, alla forza creatrice del logos
stoico o all’energia che fa aggregare gli atomi (e tralasciamo i
presocratici) tutto lo sforzo del pensiero è volto alla ricerca del
principio originario (archè) dal quale tutto si genera. Alla base di
ciò che esiste deve collocarsi un Essere (siano atomi, pneuma caldo
aeriforme, idee intelligibili) che nei più vari modi dà forma e
senso a tutte le cose. Resta inteso che questa fonte suprema che
garantisce la sussistenza dell’universo e dei suoi singoli elementi
non agisce per amore di ciò che crea. Anche la dinamica di
Amore-Odio che fa evolvere le relazioni tra gli elementi secondo
Empedocle non può ricondursi ad una volontà divina paragonabile al
Dio delle religioni monoteiste, risultando piuttosto un processo
immanente ai semi stessi delle cose. L’Essere classicamente inteso
agisce su una materia preesistente (la creazione <i>ex nihilo</i> non
è infatti contemplata) come una forza strutturante. Non c’è il
nulla semplicemente perché la materia e l’Essere sono eterni. In
cosa quindi la metafisica della Relazione potrebbe superare uno
schema che pare così inattaccabile, pur nella varietà degli esiti
speculativi?
</p>
<p align="justify" style="font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
La risposta si può trovare in maniera sufficientemente esaustiva nel
Paradiso dantesco, esattamente all’inizio e alla fine della
cantica. L’esordio, celeberrimo e qui riportato solo per comodità,
del canto I recita:</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 4.6cm; page-break-before: auto;">
La gloria di Colui che tutto move</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 4.6cm;">
per l’Universo penetra e risplende</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 4.6cm;">
in una parte più e meno altrove.
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 4.6cm;">
<br />
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; page-break-before: auto;">
A ribadire l’incolmabile distanza tra Creatore e creato, Dante
sottolinea che la gloria divina non è distribuita uniformemente in
tutto l’universo, giacché l’Empireo non può certo essere
paragonato a nessuno dei nove cieli del Paradiso, né questi alla
Terra. Del resto, se la gloria divina fosse al contrario presente in
ugual misura ovunque nel creato, cesserebbe qualsiasi trascendenza,
poiché tra Dio e ciò che da Lui deriva non esisterebbero fattive
distinzioni: Dio sarebbe semplicemente Tutto in tutto.
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
L’aspetto utile ai fini del mio discorso è però un altro: Dio è
definito tramite perifrasi ‘Colui che tutto move’, espressione
ineccepibile dal punto di vista aristotelico- tomistico, giacché Dio
è motore, ovvero creatore e fine supremo del divenire di tutto il
cosmo, come poi Beatrice avrà modo di spiegare a Dante per tutto il
canto. Al di sopra dei drammi umani esibiti in Inferno e Purgatorio,
il Paradiso assicura subito che Dio è ovunque ma in diversa misura,
e tuttavia è ‘vicino’ tramite la Sua gloria alle cose che ha
creato. Forse il lettore dantesco avrebbe voluto qualcosa di più che
sentirsi ‘toccato’ dalle propaggini di questa luce gloriosa.</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
Questo ‘qualcosa’ si farà attendere fino alla fine del viaggio
paradisiaco, cioè fino al canto XXXIII. Qui Dante, dopo la preghiera
di S. Bernardo che gli ottiene l’intercessione della Vergine Maria,
può sprofondare intellettualmente nella contemplazione dell’essenza
di Dio che gli si rivela in tre tappe successive, corrispondenti
all’approfondirsi delle facoltà di visione trasumanata: dapprima
il poeta vede che all’interno di Dio si trovano i principi di tutte
le cose che esistono dell’universo, legati tra loro come pagine in
un volume (similitudine che più medievale non potrebbe essere).
Successivamente, con un celebre paragone che per evidenti ragioni
sfida la logica della geometria, Dante vede tre sfere – o cerchi –
che pur essendo di identica dimensione sono tra di loro concentriche
– l’unico modo di rendere l’unità e la trinità di Dio. Uno
dei cerchi attira in particolare l’attenzione del poeta, quello nel
quale gli sembra di vedere raffigurata una sembianza umana dello
stesso colore del cerchio medesimo – altra voluta violazione della
logica, giacché non sarebbe possibile distinguere un’ immagine dal
suo sfondo omocromo. Ciò indica evidentemente che la natura divina
di Cristo coesiste in perfetta consustanzialità con quella umana.
Dante si trova quindi ad un passo dal comprendere il mistero sommo
della sua Fede, ovvero l’incarnazione di Dio in Cristo, ma proprio
qui il suo sforzo manca l’obiettivo e si rende necessario
l’intervento divino che svela per un istante brevissimo al
viandante ultraterreno la Verità inseguita per tutto il viaggio. A
noi tuttavia non sarà dato sapere COSA Dante abbia visto. Ci rimane
solo il resoconto del perfetto allinearsi delle sue forze
intellettuali con la volontà di Dio (vv. 142-145):</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<br />
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 5cm; page-break-before: auto;">
A l’alta fantasia qui mancò possa;
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 5cm;">
ma già volgeva il mio disio e ‘l <i>velle,</i></p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 5cm;">
sì come rota ch’igualmente è mossa,
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 5cm;">
l’Amor che move ‘l sole e l’altre stelle.</p>
<p align="justify" style="background: transparent; font-style: normal; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 5cm;">
<br />
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; page-break-before: auto;">
<span style="font-style: normal;">Da ‘la gloria di Colui che tutto
move’ a ‘l’Amor che move ‘l sole e l’altre stelle’ il
passaggio è brevissimo ma enorme allo stesso tempo: Dio non è più
solamente motore di tutte le cose, loro causa originaria e finale, ma
è definito per via di perifrasi </span><span style="font-style: normal;">come
</span><span style="font-style: normal;">amore che muove l’intero
Universo. Siamo quindi al punto di svolta che separa la Fede dantesca
dal motore immobile aristotelico (creatore delle cose e da loro
amato, ma di loro non amante a sua volta), per non parlare del </span><i>logos</i><span style="font-style: normal;">
stoico (principio puramente materiale e impersonale). Con questa
ulteriore precisazione della natura di Dio, Dante non ci svela il
mistero dell’incarnazione, ma forse (si e ci) risponde ad una
domanda ancor più metafisica: che senso ha l’Essere rispetto al
non-essere? Domanda che rappresenta il vertice di qualsiasi
inquietudine tanto fideistica quanto razionale e che quindi ben
racchiude il doppio binario della ricerca esistenziale di Dante, il
quale ha interrogato per tutta la vita filosofia e teologia in cerca
di risposte.</span></p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-style: normal;">Il verso finale del poema ci dice
</span><span style="font-style: normal;">allora </span><span style="font-style: normal;">molt</span><span style="font-style: normal;">o</span><span style="font-style: normal;">
di più della sola lettera: Di</span><span style="font-style: normal;">o</span><span style="font-style: normal;">
si presenta come Ente supremo caratterizzato dalla Relazione di Amore
tra il Padre e il Figlio veicolata dallo Spirito Santo. Nella Sua
unità, Egli </span><span style="font-style: normal;">allora </span><span style="font-style: normal;">non
è statico, bensì dinamico, ed è da questa dinamicità che ad un
certo punto trabocca la forza creatrice che dà origine a tutte le
cose. Dio ama l’Universo che ha creato, poiché tale amore altro
non è che la continuazione della relazione amorosa dinamica che </span><i>ab
aeterno</i><span style="font-style: normal;"> si verifica all’interno
della Sua natura. </span><span style="font-style: normal;">A questo
punto la metafisica dell’Essere è sorpassata </span><span style="font-style: normal;">(o
meglio, portata a compimento) </span><span style="font-style: normal;">da
quella della</span><span style="font-style: normal;"> Relazione. </span><span style="font-style: normal;">Se
Dio fosse puro Essere, sarebbe totalmente autoreferenziale, e la Sua
staticità non avrebbe mai potuto tracimare nell’atto della
creazione. Questo è già una dato che conforta Dante: l’universo
non è in balìa del Caso o peggio ancora del Caos, ma è
attraversato da una forza positiva che trascende l’apparente
disordine degli eventi per indicare, se riconosciuta dal fedele, la
via per la salvezza. </span>
</p>
<p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-style: normal;">Ma c’è di più: riconoscere
l’amore come forza intrinseca all’Essere supremo rivela a Dante
che la dicotomia fondamentale del reale non è </span><span style="font-style: normal;"><b>Essere
vs non- essere </b></span><span style="font-style: normal;">(o Nulla
che dir si voglia), poiché un Essere statico </span><i>equivarrebbe
di fatto </i><span style="font-style: normal;">al Nulla. Un Essere che
semplicemente </span><i>è</i><span style="font-style: normal;">,</span><i>
</i><span style="font-style: normal;">senza essere attraversato dalla
corrente della Relazione, non ha maggior ragion d’essere del Nulla.
Sarebbero di fatto due condizioni statiche accomunate dall’assenza
di </span><span style="font-style: normal;">amore, </span><span style="font-style: normal;">di
creazione e, quindi, di senso</span><span style="font-style: normal;">:
</span><span style="font-style: normal;">il Nulla, non essendo, non
può avere un senso perché ‘non si muove’ verso alcunché, ma se
anche l’Essere resta immobile senza relazione, di fatto, si
nullifica, tuttavia, p</span><span style="font-style: normal;">erché
il Nulla </span><span style="font-style: normal;">(per assurdo)</span><span style="font-style: normal;">
abbia Relazione, quest’ultima presupporrebbe </span><span style="font-style: normal;">che
</span><i>ci fosse</i><span style="font-style: normal;"> </span><span style="font-style: normal;">almeno
</span><span style="font-style: normal;">UN</span><span style="font-style: normal;">
qualcos’altro a cui relazionarsi, ma il Nulla </span><span style="font-style: normal;">è
uniformemente Nulla, non genera e non si relaziona con alcunché </span><span style="font-style: normal;">né
all’interno né all’esterno di sé (che non esistono)</span><span style="font-style: normal;">.
La dinamicità della Relazione, al contrario, rende l’Essere
diverso dal Nulla e ne giustifica la sussistenza rispetto ad esso: </span><span style="font-style: normal;">la
relazione e la creazione sono il senso dell’Essere che al Nulla
manca.</span><span style="font-style: normal;"> </span><span style="font-style: normal;">Ritornando
all’inizio del paragrafo, </span><span style="font-style: normal;">la
dicotomia è </span><span style="font-style: normal;">dunque </span><span style="font-style: normal;"><b>Relazione
vs Nulla</b></span><span style="font-style: normal;">: s</span><span style="font-style: normal;">i
capisce che l’Essere dantesco vada sempre inteso come
Essere-in-relazione. Diversamente, tanto varrebbe definirlo Nulla. </span><span style="font-style: normal;">La
filosofia Dantesca finisce pertanto per coincidere con la teologia,
nel senso che, in luogo di ‘amore della sapienza’, essa si
configura, per citare Lévinas, come ‘sapienza dell’amore’. La
Relazione d’amore all’interno della Trinità è la più autentica
ragion d’essere delle cose che sono: l’animo del poeta si
acquieta nel momento in cui vede svelarsi nell’essenza di Dio il
punto d’arrivo comune ad entrambi i suoi percorsi di ricerca
esistenziale. </span><span style="font-style: normal;">Amare il
prossimo significa quindi partire dall’amore di sé per aprirsi
all’altro. Questo Dante vuole lasciare alla sua tormentata epoca.</span></p><p align="justify" style="background: transparent; line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-style: normal;">[continua....] <br /></span></p><br /><p><style type="text/css">p.sdfootnote { margin-left: 0.6cm; text-indent: -0.6cm; margin-bottom: 0cm; font-size: 10pt; line-height: 100%; background: transparent }p { margin-bottom: 0.25cm; line-height: 115%; background: transparent }a.sdfootnoteanc { font-size: 57% }</style></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-68199101411365672422021-09-23T23:24:00.002+02:002021-09-24T20:17:11.629+02:00Machittevole@festivalfilosofia #2: Socrate, l'anarchico e antifascista.<p>Premessa: di Ulisse ciascuno ha fatto l'uso che ha voluto. Dante <a href="https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/il-passato-ci-parla/lulisse-di-dante-tra-profezia-e-meraviglia/" target="_blank">lo ha dantizzato,</a> Tennyson <a href="https://artscolumbia.org/to-what-extent-tennyson-is-a-romantic-poet-37097/" target="_blank">lo ha tennysonizzato</a>, Pascoli <a href="https://ilfollevolo.it/lulisse-di-pascoli-un-viaggio-a-ritroso/" target="_blank">lo ha pascolizzato</a>, persino i giapponesi e i francesi <a href="https://www.youtube.com/watch?v=QaKiM02Dqn4" target="_blank">se ne sono appropriati.</a></p><p style="text-align: justify;">La storia è nota: personaggi che fanno da archetipo della civiltà (occidentale in questo caso) possono essere soggetti alle più varie (re-) interpretazioni. Molto soggettive of course. A volte, anche, fuorvianti rispetto ai tratti genuini del carattere originario. </p><p style="text-align: justify;">Figuriamoci Socrate, che anche se non è propriamente il fondatore della filosofia occidentale, ha svolto un ruolo talmente importante che la storia della filosofia antica distingue sotto il lemma 'presocratici' tutti i suoi predecessori, Talete incluso, che sarebbe poi il capostipite di tutta la cumpa. Lui (Socrate) che non ha lasciato mezza riga del suo pensiero. Lui che conosciamo solo per interposto autore (Platone ovviamente, poi Aristofane e Senofonte). Il che ci porterebbe a pensare (e saremmo in ottima compagnia) che già Platone abbia platonizzato Socrate, Aristofane lo abbia aristofanizzato and so on. Chissà.</p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.milanopost.info/wp-content/uploads/2021/06/socrate.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="800" height="213" src="https://www.milanopost.info/wp-content/uploads/2021/06/socrate.jpg" width="320" /></a></div><br /> <p></p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;">Se però le cose andavano così già nel V secolo a.C., non solleveremo ciglia spocchiose a sentire la dotta conferenziera Simona Forti (Modena, 19 settembre u.s.) che reinterpreta per sua stessa ammissione Socrate alla luce di categorie certamente posteriori al filosofo greco. Forse c'è stata una certa forzatura, ma qualcuno di noi era là ad Atene a capire, mentre Platone scriveva i suoi dialoghi, quali teorie espresse da Socrate erano socratiche e quali del discepolo? No. Ciao.</p><p style="text-align: justify;">Parte subito in derapata la Forti, inquadrando il problema del fascismo secondo una prospettiva che attirerebbe ipso facto i fulmini di Emilio Gentile: di fascismo si può parlare anche oggi tutte le volte (lo dice Foucault) che si verificano fenomeni di governi autoritari che sopprimono le libertà individuali. Ebbene che fare? Strutturare le nostre soggettività come anime anarchiche. Non in senso bakuniniano, sia chiaro. Anche per Platone, è noto, la città in preda all'anarchia va in rovina. Ma infatti Forti ha in mente un altro tipo di anarchia: assodato che nella parola anarchia è presente il termine archè (che vorrebbe dire 'principio', 'origine' 'comando'), si potrebbe mettere in discussione il meccanismo secondo cui il singolare è sussunto nell'universale; detto più pucciosamente: la pluralità dei singoli può sottrarsi all'egemonia dell'Uno che pretende di imporre l'identità ai molti. Si capisce cioè che l'approccio proposto non mira a chiamare alla rivoluzione permanente, ma alla rifondazione filosofica del rapporto tra etica (individuale) e politica (collettiva). </p><p style="text-align: justify;">Anarchia, anzitutto, come possibilità di libertà nelle differenze. Liberazione dalla logica dell'Identico. Seguendo Deleuze e Agamben, arriverebbe il collasso del soggetto in una nuda vita senza qualità: di fronte al soggetto de-soggettivizzato il Potere si ferma perché non ha più nulla da plasmare. E il fascismo si depotenzia.</p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://cdn.skuola.net/news_foto/2016/socrate.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="378" data-original-width="660" height="183" src="https://cdn.skuola.net/news_foto/2016/socrate.jpg" width="320" /></a></div><br /> <p></p><p style="text-align: justify;">Forti tuttavia si perplime circa il ticket Deleuze-Agamben, perché volenti o nolenti avremo sempre rapporti col Potere. Si può resistere in altro modo? C'è una via di mezzo tra il soggetto chiuso su se stesso e quello spersonalizzato nell'incontrollato svolazzare di libertà senza fondamento? C'è una via di mezzo tra un bisogno di norma (identità) e il bisogno di trasgredirla (abbandono della soggettività)?</p><p style="text-align: justify;">Forti propone di usare in modo provocatorio il concetto di anima, superando il dualismo platonico in ambo i sensi (preplatonico e aristotelico): l'istanza è il bisogno di non farsi inchiodare in un'unica dimensione (cfr. Nietzsche: ci liberiamo dell'anima immortale per tenere l'anima mortale e duplice).</p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogphilosophica.files.wordpress.com/2020/11/c367f5546893e0ff85d1518e327e8f02-1.jpg?w=406" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="482" data-original-width="406" height="320" src="https://blogphilosophica.files.wordpress.com/2020/11/c367f5546893e0ff85d1518e327e8f02-1.jpg?w=406" width="270" /></a></div><br /> <p></p><p style="text-align: justify;">La filosofia moderna tende a separare etica e politica: nato il corpo politico, gli individui vengono isolati nella loro sfera privata (Hobbes, già), laddove Platone postulava una connessione circolare tra polis e anima del cittadino: era impensabile che l'individuo non fosse anche cittadino, anzi proprio la dimensione civile rappresentava l'inveramento dell'identità individuale.</p><p style="text-align: justify;">Forti cita Vegetti: per Platone, affinché la città sia in pace, deve spegnersi il conflitto per il desiderio di potere e si arriva a ciò instillando giustizia nelle anime dei cittadini. Un uomo giusto abita in una polis giusta, una polis giusta genera anime giuste (cfr. Socrate nella Repubblica). La giustizia è una virtù di relazione: come in una polis devono andare d'accordo reggitori, guerrieri e produttori, così nell'uomo l'anima razionale deve guidare le altre due. Se le parti si dispongono in un sistema gerarchico conforme all'archè, l'anima diventa da molti a uno. Allo stesso modo i filosofi guidano gli altri due gruppi.</p><p style="text-align: justify;">Oggi diremmo che la giustizia platonica sorpassa la libertà individuale, perché se quest'ultima prevale trionfa la tirannide, espressione dell'anima anarchica. Come si nota, tutto corrisponde nel micro e nel macro. Libertà è disordine, scissione, schiavitù. L'anima <i>si sdoppia</i> e provoca caos per sé e per gli altri. L'anima giusta <i>unifica</i> tutto sotto la forza del logos.</p><p style="text-align: justify;">E oggi che il valore dell'unità del soggetto è stato destituito? Si può recuperare un concetto positivo di anarchia? Si può sfuggire alla gabbia della gerarchia funzionale delle parti? </p><p style="text-align: justify;"> </p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2021/02/andy_warhol_style_socrates_by_damianoswald-db7j09s-1-e1612695344334.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="450" height="320" src="https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2021/02/andy_warhol_style_socrates_by_damianoswald-db7j09s-1-e1612695344334.jpg" width="320" /></a></div><br /> <p></p><p style="text-align: justify;">Forti fa la sua proposta riutilizzando indovinate chi? Socrate. Non solo quello platonico, ma pure quello senofonteo e oltre.</p><p style="text-align: justify;">Socrate si opporrebbe a Platone nella definizione di anima: Forti sa di agire in modo arbitrario, ma dice di essere in buona compagnia (anche i Guelfi bianchi alla Lastra, del resto...).</p><p style="text-align: justify;">Socrate non crede(rebbe) né all'anima immortale (quindi quello che parla nel <i>Fedone</i> sarà il gemello) né al dualismo anima-corpo (ripetiamo: Forti's opinion), ma concepisce un'anima anarchica che è giusta secondo criteri diversi. Non si tratta dell'obbedienza dei molti all'uno (archè, logos), ma di seguire un daimon che comanda di non seguire la doxa, ovvero l'opinione non verificata della città (ne parlano sia Platone che Senofonte, you know). Socrate promuove il potere critico del pensiero che sceglie cosa NON fare, destabilizzando norme stabilite e identità condivise e approvate dalla città. Il sé è duplice, il pensiero si lascia calare nella potenza dell'esterno ma poi sa ritirarsi per scomporre gli stimoli ricevuti e analizzarli, riplasmando i contenuti acquisiti. L'anima diventa il punto di partenza dell'essere altro da sé, l'inquietudine è incessante, identificazione e dis-identificazione si alternano incessantemente. Una dialettica perpetua, direi. L'anima non pone fine al movimento, scopre senza posa la propria duplicità, il proprio conflitto interiore, in tensione tra ciò che ci rassicura nell'appartenenza e ciò che farà venire meno appartenenza e sicurezza. Questa è la libertà, che può valere oggi come libertà dal fascismo e dal rigido determinismo. Siamo gli arbitri di noi stessi. Anarchia socratica is the new antifascismo, insomma: non farsi asfissiare dal Potere, vivendo in una mobile problematicità. Se per Platone nella Repubblica giustizia è unità, per Socrate la giustizia è l'anarchia della dualità che si sottrae al Principio.</p><p style="text-align: justify;"><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://img.libraccio.it/images/9788804703525_0_500_0_75.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="775" data-original-width="500" height="320" src="https://img.libraccio.it/images/9788804703525_0_500_0_75.jpg" width="206" /></a></div><br /><p style="text-align: justify;"></p><p style="text-align: justify;">C'era un rischio trappola in tutto il discorso, perché la distinzione tra un Socrate 'anarchico' e fautore della dualità dinamica contrapposto ad un Platone unitario e quasi 'reazionario' lascerebbe intendere una divergenza di pensiero tra i due, che si sarebbe potuta dimostrare solo avendo a disposizione almeno uno scritto solo socratico, cosa che notoriamente non si dà, visto che è sempre Platone la fonte. Allora si procede per incroci: il fatto che oltre a Platone ci sia anche Senofonte a parlare del daimon farebbe pensare che quest'ultimo sia un copyright socratico. Cioè: il Socrate della <i>Repubblica</i> parla, ma di fatto è Platone che scrive, laddove il Socrate, per esempio, dell'<i>Apologia</i> è quello originale, confermato indirettamente da Senofonte. C'è però sicuramente almeno un caso problematico sempre nella <i>Repubblica</i> VI 496C, dove Socrate dichiara: “Infine, il mio caso è difficilmente spiegabile - il mio segno demoniaco - perché oltre a me, fino ad oggi, è accaduto ad un solo ad altre poche persone”. Epperò pare di capire da questi e altri passi che Platone non credesse così in fondo all'interiorizzazione del comando divino, perlomeno in uomini diversi dall'eccezionale Socrate. Insomma, la misteriosa forza anarchica sembra baluginare anche nell'opera in cui tutto il pensiero platonico converge verso l'unità. Dialettica sotterranea? Polarità etico- politica? Terreno scivoloso, gentlemen. Quindi prudenza. Ciò avrebbe peraltro aperto autostrade per una svolta realista (nel senso dell'interpretazione di Platone data dal compianto Giovanni Reale - mai citato da Forti), poiché il Platone-uno opposto al Socrate-due riporterebbe alle dottrine non scritte di Platone medesimo nelle quali, al vertice della gerarchia dell'essere, si trovano l'Uno metafisico e la Diade di grande - e - piccolo, dal cui ininterrotto confrontarsi derivano sia gli enti ideali che quelli concreti. Ma appunto.</p><p style="text-align: justify;">Credo insomma che la proposta di Forti vada accolta come si accoglie l'Ulisse dantesco o pascoliano: il filosofo che tuonava contro i sofisti e il loro uso scaltro e spregiudicato della parola, che invitava a circoscrivere il concetto di ogni cosa di cui si parla, che concepiva la conoscenza come maieutica dell'animo sempre alla ricerca della verità oltre le apparenze, ebbene questo filosofo può dire molto ancora oggi. Bombardati come siamo da slogan usa e getta, abbarbicati ai relitti delle vecchie ideologie nel mare della post-verità, in bilico sul sottilissimo ciglio del transumanesimo, non possiamo non ricordare la lezione socratica. Però attenzione, perché il passo che porta a fare di Socrate 'uno di noi', l'anarchico antifascista, e arrivare alla brandizzazione del marchio è breve. Bauman docet. <br /></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-75836613872184529572021-09-22T22:23:00.003+02:002021-09-26T20:31:50.630+02:00Machittevole@festivalfilosofia2021 #1: Adelante, Pedro, con juicio (o dell'uso sapiente della maschera).<p>
</p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;">Relatori decisamente in forma al Festivàl tricittadino. Certo,
alcune conclusioni ci perplimono, ma è il bello dello spirito
critico.</span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"> <br /></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.teatrostabileveneto.it/tsv/wp-content/uploads/2015/05/arlecchino-fg1-869x580.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="534" data-original-width="800" height="134" src="https://www.teatrostabileveneto.it/tsv/wp-content/uploads/2015/05/arlecchino-fg1-869x580.jpg" width="200" /></a></div> <p></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">A
Sassuolo la prof.ssa Barbara Carnevali opina a proposito del possibile ‘uso
intelligente’ della maschera in senso esistenziale (sì, Carnevali
parla di maschere, non è una battuta). Parto dal fondo, cioè dal
mio personale e spocchioso giudizio: la soluzione proposta dalla
relatrice è certamente interessante, ma cela in sé dei rischi che
secondo me non sono stati sottolineati adeguatamente.</span></p><span style="font-size: medium;">
</span><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">Va
però detto che, perlomeno, la dotta conferenza non è caduta nella
trappola in cui spesso i conferenzieri si auto-intrappolano, ovvero
spendere quattro quinti del tempo a delineare la storia del problema
e tutte le sue sfaccettature, salvo poi guardarsi accuratamente dal
chiudere con una propria proposta in materia. Carnevali propone. Non
mi ha convinto del tutto, ma propone.</span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiE_BUqXWIgVwpcuiWDTAaXO4-r0uvCoCwhhkOuev5zzy5mb5qWZVFA02utC3-27rkLm0q8xbETmpzfidfcYeAfj2FVVM8zB4Bea70VokHVbqui3shH7m3TinAjNsX6VCdCXI3Nn-MRul-d/s320/brighella_by_eyefeather.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="320" data-original-width="215" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiE_BUqXWIgVwpcuiWDTAaXO4-r0uvCoCwhhkOuev5zzy5mb5qWZVFA02utC3-27rkLm0q8xbETmpzfidfcYeAfj2FVVM8zB4Bea70VokHVbqui3shH7m3TinAjNsX6VCdCXI3Nn-MRul-d/s320/brighella_by_eyefeather.jpg" width="215" /></a></div><br /><p></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"> </p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">C’è la maschera ‘fisica’, indossata dagli attori di teatro
nell’antichità, soppiantata poi, in epoca moderna, dalla faccia
vera e propria degli attori, che quindi non affidano alla sola
gestualità il messaggio (visto che la maschera è, evidentemente, a
espressività fissa), ma integrano il messaggio stesso con la mimica
facciale. Qui, non prima, non dopo, si colloca secondo Carnevali la
svolta, in corrispondenza peraltro con l’affermarsi, nella civiltà
cinque-seicentesca, del culto dell’apparenza, della sprezzatura, in
una società in cui i rapporti interpersonali sono caratterizzati da
tutta una serie di ritualità & convenzioni che danno vita a
quello che tutti noi abbiamo imparato a chiamare il teatro del mondo.
Di fatto, qui si realizza la perfetta aderenza tra il latino <i>persona
</i>(= maschera) e l’idea moderna di persona: la persona “recita”
nella sua stessa vita. Finzione e realtà non hanno più la maschera
a separarle.</span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"> </p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://images.vanityfair.it/wp-content/uploads/2018/04/18160137/casa-di-cartaL.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="577" data-original-width="800" height="144" src="https://images.vanityfair.it/wp-content/uploads/2018/04/18160137/casa-di-cartaL.jpg" width="200" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br /></td></tr></tbody></table><p></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"></p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">E
oggi?
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;">Siamo un po’ tutti in scena, ogni giorno. Siamo attori sociali. In
uno scenario decisamente dualistico. La nostra società, mercé i
social network, gioca tantissimo sulla visibilità che rende gli
instagram -addicted (e simili) ‘soggetti’ in due sensi, ovvero
‘attori protagonisti’ dell’identità che decidono di costruire sul social,
ma anche ‘sottoposti’ alla vista di un pubblico dai cui giudizi
ci si può sentire drammaticamente condizionati. In questo caso si perde
del tutto, o quasi, il controllo della propria immagine (do you
remember il film Birdman?). “Esporsi”, del resto, significa
“porsi fuori” (ex- ponere) di sé, aprirsi, esibire il proprio
profilo, ma anche “offrirsi agli altri”, “mercificarsi” (gli
influencer, del resto...). La ‘visibilità’, insomma, va intesa
in due sensi (vous vous souvenez du Panopticon di Foucault?): farsi
vedere o essere catturati dallo sguardo altrui. Del resto la maschera
stessa si presta ad un’ambiguità assai interessante: si consideri
infatti che un conto è la maschera che riproduce un determinato
volto (e che viene esibita sui social) un altro è la maschera che,
anche nei migliori carnevali (con la minuscola) della Serenissima,
serviva all’esatto proposto, ovvero a celare la propria identità.
In altre parole, questa maschera non serve ad esibirsi, quanto
piuttosto a proteggersi (<span lang="es-ES">¿Recuerdas La casa de
papel?</span><span lang="es-ES">)</span>. Sta a noi scegliere quanto
esporre e quanto nascondere. </span></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.ytimg.com/vi/oS-i97CANkw/hqdefault.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="360" data-original-width="480" height="360" src="https://i.ytimg.com/vi/oS-i97CANkw/hqdefault.jpg" width="480" /></a></div><br /><p></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">La
maschera, Pirandello <i>docet</i>, è il portato necessario dell’esigenza
di essere ‘riconosciuti’ dalla società: siamo artificio di noi
stessi per stare al mondo, di fronte al pubblico anzitutto costituito dalla
nostra sensorialità corporea (noi ci autopercepiamo come maschere,
siamo attori e spettatori di noi stessi), poi a quello esterno.
Il che ovviamente comporta il rischio di di moltiplicarci in una
pluralità di persone diverse e il problema sarebbe “tenere il
filo” di tutte queste facce. Ci vorrebbe una sorta di “maschera
delle maschere” che gestisca il tutto. Una "maschera trascendentale", mi verrebbe da dire.</span><br /></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"> </p>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.ebayimg.com/thumbs/images/g/SLIAAOSw-MpeR~~g/s-l300.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="199" data-original-width="300" height="199" src="https://i.ebayimg.com/thumbs/images/g/SLIAAOSw-MpeR~~g/s-l300.jpg" width="300" /></a></div><br /></div><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</p>
<p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">E’
a questo punto che Carnevali svolta: in luogo di prodursi in un
anatema contro la società della maschere, la docente, dismettendo il
concetto cristiano-romantico di identità (ovvero la capacità di
distinguere sempre il volto vero e la maschera finta), propone alla
tedesca la <i>Maskenfreiheit</i>, ovvero la “libertà della
maschera” o la “libertà mascherata”. Si tratta di una sorta di
‘ritorno’ al teatro del mondo di cui sopra. Che male c’è,
opina Carnevali, a ‘giocare’ con le maschere? Esse, in luogo di
annullare la nostra identità, ci aiutano al contrario a non restare
‘intrappolati’ in un unico modo di essere, quello che noi
riteniamo corrispondere al nostro vero io, ma che può risultare
assai limitante. Perché non aprirsi a nuove esperienze ‘indossando’
maschere che ci fanno superare limiti che la nostra identità
standard non saprebbe affrontare? Scegliersi un modello e imitarlo,
uscire dal noto per vedere se nel meno noto si possono trovare magari
nuovi stimoli che vadano ad arricchire il nostro bagaglio
identitario, why not? Fuori dalle convenzioni imposte, liberi di
scegliere nuove possibilità (seguono esempi presi dal mondo delle
Drag queen e del Queer, con accenni alla questione della fluidità di
genere). Trasgressione a parte, che bello dev’essere gettare la
maschera del quotidiano e indossarne una nuova e più appagante?
(E<span lang="de-DE">rinnern Sie sich an Thomas Manns </span><span lang="de-DE"><i>Der
</i></span><span lang="de-DE"><i>Zauberberg</i></span><span lang="de-DE"><span style="font-style: normal;">,
</span></span><span lang="de-DE"><span style="font-style: normal;">quando
Hans Castorp ci prova con la tizia?).</span></span> Il Carnevale non
è del resto sospensione momentanea dell’identità? Insomma, mi permetto di interpretare il Carnevali-pensiero, senza che fischi nessun treno, fate come Belluca,
scardinate per un attimo il vostro io asfittico e diventate qualcun
altro. Per poco. Magari. Ma trovatevi un ruolo che vi appaghi. Che la
cosa serva a conoscere persone nuove o al contrario ad essere
finalmente lasciati in pace da chi è abituato alla versione standard
di noi, basta che funzioni. Carnevali dissente dai pensatori cattolici & romantici che raccomandavano di gettare le maschere per mettere a nudo il vero Io. Moltiplichiamo le identità
mascherate, casomai: QUESTA è libertà dai condizionamenti. Dice lei.</span><br /></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"> </p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://static0.cbrimages.com/wordpress/wp-content/uploads/2020/05/Tuxedo-Mask-10-Worst-Things-Sailor-Moon-Featured-Image.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="421" data-original-width="800" height="168" src="https://static0.cbrimages.com/wordpress/wp-content/uploads/2020/05/Tuxedo-Mask-10-Worst-Things-Sailor-Moon-Featured-Image.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">Ecco. <br /></span></p><span style="font-size: medium;">
</span><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">Carnevali
ha ammannito la sua proposta con un sorriso soave, certa e fiduciosa
di una soluzione che va un po’ a rompere la solita polemica sulla
società finta & plastificata che ci tiriamo dietro da almeno 40
anni. O meglio: non è detto che in questa società finta sia
impossibile, saltabeccando di maschera in maschera, trovare più
appagamento che alienazione. Certo, il fatto di appellarsi a quel
rutilante carnevale perenne che era la società cinque-seicentesca
può rendere, con amabile ossimoro, la sua proposta innovativamente
regressiva. Ma ciò che ci perplime di più è la fiducia
carnevaliana nella possibilità di giocare con le maschere senza
venirne sopraffatti. Nel caso della maschera come garante
dell’anonimato, credo che il fenomeno hikikomori abbia già
suorpassato a destra la questione posta dalla professoressa: oggi si può
scomparire al mondo semplicemente non uscendo di casa e affidando al
web i contatti selezionati con l’esterno. Quanto alla maschera come
‘avventura’ fuori dalla piattezza dell’io standard, la dotta
conferenziera mi è sembrata avere la certezza che, quale che sia la
maschera-modello che cercheremo di assumere, saremo sempre in grado
di percepire il limite tra l’imitazione e la perdita della nostra
identità. E qui mi permetto di dissentire. Come la spocchiologia più
avanzata ha indagato a partire dalla metà degli anni ‘90 del
secolo passato, il problema in una società così morbosamente
fissata nello stabilire modelli cui la massa deve adeguarsi è legato
alla capacità dei singoli di interagire con la radianza dei modelli
stessi. Io posso scegliere – seguo la tesi carnevaliana – un
attore famoso, un cantante, uno sportivo e fare di lui un paradigma
per la mia maschera. Affinché la radianza di costui non risulti
dannosa per la mia identità, è necessario che il paradigma rimanga
settato sulla modalità ‘generico’: io posso desiderare di essere
‘come lui’, adeguando cioè gli stimoli che da lui derivano alla
mia irripetibile unicità. Un lavoro di sintesi che mi porta ad
allontanarmi dalla mia comfort-zone identitaria per arricchirmi.
Peccato, e qui dissento da Carnevali, che per le più varie
circostanze (un momento emotivamente difficile, la scelta di un
paradigma troppo arduo da imitare o al contrario un fascino
paradigmatico fin eccessivo da costui esercitato) possa avvenire che
il paradigma generico diventi modello specifico: io non voglio essere
‘come lui’; io voglio essere LUI. Di qui un’alienazione
identitaria dalle conseguenze potenzialmente devastanti: basterebbe
citare i casi di anoressia legati alla volontà irrazionale di
adeguarsi ai modelli di bellezza incarnati (o in questo caso sarebbe
meglio dire scarnificati) dalle modelle filiformi.
</span></p><span style="font-size: medium;">
</span><p align="justify" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: medium;">Non
so quindi quanto la proposta di Carnevali sia applicabile senza
rischi: anzitutto, per decidere di ‘mascherarmi’, devo provare
una certa insoddisfazione per ciò che sono e un desiderio di
evoluzione. Fisiologico, si direbbe. Necessario, anzi. Certo: basta
che il desiderio venga più da dentro che da fuori. Più chiaramente:
è difficile che un desiderio paradigmatico sorga dal niente
all’interno di una qualsiasi coscienza, poiché è sempre
l’interazione col mondo esterno a definirci e provocarci al cambiamento. Sarebbe però
opportuno che questo stimolo esterno incontri una fase di
ridefinizione interna dell’identità che sente di aver raggiunto
determinati limiti e desidera ampliarsi. Io posso piacermi come sono,
ma sentire che posso essere anche qualcosa di più <i>ad integrazione
di quello che già sono</i><span style="font-style: normal;">. Me lo
sento io, me lo dice il mondo esterno e io accolgo il suggerimento.
Scelgo il paradigma che mi aiuta a fare il salto e va tutto bene. Altro caso è però quello in cui il bombardamento di stimoli esterni
arrivi a minare la certezza di ciò che sono stato sin qui, facendomi
sentire d’un colpo inadeguato, limitato, perdente. Come se tutto il
tempo passato fosse stato un gigantesco spreco, decido che </span><i>ciò
che sono e sono stato</i><span style="font-style: normal;"> è
un’identità insopportabile, asfittica, inutile. Di qui la
disintegrazione della barriera tra me e il paradigma e il mio
precipitare- annullarmi su di lui, divenuto nel frattempo modello
specifico. Su questo Carnevali ha </span><span style="font-style: normal;">tra</span><span style="font-style: normal;">svol</span><span style="font-style: normal;">a</span><span style="font-style: normal;">to
un po’ troppo. Cambiamo pure maschere, basta che la faccia (=
l’identità) sottostante non si disintegri. </span><span style="font-style: normal;">Sennò
ti saluto “uso emancipatorio e creativo offerto dalla finzione”.</span><span style="font-style: normal;">
</span><span style="font-style: normal;">Ricordate </span><i>Face off</i><span style="font-style: normal;">
con John Travolta e Nicholas Cage? Ecco.</span></span></p>
<p><style type="text/css">p { margin-bottom: 0.25cm; line-height: 115%; background: transparent }</style></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-75600869486818624682021-01-10T22:31:00.001+01:002021-01-11T20:00:26.393+01:00Democrazia 4.0. Sull'obbligo vaccinale ai tempi del Covid19.<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Problema: c’è una pandemia in
atto. Il virus è altamente contagioso e (meno altamente, ma la cosa non consola)
letale, le attività ordinarie della vita quotidiana vengono soggette a ripetute
interruzioni forzate. Al di là delle misure precauzionali standard (distanziamento
sociale, uso della mascherina, disinfezione delle mani), la comunità
scientifica afferma che l’unica vera soluzione alla catastrofe è la
vaccinazione di un'alta se non altissima percentuale della popolazione per raggiungere l’immunità di
gregge. Succede tuttavia che ampie frange dell’opinione pubblica non vogliano
sottoporsi alla vaccinazione: ciò si deve a tutta una serie di pregiudiziali che
vanno dal semplice atteggiamento antiscientifico (complottismi assortiti) a
questioni, potremmo dire, di obiezione di coscienza (lo Stato non può condizionare
la mia libertà di scelta in materia sanitaria), passando per atteggiamenti che
mischiano prudenza e paura (faccio vaccinare gli altri, poi vedo). Pregiudiziali,
si noti, che spesso si combinano.</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.curiosoerrante.it/wp-content/uploads/2018/05/George-Grosz.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="467" data-original-width="800" height="467" src="https://www.curiosoerrante.it/wp-content/uploads/2018/05/George-Grosz.jpg" width="460" /></a></div><br /><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">L’eccezione fondamentale che si muove all’ipotesi
(oggi, comunque, remota) della vaccinazione di massa obbligatoria è che una
democrazia non può calpestare la libertà di scelta dei suoi cittadini, perché
si trasformerebbe in dittatura. Ora, anzitutto per parlare di dittatura bisogna
perlomeno che le istituzioni democratiche siano sospese e sostituite da un
regime autoritario (si veda la storia della prima metà del secolo scorso): nel
caso presente, le istituzioni democratiche mondiali (quale che sia il giudizio
che si può avere su di esse prima e durante il presente disastro) sono ancora
al loro posto. Secondariamente, i provvedimenti “di salute pubblica” di una
dittatura prevedono semmai il sequestro e la deportazione di individui ritenuti
“nocivi” per la società (non credo sia necessario allegare esempi): nel caso
presente si deve semmai notare che le istituzioni democratiche si stanno
attivando per l’inoculazione di un vaccino contro un virus, non contro gruppi
umani “indesiderati”, in modo da ridurre al minimo la contagiosità del medesimo e
ritornare gradualmente alla vita ordinaria. In terzo luogo, rinunciare alla
vaccinazione di massa significa, semplicemente, rassegnarsi a veder dilagare il
virus senza certezze sul momento in cui la sua contagiosità diventerà
controllabile; di conseguenza, non sarà possibile sapere quando finirà il
tragico sgranarsi del rosario di lockdown leggeri e pesanti; conseguenza della conseguenza,
la già prostrata economia mondiale, i sistemi scolastici forzosamente blindati
nella didattica a distanza, nonché le condizioni psicologiche di gran parte della
popolazione mondiale collasseranno irrimediabilmente.</p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.curiosoerrante.it/wp-content/uploads/2018/05/George-Grosz-Scena-di-strada-1930.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="500" src="https://www.curiosoerrante.it/wp-content/uploads/2018/05/George-Grosz-Scena-di-strada-1930.jpg" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br /></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><br /></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"> Non si tratta di
ricattare i non vaccinisti con minacce di chissà quale apocalisse: l’apocalisse
è già qui, in embrione, e cresce di poco ogni giorno che ci distanzia dall’immunità
di gregge. Pongo pertanto la questione: se democrazia significa “governo del
popolo”, ciò vuol dire che il popolo delega i suoi rappresentanti a decidere su
materie sulle quali, a motivo della loro complessità, il popolo stesso non può
aver titolo a decidere: il Covid e relativa vaccinazione, per esempio. A questo
punto, tocca alle istituzioni democratiche passare da “governo-del-popolo” a “governo-per-il-popolo”:
una vaccinazione obbligatoria non lede le libertà individuali, ma è una misura
eccezionale (sia chiaro: ECCEZIONALE) perché noi tutti riacquistiamo la libertà
di vivere come vivevamo prima. La Costituzione italiana all’art. 32, con
ulteriore interpretazione della Corte costituzionale, non esclude questa
possibilità (<a href="https://www.ilsole24ore.com/art/lo-stato-puo-obbligarci-fare-vaccino-ADKUe36">https://www.ilsole24ore.com/art/lo-stato-puo-obbligarci-fare-vaccino-ADKUe36</a>).
Siamo a uno dei nodi tragici della vita associata: la mia libertà può
confliggere col bene della collettività? Certo, i non vaccinisti risponderanno
che qui sono in gioco interessi economici e tentativi di lavaggio del cervello
su scala mondiale che rendono inaccettabile la proposta. Prima però che
qualcuno parli di moderne Antigoni che antepongono la coscienza individuale
alle leggi dello Stato, sia chiaro che oggi affrontiamo una situazione senza
precedenti nella storia. E situazioni senza precedenti richiedono rimedi senza
precedenti. Non abbiamo certezze ASSOLUTE circa l'interruzione della catena del contagio e la durata dell'immunizzazione acquisita col vaccino. E tuttavia, queste incertezze svaniscono di fronte alle certezze di catastrofe che un virus non combattuto ha in serbo per noi. </p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-24963477194661533392020-05-01T23:43:00.003+02:002020-05-01T23:43:56.869+02:00S3#8: la forza della (cattiva) abitudine<br />
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif;"><span style="background: white; color: #333333;">Seneca, <i>De ira</i> 2, 19, 1 e 20, 1-2 </span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif;"><span style="background: white; color: #333333;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Times, Times New Roman, serif;"><span style="background: white; color: #333333;">Iracundos
fervida animi natura faciet; est enim actuosus et pertinax ignis:</span>… Sed quemadmodum natura quosdam proclives in iram facit, ita multae incidunt
causae quae idem possint quod natura: alios morbus aut iniuria corporum in hoc
perduxit, alios labor aut continua pervigilia noctesque sollicitae et desideria
amoresque; quidquid aliud aut corpori nocuit aut animo, aegram mentem in
querellas parat. 2. Sed omnia ista initia causaeque sunt: plurimum potest
consuetudo, quae si gravis est alit vitium. Naturam quidem mutare
difficile est, nec licet semel mixta nascentium elementa convertere.</span></div>
<br />
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<span style="background: white;"><o:p><span style="font-family: Times, Times New Roman, serif;"> </span></o:p></span><span style="background-color: white; font-family: Times, "Times New Roman", serif;"> </span></div>
<br />
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; color: #333333; font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-size: 16.0pt; mso-bidi-theme-font: minor-bidi;"><br /></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; color: #333333; font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-size: 16.0pt; mso-bidi-theme-font: minor-bidi;">Una ribollente natura d’animo rende
iracondi: si tratta infatti di un fuoco pieno di forze e costante… ma come la
natura rende alcuni inclini all’ira, così si verificano molte cause che hanno
lo stesso potere della natura: una malattia o un danno fisico hanno portato
alcuni all’ira, altri la fatica o la veglia continua e le notti inquiete e i
desideri amorosi; qualunque cosa ha nuociuto o al corpo o all’animo predispone
al lamento la mente malata: ma queste sono solo condizioni strutturali e cause
esterne: ha grandissimo potere l’abitudine che, se è gravemente consolidata,
nutre il vizio. Certo è difficile mutare la disposizione naturale e non è lecito
stravolgere gli elementi che sono stati mescolati una volta per tutte al
momento della nascita. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; color: #333333; font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-size: 16.0pt; mso-bidi-theme-font: minor-bidi;">La genesi del difetto morale, a lume
di Scuola Pneumatica <i>via </i>Seneca, è assai articolata: detto che per il
materialismo stoico anche le condizioni psichiche dipendono dalla predisposizione
fisica del corpo, la spiegazione senecana sembra all’inizio assai standard, poiché
l’ira altro non è che la conseguenza di una natura strutturalmente riscaldata. È
il seguito dell’analisi a mostrare aspetti assai interessanti: a fianco della
naturale predisposizione all’ira, intervengono infatti delle cause supplementari
che possono essere interne al corpo (dette anche cause antecedenti) come le malattie
o esterne (dette anche procatartiche), come le lunghe veglie, ma anche fattori
puramente mentali (le sofferenze d’amore). Essendo il corpo e l’anima
specificazioni diverse di una medesima sostanza, l’ira può essere provocata
indifferentemente da fattori fisici o psichici: dal che il seguace dello
stoicismo deve concludere anzitutto che non solo <i>si nasce </i>iracondi, ma
lo si può anche <i>diventare</i>; attenzione quindi a sentirsi troppo sicuri di
sé, credendo che i difetti morali siano sempre riservati agli altri: basta uno
sconvolgimento improvviso <i>di qualsiasi genere</i> e la nostra natura ‘buona’
si può incattivire; in secondo luogo, risulta chiaro che la cura di sé per
prevenire il cedimento all’irrazionalità deve tener conto di entrambe le
dimensioni dell’individuo. C’è però un tratto comune a queste cause dell’ira:
sono di fatto involontarie, dal momento che uno non si sceglie il temperamento
innato, né tantomeno decide di ammalarsi o di subire delusioni d’amore. Altro è
il caso della <i>consuetudo</i>, ovvero della reiterazione <i>volontaria </i>di
comportamenti errati che a lungo andare nutrono il vizio in maniera diversa
dalle cause supplementari. Seneca dice infatti che queste ultime hanno un
potere pari a quello della natura (<i>idem possint</i>), mentre la <i>consuetudo</i>
può tantissimo (<i>plurimum</i>), come a dire che essa riesce a sortire effetti
che vanno al di là della nostra natura. La questione si può spiegare così: le cause
antecedenti o procatartiche sono involontarie e occasionali, durano poco e
alterano <i>momentaneamente</i> la nostra natura, laddove la <i>consuetudo</i>
nutre (<i>alit</i>) il vizio, nel senso che muta lentamente ma inesorabilmente
la miscela degli elementi che ci costituiscono, cosicché una persona non iraconda
per natura lo diventa <i>permanentemente</i>. Ecco in cosa sta il <i>plurimum </i>della
<i>consuetudo</i>: ci fa diventare tutt’altro da quello che eravamo, ma il rischio
è che il mutamento sia irreversibile (il fondatore della Scuola Pneumatica,
seguendo idee già diffuse nel pensiero greco, definiva l’abitudine come una seconda
natura che, se si sovrappone a quella genuina, non è più rimovibile). Detto in
termini informatici, è come se noi ‘sovrascrivessimo’ un nostro nuovo io a
quello innato, cancellando quindi la personalità che ci ha sempre contraddistinti.
Seneca dice che una simile sovversione non è lecita, ma non esclude che essa
possa verificarsi: ancora una volta, tutto ricade nella responsabilità
individuale, perché abituarsi a qualcosa significa sempre scegliere. E non c’è
nessun altro da incolpare al di fuori di noi. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-11905059639907519122020-04-13T22:28:00.000+02:002020-04-13T22:28:01.640+02:00S3#6: il modulo e la radianza.<span style="background-color: white; color: #333333; text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Seneca, <i>Consolatio ad Marciam</i> 5, 3-4; 7, 1.</span></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: justify;"><br /></span></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: justify;"><br /></span></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: justify;">'Per cui sii disponibile, anzi accogli i discorsi nei quali su racconta di lui e spalanca le orecchie al nome e alla memoria di tuo figlio; e non ritenere ciò una cosa grave secondo il modo di pensare degli altri, che in un caso simile ritengono sia parte del male ascoltare parole di consolazione. Adesso ti sei gettata tutta sull'altra parte</span><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: justify;"> e, dimenticandoti di quelli migliori, guardi alla tua sorte dal lato in cui appare peggiore. Non ti rivolgi ai momenti di familiarità con tuo figlio, alle sue allegre corse verso di te, non alle carezze di dolce bambino, non alle tappe di crescita degli studi: continui a tenerti davanti quell'ultimo aspetto delle vicende; ammassi in essa qualsiasi cosa tu possa, come se di per sé fosse poco spaventosa' [...]. 'Ma infatti è naturale il rimpianto dei propri cari'. Chi può negarlo, finché è moderato? Infatti a causa dell'allontanamento, non solo della perdita delle persone più care è inevitabile un morso così come la contrazione anche degli animi più saldi. Ma è un di più ciò che l'opinione aggiunge rispetto a ciò che la natura ha ordinato.</span></span><br />
<span style="background-color: white; color: #333333; font-family: "book antiqua", "times new roman", times; text-align: justify;"><br /></span>
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: justify;">Seneca deve consolare Marcia, figlia dello storico Cremuzio Cordo, suicidatosi ai tempi dell'imperatore Tiberio per il contenuto della propria opera storica, ritenuta eccessivamente nostalgica dei tempi della repubblica, che gli era costata un processo di cui egli non vide la fine. La donna, che pure aveva retto con dignità la perdita del genitore, è invece da tre anni disperata e in lutto perenne per la morte del figlio. Seneca decide allora di fare sue (il che vuol dire far dire a qualcun altro quello che pensa lui) le parole che il filosofo Ario Didimo avrebbe detto a Livia, seconda moglie di Augusto, per consolarla della morte del figlio Druso (padre del futuro imperatore Claudio). Nell'opera consolatoria, p</span><span style="background-color: white; color: #333333; text-align: justify;">rendendo atto dell'inevitabilità assolutamente naturale delle prime fasi del dolore della perdita, il filosofo esorta Marcia a non insistere nel lutto come se fosse una colpa non provarlo . Nell'ottica stoica di Seneca, come sarebbe inaccettabilmente disumano non provare il minimo dispiacere per la morte di un figlio, è però altrettanto innaturale permettere al lutto di occupare stabilmente la propria anima, perché significherebbe ribellarsi ai decreti del Fato. Il realismo filosofico di Seneca insiste ancora sulla distinzione tra 'morsi' e 'contrazioni' dell'energia psichica che sono del tutto naturali nel momento in cui l'evento esterno 'si imprime' su di essa. L'aggravio è però costituito dall'opinione, ovvero dalla convinzione che sia conveniente, anzi doveroso vivere nell'afflizione perpetua. La quantità di bene che i defunti ci hanno lasciato, anche quelli che giudichiamo scomparsi troppo presto, non arriva a compensare, ma certo rende più sopportabile la loro assenza. Il che è assai stoico. Senecanamente stoico, perlomeno. C'è però un aspetto del'anormale lutto di Marzia che in realtà potrebbe estendersi ad altri disturbi psichici che hanno in comune con il lutto una sorta di senso di monoscopia. In altre parole, l'intensità del dolore legato ad una certa circostanza è tale da annullare nella memoria tutto quanto avveniva prima, mentre il dopo è solo una triste appendice di memorie compulsive, ciò per cui 'quel' giorno si ripete all'infinito. L'evento doloroso ha svuotato di senso tutta la vita ad esso successiva e non esiste più prospettiva esistenziale: ogni pensiero è semplicemente 'appiattito' sull'evento (le prole di Ario- Seneca insistono in effetti sull'innaturale 'incumbere' e 'premere' di Livia solo sulla parte della propria memoria in cui è presente il 'frame' della perdita di Druso, come se tutti i momenti belli con lui fossero semplicemente obliterati). La complessità del fenomeno sta appunto nella sua anomala 'radianza' nella memoria: in una stoica successione di momenti felici-evento doloroso- assorbimento del dolore-recupero della serenità- ritorno ai 'normali' ritmi di vita, il disturbo di radianza riesce a 'ritagliare' gli eventi, isolandone solo la parte dolorosa, che viene quindi in un certo mondo decontestualizzata rispetto alla reale serie delle cose come sono avvenute. In questo modo si matura la convinzione che tutto, in quel particolare frangente, sia stato sofferenza (quando non è andata davvero così); che il dolore non era eccezione, era la regola; ci si impone di dimenticarsi che esisteva una felicità prima e ci si vieta che ne esista una dopo. Non meno insidioso è il caso in cui il dolore è stato in effetti elaborato, ma la sua radianza non è mai cessata del tutto, cosicché anche ad anni di distanza, in particolari momenti di debolezza, può addirittura riacutizzarsi la sofferenza, come se i conti con la perdita non si fossero chiusi mai del tutto. In quel caso i frame degli eventi custoditi nella memoria si infiammano come una sorta di piaga suppurata e finiscono per rappresentare una sorta di 'valore assoluto' del dolore, come fossero un modulo matematico: non importa in che reale ordine siano andate le cose, se il dolore che ora si sente assoluto sia stato in realtà medicato, o forse non era nemmeno così forte allora. Il problema è che la persona sofferente di adesso ricorda il sé stesso sofferente di allora, caricandogli però addosso anche i problemi e le frustrazioni accumulatesi dopo quel dolore, all'epoca risolto. La ferita dunque si riapre e si arricchisce, come se le sofferenze successive trovassero in quella passata la loro necessaria premessa. Non esistono più gli eventi, ma la loro ri-narrazione nel labirinto di specchi della coscienza. E' per questo che non basta superare il dolore del presente considerandolo già passato: bisogna essere perfettamente padroni delle onde della propria memoria, perché il rischio di selezionare il passato e rimetterlo in ordine secondo logiche esterne al reale svolgimento degli eventi significa rischiare di finire prigionieri di una sceneggiatura di sofferenza doppiamente beffarda, essendone noi gli autori e le vittime. La felicità dipende dalla radianza.</span></span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-17138528817492589962020-03-31T13:19:00.000+02:002020-03-31T13:19:09.809+02:00Spocchia's Seneca School #1: la debolezza è forza.<div class="" data-block="true" data-editor="8d5a8" data-offset-key="4ta27-0-0" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; white-space: pre-wrap;">
<div class="_1mf _1mj" data-offset-key="4ta27-0-0" style="direction: ltr; font-family: inherit; position: relative;">
<span data-offset-key="4ta27-0-0" style="font-family: inherit;">S3#1</span></div>
</div>
<div class="" data-block="true" data-editor="8d5a8" data-offset-key="ddr3n-0-0" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; white-space: pre-wrap;">
<div class="_1mf _1mj" data-offset-key="ddr3n-0-0" style="direction: ltr; font-family: inherit; position: relative;">
<span data-offset-key="ddr3n-0-0" style="font-family: inherit;"><br data-text="true" /></span></div>
</div>
<div class="" data-block="true" data-editor="8d5a8" data-offset-key="b6emk-0-0" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; white-space: pre-wrap;">
<div class="_1mf _1mj" data-offset-key="b6emk-0-0" style="direction: ltr; font-family: inherit; position: relative;">
<span data-offset-key="b6emk-0-0" style="font-family: inherit;">Seneca, Epistulae ad Lucilium 57, 4</span></div>
</div>
<div class="" data-block="true" data-editor="8d5a8" data-offset-key="15gs0-0-0" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; white-space: pre-wrap;">
<div class="_1mf _1mj" data-offset-key="15gs0-0-0" style="direction: ltr; font-family: inherit; position: relative;">
<span data-offset-key="15gs0-0-0" style="font-family: inherit;"><br data-text="true" /></span></div>
</div>
<div class="" data-block="true" data-editor="8d5a8" data-offset-key="1r3st-0-0" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; white-space: pre-wrap;">
<div class="_1mf _1mj" data-offset-key="1r3st-0-0" style="direction: ltr; font-family: inherit; position: relative;">
<span data-offset-key="1r3st-0-0" style="font-family: inherit;">Quaedam enim, mi Lucili, nulla effugere virtus potest; admonet illam natura mortalitatis suae. Itaque et vultum adducet ad tristia et inhorrescet ad subita et caligabit, si vastam altitudinem in crepidine eius constitutus despexerit: non est hoc timor, sed naturalis affectio inexpugnabilis rationi. </span></div>
</div>
<div class="" data-block="true" data-editor="8d5a8" data-offset-key="7u6pc-0-0" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; white-space: pre-wrap;">
<div class="_1mf _1mj" data-offset-key="7u6pc-0-0" style="direction: ltr; font-family: inherit; position: relative;">
<span data-offset-key="7u6pc-0-0" style="font-family: inherit;"><br data-text="true" /></span></div>
</div>
<div class="" data-block="true" data-editor="8d5a8" data-offset-key="8ahbp-0-0" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; white-space: pre-wrap;">
<div class="_1mf _1mj" data-offset-key="8ahbp-0-0" style="direction: ltr; font-family: inherit; position: relative;">
<span data-offset-key="8ahbp-0-0" style="font-family: inherit;">("Alcune emozioni, Lucilio mio , nessuna virtù può sfuggirle; la natura le ricorda la propria mortalità. E così (anche il saggio) corrugherà il volto di fronte a spettacoli tristi e gli si rizzeranno i capelli di fronte a stimoli improvvisi e si confonderà se scruterà dall'alto un abisso profondo piazzatosi sul suo bordo: questo non è timore, ma un istinto naturale che la ragione non può espugnare").</span></div>
</div>
<div class="" data-block="true" data-editor="8d5a8" data-offset-key="bbak0-0-0" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; white-space: pre-wrap;">
<div class="_1mf _1mj" data-offset-key="bbak0-0-0" style="direction: ltr; font-family: inherit; position: relative;">
<span data-offset-key="bbak0-0-0" style="font-family: inherit;"><br data-text="true" /></span></div>
</div>
<div class="" data-block="true" data-editor="8d5a8" data-offset-key="3g2h2-0-0" style="background-color: white; color: #1c1e21; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; white-space: pre-wrap;">
<div class="_1mf _1mj" data-offset-key="3g2h2-0-0" style="direction: ltr; font-family: inherit; position: relative;">
<span data-offset-key="3g2h2-0-0" style="font-family: inherit;">Se qualcuno si vergogna di essere in ansia in questi catastrofici giorni, tenga presente che il Lucilio a cui Seneca si rivolge non è un ragazzino sprovveduto alle prime armi, ma un cavaliere romano forse poco più che cinquantenne. Un uomo, quindi, che nonostante l’ampia esperienza di vita era ancora vittima delle proprie inquietudini esistenziali. Ora come allora, non esiste età per essere o non essere inquieti: le circostanze della vita possono metterci alla prova in ogni momento. Addirittura, le emozioni improvvise ed incontrollabili da cui alle volte siamo colti non sono segno di debolezza, ma anzi, sembra dire Seneca, quasi un dispositivo di auto-tutela insito nella natura umana che serve a ricordare anche all’uomo più virtuoso di essere comunque una creatura mortale. Abbiamo qui il risultato di tutta una riflessione circa i meccanismi psichici che i filosofi stoici portavano avanti da non meno di tre secoli: ammesso pure che la sostanza del nostro essere e della nostra psiche sia pura razionalità, anche la razionalissima filosofia stoica ha dovuto prendere atto che ci sono delle circostanze in cui il nostro animo reagisce per via puramente emozionale, senza alcun vaglio o “permesso” della ragione all’emozione in questione. Ciò avviene di fronte a situazioni improvvise o a tal punto fuori dell’usuale (una scena di dolore estremo, un episodio in cui qualcuno si comporta in modo estremamente aggressivo, ecc.) che è impossibile non provare almeno un minimo di negatività, anche solo credendo di sentire su di noi il male che colpisce un altro (mi spingerei a dire che l’espressione vultum adducet ad tristia è puro rosolio per gli scopritori dei neuroni specchio). Si tratta di reazioni ir-razionali nel senso che la ragione non ha ancora dato loro un nome, ma ne avverte il verificarsi come un piccolo morso o un’irritazione che colpisce lo spirito, esattamente come se si trattasse di punture o scottature che ci fanno istintivamente ritrarre il dito o la mano. Nemmeno il saggio, dice Seneca, ne è immune, perché queste reazioni sono, mi si consenta l’ardita espressione, spiritualmente fisiologiche, avvengono perché la struttura della nostra psiche è predisposta a questo accoglimento passivo dello stimolo esterno. Dal momento infatti che lo stimolo deriva da circostanze concrete (una scena triste, un’aggressione fisica, l’improvviso trovarsi di fronte al vuoto) e non spirituali (come potrebbe essere l’ascolto di una riflessione filosofica o della spiegazione di un teorema), esso non può interessare immediatamente la nostra razionalità, la quale quindi dev’essere per così dire “avvisata” dell’accadimento. Ecco quindi che entrano in gioco queste reazioni istintive che si verificano automaticamente e obbligano la razionalità a “chiamare” la sensazione con un nome (spavento, offesa, tristezza) e decidere se darvi credito oppure no. Qualsiasi evento esterno, insomma, non avviene davvero se prima non è razionalizzato, se cioè il nostro pensiero non lo definisce con qualche vocabolo. È allora che le cose fuori da noi entrano completamente in noi. Ed è quel punto che siamo in grado di combatterle, se negative. Pertanto, non ha senso vergognarsi se non sappiamo controllare lo spavento e se eventi troppo più grandi di noi paiono sovrastarci e avvilirci: è grazie a questi stimoli istintivi che si possono attivare le nostre difese psichiche. E, con buona pace degli invincibili, grazie a ciò veniamo riportati alla salutare coscienza della nostra finitezza.</span></div>
</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-62512880094695554332020-03-30T21:25:00.000+02:002020-03-30T21:25:33.250+02:00Le lezioni perpetue.<div style="background-color: white; color: #1d2129; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; margin-bottom: 6px;">
Da qualche giorno, in corrispondenza con l’aggravarsi del picco dei contagi e del numero dei decessi per/con/da Coronavirus, compaiono sui social e un po’ ovunque sul web riflessioni sul fatto che questa epidemia, indipendentemente dalla sua durata, costituisce uno spartiacque tra un certo modo di vedere la vita che avevamo prima e un altro, caratterizzato in sostanza dalla coscienza più solida della nostra fragilità, del bisogno di ricalibrare il nostro rapporto con la natura ecc. ecc.<br />Tutto ineccepibile. Si attendono evidentemente repliche da parte di coloro che prima dello scoppio della catastrofe si sentivano invincibili padroni del mondo e adesso probabilmente accuseranno di qualunquismo esistenzialista “da perdenti” gli estensori delle riflessioni di cui sopra. Potranno allora contro-intervenire gli umanisti da trincea (a cui ci iscriviamo con convinzione) i quali a loro volta, finiti i richiami alla peste manzoniana, ribatteranno che quanto accade oggi non fa altro che riportare a galla riflessioni sulla problematicità della nostra condizione che possiamo far partire da quando esiste la letteratura (le stirpi umane paragonate a foglie sugli alberi, l’uomo definito “sogno di un’ombra” oppure creatura “terribile” o “mirabile”, ma sempre stupefacente è – e rimaniamo in Grecia antica – per arrivare via via a Leopardi, Montale ecc. ecc.).<br />Ecco. Immaginiamo che un ex- invincibile, esasperato dalla situazione in corso e dalle citazioni dotte, esploda definitivamente e accusi noi di essere Anime Belle Delle Materie Umanistiche (d’ora in avanti ABDMU). Succederà. Quindi facciamo come una volta, anticipiamo la tesi avversaria e confutiamola.<br />Diranno che siamo i soliti intellettuali da salotto che pontificano al sicuro sui loro divanetti senza mettere il naso fuori di casa; che non conosciamo la sofferenza vera, ma solo quella su carta; addirittura (perché in situazioni fuori da ogni schema come queste bisogna immaginarle tutte) diranno che non aspettavamo l’ora di goderci lo spettacolo dell’avverarsi di tutte le nostre nefaste profezie, noi, che la società industriale e la cultura di massa hanno messo all’angolo, liberi di provare quell’acre soddisfazione di gridare in faccia al mondo che avevamo ragione, cioè che l’uomo è nulla di fronte al Tutto; il che, oltre a farci passare per miserabili rancorosi, darebbe corpo ad un equivoco culturale enorme: le idee, le riflessioni, gli spunti critici sullo stato dell’umanità elaborati dalle ABDMU funzionerebbero solo in caso di calamità pandemica. Detto in altro modo: aspettate che la Modernità e il Progresso mettano il guinzaglio anche alle epidemie virali e tornerete a cuccia come prima.<br />È qui che bisogna intervenire, non solo per correggere l’errore, ma anche per evitare che si riproponga un domani.<br />Le ansie, le paure, il senso di fragilità che si stanno diffondendo capillarmente nell’opinione pubblica, tutti fenomeni ai quali il pensiero umanistico casomai fornisce sollievo invece che essere sale sulla ferita come i nostri detrattori credono, non sono stati “inventati” dal Coronavirus. Sono condizioni permanenti connaturate col nostro essere più profondo. Semplicemente, in situazioni di vita ordinarie si tende a rimuoverle dal livello più immediato della coscienza e a relegarle là dove non possono nuocere, in modo da poter vivere nel quotidiano con relativa serenità e dedicarci al qui ed ora.<br />Siamo sinceri: non serviva il Coronavirus per ricordarsi che il nostro passaggio su questa terra è un lampo nel buio; che i corpi da sogno esaltati da certa propaganda salutista sono una cosa, mentre l’ammasso delle cellule che ci costituiscono, soggette a mutazioni incontrollabili e spesso indifese contro affarini privi di DNA, è un’altra; che non esiste un Destino, o come lo si voglia chiamare, programmabile dalla A alla Z come un’agenda di lavoro.<br />Cose che sapevamo già. Cose su cui le ABDMU hanno sempre riflettuto. Oggi queste cose sono semplicemente “riemerse” dalla zona analgesica in erano state collocate, complice anche certa cultura presentista ed edonista che domina dalle nostre parti da un po’.<br />Pertanto, quello di cui noi ABDMU parliamo oggi è identico a quel che dicevamo ieri, solo che oggi c’è un virus palese – e odioso, lui sì- che fa sembrare non solo nuove, ma valide solo per questo periodo le nostre riflessioni. Sia quindi chiaro questo: non è il Coronavirus che OGGI ci fa scoprire la nostra fragilità, ecc. ecc., come se non fossimo fragili ieri e non lo saremo domani finito tutto. Semmai oggi quel senso di precarietà e incertezza di fronte al mistero dell’esistenza che è con noi SEMPRE, ha ri-guadagnato un rilievo che lo fa sembrare nuovo, quando nuovo non è.<br />A questo punto, però, non si commetta l’errore di ritenere errato o addirittura patologico provare queste ansie che in tempi ordinari vengono rimosse: la vera patologia è proprio l’atto della loro rimozione, dal quale nascono tutte le forme di egoistica arroganza, di sopraffazione concorrenziale, di incomprensione dei sentimenti dell’altro che caratterizzano anche giornate “sane”. Sono tutte forme di compensazione del vuoto ansioso che non si vuol vedere. Condizioni dell’esistenza che le ABDMU indagano e su cui invitano a riflettere proprio come terapia quotidiana, senza bisogno di aspettare una pandemia: curarsi un po’ ogni giorno (dove per cura può intendersi anche solo la presa di coscienza della totalità problematica della nostra condizione) potrebbe così sortire il duplice effetto di addolcire le inquietudini in situazioni ordinarie e non venirne travolti in situazioni straordinarie</div>
<div style="background-color: white; color: #1d2129; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 14px; margin-top: 6px;">
E’ per questo che nel nostro piccolo, a scadenza rigorosamente irregolare, pubblicheremo e commenteremo brevi citazioni di uno che di malattie quotidiane dell’anima se ne intendeva assai (sì, tutto ‘sto giro per arrivare a Seneca…). Prima che ci accusiate di spocchia, vi preveniamo ancora: intitoleremo questo “ciclo” di post S3 (Spocchia’s Seneca School). Ciascuno offre le cure che può: visto che l’unica medicina di cui sappiamo qualcosa è quella Pneumatica, la useremo a modo nostro. Ossequi.</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-31668853578484228532020-02-07T00:11:00.000+01:002020-02-07T20:42:49.242+01:00Sanremo 70 (#2): il baratro quantisticoDunque, premesso che<br />
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<ul>
<li>giocare ai piccoli statistici facendosi belli del 53% di share "inferiore solo a quello dell'edizione 1995" non conta per Sanremo: si tratta di una liturgia laica e lì valgono solo i valori assoluti, e i valori assoluti sono 9 milioni ieri sera e 18 milioni nella stessa sera di 25 anni fa. Stop;</li>
<li>il look dei Ricchi e Poveri <a href="blob:https://www.youtube.com/9a8a6536-09a6-42b8-b397-86c0cfb9126e" target="_blank">era un pugno nella retina</a>; mai visti colori abbinati peggio;</li>
<li>Angela Brambati aveva gli occhi spaventosamente iniettati di sangue;</li>
<li>le labbra di Marina Occhiena si muovono indipendentemente dalla volontà della padrona;</li>
<li>non c'era bisogno di questa reunion in playback</li>
<li><a href="blob:https://www.youtube.com/911246f1-12e4-4595-af46-a9404b65faae" target="_blank">Massimo Ranieri e Iron-T</a> mi facevano tanto festa nonno-nipote,</li>
</ul>
<div style="text-align: justify;">
singolare il fatto che lo stesso conduttore in grado di far venire giù mezza Italia di polemiche per fotomodelle che fanno passi indietro sia lo stesso che fa fare passi avanti in TV ad una che non ha altro merito tranne quello di essere, diciamo, assieme a CR7. Perché sotto sotto il messaggio sembra sempre quello: brave, intelligenti, preparate, quello che volete, ma se siete sul palco è merito di qualcosa d'altro. <a href="https://youtu.be/49GWcoJ4Hrw" target="_blank">Infatti le magnifiche 7</a> manco le hanno fatte cantare, rimandando tutto all'Evento di settembre. Ma non lì.<br />
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<a href="https://blog.screenweek.it/wp-content/uploads/2019/05/Jem-holograms-3.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="518" data-original-width="800" height="207" src="https://blog.screenweek.it/wp-content/uploads/2019/05/Jem-holograms-3.png" width="320" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
La voluttà distruttrice che sembra alla base dello screenplay di questa edizione si dispiega in una serie di cover AGGHIACCIANTI, tutte riletture ritmico-melodiche in grado di ammazzare il fascino dell'originale, segno evidente che, proprio nel 70esimo della ricca manifestazione, l'intento è quello di fare piazza pulita del passato. Dimenticate le passate glorie, ci stanno dicendo: prendiamo gente giovane che canta da vecchia canzoni che hanno fatto la storia del Festivàl e del costume e facciamo in modo che sembrino tutt'altro. Svuotiamole di tutto, facciamole sembrare buttate lì per caso, sganciate dalle atmosfere storico-esistenziali in cui furono concepite. Abbiniamo cantanti improbabili con testi e musiche del tutto inadatte a ciascuno e vediamo come viene.</div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://i.pinimg.com/originals/fa/e5/8e/fae58e13058f7a15234215183defea78.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="393" data-original-width="400" height="314" src="https://i.pinimg.com/originals/fa/e5/8e/fae58e13058f7a15234215183defea78.jpg" width="320" /></a></div>
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<br />
Ebbene sì: un Festivàl volutamente random. Per dirci che non abbiamo più un orizzonte. Forse è il segno della nostra entrata definitiva nella Terza Repubblica. I Sanremi primorepubblicani (1951-1993) riproducevano ciò che il Paese voleva vedere; quelli secondorepubblicani (1994-2017) hanno cominciato a vedersi erodere il ruolo di santuario della musica dalla concorrenza prima di MTV, poi di internet poi dei talent show e tuttavia hanno provato a replicare. Con un prezzo: quando le edizioni facevano il boom, era più merito dei conduttori che delle canzoni (cfr. le edizioni 1995, 1999, 2000, 2005, 2013, 2016); adesso vediamo uno show che esibisce in ogni momento la consapevolezza della propria inutilità. Sembra davvero di vedere la vecchia signora <a href="https://maurizio-marchesi.blogspot.com/2015/05/pirandello-e-lumorismo.html" target="_blank">descritta da Pirandello</a> ne <i>L'umorismo</i>: truccata come un pagliaccio, forse desiderosa di mentire a se stessa sull'età per tenersi stretto il giovane amante, suscita prima un avvertimento, poi un sentimento del contrario e, più che ridere, mette tristezza. Ecco: Sanremo è uno show inzeppato di ggiovani, ma va in onda in un Paese che sta invecchiando paurosamente. Non si capisce a cosa serva, insomma.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://www.raiplay.it/resizegd/434x-/dl/img/2017/05/30/1496157122958_alex_2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="244" data-original-width="434" height="179" src="https://www.raiplay.it/resizegd/434x-/dl/img/2017/05/30/1496157122958_alex_2.jpg" width="320" /></a></div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tutto annacquato, come il <i>Cantico dei Cantici</i> in bocca a Benigni, trasformato in una specie di <i>Imagine</i> di John Lennon di 2400 anni fa (d'altronde per Benigni Paolo e Francesca s<a href="https://youtu.be/FfvQS0B5lYo" target="_blank">ono come Romeo e Giulietta</a>). Arriva lui con la versione hard del testo biblico. Come no. Praticamente come trasmettere la sigla di Baywatch in un ospizio.</div>
<div style="text-align: justify;">
Del resto l'abbiamo visto anche con l'ultima, <a href="https://metropolitanmagazine.it/star-wars-skywalker/" target="_blank">tragica trilogia di Star Wars</a>: tre episodi che non hanno fatto che ricicciare tutto quello che si era già visto, con il risultato che i "vecchi" fan hanno avuto un travaso di bile ogni cinque inquadrature perché si vedevano macchiati i ricordi di gioventù, mentre i "nuovi" hanno assistito ad una specie di videogiochino sciapo senza particolari meriti in rapporto al bombastico <i>battage</i> che ha preceduto ogni <i>release</i>.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://i2.wp.com/auralcrave.com/wp-content/uploads/2018/10/Milli-Vanilli-1988-billboard-1548.jpeg?resize=810%2C515&ssl=1" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="509" data-original-width="800" height="203" src="https://i2.wp.com/auralcrave.com/wp-content/uploads/2018/10/Milli-Vanilli-1988-billboard-1548.jpeg?resize=810%2C515&ssl=1" width="320" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
E' un po' quello che succede <a href="http://scienzapertutti.infn.it/4-linterazione-forte" target="_blank">dentro ai protoni</a>: un quark può tentare di allontanarsi dagli altri, ma appena ci prova entra in scena l'interazione forte che, come un guinzaglio, lo riporta alla base. L'odierno Sanremo, come tanti prodotti pop emanati dal sistema post-moderno, prova a spingere, ma è vincolato a tornare dove tutto iniziò. L'interazione forte del pop è la ricerca del riassicurante ripetersi dell'identico. Il problema è che, al momento, non si capisce più a chi sia destinata questa ripetizione. Il quark non ha bisogno di chiedersi cosa e perché lo agguinzagli ai suoi colleghi. Noi, simpatici esseri costituiti da 5.9 x 10^28GeV, vogliamo invece che il pop si sguinzagli. A meno che non sia arrivato al suo limite naturale e sia costretto a replicarsi senza sbocco. Come a Sanremo70.</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-76626995042819724922020-02-05T23:26:00.000+01:002020-02-05T23:26:20.053+01:00Sanremo 70. Versione biblica.Premesso che:<br />
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<ul>
<li>non ho visto la prima serata perché impegnato in gradevole cenetta;</li>
<li style="text-align: justify;"><a href="https://www.youtube.com/watch?v=oGEZQlRr6iI" target="_blank">la conferenza di presentazione</a>, al netto di quel ridicolo "passo indietro" evocato dal dott. Sebastiani, era già da latte alle ginocchia in quell'inutile profluvio di "bella, bella, bellissima", detto di ognuna delle co-conduttrici (dico io, sai bene cosa ti chiederanno i giornalisti, inventati due righe per ciascuna no?);</li>
<li style="text-align: justify;">quando il predetto Sebastiani alloquisce con ugola tonante, mi ricorda troppo il compianto <a href="https://www.youtube.com/watch?v=UIIozp3uaqk" target="_blank">Vittorio Salvetti</a>; </li>
<li style="text-align: justify;">l'assolo della Jebreal ha fatto il suo;</li>
<li>Riki Markuzzoh ha steccato;</li>
<li style="text-align: justify;">Tiziano Ferro ha buttato cuore e vari organi interni nell'eseguire la canzone di Mia Martini, e si vede (e si sente) quanta sofferenza sua personale c'era nel poter gridare quell'<i>almeno tu </i>di fronte all'Ariston tutto, ma <i>Almeno tu nell'universo </i>è e sarà solo di Mimì, con buona pace di Elisa & tutti quelli che l'hanno coverizzata;</li>
</ul>
<div style="text-align: justify;">
ebbene, detto ciò, il profilo sanremico del septuagesimo pare già delinearsi come un curioso finto-salto-in-avanti che in realtà occhieggia al glorioso passato RAI, pur nell'abile rimescolamento dei contenuti.</div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://i2.wp.com/images.liveuniversity.it/sites/2/2019/01/incantevole-creamy-anime.jpg?resize=990%2C556&ssl=1" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="449" data-original-width="800" height="179" src="https://i2.wp.com/images.liveuniversity.it/sites/2/2019/01/incantevole-creamy-anime.jpg?resize=990%2C556&ssl=1" width="320" /></a></div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Detto più casarecciamente, non sfugge a nessuno che, fin qui, Amadeus sta funzionando più o meno come un vigile che smista il traffico, ma il palco è tutto dei co-conduttori (Fiorello, il già citato Iron-T, la Rula ecc. ecc. ecc.)(anche di quelli non ingaggiabili: "Se Fabrizio Frizzi fosse ancora qui, il Festival di Sanremo quest'anno l'avrebbe condotto lui"... ah lo sai...)(a prescindere dal look friccicarello di Achille Lauro ecc. ecc.. ecc.): obiettivamente, questo Sanremo Ventiventi è una poli-conduzione che alterna più protagonisti a guidare la carovana, mescolando musica, momenti super-comici, momenti super- patetici, insomma di fatto mai come quest'anno il Festivàl è uno spettacolo di varietà con le sfumature più cangianti (basti pensare che la categoria Big stasera non è ancora entrata in gara, e siamo, al momento in cui dottamente scrivo, alle ore 21.43). Non esiste una sola "trama" della serata (le canzoni, le giurie, i look delle cantanti), ma tanti fili che si succedono nella totale diluizione del conduttore che, <a href="https://www.youtube.com/watch?v=PKHHK4SFXwU" target="_blank">dalle vette baudesche</a> in cui lo spettacolo era cucito addosso al suo auriga, ora si limita a "subire" la presenza dei co-conduttori che si è scelto lui stesso. </div>
<div style="text-align: justify;">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://www.animeclick.it/images/serie/MahounoTenshiCreamyMami/MahounoTenshiCreamyMami24.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="297" data-original-width="400" height="237" src="https://www.animeclick.it/images/serie/MahounoTenshiCreamyMami/MahounoTenshiCreamyMami24.jpg" width="320" /></a></div>
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<br /></div>
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Rimane il fatto che in Riviera stiamo assistendo a qualcosa di vecchio e nuovo allo stesso tempo: il varietà "tutto di tutto" non può non ricordare <a href="https://www.youtube.com/watch?v=RjEuNRzqSLk" target="_blank">i vecchi <i>Fantastico</i> degli '80</a> (vedere <a href="http://steve%20la%20chance%20fantastico/" target="_blank">qui</a>, e poi <a href="https://www.youtube.com/watch?v=YzC2q3nB_Yo" target="_blank">qui</a>, ma pure <a href="https://www.youtube.com/watch?v=pdTQP8Ktwgk" target="_blank">qui</a>)(non con conduttori così diluiti però)(e Fiorello, tra il droghismo e il plastichismo, rischia di essere the new Grillo <a href="https://www.youtube.com/watch?v=qsiqLCGSBaI" target="_blank">di quella volta là</a>); la novità è che la musica è pressoché assente, o meglio c'è ma passa via. Non solo perché i big entrano in scena all'ora in cui la brava gente molla tutto e apre Netflix, ma anche perché sotto sotto tutti sanno che il Festivàl è ormai da una buona decina d'anni niente più che una Champions League dei vincitori dei talent show, con qualche imbucato (o qualche mummia)(o qualche Junior Cally giusto perché se ne parli) così per fingere che tutto sia come una volta (<i><a href="https://www.youtube.com/watch?v=V1VVzhNMMy4" target="_blank">questa</a> </i>una<i> </i>volta)(pardon, intendevo <i><a href="https://www.youtube.com/watch?v=86YZ_TJYMCk" target="_blank">questa</a></i>). Sanremo è cioè ormai un evento secondario, che esiste perché esistono altri programmi che gli forniscono materiale: una volta passare da Sanremo era una tappa obbligata per chi voleva fare il pieno di vendite grazie alla vetrina nazionalpopolare da 15-20 milioni di spettatori. Oggi si può al limite passare <i>anche </i>da Sanremo, ma senza quell'idea di liturgia laica di un tempo: gli spettatori medi per serata sono "solo" 10 milioni (ricordate<a href="https://www.youtube.com/watch?v=OEgBxhxM8cI" target="_blank"> questi qui</a>? Con loro l'ascolto medio di quel mercoledì di febbraio del 1995 raggiunse i 18), una parte dei quali seguono lo spettacolo solo per commentare sui social, un'altra orecchieggia distrattamente i pezzi per decidere cosa risentire nel caso su Youtube, un'altra ancora mette su Rai1 giusto per avere un sottofondo mentre naviga su Instagram; e così avanti. Morale, gli intenzionati ad acquistare il CD di uno di questi quanti sono? Cioè, <i>per chi</i> veramente si allestisce il carrozzone sanremico? Per quei quattro <i>aficionados </i>stretti nelle ormai striminzite transenne davanti all'Ariston? </div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://www.anime-planet.com/images/characters/hayato-kidokoro-100721.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="300" height="320" src="https://www.anime-planet.com/images/characters/hayato-kidokoro-100721.jpg" width="213" /></a></div>
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Ecco perché in casa Rai hanno deciso di ibridare Sanremo con i varietà del tempo che fu. E quindi anche gli artisti in gara escono il meno possibile dal seminato, perché sanno che è già difficile tenersi stretti i fan attuali, figurarsi se conviene cercarsene di nuovi con qualche scelta avventurosa. Si dirà che questa è la solita critica di immobilismo che si muove al Festivàl da almeno 50 anni. Il fatto è che una volta il Festivàl era sempre uguale, ma pur sempre baricentrico. Oggi è simile a quei pranzi di Natale dove si va giusto perché ci mancherebbe altro, ma a parte qualche parente con cui magari si fanno due risate per poi non rivedersi nei prossimi 12 mesi ("ma come sei simpatico, dai non facciamo passare un altro anno, eh....??"), il pensiero è sempre a quando si partirà con la cumpa per il Capodanno in chalet ("Lì sì che ci si diverte..."). </div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-85828119031034484582019-11-26T22:02:00.000+01:002019-11-26T22:02:31.949+01:00Pietro Ichino sulla Brexit: cronaca di un rigore a porta vuota (per noi).<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Interessante disamina su alcuni aspetti non collaterali dell'ormai stracca Brexit ci viene elargita i<a href="https://www.corriere.it/opinioni/19_novembre_21/deprimenti-lezioni-che-arrivano-londra-9f8c284c-0c94-11ea-89cc-e514bdace0f8.shtml?refresh_ce" target="_blank">n un articolo a quattro mani </a>(due delle quali appartenenti al giuslavorista- ex sindacalista- scrittore e opinionista Pietro Ichino) pubblicato sul glorioso megafono della buona borghesia italica con sede in via Solferino a Milano. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Dicono Ichino e il suo <i>attaché</i> che uno dei lati di gran lunga più deprimenti della Brexit è il drammatico impoverimento del discorso politico e civile che l'evento ha snudato in Angliaterra. Stupisce, capiamo dalle righe ichiniane, che la patria del Parlamento <a href="http://www.sapere.it/enciclopedia/Parlam%C3%A9nto+Lungo.html" target="_blank">lungo</a> e <a href="https://www.simone.it/newdiz/newdiz.php?action=view&dizionario=2&id=891" target="_blank">corto</a>, gente c<a href="https://www.parmadaily.it/296454/30-gennaio-1649-re-carlo-i-dinghilterra-viene-decapitato/" target="_blank">he ha decapitato i suoi sovrani</a> con un secolo e mezzo di anticipo su <a href="https://www.youtube.com/watch?v=47h27-x2kXM" target="_blank">Lady Oscar</a>, gente che ha la politica attiva e passiva nelle vene da tempi remoti, in anni in cui i nostri scrittori <a href="https://letteratura.tesionline.it/letteratura/article.jsp?id=23871" target="_blank">dovevano rifare tre volte un romanzo</a> per riuscire a farsi capire da tutti gli alfabetizzati della penisola (cioè da pochi), stupisce insomma che PERSINO in Inghilterra un argomento non proprio semplice come la Brexit sia presente nel dibattito pubblico soprattutto in una serie di slogan fritti e rifritti (<span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><i>leave the EU</i>, <i>take back control!</i>, <i>deliver a clean Brexit</i>, <i>out means out!</i>)</span>, e che di fatto quasi nessuno dei sudditi dell'Eterna sia in grado di sostenere un'argomentazione minimamente articolata pro o contro l'uscita.</span><br />
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://www.amica.it/wp-content/uploads/2019/04/regina-elisabetta-7-635x635.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><img border="0" data-original-height="635" data-original-width="635" height="320" src="https://www.amica.it/wp-content/uploads/2019/04/regina-elisabetta-7-635x635.jpg" width="320" /></span></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: small;">L'Eterna</span></td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Tutto si riduce a qualche tweet, come da noi. Ma noi, si sa, siamo <i>les Italiens</i>, i perenni immaturi della politica; sono quasi trent'anni, ci sentiamo dire da mezza Europa, che abbiamo affidato le chiavi del vapore ad una serie impressionante di imbonitori mediaticamente efficaci, ma incapaci di cambiare davvero le sorti del Paese, ecc. ecc. Adesso salta fuori che gli inglesi sono messi, se non peggio, perlomeno come noi.</span><br />
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Ovvove.</span><br />
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Noi, si sa, siamo abituati a veder polarizzare piattamente l'opinione pubblica su qualsiasi cosa, che si sia pro o contro la Juventus, i sacchetti di plastica maggiorati di prezzo al supermercato, Berlusconi, Milly Carlucci a <i>Ballando con le stelle</i>, la fecondazione assistita, il sovranismo, la cipolla nell'amatriciana, e si sa che da non meno di trent'anni il grosso dei nostri giornali e tivvù ama soffiare sul fuoco della polemica di pancia per agitare le acque, senza mai proporre un vero sforzo di sintesi tra gli opposti opponenti. Noi, di fatto, abbiamo ormai la vista talmente annebbiata dal diluvio di <i><a href="http://www.milano-sfu.it/2018/05/bias-cognitivi/" target="_blank">bias cognitivi</a></i> inoculatoci dal sistema informativo e (cough cough) culturale che ci pare quasi strano che la nazione modello di ogni libertà costituzionale (gente che ha la BBC che ringhia ai polpacci del potere, noi abbiamo emittenti pubbliche e private <a href="https://www.lacomunicazione.it/voce/lottizzazione/" target="_blank">inzerbinite di default</a>) ci sia d'un colpo diventata così simile. Dice Ichino che i media inglesi, <span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><i>salvi rari casi preferiscono la drammatizzazione all’informazione</i>,<i> </i>cosicché il Paese di Beckham è<i> piombato in un’interminabile lotta tra Montecchi e Capuleti</i>. Ovvove.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; font-family: "times" , "times new roman" , serif;">La disamina rotola quindi prevedibilmente sulla mesta osservazione che quanto accade di là dalla Manica ci dovrebbe servire da lezione al di qua, perché da più di due anni ci tocca sorbirci i giri di valzer di un leader acchiappa-sondaggi (ho il vago sospetto che parli di Salvini) che dice sempre una cosa e il suo contrario e nessuno gliene chiede conto. Del resto l'opinione pubblica ormai a tutte le latitudini guarda ai lati frivoli della vita dei leader, senza badare al succo delle loro proposte. Elementi, questi, che danno il passo della crisi della democrazia tradizionale.</span><br />
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><br /></span>
</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://imgs.bigtop40.com/images/21140?crop=16_9&width=660&relax=1&signature=Y5Urzt8R9wStcYyR6f2sIinZiHE=" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><img border="0" data-original-height="396" data-original-width="660" height="192" src="https://imgs.bigtop40.com/images/21140?crop=16_9&width=660&relax=1&signature=Y5Urzt8R9wStcYyR6f2sIinZiHE=" width="320" /></span></a></div>
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><br /></span>
<span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;">Osservazioni, nella loro sostanza, che non aggiungono nulla rispetto alle pensose riflessioni sulla deriva della politica terrestre che sentiamo fare da un po'. E' in effetti un altro il momento della disamina ichiniana che ci ha fatto sorridere amaramente: dice l'esimio giuslavorista che per affrontare questioni complesse come la Brexit è necessaria altrettanta complessità: <i>O</i></span><span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><i>ccorre confutare costantemente le soluzioni semplici proposte dalla parte avversa, affrontando la fatica di comunicare la complessità a un’opinione pubblica distratta</i>, il che si ottiene quando si hanno media veramente indipendenti e soprattutto <i>un</i></span><span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><i>’opinione pubblica in qualche modo interessata a fare le pulci ai politici sulle cose che contano, non sui pettegolezzi da bar o da spiaggia.</i></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Ecco. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Caro Ichino, tutto vero tutto bello, ma possiamo chiederci da dove arrivi questa (apparentemente) improvvisa botta di superficialità degli inglesi? Peggio ancora: a partire da quando quelli là hanno disimparato a ragionare complesso? Si potrebbe fare il battutone e dire: "A<a href="http://marcellolandi.altervista.org/guglielmo-di-occam-scheda-.html" target="_blank"> partire da Guglielmo da Occam</a>", ma la cosa è ben più seria. Quello che vediamo avvenire oggi oltremanica non è che l'ennesima coda di quel processo di rimbecillimento collettivo in atto da decenni, uno dei cui cardini è - indovina un po', Pietro? - la costante procedura di disavvezzamento al pensiero complesso (ovvero astratto) in nome di altre scale di valori cognitivi e pratici. </span><br />
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><br /></span>
</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://cdn.onebauer.media/one/media/5b91/38d7/2b84/2235/bb6c/1344/2010-1d-x-factor.jpg?quality=80&width=900&ratio=1-1&resizeStyle=aspectfit&format=jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="800" height="213" src="https://cdn.onebauer.media/one/media/5b91/38d7/2b84/2235/bb6c/1344/2010-1d-x-factor.jpg?quality=80&width=900&ratio=1-1&resizeStyle=aspectfit&format=jpg" width="320" /></span></a></div>
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><br /></span>
<span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Suvvia, Pietro, sai bene, e lo sai da quando noi eravamo ancora impegnati <a href="https://www.youtube.com/watch?v=XtyU72mrzfA" target="_blank">ad imitare il tiro ad effetto di Oliver Hutton</a>, che è da non meno di 40 anni che un certo sistema mediatico-ideologico demonizza una certa regione del vasto mare degli studi possibili e- indovina un po'? - la regione incriminata è quella degli studi umanistici. Figurarsi se in un mondo dominato dalla tecnologia potrebbe ancora avere senso perdere tempo sui classici del pensiero, peggio ancora se letti nelle loro noiosissime e magari morte lingue originali (latino e greco brrrrrrrrrrrrrrrrr); macché: riduciamo tutto alla didattica del <i>fare</i>, diceva gente ostile <i>bipartisan </i>a quel mostro chiamato 'tradizione occidentale', fatto di assurde chiacchiere filosofiche, poemi lunghi o brevi che altro non sono che <a href="https://cultura.biografieonline.it/pace-non-trovo-petrarca/" target="_blank">piagnistei di innamorati friendzonati</a> o <a href="http://polisemantica.blogspot.com/2013/04/vergine-madre-dante-alighieri-la-divina.html" target="_blank">sciocche esaltazioni</a> di valori defunti. Abbattiamo tutto, dicevano, svecchiamo la didattica, <b>adeguiamola ai tempi.</b></span><br />
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><b><br /></b></span>
</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://virali.video/wp-content/uploads/2019/10/i-ragazzi-italiani.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><img border="0" data-original-height="466" data-original-width="466" height="320" src="https://virali.video/wp-content/uploads/2019/10/i-ragazzi-italiani.jpg" width="320" /></span></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><b><br /></b></span>
<span style="background-color: white; font-family: SolferinoText-Regular;"><b><br /></b></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="font-family: SolferinoText-Regular;">Bene: adesso che anche Ichino se n'è accorto, vogliamo dire una buona volta che adeguare i contenuti della didattica a <i>questi</i> tempi </span><span style="font-family: SolferinoText-Regular;">significa</span><span style="font-family: SolferinoText-Regular;"> fare l'esatto contrario di ciò a cui la scuola è chiamata? Inseguire la rivoluzione digitale digitalizzando i contenuti e trasformando tutto in piattaformina, ricerchina, dibattitino, rigettando i ragionamenti alti, gli studi pesanti, la <b>fatica</b> del costruire giorno per giorno un grande edificio di conoscenze, unico vero presupposto per lo sviluppo delle competenze, porta esattamente lì dove sta portando oggi gli inglesi: di fronte ad un caso pratico complesso, l'incapacità di ragionare complessamente in astratto, drammaticamente sostituita dai compitini empirici legati ad un unico risultato concreto, rende del tutto inermi. Non esiste abilità pratica complessa sganciata dall'abilità ragionativa altrettanto complessa. Conoscere a menadito le regole del testo argomentativo o del <i>debate</i>, e magari saper ammannire un prodotto in <i>power point</i> <i> </i>senza avere argomenti da inserire nell'argomentazione (o contenuti da inserire nel prodotto), è pura assurdità: io posso sostenere la mia tesi, e confutare quella altrui, io posso convincere gli altri della bontà del mio prodotto solo se la mia tesi o il mio prodotto sono frutto di conoscenze ampie e articolate che so rapportare in modo solido e approfondito. Usiamo la tecnologia e avvaliamoci delle nuove didattiche purché queste non ci costringano volare basso, appiattiti sul <b>concreto</b>, sullo <b>spendibile</b>, sull'i<b>mmediato</b>. Tutto si può concretizzare, spendere, immediatizzare, purché abbia fondamenti solidi e non si pretenda che i contenuti delle discipline umanistiche siano ridotti a pilloline effervescenti da sciogliere alla bisogna. </span></span><br />
<span style="background-color: white;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Non siamo più noi a chiedere questo: è il dramma dell'istupidimento collettivo a obbligarci a rimettere la barra a dritta (e un po' anche a te, Pietro caro, che nello stesso blog ospiti <a href="https://www.pietroichino.it/?p=54034" target="_blank">questo</a> e allo stesso tempo <a href="https://www.pietroichino.it/?p=54034" target="_blank">quest'altro</a>). Chi non vede ciò, e continua a ciarlare di scuola fuori dal tempo senza mai averci messo piede, poi non si lamenti se la gente ragiona per pacchetti di frasi fatte e vota in base a quello che legge su Twitter.</span></span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-35308496539070565202019-11-24T23:10:00.000+01:002019-11-24T23:19:15.828+01:00Visti per voi: "Miserere", quando trionfa la privativa del dolore.<div style="text-align: justify;">
Eravamo a Trieste senza bora, con un tramezzino sullo stomaco a cena (e sarde in saor + frittura mista FRESCA a pranzo), gli occhi pieni degli splendori di <a href="http://museosartoriotrieste.it/" target="_blank">palazzo Sartorio</a> e <a href="http://www.museorevoltella.it/" target="_blank">Museo Revoltella</a> (ANDATECI!!!): restava da digerire il tramezzino. E a Trieste, scoprimmo, ci sono qualcosa come QUATTRO cinema in circa 250 metri. Città sublime.</div>
<div style="text-align: justify;">
Fatta la rapida cernita, decidemmo ovviamente di farci del male scegliendo il cinema monosala intitolato a Federico Fellini, dichiaratamente cinema d'<i>essai</i>. E c<a href="http://tuttofamedia.com/" target="_blank">ome ci insegna il Maestro</a>, tra l'<i>essai </i>e l'<i>assai </i>il salto è breve, quindi<i> </i>ci sedemmo assai speranzosi in sala (comodissime poltrone peraltro, appena nei cinema di Brescia mi mangio le ginocchia tutte le volte...), pronti ad assistere ad una cosa dal titolo promettente: <i>Miserere</i>. Non ho capito per che motivo, ero convintissimo che si trattasse di un filmone francese <i>à la manière de</i> Samuel Benchetrit (<a href="https://www.youtube.com/watch?v=CXCE1jdQC6A" target="_blank">tipo questo</a>... brrrr), a ciò indotto dalla faccia da dottor Morte del protagonista stampata sul manifesto.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://pad.mymovies.it/filmclub/2018/01/042/locandina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="588" data-original-width="420" height="320" src="https://pad.mymovies.it/filmclub/2018/01/042/locandina.jpg" width="228" /></a></div>
<br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Invece era molto di più, molto meglio e molto peggio.</div>
<div style="text-align: justify;">
Molto di più, perché il tasso di sfigaggine dei personaggi del film di Benchetrit è qui tutto riunito nell'unico, titanico protagonista, un uomo capace di far intristire un <i>charter</i> intero di Patch Adams con un solo sguardo.</div>
<div style="text-align: justify;">
Molto meglio perché, rispetto alla trama squagliarola del film francese di cui sopra, qui la storia procede serrata, gelida, angosciante, fino al botto finale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Molto peggio, perché la storia dell'anonimo protagonista (NESSUNO dei personaggi della pellicola ha un nome proprio, il che la dice lunga) uccide discretamente la fiducia nel genere umano.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma tant'è.</div>
<div style="text-align: justify;">
Siamo in Grecia, e siccome il film è d'<i>essai</i> ci godiamo la versione in lingua ORIGINALE NEOGRECA con sottotitoli, apprezzando la cadenza tombale dell'idioma dei discendenti di Omero, Pindaro e Sofocle. C'è quest'uomo, che di professione fa l'avvocato, in gocciolante depressione perché la moglie è in coma in seguito ad un'aggressione o giù di lì. Nel chiuso della sua cameretta, il tapino piange, comprensibilmente costernato, ma nei suoi rapporti con gli altri esibisce al contrario una freddezza disperata (o disperata freddezza) che si mischia, pare di capire, ad un sotterraneo compiacimento nel venire commiserato da tutti, dalla vicina del piano di sotto, che si è messa a preparare una torta a settimana e viene fatta aspettare apposta davanti alla porta nonostante abbia suonato il campanello, al proprietario della lavanderia che, straziato al vedere la massa di abiti luttuosi portati a lavaggio ("i medici hanno perso le speranze, sa..."), decide addirittura di fare sconti al tapino (roba tipo da 42 a 20 euro IN GRECIA, ridotti alla fame come sono...). Al treno si aggiungono il padre, che normalmente, come si deduce più avanti nel film, non si fila mai di pezza il figlio, poi la segretaria poco espressiva ma tanto abbracciosa (da cui lui adora farsi abbracciare pur mantenendo la faccia tapina) e l'amico della spiaggia. Tanto per essere allegri, il tapino ha preso in carico il caso di un omicidio ai danni di un anzianotto la cui figlia e il cui genero sono tanto disperati, e in qualche modo gli fanno da pietra di paragone per attapinarsi vieppiù.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://pad.mymovies.it/cinemanews/2019/162304/coverlg_home.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="180" src="https://pad.mymovies.it/cinemanews/2019/162304/coverlg_home.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Sta di fatto che la trama si svolge tutta stampata nell'immutabile faccia da funerale del protagonista, che addirittura, quando gli eventi prendono <i><b>una certa svolta</b> </i>(sorry, no spoiler here...), non aggiorna la frequenza della tristezza, anzi quasi si dispiace di non poter più farsi commiserare e cerca quindi di tener viva la fiamma di morte della musoneria (ecco spiegato l'abbandono in mare della cagnetta, dichiarando però di averla persa nel bosco, per cercare compassione da parte del padre che invece gli volta le spalle)(ecco spiegato il quasi-stalking con la vicina del piano di sotto, che ha smesso di sfornare torte)(ecco spiegata la richiesta all'amico della spiaggia di avere una simpatica - e illegale- bomboletta di gas lacrimogeno da far scoppiare in studio giusto, per piangere un po'...)(s'era detto niente spoiler)(ok). Finché, per essere sicuro di farsi compatire <i>usque ad consummationem vitae</i>, il tapino prende la decisione estrema. D'altronde è uomo di legge, saprà come cavarsela. </div>
<div style="text-align: justify;">
La storia è scioccante dall'inizio alla fine, mai del tutto prevedibile, nonostante il ritmo sia inevitabilmente funereo non ci si annoia, forse perché la media attesa dello spettatore medio (anche al cinema d'<i>essai</i>) si attende sempre la svolta in storie del genere. Certo, non <i>questa </i>svolta.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/9c/Carolyn_Jones_John_Astin_The_Addams_Family_1964.JPG/220px-Carolyn_Jones_John_Astin_The_Addams_Family_1964.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="275" data-original-width="220" src="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/9c/Carolyn_Jones_John_Astin_The_Addams_Family_1964.JPG/220px-Carolyn_Jones_John_Astin_The_Addams_Family_1964.JPG" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Niente da dire sull'attore, perfettamente calato in una parte non facile. Sceneggiatura ottima, direi, se ne sapessi qualcosa, <a href="https://www.mymovies.it/film/2018/miserere/" target="_blank">ma mi fido di chi ne sa</a>. Saremmo in Grecia, ma le luci in tutto il film sono fredde e taglienti, anche quando il tapino è in spiaggia.</div>
<div style="text-align: justify;">
Mi stupisce semmai il fatto che il film mi arriva in <i>tackle</i> su un post a cui stavo lavorando e che adesso sviluppo qui...</div>
<div style="text-align: justify;">
[<a href="https://youtu.be/M_n_bZjeWMA?t=36" target="_blank">Agganciamento!!!</a>][ahhhh....]</div>
<div style="text-align: justify;">
E' da un po' di tempo che mi interrogo su un problema che rampolla dalla lettura di certi classici latini. Ci sarebbe <a href="https://scuola.repubblica.it/toscana-firenze-lsilpontormo/2018/05/02/recensione-heautontimorumenos-terenzio/" target="_blank">una commedia di Terenzio</a> (II sec. a.C.) nella quale un tizio vede il suo vicino di casa spaccarsi la schiena di lavoro 24/7 e non capisce perché, allora glielo chiede. L'altro gli ribatte chiedendogli a sua volta per quale motivo gli interessino la vita e la sofferenza di un uomo che conosce appena, al che il tizio predetto ri-ribatte con una frase divenuta celebre, in quanto costituisce il fondamento di tutto l'umanesimo occidentale e anche un po' più in là: <i>homo sum, humani nihil alienum a me puto </i>("sono un uomo, non ritengo che nulla di umano mi sia estraneo"). Entra in scena, letteralmente, l'idea di empatia, di condivisione emotiva basata sul riconoscimento dell'altro in quanto persona come me, quindi strutturalmente degna di compassione & comprensione. Roba nota, si dirà, ma per l'epoca era un discreto siluro all'idea che prima venisse il cittadino e poi l'individuo.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ecco, il film di cui sopra mi pare l'esatto rovesciamento del paradigma terenziano: "Sono uomo e <i>voglio</i> che tu mi compatisca perché se io soffro <i>è giusto</i> che debba soffrire <i>anche tu</i>, ma soprattutto <i>solo io</i> sono degno di compassione e fuori dalla bolla del <i>mio</i> dolore non ne esiste uno paragonabile. <i>Tu</i> dunque, finché sarò infelice <i>io</i>, non potrai <i>mai</i> avere diritto ad una felicità <i>tua</i>. Ma soprattutto, non aspettarti <i>mai </i>che <i>io</i> compatisca per qualche motivo <i>te</i>".<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://www.larena.it/image/policy:1.5426805:1484751632/image.jpg?f=16x9&h=312&w=560&$p$f$h$w=e6021db" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="312" data-original-width="553" height="180" src="https://www.larena.it/image/policy:1.5426805:1484751632/image.jpg?f=16x9&h=312&w=560&$p$f$h$w=e6021db" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
Si dirà che questo è un ritratto abbastanza corrispondente al tipo (o a uno dei tipi) del cosiddetto <b><a href="https://lamenteemeravigliosa.it/personalita-vampiri-emotivi/" target="_blank">vampiro emotivo</a></b>. Può essere. Ciò che però mi colpisce del vampirizzamento emotivo non è tanto il desiderio insaziabile di essere compatito, ma l'incapacità assoluta di compatire a propria volta. Il fatto è che questo secondo aspetto del carattere dei cosiddetti vampiri emotivi è in realtà comune anche a gente che vampira non è: ci sono persone che non chiedono di essere compatite, ma piuttosto ritengono di passare o aver passato tali e tante disavventure (vere o presunte, s'intende) da sentirsi in diritto di non concedere a nessuno non solo la compassione, ma nemmeno l'ascolto. Delle monadi assolute.<br />
Questa tipologia di individui mi addolora ancor più dei vampiri emotivi, perché si chiude totalmente sulle proprie esperienze pregresse e non sente altro; è come se il loro Io fosse regolato su una sorta di 'frequenza' del dolore che provoca sordità rispetto a tutte le altre. Non li sentirete mai dire: "Nessuno mi capisce", perché non sentono il bisogno di essere capiti. Casomai, qualora provaste a manifestare un vostro qualsiasi disagio, la loro risposta standard sarà: "Ma cosa vuoi che sia, con quello che sto passando/ ho passato io...". A differenza degli individui privi di empatia, che neanche si accorgono che un altro soffre, costoro sono piuttosto sono auto-patici: si accorgono che l'altro soffre, e probabilmente capiscono anche la sofferenza, ma non sentono il bisogno di ascoltare o aiutare a lenirla. Ma anche quando non la capiscono, non lo fanno per incapacità: sono, come dire, già saturi della propria e non hanno spazio per quella altrui.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://vignette.wikia.nocookie.net/mazinger/images/2/25/Dr.Hell.jpg/revision/latest/top-crop/width/240/height/240?cb=20160109163634" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="240" data-original-width="240" src="https://vignette.wikia.nocookie.net/mazinger/images/2/25/Dr.Hell.jpg/revision/latest/top-crop/width/240/height/240?cb=20160109163634" /></a></div>
<br />
<br />
Il che obbliga naturalmente ad almeno una distinzione: un conto sono gli individui reduci da un dolore recentissimo e devastante, che come feriti gravemente non possono guardare fuori di sé perché devono anzitutto guarire sé medesimi. Pretendere da costoro che si accorgano anche del dolore altrui, in questa fase, è in effetti troppo. Certo, il tapino del film di cui sopra estremizza fino a metà film questa condizione: passi la momentanea interruzione del'empatia, difficile accettare la pretesa che il proprio dolore vada ad infettare la serenità degli altri, perché si presupporrebbe che tutti gli altri siano felici tranne me che soffro, quindi è giusto che, nel compatirmi, soffrano un po' anche loro. Niente di più egoistico.<br />
Altra questione, tuttavia, è quella che si pone quando le cause e gli effetti del dolore, stoicismo alla mano, <i><b>dovrebbero</b> </i>essere estinti da mo': sempre stoicismo alla mano, dopo un certo tempo, la ferita dell'anima si rilassa e anche se il rammarico del dolore passato rimane, l'assenza delle medesime circostanze che l'hanno prodotto <i><b>dovrebbe</b> </i>consentire di ri- connettersi al mondo, esattamente come una ferita rimarginata non si riapre se uno non si taglia di nuovo. Qui però l'individuo auto-patico cade catastroficamente e, pur avendo (forse) elaborato a sufficienza la sofferenza passata, la ritiene così <i>oltre </i>rispetto a qualsiasi sofferenza altrui da non giudicare quest'ultima degna delle benché minima attenzione. Il che, finché si è tra pari, è già negativo, perché di fatto si ammazza l'empatia, ma l'altrui sofferente si suppone abbastanza maturo da riuscire a farsi una ragione dell'indifferenza dell'interlocutore auto-patico e abbastanza scafato da cercare qualcuno che sappia cos'è la comprensione. Il dramma vero è quando c'è una relazione asimmetrica, ad esempio quella genitori- figli: è evidente che un adulto non può accettare come dotate di fondamento tutte le lamentele di un giovane, ma dismettere regolarmente ogni segnalazione di disagio con la formuletta: "Eh, ma io alla tua età... con quello che ho passato... ma di cosa ti lamenti...?" è un modo <i>eccellente </i>per distruggere le relazioni. Io credo che non ci dovrebbe mai essere una <i>hit parade</i> del dolore: ogni dolore è dolore della coscienza individuale, dipende anche dalle circostanze storiche e biografiche del sofferente, nel senso che ad età diverse possono esserci scale di dolore diverse. Si può anche ritenere il dolore altrui meno grave del proprio, ma questo fatto non è di per sé sufficiente a dire che l'altro non soffre o non merita comprensione e/o aiuto, né tantomeno compiacersi segretamente del fatto che "soffri un po' anche tu come ho sofferto io, così vedi come si sta". Purtroppo l'individuo auto-patico fa proprio tutte queste cose, e difficilmente dubita di essere in torto. La domanda è appunto: si può regolare la frequenza del dolore di costoro per, diciamo così, abbassarla e renderla psichicamente meno assordante, cosicché riescano una buona volta a sentire il dolore degli altri? O si deve essere costretti ad 'alzare' la propria frequenza, rischiando però di teatralizzare la sofferenza e renderla bombastica e quindi ancor meno convincente ai loro occhi? O si deve rinunciare?<br />
E' il problema delle relazioni affettive monodirezionali in cui il monodirigente non si accorge di monodirigere senza MAI ricevere in cambio. Oddio, che poi, ricevere in cambio quel che dà il tapino del film... magari anche no...</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-57722639399121152322019-10-19T22:43:00.000+02:002019-10-19T22:44:21.209+02:00Senecana (5): e LUI cosa dice? <div style="text-align: justify;">
Seneca non cita mai espressamente la scuola Pneumatica in nessuna delle opere giunteci, ma è verosimile una sua conoscenza delle dottrine mediche stoiche: filosofia e medicina, nel mondo antico, erano molto meno distanti, dal punto di vista teoretico, di oggi, in quanto entrambe si prefissavano di curare l'uomo dai suoi mali. Essendo poi la scuola Pneumatica filiazione diretta della scuola stoica, difficilmente Seneca avrebbe potuto erudirsi di sola filosofia senza buttar l'occhio sulle opere dei medici, detto pure che lui stesso, come evinciamo dalle sue opere, non era esattamente un fiore dal punto di vista della salute.</div>
<div style="text-align: justify;">
A questo punto, lettore accanito, vorrai chiederci se è possibile in ogni caso dimostrare in Seneca conoscenze mediche Pneumatiche pur senza esplicita ammissione? Noi ti diciamo di sì, ma per arrivare a tale contezza si dovranno recuperare tasselli sparsi un po' dappertutto nell'opera del Nostro. Saremo brevi.</div>
<div style="text-align: justify;">
Dice Seneca (<i>De ira</i>) che quando bisogna mettere a punto una terapia che renda più difficile cadere preda dell'ira è molto importante tener conto della mescolanza di calore e umidità all'interno di un individuo (ricordate che siamo nel I secolo d. C....): ebbene, un medico greco del secolo successivo, nientemeno che Galeno (il <i>curriculum</i> è scaricabile <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/galeno/" target="_blank">qui</a>) attribuirà, così pare di capire dai suoi testi, quest'attenzione al caldo e all'umido proprio ai medici Pneumatici.</div>
<div style="text-align: justify;">
Dice sempre Seneca (<i>Naturales Quaestiones</i>) che tutto il mondo è retto dalla tensione dello <i>spiritus</i> che in esso scorre, la qual cosa ricorda assai da vicino il pneuma coibente degli stoici. La virata in senso medico è poi poco distante, per così dire: il Nostro afferma che nel corpo, come in tutto il resto del pianeta che è un macro-corpo in cui abitiamo noi micro-corpi, possono nascere malattie se il flusso regolare dello <i>spiritus</i> è alterato da qualche causa come può essere il freddo, il caldo, uno scompenso o scossone di qualsiasi tipo, ma anche un accesso di febbre o un timore improvviso, tutti fattori che intaccano la nostra energia vitale, il tutto senza contare le anomalie che possono interessare gli umori corporei; se hai seguito le puntate precedenti, amico lettore, non potrai non rilevare che queste di cui Seneca parla sono esattamente le cause procatartiche ed antecedenti messe a fuoco da Ateneo (sia fisiche che psichiche, oltretutto), laddove il fatto che lo <i>spiritus</i> si alteri insieme alla parte del corpo ammalata rimanda direttamente alla nozione di pneuma coibente che si fa veicolo della malattia in tutto il corpo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Le sindromi biliari sono a conoscenza del Nostro? Ovviamente sì. Nell'accezione di Areteo, magari? Io credo di sì.</div>
<div style="text-align: justify;">
Noterai infatti, amico lettore, che nella lettera 94 a Lucilio Seneca parla di una <i>insania publica</i> e di una <i>insania quae medicis traditur</i>: per follia 'pubblica', ovvero rilevabile in modo abbastanza diffuso in quel caravanserraglio di pazzi che è la Roma imperiale, Seneca intende la melancolia di natura psichica, mentre l'altra, che va affidata ai medici, è evidentemente quella somatica, causata dalla bile nera. L'eziologia del male è quindi, solidamente, biunivoca, cosi come biunivoche sono le cure: parole sagge possono spegnere l'infiammazione della bile, come pure sani salassi biliari possono smorzare il malumore. Anche altrove Seneca ribadisce che alla base dei disturbi dell'umore possono trovarsi sia cause fisiche che psichiche.<br />
Se poi diamo un'occhiata ai ritratti dell'uomo in preda all'ira, gli accessi del male presentano elementi assai vicini a quelli che leggiamo nei medici greci: occhi infossati che si alternano a occhiatacce furibonde, urla sguaiate, agitazione di tutto il corpo, il segno insomma dello <i>spiritus</i> che ha perso il suo giusto ritmo. Soprattutto, pare chiaro che il nostro filosofo preferito ritenga che nell'ira possano confluire sia i sintomi della mania che della melancolia. Del resto depressione rabbiosa e pazzia furiosa sono consorelle.<br />
E' però che nelle tragedie che Senecuccio nostro dà il meglio di sé: secoli addietro critici frettolosi additarono i personaggi tragici senecani come piatte allegorie del <i>furor</i>, imprigionate in comportamenti ripetitivi e irrealistici, in certi casi fissati sulle proprie azioni malvagie a tal punto da sconfinare nel manierismo. Sciocchitudini: chi legge i comportamenti, tanto per dire, di Fedra e Medea nelle rispettive tragedie con occhio medico-Pneumatico, non può non vedere che quando queste donne sono descritte dalle rispettive nutrici ciò che abbiamo sott'occhio non è banale fisiognomica del potenziale pazzo, ma una vera e propria cartella clinica che riproduce i sintomi della malattia psicosomatica. Vuoi la prova con Fedra, amico lettore?<br />
<br />
[Antefatto: Teseo, re di Atene, si fa un giretto nell'Oltretomba per aiutare il fido sodale Piritoo nell'impresuccia di rapire la regina di laggiù, Proserpina; ad Atene la moglie di Teseo, Fedra, cretese, figlia di Minosse, sorella di Arianna (l'altra grande fiamma di Teseo, puntualmente piantata <b>in Nasso</b> a seguito del minotauricidio), attende solitaria il ritorno del marito, trovandosi peraltro un pochino infatuata del di lui figlio Ippolito, nato da una relazione espressa con la regina delle Amazzoni, Ippolita, poi morta. Pur tentando di fermare questa passione, Fedra cede gradualmente alle spinte irrazionali, nonostante la Nutrice, manuali di stoicismo alla mano, tenti invano di farla rinsavire. A un bel momento, quando l'innamoramento diventa irreversibile, la regina si presenta in scena vestita da amazzone per far capire al figliastro quanto gli sia <i>groupie</i>. La Nutrice così ce la descrive, versi 360-383...]<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<b>NUTRICE </b> </div>
<div style="text-align: justify;">
Che speranza può esserci? Una passione così non si può frenare, è un fuoco </div>
<div style="text-align: justify;">
senza fine. Si consuma a un silenzioso ardore... Anche se la chiude in sé </div>
<div style="text-align: justify;">
e la nasconde, questa follia, il volto la tradisce. I suoi occhi brillano </div>
<div style="text-align: justify;">
febbrili, le palpebre stanche non sopportano la luce. Non sa quello che </div>
<div style="text-align: justify;">
vuole, soffre, le sue membra sono irrequiete. Ora il suo passo è stremato, </div>
<div style="text-align: justify;">
vacilla come se morisse, e il collo, reclinando, sostiene la testa a </div>
<div style="text-align: justify;">
fatica; ora vuol concedersi riposo, ma si nega al sonno e passa la notte </div>
<div style="text-align: justify;">
in lamenti. Si fa levare dal letto e, subito dopo, coricare. I capelli, </div>
<div style="text-align: justify;">
ora sciolti li vuole, ora acconciati. Insofferente di se stessa, muta </div>
<div style="text-align: justify;">
continuamente di aspetto. Del cibo e della salute non si cura. Fa l'atto </div>
<div style="text-align: justify;">
di muoversi, incerta, e subito le forze l'abbandonano. No, non c'è più il </div>
<div style="text-align: justify;">
suo slancio, non c'è più sul viso lucente colore di rosa. Quel pensiero la </div>
<div style="text-align: justify;">
consuma tutta. Il suo passo è tremante, adesso, la tenera bellezza del suo </div>
<div style="text-align: justify;">
corpo se ne va. E gli occhi, quegli occhi che recavano le tracce della </div>
<div style="text-align: justify;">
luce del sole, non brillano più del loro splendore divino. Lacrime </div>
<div style="text-align: justify;">
scendono giù per le guance, bagnandole di rugiada, senza sosta, come sui </div>
<div style="text-align: justify;">
gioghi del Tauro le nevi si sciolgono alla tiepida pioggia...</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Notiamo, notiamo...</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<ul>
<li>il volto tradisce la follia = i sintomi del male sono tutti evidenti in viso. Non si tratta, bada bene lettore, della fisiognomica che pretende di dedurre il carattere di una persona e le sue personali inclinazioni dai tratti somatici, qui assistiamo ad una malattia in atto.</li>
<li>occhi che brillano (arrossati) = mania</li>
<li>occhi che fuggono la luce = melancolia</li>
<li>non sa quello che vuole, membra inquiete = mania</li>
<li>passo stremato, testa che ciondola sul collo = melancolia</li>
<li>insonnia = melancolia</li>
<li>si alza e si corica, cambio acconciatura = mania</li>
<li>insofferenza di sé = mania/melancolia</li>
<li>rifiuto del cibo = melancolia</li>
<li>forze carenti, passo tremante = insufficienza dell'energia pneumatica</li>
</ul>
<div>
Vuoi vedere Medea? Eccotela...</div>
<div>
<br /></div>
<div>
[Antefatto: Medea, principessina del Mar Nero est, si incapriccia dell'eroico benché imbranatuccio Giasone, giunto sulle coste della Colchide dalla lontana Iolco per recuperare una pelliccia d'ariete dalle proprietà miracolose, inviato lì da uno zio usurpatore che spera lo scotennino. Medea tuttavia, come Arianna del resto, non resiste alla seduzione dello straniero belloccio e lo aiuta a conquistare l'agognato plaid, ricevendo peraltro una proposta di matrimonio in cambio di ulteriore aiuto per consentire a Giasone e compagnia di tornare a casuccia, obiettivo centrato ritardando gli inseguitori con una sfida a puzzle consistente nella la dispersione in mare di pezzetti del fratellino Absirto. Tornati a Iolco e de-usurpato il trono tramite bollitura fraudolenta dello zio, i due devono poi fuggire a Corinto, dove Giasone, colto da improvviso cinismo, ripudia Medea per poter impalmare Creusa, figlia del reonzolo del luogo, Creonte, e garantirsi finalmente un trono non traballante. Medea, sola, barbara e senza diritto alcuno, la prende sportivamente e decide di uccidere i figli avuti da lui. Mentre la follia omicida monta in lei, così la descrive la Nutrice, versi 380-396...]</div>
<div>
<br /></div>
<br />
<div>
<b>NUTRICE</b> </div>
<div>
Dove corri, figlia; lontano dalla tua casa? Fermati, calmati, frena la tua </div>
<div>
furia. Come una menade, che, alla cieca, già invasata da dio, si lancia e </div>
<div>
porta i suoi passi sulla cima del Pindo nevoso o sui gioghi di Nisa, così </div>
<div>
Medea corre qua e là con gesti selvaggi, mostrando in volto i segni di un </div>
<div>
furore delirante. Il suo viso è in fiamme, il respiro affannoso, grida, il </div>
<div>
pianto le sgorga dagli occhi, di colpo si mette a ridere. È in preda ad </div>
<div>
ogni emozione. Esita, minaccia, avvampa, si lamenta, singhiozza. Dove si </div>
<div>
volgerà l'empito del suo cuore? Dove spingerà le sue minacce? Dove andrà a </div>
<div>
infrangersi questo vortice? Il suo furore trabocca. No, non è da poco, non </div>
<div>
è comune il delitto che medita tra sé. Supererà se stessa, Medea. Li </div>
<div>
conosco, io, i segni del suo antico furore. Qualcosa di inaudito sta sopra </div>
<div>
di noi, qualcosa di grande, selvaggio, empio: lo leggo nel suo volto </div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div>
delirante. O dèi, fate che la mia paura sia vana. </div>
<div>
<br /></div>
<div>
Ri-notiamo, ri-notiamo...</div>
<div>
<ul>
<li>similitudine con la Menade, sacerdotessa dei riti dionisiaci che prevedevano l'abbandono estatico alla possessione divina = mania, termine peraltro corradicale a 'Menade'.</li>
<li>corsa delirante, viso in fiamme = mania</li>
<li>respiro affannoso = crisi dell'energia pneumatica</li>
<li>alternanza pianto/riso = bipolarità</li>
<li>minacce, avvampamento = mania</li>
<li>lamenti, singhiozzi = melancolia</li>
<li>lettura sul volto delirante del furore = ulteriore prova che non di mera fisiognomica si tratta,ma di autentico quadro clinico</li>
</ul>
<div>
Vediamo dunque che in nessuno dei due casi predomina solo uno uno dei due disturbi, poiché fanno sempre capolino anche i sintomi di quello opposto. Alla fine, nel personaggio domina una perenne alternanza di umori e e comportamenti che testimonia l'instabilità delle sindromi biliari.</div>
<div>
<br /></div>
<div>
Questa è arte di serie A+++: non una piatta resa del <i>furor</i>, ma l'illustrazione realistica dei suoi catastrofici effetti. Le conoscenze mediche al servizio della filosofia e della tragedia: questo è il genio.<br />
<br />
[poi c'e sempre <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Lucio_Anneo_Seneca">https://it.wikipedia.org/wiki/Lucio_Anneo_Seneca</a> nonché <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_pneumatica">https://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_pneumatica</a>]</div>
</div>
</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-72653416373497261732019-10-12T21:37:00.000+02:002019-10-12T21:40:29.887+02:00Machittevòle@festivalfilosofia: ipotesi di complotto <div style="text-align: justify;">
La sera Sassuolese di venerdì 13 si frizza con l'intervento dell'acuto Paolo Ercolani.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<span style="text-align: justify;">L'intervento prende le mosse da una questione che può essere ormai frusta, eppure sempre gravida di spunti: l'esperienza
online è un arricchimento o una minaccia per il soggetto?</span><br />
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%; text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">Come piace a noi, la risposta parte da dati concreti e non da fuffa. Ercolani ci dice di avere effettuato una <i>survey </i>con studenti delle superiori ai quali è stata posta una domandina facile facile: perché i ggiovani d'oggi si fissano ad immortalare i momenti più inutili
della loro quotidianità per poi condividerli sui social? Non è una perdita di
tempo? Davvero si vive nell'ansia perenne del riscontro? Ebbene, la giovanil risposta è di quelle notevoli: noi, dicono gli studenti, sappiamo bene che la quasi totalità dei contenuti che postiamo sui social </span></span>è del tutto
<b>inutile</b>, siamo consci che nel mondo virtuale fluttuano elementi e azioni obiettivamente senza scopo, ma, caro Ercolani, "se la sera non ho
condiviso parte della mia vita reale nel mondo virtuale, mi sembra di non
essere esistito".<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://www.105.net/resizer/659/-1/true/1513346005697.JPG--holly_e_benji_tornano_in_tv_nel_2018.JPG?1513346005000" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="419" data-original-width="659" height="203" src="https://www.105.net/resizer/659/-1/true/1513346005697.JPG--holly_e_benji_tornano_in_tv_nel_2018.JPG?1513346005000" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />
Si capisce che la frase si commenta da sé, e potremmo chiederci dove noi tutti abbiamo fallito. Di là da ciò, Ercolani nota una sorta di inversione dell'umano, in ragione della quale molti, moltissimi utenti social vomitano nella vita reale aggressività, incomunicabilità, intolleranza, ma nelle bacheche web è tutto un frullare di bellezza, pienezza di vita e attività. Al di sotto di questa dinamica tra passerella di sé e matta bestialità per le strade del mondo, giace un immenso oceano di solitudine, che produce odio e non trova autentica consolazione spolliciando sulla tastiera. Paradosso supremo, abbiamo i
giovani meno capaci di relazionarsi della storia umana. Loro che oggi hanno reti relazionali potenzialmente infinite nello spazio & nel tempo. Il solipsismo è sterilità. Già la tv aveva spento i cervelli degli spettatori (ricordi <i>Homo videns</i> di Sartori? Adesso c'è internet...), oggi gli schermi non ci chiedono solo di guardarli, ma anche di entrarvi, dando più importanza a quel che avviene dentro di essi rispetto alla vita concreta. Risultato che ci si para davanti (cfr. J.M. Twenge, <i>Iperconnessi</i>, Einaudi) sono giovani che <b>sembrano</b> felici e sempre felicemente impegnati, poi basta una mezza indagine sociologica e ci dicono di essere soli e spaventati. La generazione più in crisi che abbiamo mai avuto.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://www.ilbazardimari.net/wp-content/uploads/a365.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="340" data-original-width="442" height="246" src="https://www.ilbazardimari.net/wp-content/uploads/a365.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 20.8px;">
<span class="CharAttribute0">L'identità via social si crea tramite la vetrinizzazione del sé: selfie come si deve, elenchi fluviali di musiche e film preferiti, creazione o meglio ri-produzione di un'identità preconfezionata (quindi dipendente da modelli preesistenti all'identità stessa) volta al successo, ovvero ai like. Di converso, certuni si convincono di valere poco perché hanno pochi like. Peggio ancora, gli ingenui osservatori di <i>stories</i> altrui si convincono dal chiuso della loro alienata cameretta che <b>gli altri</b> siano felicissimi, <b>loro</b> dei poveri sfigati (il che ovviamente non è vero). Il ragazzo diventa un prodotto stesso della realtà virtuale, si fa in certo senso 'consumare' dal suo pubblico. Certo, se il pubblico reagisce maluccio, per esempio col cyberbullismo, si verificano quei casi estremi di suicidio che non cessano di interrogarci e tormentarci. S</span>ui social è vietato mostrarsi deboli ed erranti. Guai ad essere angosciati.</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 20.8px;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://programma.sorrisi.com/guidatv/uploads/media/cache/epg_program_medium/uploads/epg/images/program/0/9/2/238290/originale/238290.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="470" data-original-width="752" height="200" src="https://programma.sorrisi.com/guidatv/uploads/media/cache/epg_program_medium/uploads/epg/images/program/0/9/2/238290/originale/238290.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
Da qui l'Ercolani parte per una ampia & desolante panoramica sul rapporto tra umanità e tecnologia: tutta la tecnologia che ci sommerge ha come effetto imprevisto, ma forse non imprevedibile, di impoverire o addirittura eliminare il pensiero, il ragionamento, la conoscenza e
il dialogo. Stiamo dunque dando l'addio al logos nell'era in cui Internet <b>avrebbe dovuto</b> costituire il trionfo del logos medesimo. Morale: siamo diventati una società misologa.<br />
Seguono dati, un pochino acri verso lo zio Sam.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blog.screenweek.it/wp-content/uploads/2018/05/transformers-1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="800" height="160" src="https://blog.screenweek.it/wp-content/uploads/2018/05/transformers-1.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br /></div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%; text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">Primo esempio di misologia: in USA
negli anni '50 girava la favola intitolata <a href="https://www.youtube.com/watch?v=feb2NUATW18" target="_blank"><i>La locomotiva</i>,</a> in cui una locomotiva pucciosa andava a scuola per diventare un treno. Le venivano insegnate due cose: non uscire dai binari e fermarsi alla bandierina rossa. Ma la locomotiva amava i
fiori che crescevano a fianco dei binari e voleva uscirne. Allora la società ferroviaria fece in modo che la locomotiva desiderasse solo restare sui binari disseminando di
bandierine rosse i prati in fiore e mettendo le bandierine verdi sui binari.
Così la locomotiva rientrava tutta felice sui binari. </span></span>Allegoria del tutto: l'uomo moderno vive solo sulla base dell'approvazione della società. I bambini
vengono allevati secondo un conformismo eterodiretto: esistono dei binari, se
li segui sarai felice, perché tutti ti approveranno (cfr. <i>La folla solitaria</i>). Questa favola dimostra il passaggio dal <i>divide
et impera </i>di romana memoria al <i>conforma e dirigi</i>. Omologate le persone il più possibile, ci dicono queste allegorie, e
avrete il potere di dirigerle dove vorrete. E dove vanno dirette? Ovviamente a consumare secondo una precisa pedagogia del consumo (cfr. <i>I</i> <i>persuasori occulti</i>).<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSwx3DU4kOI2p78MZQj7VQ1WNxblq8Q7d6jlFi_VFEDIVUb0O-w9Q" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="192" data-original-width="262" src="https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSwx3DU4kOI2p78MZQj7VQ1WNxblq8Q7d6jlFi_VFEDIVUb0O-w9Q" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
</div>
<br /></div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%; text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">Secondo esempio: nel 1971 un giudice americano, tal Lewis Powell, scriveva al Ministero dell'istruzione che il sistema economico basato sul
profitto era in crisi, si vedeva che le Università erano piene di contestatori, quindi bisognava provvedere con un'azione chirurgica nelle facoltà di Scienze sociali. Lì si sarebbe dovuta scatenare una lotta a tutto campo <a href="https://www.lastampa.it/cultura/2008/04/20/news/marcuse-chi-era-costui-1.37109110" target="_blank">contro le teorie di Marcuse </a>e compagnia, neutralizzandole con contro-conferenze di eminente gente di orientamento liberista; a fianco di ciò, tv, stampa, radio, riviste avrebbero dovuto diventare altrettanti gangli di una rete di controllo dell'opinione pubblica che sarebbe stata indottrinata ai valori del sano capitalismo. Il tutto da esportare al resto dell'Occidente. </span></span></div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%; text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">Terzo esempio: nel 1975, in una delle riunioni della<a href="https://www.wallstreetitalia.com/che-cosla-trilaterale/" target="_blank"> Commissione Trilaterale</a>, fondata dal compianto Rockfeller, si creò un <i>pool</i> di 200 eminenze grigie provenienti da Usa,<span style="mso-spacerun: yes;"> Europa </span></span></span>e Giappone. Tre di questi studiosi, interpellati per mappare la situazione sociale in corso, conclusero che c'erano <b>troppe
persone istruite</b> e dotate di pensiero <b>autonomo e critico</b> che decidevano di
uscire dai binari come la locomotiva tirocinante dell'esempio 1. Si propose dunque una pianificazione educativa per correlare
gli studi scolastici agli obiettivi del potere (tipico paradigma neoliberista): punto d'arrivo di ciò, la formazione del concetto di capitale umano da contrapporre a quello di sviluppo umano. Formare individui funzionali a
quello che chiede il mercato, disinteressandosi della loro umanità autentica.<br />
<br />
Il disastro attuale verrebbe quindi da lontano, con l'attuale collaborazione dei social: in essi l'identità reale si annulla nell'omologazione, portandosi via lo spirito critico.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://leganerd.com/wp-content/uploads/2017/01/lamu_rds-999x730.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="585" data-original-width="800" height="233" src="https://leganerd.com/wp-content/uploads/2017/01/lamu_rds-999x730.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />
<br />
Si capisce che le nostre antenne insegnantizie si sono rizzate quando l'Ercolani ha aperto il confronto tra scuola e mondo virtuale. Se la scuola richiede allo studente l'apprendimento tramite la lentezza, la profondità, la selezione
delle nozioni per sviluppare lo spirito critico, nel mondo virtuale è tutto
l'opposto: velocità, superficialità e opulenza informativa con assenza di
spirito critico. Peccato che opulenza e buon funzionamento del cervello facciano apertamente a pugni, perché un cervello sovraccarico non funziona. La sua plasticità si manifesta non nell'incamerare quintalate di dati, ma gestendo i contenuti e sviluppando strategie per il loro immagazzinamento. Sicché, ed è anche la nostra tesi da millenni fin qua, la scuola non può competere con la rete
nel poter dare informazioni, ma deve insegnare ai ragazzi la selezione del
sapere mostruoso che trovano ormai ovunque. Lo spirito critico deve elaborare
le informazioni perché si formi un pensiero autonomo. Ercolani mi pare quindi vedere con sospetto certe derive didattico-docimologiche degli ultimi tempi. In ciò ovviamente incontrando i nostri dubbi: bisogna vagliare attentamente certe 'nuove' mode che sembrano virare più sull'apprendimento funzionale al 'fare' immediato, sulla creazione dell'alunno 'efficiente' più prono alla soluzione dei casi singoli rispetto alla considerazione generale del reale.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://image.jimcdn.com/app/cms/image/transf/none/path/s7e959524a2285c0f/image/i07b6e72cec4304b5/version/1405083237/image.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="410" data-original-width="499" height="262" src="https://image.jimcdn.com/app/cms/image/transf/none/path/s7e959524a2285c0f/image/i07b6e72cec4304b5/version/1405083237/image.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />
Ma certo l'allocuzione ercoliana, specie sulla questione del rimbecillimento sistemico della gioventù, ci ha stimolato ulteriori istanze: anni fa, su un forum di Macchianera.net, un utente sintetizzò in modo sparaflashante l'evoluzione delle tattiche di insonnolimento del pensiero critico attuate dal Sistema nei decenni che furono, arrivando più a meno a dire che (semicit.) "se negli anni '70 in Italia si anestetizzarono i giovani con lo stragismo e l'eroina, negli anni '80 fu sufficiente la programmazione pomeridiana di Italia1". Il che, essendo io fruitore di quella programmazione, mi questionò: in effetti, non posso nascondere che una certa tendenza a cartoonizzare gli aspetti dell'esistenza sia piuttosto diffusa tra noi dei gloriosi <i>second-mid-seventies</i>. Già <a href="https://machittevole.blogspot.com/2016/12/italica-2-bim-bumsbammm.html" target="_blank">altrove e altrando</a> (=altroquando) evidenziammo che certe pose di Matteo Renzi (Rignano, Firenze, 1975- vivente) in prossimità della fine della sua esperienza di capo del Governo sembravano molto vicine all'allure cartoonesco-videoludica. Si ricordi inoltre che l'ex vicepremier Matteo Salvini (Milano 1973- vivente), appena prima di schiantare la sua esperienza vicepremieriatizia, <a href="https://www.youtube.com/watch?v=PxBd5gcz-J8" target="_blank">dalle assolate spiagge di Milano marittima</a> chiese al popolo tutto <b style="font-style: italic;">pieni poteri</b>, ricordando a noi tutti almeno due celebri episodi dell'epica nippo- giappo (vedere il Capolavoro 1 <a href="https://www.youtube.com/watch?v=-H-SpV8lgD0" target="_blank">qui </a>e il Capolavoro 2 <a href="https://www.youtube.com/watch?v=gBI9TWbLTJc" target="_blank">qui</a>). A molti di noi, in effetti, è stato sempre ripetutamente rinfacciato "di non essere mai cresciuti", di aver vissuto troppo coi videogiochi e di aver ritardato assai assai il distacco dalla mammella per farci una vita autonoma. Ora, a parte che come sempre ci sono esempi luminosi di gente che è maturata 'normalmente' accanto a gente dai percorsi più o meno... originali, è un fatto che, rispetto ai maremoti di fiamma che agitarono la gioventù scuolafrequentante nella generazione precedente alla nostra, noi adolescenti <i>fabulouseighties</i> abbiamo vissuto proporzionalmente <i>abbastanza</i> nella bambagia. Escludendo gli scioperi di <i>default</i> ad ogni approvazione di legge finanziaria, quando venne giù il Muro io ero in terza media, quindi non so bene se le piazze giovanili siano esplose, ma ricordo bene che, <a href="https://www.youtube.com/watch?v=yPF_AEG8kMY" target="_blank">iniziati i bombardamenti</a> della prima guerra del Golfo, si scioperò giusto il primo giorno e poi ciao. Qualche altro scioperetto giornaliero punteggiò gli anni successivi (per la strage di Capaci, per la mancata autorizzazione a procedere contro Craxi, per la guerra nell'ex Jugoslavia...), inframmezzato da tentativi di sciopero in cui un tizio di una classe venne da un tizio della nostra e gli disse che quella mattina lì bisognava fare sciopero perché sennò lo interrogavano in greco ("aiutami con lo striscione!!"). Bene, rispose l'altro, e per cosa lo facciamo? Ma sì, disse il tizio, diciamo che facciamo sciopero <i>contro l'attuale situazione mondiale.</i><br />
Certo, questo scambio di battute è illuminante sulla fondatezza della tesi ercolanesca: qualcosa, in effetti, cambiò in quegli anni, nel senso che la generazione cosiddetta 'di carta' dei giovani superimpegnati dei tempi di Moro e Berlinguer, gente che leggeva almeno due libri a settimana e giornali vari, fu sostituita, nella proposta mass-mediatica del 'ciò che faceva figo', da una gioventù teledipendente e giocherellona. Il metro della figaggine divenne progressivamente l'abbinata bellezza&stupidità, all'impegno politico si preferì progressivamente il disimpegno gaudente.<br />
<a href="https://machittevole.blogspot.com/2012/10/alle-origini-del-bimbominkismo-2.html" target="_blank">Cose che già dissimo</a>, ma oggi abbiamo qualche spunto in più, legato ovviamente all'esperienza insegnantizia, ma anche alla tesi ercolanesca: sappiate infatti che negli anni '80-'90 non tutti smisero di pensare e tormentarsi sul senso delle cose. Forse la prospettiva era meno legata a (leggi: inquinata da) questioni di ideologia e forse, rispetto alla carne e sangue e m***a del vissuto socio-politico quotidiano, le inquietudini prendevano una piega, per così dire, metafisica. Fatto sta che ci furono adolescenze molto più pensose di quanto la vulgata abbia fissato nell'immaginario collettivo; ebbene, pensando da grandicelli alla nostra adolescenza pensosa, forse troppo pensosa, ci siamo indotti spesso a ritenere che tra noi e i bimbominkia la differenza fondamentale fosse nello spassoso mondo di bolle di sapone in cui fluttuavano loro rispetto al barile di chiodi giù per il fianco della collina <a href="https://www.frammentiarte.it/2016/16-martirio-di-attilio-regolo/" target="_blank">stile Attilio Regolo</a> in cui spesso eravamo rotolati noi. Pare invece che i giovani di oggi siano infelicissimi e il paradosso è che la società che li ha coccolati in epoca bimbominkia sembrava aver predisposto tutto per togliere dal loro cammino ogni inciampo e ogni dolore. O forse era l'illusione delle gioia che doveva predisporre agli abissi della solitudine e della frustrazione online. Credo però che 'predisporre' sia errato come verbo: non penso che, nascendo internet, le sue ostetriche avrebbero immaginato che esso internet da ricettacolo della democrazia globale sarebbe diventato (anche) vasca di fermentazione di odio e ignoranza globalizzati. Allo stesso modo, chi ha inventato i social non ha secondo me immaginato le conseguenze descritte dall'Ercolani. I social erano certo parte di un sistema basato, per dirla con Bauman, sulla stimolazione perpetua dei bisogni e del senso di inadeguatezza rispetto alle novità perpetue proposte dal mercato, ma che anche sui social si sarebbero riprodotte le stesse dinamiche della circostante civiltà consumistica non poteva essere chiaro sin da subito. Da mo' ci siamo convinti che non sempre tutte le conseguenze della tecnologia siano prevedibili, come del resto ci insegna <a href="https://www.youtube.com/watch?v=_goj9ecJkwE" target="_blank">il capolavoro dell'animazione anni '90</a> più complesso che sia mai uscito da cervello umano (oggi ridoppiato <a href="https://www.youtube.com/watch?v=wuLceAGyNVc" target="_blank">da denuncia</a>).<br />
Non credo, concludendo, che <b>tutto</b> lo sfacelo a cui assistiamo oggi fosse programmato (se è vero il motivo per cui Zuckerberg <a href="https://www.stylology.it/2019/09/facebook-come-e-quando-e-nato-il-gioiello-di-zuckerberg/" target="_blank">ha inventato Facebook</a>, si capisce): esso si è gradualmente uniformato al presunto piano di rimbambimento generale, ma solo per effetto delle leggi dell'evoluzione umana che si sono estese alla blogosfera (di fatto Facebook, Twitter & C. sono tutti blog). La casuale invenzione dei social ha manifestato caratteri adatti all'ambiente più della vecchia bloggheria (qui mi leggono in pochi, ma anche i blog storici boccheggiano): narcisismo esasperato, sete di notorietà, senso di autorealizzazione like-dipendente. Evoluzione dell'evoluzione, ecco che dagli anfibi si arriva ai rettili: gli influencer. E gli 'altri', quelli 'sfigati con pochi like' a soffrire ai margini dei social. Visto però che ogni evoluzione è più casuale che altro, pare, non perderei la speranza di qualcos'altro.<br />
(Comunque un rituale propiziatorio lo farei...)<br />
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Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-32944353341949906472019-09-15T23:05:00.000+02:002019-09-16T12:37:40.825+02:00Machittevòle@festivalfilosofia: la lezione (tragica) dei classici.<div style="text-align: justify;">
(Carpi, città adottiva di Dorando Pietri e natale Gregorio Paltrinieri, 13 settembre 2019 - 27 fruttidoro 226° anno della Rivoluzione, ore 15.00)</div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://marisamoles.files.wordpress.com/2011/02/enea-didone-connubio1.jpg?w=470&h=222" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="223" data-original-width="470" height="151" src="https://marisamoles.files.wordpress.com/2011/02/enea-didone-connubio1.jpg?w=470&h=222" width="320" /></a></div>
<br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Grandi scervellamenti sotto il cielo dell'Emilia. Il tema del festivàl di quest'anno (<i>Persona</i>) si declina in un numero di incontri ad alto tasso di attualità, come quello presieduto dal prof. Maurizio Bettini, gran capo degli studi di antropologia del mondo antico (versante prevalentemente latino), che oggi ci regala puntute riflessioni sull'attualità o meno dei grandi temi tramandatici dalla letteratura classica. Osserviamo in esergo <a href="https://www.youtube.com/watch?v=nzaQGI3tgwY" target="_blank">che quell'arietta timorosa di Lanterna Verde,</a> che ci pareva aver guidato la mano degli organizzatori del festivàl di Mantova settimana scorsa, spira leziosa anche qui, visto il primo <i>step </i>del discorso bettiniano. Ma noi, osservatori dell'Assoluto nel mondo del Relativo, amiamo guardare i grandi contorni della Permanenza piuttosto che ingolfarci con i dettagli della Contingenza.</div>
<div style="text-align: justify;">
Tutto questo per dire che ogni discorso sull'attualità dei classici non può prescindere da uno dei testi fondanti della cultura occidentale, letto & goduto da generazioni e generazioni di intellettuali e non solo, ovvero l'<i>Eneide</i>.</div>
<div style="text-align: justify;">
Enea e compagni sono a tutti gli effetti dei profughi che fuggono dalla guerra, sballottati da una tempesta fino a schiantarsi soli e disperati in una terra straniera e potenzialmente ostile. I Cartaginesi vorrebbero farli fuori in quanto invasori non desiderati. Ed è qui che il troiano Ilioneo se ne esce col carico da 11 (libro I, vv. 539 ss.): cari voi, quale patria è così barbara da permettervi di respingere dei disgraziati come noi dall'ospitalità qui sulla spiaggia? Se vi facciamo proprio tanto schifo, ricordate in ogni caso che gli dèi hanno buona memoria sia delle azioni buone che di quelle cattive. Morale: una città che sblatta i
naufraghi è barbara, non merita di essere considerata civile.</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">E qui Virgilio ci regala il primo copioso caso di empatia di tutto il poema con la figura di Didone, prontissima a soccorrere i troiani perché vede gente che soffre e lei sa benissimo cosa voglia dire soffrire. </span></span>Bettini opina pertanto che sembra di parlare
dell'oggi, stessi temi e stessi luoghi, profughi fuggiaschi, annegati, accolti
ostilmente.</div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">Quindi l'Eneide cos'è?</span></span><span style="mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">Un libro che ha fatto filtrare nella
nostra cultura modi di sentire e pensare che fondano l'occidente.</span></span><span style="mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">Tutto ruota intorno al comportamento
degli uomini nei confronti degli altri uomini. </span></span><span style="mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0">Come oggi. Al punto che, sostiene puntualmente il dotto, tanto la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 quanto l'articolo 10 della nostra Costituzione sono di fatto emanazioni spirituali dell'<i>Eneide</i>. Ma Bettini va oltre: il vero fattore aggiunto degli studi classici rispetto a tutti gli altri è la possibilità di farci </span>riflettere su cose che sono nostre, ma da un altro punto di vista. Essi sono un
laboratorio importantissimo in cui si svolge un gioco di identità e alterità
che ci obbliga a metterci in costante confronto con le nostre radici. Gli
antichi avevano il concetto di diritti umani? Cosa hanno in comune e diverso da
quelli di oggi? </div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://www.sololibri.net/local/cache-vignettes/L720xH360/arton148517-e4bc6.jpg?1538743672" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="360" data-original-width="720" height="160" src="https://www.sololibri.net/local/cache-vignettes/L720xH360/arton148517-e4bc6.jpg?1538743672" width="320" /></a></div>
<br />
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<o:p></o:p><br />
<div style="text-align: justify;">
A questo punto l'antropologo esperto getta i dovuti ponti tra ieri e oggi: gli Human Rights promossi dai coniugi Roosevelt (Eleanor in particolare), sono la traduzione letterale del latino <i>ius humanum. </i>Interessante però che lo <i>ius humanum </i>sia un po' come la salute, ci si accorge di esso quando manca, cioè a dire che il concetto non è spiegato in sé, ma lo si cita in situazioni in cui esso risulti palesemente violato.</div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0">Esempio: narra Tito Livo (AUC 1, 28) che Mezio Fufezio, ultimo re di Alba Longa, accusato di tradimento, fu condannato ad essere squartato da due cavalli in corsa; Tito Livio commenta
dicendo che questa è una violazione dello <i>ius humanum</i>. Dal che noi dobbiamo dedurre in cosa consista lo <i>ius </i>in questione (osservo io: che è come dire che mangiare con le mani sporche di terra non igienico, dal che dobbiamo dedurre cosa si intenda per igiene). E' chiaro che dietro questo <i>ius </i>ondeggia l'idea del rispetto dell'integrità strutturale dell'individuo, ovvero il rispetto dei requisiti minimi in forza dei quali un uomo può definirsi tale: l'incolumità fisica come garanzia da torture e mutilazioni è sicuramente uno di questi. </span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0">Su questa linea 'liviana' può certamente collocarsi il romanziere Edgar Doctorow che, nella sua opera intitolata <i>Ragtime</i> (1974), dice
che gli Human rights coprono uno spettro amplissimo di diritti, ma l'idea diffusa è che l'importante sia tutelare quelli minimi come la libertà
di parola o essere garantiti dalla legge; più spesso ancora, l'appello ai diritti umani si compie quando quando si esige da colui che può disporre pienamente di noi, e quindi potrebbe essere il nostro carnefice, la garanzia minima di incolumità, quindi non
venire torturati o mutilati o uccisi.<i> Il minimo</i> inteso come il minimo quando si
è stati deprivati di tutto.</span><span style="mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><br /></span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0">E del resto l'universalismo stoico, di cui sommo rappresentante latino è S.E.N.E.C.A. non ci dice che siamo tutti fratelli perché la natura ci ha generati uguali?</span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
Sin qui le analogie tra noi e gli antichi. Certo, non possiamo trascurare alcune cospicue differenze, perché la realtà è sempre più complessa dei poveri schemi che ci inventiamo quotidianamente per ingabbiarla.</div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"><o:p>Per dire, <a href="http://www.storiain.net/storia/saint-just-angelo-e-demone-della-rivoluzione/" target="_blank">già il vulcanico Saint- Just</a>, ai tempi della Rivoluzione, disse con lepida ironia che i diritti umani rivendicati nel XVIII secolo </o:p></span> avrebbero causato la rovina di Atene e Sparta, poiché l'abolizione della schiavitù sarebbe equivalsa alla rovina totale dell'economia di queste città (si ricordi che per Aristotele lo schiavo <a href="http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaA/arist6yhfs3cmdf.htm" target="_blank">era tale per natura</a>). In effetti non c'è una sola voce tra gli autori classici che si levi per condannare la schiavitù, laddove condannare significherebbe evidentemente abolire. Anche Seneca, <a href="http://www.antiqvitas.it/doc/doc.sen.luc1.htm" target="_blank">nel suo testo pro-schiavi più famos</a>o, arriva al massimo del concedibile, ovvero riconoscere che l'umanità degli schiavi li rende degni di un trattamento migliore rispetto alla norma. Stop.</div>
<div style="text-align: justify;">
Del resto anche S. Agostino, signore assoluto della letteratura dell'interiorità, aveva schiavi al lavoro nei terreni del suo
vescovado. La schiavitù era conseguenza del peccato. Quanto allo schiavo prigioniero di guerra, la schiavitù era conseguenza dell'aver combattuto una guerra sbagliata.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Bisogna quindi andarci piano con la lode
<i>in toto</i> della classicità. Non per dire che questi fossero carnefici senza cuore o al contrario custodi dell'Armonia universale: bisogna far parlare le fonti per capire la LORO perimetratura dei diritti umani, senza applicare retroattivamente le nostre categorie.</div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
Proviamo.</div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">In Attica, moooolto tempo prima della democrazia di cui tutti tessiamo le lodi, c'erano sacerdoti, i bùzigi ("aggiogatori di buoi") che all'inizio dell'anno agricolo praticavano l'aratura sacra per favorire lo svolgimento fausto delle attività. L'aggiogatore lanciava tre maledizioni contro chi negava acqua, fuoco e cibo ai bisognosi (non c'erano discount a ogni pie' sospinto, all'epoca), contro chi non indicava la
strada al viandante (non c'erano i GPS, all'epoca, perdersi era un attimo, ecco perché oggi anche i profughi hanno il cellulare con google maps) e contro chi non seppelliva i morti (s<a href="http://luigi-pellini.blogspot.com/2016/07/riti-funerari-degli-antichi-greci.html" target="_blank">i sa, si sa...</a>). </span></span><span style="mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">Attenzione bene: non si trattava di semplici minacce (un <i>kittemuort</i> generico, per dire), ma formule di maledizione (<i>arài</i> in greco) che si era certi avrebbero sortito effetto in caso di azioni empie tali da scatenare l'ira degli dèi. Rispetto quindi alla sostanziale laicità dei "nostri" diritti umani, i "loro" diritti umani si riferivano a comportamenti dietro i quali era presupposta la presenza vigilante degli dèi.</span></span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
Il che suggerirebbe maggiore attenzione nei confronti della nota interpretazione hegeliana <a href="https://www.rivistazetesis.it/Antigone.htm" target="_blank">del mito sofocleo di Antigone</a>, recentemente ripreso da <a href="https://www.secoloditalia.it/2019/07/ignoranti-lasciate-stare-antigone-lo-studente-bacchetta-roberto-vecchioni/" target="_blank">cantanti- professori</a>: dice Bettini che il pur pregevole filosofo teutonico ha sbagliato assai nel vedere nell'opposizione Antigone- Creonte l'ipostasi del conflitto tra
diritto familiare e diritto pubblico. Agli occhi di Antigone (e probabilmente del "pio" Sofocle)(uno che guidava il vapore <a href="http://www.accademiaplatonica.com/i-misteri-eleusini/" target="_blank">durante i misteri eleusini</a>, sa?) Creonte sta
violando un diritto umano, ovvero sta attirando su di sé una maledizione sul tipo di quelle dei bùzigi: non seppellire Polinice non è un'offesa alla famiglia in nome delle leggi dello Stato, è proprio un atto empio.. Difatti, non appena il re di Tebe toglie la polvere che Antigone aveva sparso sul corpo di Polinice a mo' di sepoltura, subito gli dèi fanno venire un forte vento per rimettercela (quindi, osservo io, Carola Rackete non pertiene più al paragone).</div>
<div style="text-align: justify;">
Proteggere i morti per salvaguardarne la dignità: si noti che il cadavere di Ettore non va in decomposizione, perché gli dèi non vogliono che resti insepolto. Ma perché ciò accada, Achille deve deporre la sua ira e restituire le spoglie ettòree a Priamo, perché, dice Apollo, ora come ora si sta ostinando ad infierire, a rischio di provocare l'ira divina, contro "terra muta" (<i>Iliade</i> XXIV, v. 56). Chiaro? Muta è la terra perché muto è il cadavere di cui si fa scempio, e che vuol dire muto? Vuol dire che non ha facoltà di chiedere aiuto alcuno ad alcuno, quindi Achille sta giungendo ad un limite di sopportabilità divina che ricade nuovamente nella fattispecie dei contenuti delle <i>arài </i>di cui sopra (Apollo d'altronde minaccia...).</div>
<div style="text-align: justify;">
Anche Cicerone, in <i>De officiis </i>I, 52, parla di alcuni valori/diritti comuni (<i>communia</i>) il cui rispetto conferisce saldezza alla società umana: ricompaiono l'obbligo di fornire acqua e fuoco, ma al posto dell'indicare la strada (ovviamente inconcepibile per gente che ha costruito <a href="https://www.storiaromanaebizantina.it/le-infrastrutture-nel-sistema-viario-romano/" target="_blank">le strade migliori del mondo</a> in cui era impossibile perdersi) inserisce la capacità di dare buoni consigli a chi li chiede. Certo, siccome i bisognosi
sono tanti ma i mezzi pochi, prima bisogna preoccuparsi di quelli che sono a
noi vicini. Cicerone è un po' più restrittivo dei greci, pare. Invece Seneca, universalizzando come solo lui sa fare, dice che fornire cibo, indicare la via ecc. è proprio il minimo per sostentare la famiglia umana. </div>
<div style="text-align: justify;">
Resta inteso che, pur con tutti i limiti ora visti, i latini ci hanno consegnato il meraviglioso concetto di <i>humanitas </i>che si traduce come</div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">1) L'essere uomo ed essere riconosciuto
come tale +</span></span><span style="mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">2) Comportamento mite, civile, generoso +</span></span></div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">3) La cultura, aver letto dei libri (</span></span><span style="mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"><o:p></o:p></span>Plinio finito sotto il Vesuvio dice che l'<i>humanitas</i> della vita si fonda sulla carta, cioè sulla lettura).</div>
</div>
<div class="ParaAttribute0" style="line-height: 130%;">
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">Se tutte queste cose a noi oggi sembrano financo ovvie, va detto che il guadagno concettuale proposto dai romani è ENORME: considerando come girava l'etica antica, un comportamento <i>humanus</i>, cioè un modo di agire da <i>homo</i> dell'epoca, poteva anche essere l'atto di infierire sull'</span></span>avversario sconfitto. Invece no, i romani associano l'essere uomini con l'essere civili. Salto notevole. </div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="CharAttribute0"><span style="mso-fareast-font-family: Batang;">Poi certo (</span></span>e qui il ricco resoconto del <i>Bettini's talk</i> lascia spazio alle spocchiose riflessioni del sottoscritto) i detrattori del mondo antico diranno che i padri dell'<i>humanitas</i> erano gli stessi che facevano dilaniare i poveracci nel Colosseo, per tacere del fatto che gli ateniesi si sono sempre ben guardati dal concedere il diritto di voto alle donne. Il fatto è appunto che "quel" mondo è anteriore al "nostro", ma a mio giudizio non nel senso banale di "prima nel tempo", semmai nel senso che "sta davanti": quel mondo ha anticipato certamente dinamiche che hanno caratterizzato molta storia dell'occidente, ma soprattutto ne fornisce la chiave di lettura generale, che è tutta nella più grande conquista artistica del mondo greco, ovvero il senso tragico dell'esistenza. A fronte di posizioni come quelle di molta umanità odierna che non resiste e deve per forza schierarsi in uno qualsiasi degli spogli giardinetti ideologici sul mercato, il senso tragico costituisce un salutare correttivo all'anestesia dello spirito critico inoculata dalle ideologie medesime. Siamo anche discretamente stufi di gente che deve comportarsi da tifosa qualsiasi cosa accada nel mondo, per cui le verità della "propria" parte sono sempre assolute, la ragione è solo la propria, le posizioni degli "altri" sono sbagliate di <i>default</i>. Se la realtà smentisce la validità di idee precotte e assimilate senza vaglio critico, ovviamente è la realtà ad essere sbagliata. Questo muro contro muro perpetuo andrebbe smontato proprio prendendo in considerazione il giudizio che si può dare dei protagonisti del mondo classico.</div>
<div style="text-align: justify;">
A fronte di chi vede solo splendori in esso, siamo i primi a riconoscere che gli inventori della democrazia (in casa propria) hanno ben pensato di diventare imperialisti (all'estero), così come i civilizzatori d'Europa "fanno il deserto e lo chiamano pace" <a href="http://www.inkorsivo.com/agora/non-avrete-mai-la-nostra-liberta/" target="_blank">(cit)</a>. Non c'è, ci insegna la storia di Atene e Roma, progresso storico, civile, spirituale a costo zero: il dominatore fa risplendere la gloria del suo ingegno <a href="https://cristinafrassoni86.wordpress.com/tag/lega-delio-attica/" target="_blank">su un popolo di dominati</a>, la popolazione dominatrice <a href="http://www.storiaromanaebizantina.it/tag/optimates-e-populares/" target="_blank">si polarizza sempre </a>in un nucleo, ristrettissimo, di potenti e in uno, vastissimo, di poveri, cosicché dentro e fuori di essa <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/honestiores/" target="_blank">la logica gerarchica nei rapporti </a>tra gli individui si ripropone ciclicamente. Arriva un momento <a href="http://www.silviaronchey.it/articolo/1/473/Il-vero-Socrate-E-nelle-Nuvole/" target="_blank">in cui l'etica accelera</a> di colpo per osmosi con i mondi degli "altri", ed il benessere seduce i giovani che non se lo sono conquistato e lo ritengono a sé dovuto, attirandosi <a href="https://www.recensito.net/teatro/la-modernita-di-terenzio-al-teatro-romano-di-ostia-antica-pietro-longhi-in-adelphoe.html" target="_blank">i fulmini dei vecchi</a> che non concepiscono la vita che non sia sacrificio, l'agire bene essendo un premio in se stesso che non necessita di ulteriori riconoscimenti; il popolo all'apice del potere <a href="https://www.capitolivm.it/esercito-romano/le-guerre-civili-la-nascita-dellimpero/" target="_blank">può franare per difetto interno</a>, la democrazia intesa come tirannia della maggioranza mal guidata dai suoi capi produce <a href="https://www.panorama.it/cultura/arte-idee/democrazia-popolo/" target="_blank">guasti inimmaginabili</a>, quando in gioco è il potere assoluto <a href="https://books.google.it/books?id=P7ZlDQAAQBAJ&pg=PT321&lpg=PT321&dq=conflitto+cicerone+ottaviano&source=bl&ots=N5Y42Lt4fY&sig=ACfU3U0fCPst_Io6qT5ntKYH9ywGL76eoA&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwinmpnz0NPkAhXF16QKHTAFBhoQ6AEwB3oECAkQAQ#v=onepage&q=conflitto%20cicerone%20ottaviano&f=false" target="_blank">non bastano abili discorsi</a> di fronte alla forza delle armi.</div>
<div style="text-align: justify;">
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma l'idea mi pare chiara: la storia antica ha molto di anticipatorio dell'oggi, anche in molte delle brutture dell'oggi. Eppure quei popoli dal vissuto così contraddittorio sono anche quelli che ci hanno regalato le coordinate per ricercare le Bellezza. Qui sta il senso tragico dell'esistenza, ovvero la presa d'atto che è solo superbia quella di chi pretende di separare sempre con nettezza il bene dal male dall'alto di un perfezione che non possiede. La vera consapevolezza del reale sta nell'incoercibile sforzo verso il bene che deve però misurarsi sempre con la minaccia del male, preso atto che le due forze convivono spesso. Eliminare una delle due, paradossalmente, ci proietterebbe in una dimensione non umana. Questo siamo, invece, in ogni epoca: costruttori di progresso al prezzo dell'imperfezione del medesimo. L'esclusiva del bene non è appannaggio di nessuno.</div>
<div style="text-align: justify;">
Si può dunque davvero schierarsi ideologicamente <i>del tutto</i> pro o <i>del tutto</i> contro gli antichi? No, come non si possono tacere i meriti dei nostri padri anche se nella loro vita magari non hanno azzeccato tutto, e ci permettiamo di farglielo notare: eredi della complessità, dobbiamo progredire consci della nostra perfettibilità.</div>
<div style="text-align: justify;">
Certo, la Bellezza più autentica nasce sempre dal dolore più profondo. Questo è il prezzo dell'<i>humanitas</i>.</div>
</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-17036651389390928042019-09-11T19:38:00.000+02:002019-09-11T19:38:42.797+02:00Machittevòle@festivaletteratura: fascista chi?<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Forse
per il clima apparentemente destreggiante che<a href="https://www.linkiesta.it/it/article/2019/04/30/elezioni-europee-orban-junker/41971/" target="_blank"> si respira </a>(<a href="https://www.youtube.com/watch?v=bo1h4rpG43s" target="_blank">o si respirava</a>) (o
<a href="https://www.huffingtonpost.it/entry/elezioni-nella-rete-frena-la-popolarita-dei-populisti_it_5ce3b595e4b087700993ea9c" target="_blank">qualcuno credeva</a> di respirare) in certe capitali europee, gli attenti
organizzatori del festivàl hanno pensato di farcire il sempre corposo programma
degli incontri con un certo numero di chiacchierate o lezioni singole su
fascismo, nazismo, campi di concentramento, ecc. Al mio occhio di osservatore
ingenuo la cosa potrebbe suonare (sinestesia) come un desiderio di tener viva
la memoria del passato per evitarne certi temuti rigurgiti nell’oggi. Il che è
legittimo. <o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.gundarn.co.uk/gundarn/wp-content/uploads/2012/02/Mine-Storm-Overlay.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.gundarn.co.uk/gundarn/wp-content/uploads/2012/02/Mine-Storm-Overlay.jpg" data-original-height="750" data-original-width="624" height="320" width="266" /></a></div>
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Certo
risulta lievemente spiazzante che proprio uno dei conferenti, l’esimio prof.
Emilio Gentile, imposti la sua conferenza-evento sull’idea che di fascismo ce
n’è stato solo uno, quello storico dal 1921 al 1945 (no, il fascismo del 1919 è
un’altra cosa, <a href="https://youtu.be/o6swBUGsbcQ" target="_blank">chiedetelo a lui</a>), laddove chi si
lamenta dell’esistenza di un fascismo eterno sempre a rischio di reimporsi
nelle società odierne commette un errore macroscopico di fraintendimento del
reale. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Nessuno
stupore: Gentile è allievo di Renzo De Felice, ovvero di colui che tentò di
analizzare il fenomeno del fascismo spogliandolo di tutte le deformazioni
ideologiche & interpretative di parte avversa per identificarne l<a href="https://www.corriere.it/extra-per-voi/2016/05/11/solo-documenti-niente-pregiudizi-grande-lezione-de-felice-330d7a10-179f-11e6-aaf6-1f69bf4270d2.shtml" target="_blank">a natura documentalmente più vicina al vero</a>, anche a rischio di infrangere alcuni dogmi
resistenziali ormai cristallizzati, cosa che in effetti gli costò <a href="http://www.cultora.it/i-conti-con-la-storia-incontro-con-paolo-mieli/" target="_blank">una certa serie di scomuniche </a>nel mondo accademico (e gli garantì l’ammirazione <i>usque
ad consummationem aevi</i> <a href="http://www.ilgiornale.it/news/politica/eroe-che-combatt-lideologia-1194388.html" target="_blank">di Indro Montanelli</a>, ovviamente). <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Gentile
pure, che non ha intenzione punta di riabilitare Mussolini, mette tuttavia in
chiaro alcune cosette che ci hanno titillato molto, non tanto per i contenuti
delle cosette, che si possono ovviamente condividere o meno (spoiler:
tranquilli, il fascismo ne esce a pezzi), quanto per il metodo adottato, che è
quello su cui insistiamo anche noi coi nostri discenti: non parlate a vanvera,
fate dire alle fonti quello che dicono e non quello che vi piacerebbe
dicessero. La lucidità del metodo e il rigore dell’approccio intellettuale
hanno certamente illuminato la già luminosa Basilica palatina di Santa Barbara.
<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Succingendo,
dice Gentile: guai a chi parla di "fascismo eterno" come categoria innata nella
civiltà occidentale che scorre come un fiume carsico pronto a riemergere di
quando in quando. L’errore è già nella definizione, che sottrae questa presunta
categoria a qualsiasi possibilità di analisi storiografica. La storia si occupa
infatti di ciò che avviene <i>nel</i> tempo, mentre ciò che è eterno, come si
sa, si colloca <i>fuori</i> dal tempo, in un immutabile presente. In tal modo,
l’eternità presunta del fascismo renderebbe il fascismo medesimo materia non
trattabile. Ci si occupi quindi delle radici <i>storiche</i> del fascismo,
quelle che le fonti di allora ci illustrano con ampia messe di particolari. Manco
a farlo apposta, Gentile si trovò 40 anni fa proprio a Mantova per studiare
l’attecchimento del fascismo nel mantovano, dicasi una delle zone di più solido
dominio socialista ancora nel 1919, tanto da essere definita “la Pietroburgo
padana”. Tempo un anno e mezzo e il fascismo dominava incontrastato (non posso
citarvi i documenti da lui citati, ma ogni sua affermazione era ottimamente
supportata). Come è potuto accadere? <o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.gametronik.com/site/rubriques/vectrex/Jeux/Star%20Ship/star-ship.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.gametronik.com/site/rubriques/vectrex/Jeux/Star%20Ship/star-ship.png" data-original-height="250" data-original-width="200" /></a></div>
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span>
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Riprendiamo
dal principio. Fascismo storico, dunque. Da delimitarsi entro gli anni di cui
già accennammo e non prima e non dopo e non fuori dall’Italia. Altri si sono
certamente ispirati al fascismo, ma il <i>copyright</i> è nostro (<a href="http://www.ilgiornale.it/news/cronache/invasione-pecorino-straniero-lue-mette-ginocchio-litalia-1272895.html" target="_blank">come quello del pecorino di fossa</a>, del resto). Si badi dunque a non bollare come fascista
qualunque orientamento politico nutrito di nazionalismo esasperato e xenofobia,
culto della violenza e antisemitismo, chè allora sarebbero fascisti pure
certi regimi politici di secoli addietro. No no. Il fascismo, documenti
alla mano, si contraddistingue per alcuni elementi peculiarissimi, e Gentile li
snocciola con lepidezza.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="mso-list: l0 level1 lfo1; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: "times" , serif; line-height: 107%;"><span style="mso-list: Ignore;"><span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;"> 1)</span><span style="font: 7pt "times new roman";"> </span></span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Presa
del potere tramite formazioni armate in seguito inquadrate come forza politica
(no, amico lettore, Pisistrato <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/pisistrato/" target="_blank"><i>non era</i> fascista</a>).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="mso-list: l0 level1 lfo1; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<span style="line-height: 107%;"><span style="mso-list: Ignore;"><span style="font-stretch: normal; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal;"><span style="font-family: "times" , serif;"> 2)</span><span style="font-family: "times new roman"; font-size: xx-small;"> </span></span></span></span><span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Intervento
di tipo antropologico sulla popolazione italiana per trasformarne i caratteri
intrinsecamente deboli e plasmare una nuova società vigorosa, aggressiva e
affamata di futuro (no, amico lettore, Saruman <a href="https://www.youtube.com/watch?v=tgXPRxmHk6Q" target="_blank"><i>non era</i> fascista</a>).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="mso-list: l0 level1 lfo1; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"> 3) Incanalamento
delle attese collettive in una serie di campagne militari volte a dare una
dimensione concreta a questa fame di futuro e consolidare il senso di
appartenenza alla nazione, nazione la cui religione laica si identifica <i>in
toto</i> con l’ideologia fascista (no, amico lettore, Bismarck <a href="https://usandculture.wordpress.com/2014/03/06/come-inventare-una-guerra-bismarck-e-il-dispaccio-di-ems/" target="_blank">non erafascista</a>). Quello che non riuscì, per dire, a <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Francisco_Franco" target="_blank">Francisco Franco</a> e <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Ant%C3%B3nio_de_Oliveira_Salazar" target="_blank">Antonio Salazar</a>, poiché spagnoli e portoghesi erano poco eccitabili rispetto alle bombastiche ambizioni dell'italico italiano (infatti Spagna e Portogallo restarono ben fuori dal secondo conflitto mondiale). <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Già così
il saggio Gentile delimita in modo notevole il fenomeno e risponde, o almeno a
me è parso, alla domanda di cui sopra: il fascismo dilagò persino nella
socialistissima Mantova e provincia anzitutto per la violenza militaresca delle
squadracce che fecero pappetta delle sedi periferiche del partito socialista e
all’occorrenza dei socialisti stessi. La tolleranza mostrata da certa borghesia
industriale, disturbata dai tumulti e dagli scioperi, e la gnecchezza delle
forze di governo fecero il resto. Cose risapute, si dirà. Ma i documenti e le
statistiche su cui la dimostrazione della natura peculiarissima del fascismo
storico si fonda rendono il discorso concreto oltre ogni stratificazione straniante
della memoria collettiva. <o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://videogamecritic.com/images/vec/mine_storm.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="240" data-original-width="206" src="https://videogamecritic.com/images/vec/mine_storm.jpg" /></a></div>
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span>
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Non meno
bum-bum è la domanda (con relativa risposta) se Mussolini abbia creato il
fascismo o il fascismo abbia creato Mussolini. E qui i fuochi d’artificio: dice
Gentile che, documenti alla mano, non può dubitarsi giammai che Mussolini
dovette prendere col tempo le misure al fascismo, giacché egli non ne fu il <i>dominus</i>
incontrastato sin da subito. Anzi, <a href="http://www.iolfree.ie/~alexandros/articles/montanelli/montanelli3.htm" target="_blank">e anche qui Montanelli applaudirebbe</a>,
Mussolini in certo modo mal sopportava i fascisti, o almeno certi fascisti e
certe metodologie fasciste. Per dire: non fu Mussolini a volere la marcia su
Roma, ma il fumantino Michele Bianchi (<a href="http://www.anpi.it/storia/3/michele-bianchi" target="_blank">poi quadrumviro</a>) che, a governo creato,
rinfacciò al Predappiese (tramite lettera appositamente citata, ma voi non
c’eravate, stolti) i propri meriti nell’aver radunato i fascisti per mandarli
nell’Urbe a spaventare Vittorio Emanuele e Facta. Come dire che Mussolini era
agli occhi di Bianchi poco meno che un timido. Così come Mussolini si trovò in
gobba le conseguenze potenzialmente devastanti del delitto Matteotti, delitto
che lui era stato ben lungi dall’ordinare (<a href="https://www.lintellettualedissidente.it/storia/matteotti-mussolini-dramma-italiano/" target="_blank">si sa, si sa</a>...). Detto che il Duce non era esattamente
un gelsomino, il suo polso su tutto il movimento fascista si dovette tuttavia
esercitare a lungo prima di egemonizzare appieno le folle adoranti in camicia
nera, visto che ad agitarle c’era un gruppo di personaggi piuttosto feroci. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Il che,
sia chiaro, non mira a nessuna riabilitazione postuma del Duce, ma
semplicemente ci mostra come una lettura attenta dei documenti consenta di
approfondire la complessità di qualsiasi fenomeno. Non si potrebbe del resto
parlare di riabilitazione dopo che Gentile snocciola altre lettere, stavolta di
monsignor Tardini, prelato di alti incarichi vaticani, che nel 1935, in vista
della guerra in Etiopia, sparava a zero
su Mussolini (<a href="http://www.osservatoreromano.va/it/news/una-conciliazione-per-il-rotto-della-cuffia" target="_blank">alla faccia della conciliazione</a> ecc. ecc.) con espressioni pesantucce
(che ascolterete quando </span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">su <a href="http://archivio.festivaletteratura.it/flm-web/audio" target="_blank">questo sito</a><span style="color: #1152a2;"><span style="background-color: white; letter-spacing: 0.266667px;"> </span></span></span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">sarà disponibile
l’audio dell’intervento, stolti)(comunque qualcosa c’è pure <a href="https://www.academia.edu/30013068/_Il_Fascismo_manda_lItalia_in_rovina_._Le_note_inedite_di_monsignor_Domenico_Tardini_23_settembre-13_dicembre_1935_in_Rivista_storica_italiana_120_2008_1_pp._313-367" target="_blank">qui</a>)(</span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 16px;">prego, eh...).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Sull’altra
mitologia di un Mussolini sin da subito furibondo & assetato di vendetta contro
i traditori del fascismo, quelli cioè che gli levarono il trono da sotto il
sedere nella fatal notte del 25 luglio 1943, oltre che con il connivente
Badoglio, ecco che uno scambio epistolare Badoglio- ex Duce fresco di arresto (vedere <a href="http://www.sergiolepri.it/1943_htm/280743.htm" target="_blank">qui</a>) (ben prima del momentaneo
collocamento fuori ruolo a Campo Imperatore dove i maligni dicono <a href="https://www.ragusanews.com/2010/05/17/attualita/alessandra-mussolini-bruno-vespa-e-figlio-naturale-del-duce/15641" target="_blank">fu concepito Bruno Vespa</a>) getta una luce curiosa sulla vicenda: a fronte di un maresciallo
neo-premier che quasi si scusa per i modi un po’ bruschi della detronizzazione,
resi necessari dalla preoccupazione di garantire l’incolumità personale del
Predappiese, il Predappiese medesimo risponde cordialissimamente e ringrazia
delle premure (!), mettendosi a disposizione dello Stato, da lui fedelmente
servito sin lì, per ogni futura esigenza (!). Il che, di nuovo, non riabilita
in nessun modo il Duce, casomai mostra che, all’altezza della detronizzazione,
la sua percezione delle cose era <i>un attimino</i> sfalsata. Come dimostra del
resto l’ultima lettera citata (che purtroppo mi è sfuggita in gran parte a
causa di inopinate chiacchiere di pubblico accanto a me e gente che si alzava e
chiedeva cose ai ragazzi del <i>service</i>), che penso sia questa <a href="https://dietrolequintee.wordpress.com/2013/06/04/lultima-lettera-di-mussolini-agli-italiani" target="_blank">qui</a></span><span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"> (comunque verificheremo con gli audio)(stolti) in cui un Mussolini ormai alla
frutta trova i colpevoli del fallimento del fascismo in chiunque tranne che in
se stesso. Nessuna contrizione, osserva Gentile: come si poteva pretendere che
uno così ridotto capisse cosa stava succedendo a lui e agli italiani?<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><span style="mso-spacerun: yes;"><br /></span></span>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://preview.redd.it/acfjmd56bzd21.jpg?width=960&crop=smart&auto=webp&s=142a6985945f25eef52790b0fe1c15d59d6cd124" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="180" src="https://preview.redd.it/acfjmd56bzd21.jpg?width=960&crop=smart&auto=webp&s=142a6985945f25eef52790b0fe1c15d59d6cd124" width="320" /></a></div>
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><span style="mso-spacerun: yes;"><br /></span></span>
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><span style="mso-spacerun: yes;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">E così,
tra scrosci di applausi, termina la conferenza. Per quanto mi concerne, trovo
importantissima la linea metodologica interamente basata su documenti, che
possono certo essere passibili di interpretazioni anche opposte, ma sono materiali
<i>concreti</i>, non chiacchiere volanti o idee rimasticate per sentito dire
come spesso accade nella nostra twitter-crazia. </span><br />
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Non secondaria è la convinzione
gentiliana che uno solo è stato il vero fascismo, laddove l’estensione del
termine a fenomeni solo superficialmente affini rappresenta un abbaglio
intellettuale che genera a sua volta non pochi problemi. Sia chiaro: l'esimio studioso è ben conscio del pericolo insito in certi atteggiamenti che rigurgitano odio razziale <i>et similia</i>, ma per lui il fascismo è morto con Mussolini. I problemi di oggi, al netto delle costanti positive e negative dello spirito umano la cui memoria non può mai svanire, vanno affrontati con le categorie di oggi. E qui mi permetterei di allargare il discorso (spocchiaaaaa).</span><br />
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">In effetti, nonostante
il ‘900 sia schiattato da un po’, le sue ideologie più resistenti non cessano
di esercitare un certo fascino anche su giovani menti che, del tutto ignare dei
fondamenti storico-socio-filosofici delle ideologie medesime, si dichiarano
avventurosamente comunisti e (neo) fascisti pur non avendo assolutamente idea
di cosa si stia parlando. Mi capitò di chiedere ad un giovane (sedicente)
attivista di ultrasinistra quali fossero i suoi testi politici di riferimento e
i pensatori- guida, o perlomeno le idee forti su cui piedistallava la sua
azione. Risposta: “Mah, così, in generale…”. Così come non poco sconcerto mi
causò un dibattito tra miei allievi nei tragici giorni della morte <a href="https://www.agi.it/cronaca/eluana_englaro_10_anni-4974210/news/2019-02-09/" target="_blank">della povera Eluana Englaro</a>. Se in un primo momento notai che gli studenti si dividevano
piuttosto nettamente in due fazioni pro e contro l’eutanasia, grande fu la
sorpresa allorché, finite le argomentazioni di base, i favorevoli all’eutanasia
cominciarono a dare dei fascisti a quegli altri che condannavano il gesto di
Beppino Englaro, ricevendo in cambio l’appellativo di comunisti. Che senso
aveva ricondurre due posizioni su un simile <i>delicatissimo</i> argomento a
categorie politiche decotte, che oltretutto nulla c’entravano? Ma soprattutto, perché, nel secolo ventesimo primo, dovrebbe avere davvero senso dichiararsi di destra e di sinistra, visto che il mondo che ha prodotto quelle categorie non esiste più, o meglio si è evoluto in tutt'altro? E perché in un'epoca in cui il progresso democratico e tecnologico <i>dovrebbe </i>favorire la libera autodeterminazione dell'individuo, si rimane ancora ingabbiati nei 'pacchetti tutto compreso' delle ideologie? Sento spesso gente 'di destra' dichiarare in rigoroso filotto di essere nazionalista, non-ambientalista e filo-americana, laddove gente 'di sinistra' è rigorosamente terzomondista, ambientalista e filo-qualsiasi cosa non siano gli USA (con addentellati pro o contro Israele e la Palestina). Pare che un menù <i>à la carte</i>,<i> </i>in cui uno possa liberamente scegliere posizioni appartenenti in teoria a schieramenti ideologici diversi, diventi automaticamente taccia d'incoerenza o cerchiobottismo. Detto poi che, al loro primo vagito (<a href="https://www.youtube.com/watch?v=1tyuHhD1vtI" target="_blank">avevano appena ammazzato Lady Oscar</a>), 'destra' e 'sinistra' ovviamente nulla dicevano rispetto ai pacchetti di cui sopra (figurarsi sull'eutanasia). Sarebbe come aprire il barattolone di latta dei biscotti danesi e trovarci dentro un set per il cucito (<a href="https://www.reddit.com/r/funny/comments/1h2o80/when_i_was_a_kid_i_would_notice_this_at_my/" target="_blank">ma quando mai..</a>.). </span><br />
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Bello sarebbe, sulla scorta del magistero gentiliano, deformare la realtà il meno possibile. Essa, si capisce, sarà sempre una ri-creazione delle singole coscienze soggettive e quindi mai uguale per tutti. Ma tra il non poter cogliere la cosa-in-sé e convincersi che una mela è una pera ce ne passa.</span><br />
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">("C'è tutto negli archivi, basta aprirli", cit.)</span><br />
<br /></div>
<br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-31152960510369684032019-09-09T21:09:00.000+02:002019-09-10T20:31:17.352+02:00La politica spiegata con la scuola (tanto noi facciamo tre mesi di ferie...). <div style="text-align: justify;">
[Intro: chi scrive non si sente attualmente rappresentato da nessuna delle formazioni politiche che siedono in Parlamento. La presente analisi va quindi letta non tanto come commento ai più recenti fatti, che pure sono citati, men che mai come <i>endorsement</i> ai fatti di oggi pomeriggio, che dimostrano gli effetti catastrofici di un turno elettorale che ha prodotto TRE minoranze parlamentari che si odiano, ma come riflessione distaccata e generale su uno dei tanti mali della nostra politica]</div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/32/450_roman-hunnic-empire_1764x1116.jpg/310px-450_roman-hunnic-empire_1764x1116.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="196" data-original-width="310" src="https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/32/450_roman-hunnic-empire_1764x1116.jpg/310px-450_roman-hunnic-empire_1764x1116.jpg" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">La
maturità politica di un popolo si coglie evidentemente in alcuni momenti <i>clou</i>
della vita nazionale, ad esempio in occasione delle elezioni; le quali elezioni
si suppone diano luogo alla creazione di una maggioranza parlamentare,
maggioranza che a sua volta deve sostenere il governo, si spera, per tutta la
durata di una legislatura, salvo inconvenienti. Succede nella nostra bella
Italia che questa regola basilare della democrazia parlamentare sia stata
sempre interpretata in modo alquanto elastico: non è necessario che il ‘salvo
inconvenienti’ sia rappresentato da qualche maxi-scandalo, o qualche maxi-
defezione di parlamentari o qualche maxi-qualcosa talmente detonante da
obbligare ad un rimpasto governativo o addirittura alle elezioni anticipate. Da
noi i governi e le relative maggioranze, durante una singola legislatura, si
sono sempre distinti per la loro consistenza pongoide, nel senso che, ad ogni
stormir di capriccio anche della formazione partitica più spiccicoforme, i
governi cadevano, i ministri ruotavano, i sostenitori e gli avversari
dell’esecutivo entravano e uscivano dalle coalizioni come fossero porte
girevoli. Si potrebbero citare innumerevoli episodi di tutta la nostra storia
repubblicana. Ma non qui.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Qui ci
preoccuperemo di un preciso caso pongoide, ovvero la fissazione solo nostra di
ritenere <i>tutte</i> le elezioni che avvengono nell’arco della legislatura
elezioni politiche, motivo per cui le maggioranze governative possono
ridefinirsi in perpetuo. Con evidente nocumento alla continuità dell’azione
amministrativa del Paese.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><a href="https://www.nextquotidiano.it/salvini-ha-deciso-la-crisi-al-papeete/" target="_blank">L’exploit agostano</a> di Matteo Salvini non è che l’ultimo esempio di questa italica
patologia: le elezioni europee hanno sancito un copioso 34% di consensi
per la Lega, quasi il doppio rispetto alle politiche di un anno fa, <i>ergo</i>
l’attuale maggioranza di governo non rappresenta più i <i>veri </i>orientamenti
politici degli italiani, quindi si possono mandare tranquillamente tutti a casa
con l’indizione di nuove elezioni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Prescindendo
da tutto quello che è successo dopo, fino a stasera intendo, il ragionamento salviniano non è affatto
nuovo: la litigiosità e lo scarso senso istituzionale di molti politici porta
ad accettare l’esito delle elezioni politiche non fino al prossimo turno, ma <i>finché
non cambia qualcosa</i>, e qualcosa può cambiare ben prima della scadenza della
legislatura. Perché? Perché l'avversario va delegittimato a priori. E' vero che anche ai tempi primorepubblicani il fuoco reciproco<a href="https://www.nextquotidiano.it/salvini-ha-deciso-la-crisi-al-papeete/" target="_blank"> </a><a href="https://www.lastampa.it/cultura/2017/06/22/news/quando-l-avversario-politico-non-ha-il-diritto-di-esistere-1.34582472" target="_blank">non mancava</a>, ma erano altri tempi, c'era un partito unico
vincitore (DC) che di volta in volta <a href="http://www.ilgiornale.it/news/cronache/secolo-scudo-crociato-cos-ha-chiuso-davvero-dc-1725614.html" target="_blank">doveva piluccare consensi dalle sue </a><i><a href="http://www.ilgiornale.it/news/cronache/secolo-scudo-crociato-cos-ha-chiuso-davvero-dc-1725614.html" target="_blank">mascotte</a>
</i>(PSI, PRI, PSDI, PLI)(molto <i>vintage</i>, n’est-ce-pas?), il PCI sparava a zero, ma le parti in commedia erano fisse: adesso che le
coalizioni lottano ad ogni turno per sedere al posto di comando, lo sport
prediletto dei politici sconfitti è da 25 anni la delegittimazione <b><i>perpetua</i></b>
dell’avversario vincitore o (<i>new entry</i> salviniana) lo scalzamento <i>in
itinere</i> dell’alleato. Cioè: siete al governo, ma non dovreste. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">L’errore
di questa impostazione può comprendersi con una comoda metafora scolastica
(sospiro sconsolato di metà dei lettori), ovvero <a href="https://didatticapersuasiva.com/didattica/valutazione-formativa-e-sommativa" target="_blank">la distinzione</a> tra verifiche
formative o <i>in itinere</i> e verifiche sommative, quale che sia la loro
declinazione specifica a seconda degli insegnanti e delle materie. La verifica
formativa, all’interno di un modulo didattico, può servire per comprendere se
lo studente ha chiaro il percorso in atto e se sta facendo propri i contenuti
proposti dal docente: non è necessario che tale verifica produca una votazione
numerica, o se la produce, essa risulta di grado inferiore rispetto a quella
della verifica sommativa, dicasi la prova finale che accerta l’acquisizione di
conoscenze, capacità e competenze relative a quella parte di programma: quest’ultima
sì prevede una votazione che, insieme a quella delle altre verifiche sommative
del (tri) (quadri) (penta) mestre, produrrà la media finale su cui poi si
deciderà il voto in pagella.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Al di là
delle singole declinazioni (e della fuffa pedagoghese), si diceva, la verifica
formativa più <i>basic </i>può essere semplicemente la richiesta di un <i>feedback</i>
dal posto a due-tre studenti circa l’argomento delle lezioni precedenti,
oppure, nel caso di moduli lunghi & impegnativi, la somministrazione di
questionari di riepilogo o qualsiasi altro strumento che consenta un riscontro
sul breve periodo dell’efficacia dell’attività didattica, in modo che lo
studente comprenda le criticità e le corregga prima della verifica sommativa.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Si
capisce il senso di questa metafora (che come tutte le metafore non è MAI
sovrapponibile alla situazione di partenza, quindi non perdete tempo ad
esercitarvi coi distinguo): le elezioni politiche sono le verifiche sommative a
cui si giunge dopo una legislatura punteggiata certamente da altri appuntamenti
elettorali ‘formativi’ (comunali, regionali, elezioni europee), il cui
risultato è però solo <i>sintomatico</i> di un certo atteggiamento
dell’elettorato rispetto all’azione di governo, ma non può diventare motivo
valido per chiedere <i>ogni volta </i>dimissioni o cambi in corsa di
maggioranze. Esattamente allo stesso modo la verifica formativa serve allo
studente e al docente per capire se le conoscenze vengono introiettate con
profitto o meno: uno studente non rischia <i>ogni volta </i>che gli si abbassi
la media se non è riuscito a dare un feedback accettabile circa gli argomenti
del modulo, né deve temere che <i>ogni domanda</i> di comprensione proveniente
dal docente si traduca in voto, così da rischiare il recupero a settembre un
giorno e schivarlo il giorno dopo (come dite? Una volta i docenti entravano in
classe e interrogavano a caso senza preavviso, perché avevano la luna storta, e
un votaccio su tre aoristi in quindici secondi sanzionava il debito a fine anno?
Altri tempi…).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Questa è
la radice del problema, ovvero la perenne inquietudine elettorale da cui siamo
afflitti: ai tempi del (semi-) maggioritario col <i>mattarellum</i> la
coalizione di maggioranza aveva più deputati p<a href="https://scenaripolitici.com/2009/08/litalia-nellurna-1994-2010-evoluzione-del-voto-italiano-5-elezioni-politiche-1996.html" target="_blank">ur avendo ricevuto meno voti dell’altra</a>? Subito l’altra coalizione scendeva in piazza al grido di:<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“Dimettetevi, non siete maggioranza nel
Paese!” (ottobre 1996, by the way). E vabbè. Giro di elezioni regionali <a href="https://www.repubblica.it/2005/d/sezioni/politica/regio2005/terrevt/terrevt.html" target="_blank">e sonora débacle dellacoalizione di governo</a>? L’opposizione tuonava al grido di: “Dimettetevi, non
siete maggioranza nel Paese!”. Il voto amministrativo in una o due grandi città
produce <a href="https://www.ilfattoquotidiano.it/2011/05/16/amministrative-a-milano-la-moratti-cerca-la-vittoria-al-primo-turno-incognita-napoli/111494/2/" target="_blank">maggioranze opposte a quella governativa</a>? “Ascoltate il segnale delle
città più rappresentative, dimettetevi, non siete più maggioranza nel Paese!”.
E avanti così. Il problema è che chi governa si dimentica, o glielo fanno
dimenticare, che <i>l’unico</i> mandato degli elettori a legittimare il
Parlamento e le sue maggioranze è quello delle elezioni politiche, esattamente
come sono <i>solo</i> i voti sommativi a creare la media per la pagella (sulla
cui definitività poi influiscono altri elementi, ma naturalmente le metafore
contano anche per quanto di non sovrapponibile c’è in esse)(<i>repetita iuvant</i>).
Anche di fronte alla più catastrofica consultazione amministrativa, chi governa
dovrebbe dire a tutti, <i>in primis</i> alla propria maggioranza: “Cari tutti,
gli elettori ci dicono che sono scontenti di come abbiamo lavorato sin qui.
Cerchiamo di aggiustare il tiro, sennò alle prossime politiche finiamo
all’opposizione”. Stop. Non sarebbe nemmeno il caso di aggiungere: “L’unico
mandato e gli unici numeri parlamentari che contano sono quelli scaturiti dalle
elezioni politiche: l’elettorato cui dobbiamo il nostro essere in carica è <i>quello</i>
e se adesso non è più tale dobbiamo recuperarlo. Ma smontare tutto, no”. Eppure
andrebbe fatto tutte le volte. Cosicché o il governo cade o resta in carica in
condizioni di perenne precarietà, sempre nel timore che qualcuno sposti un
mattoncino e venga giù tutto. E alla fine, fermandoci solo agli ultimi 25 anni:<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><b><br /></b></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><b>XII
legislatura</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Berlusconi
1 (1994) </span><span style="font-family: "times" , serif; font-size: 16px;">–</span><span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12pt;"> caduto per defezione
inchiestogenica della Lega.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Dini
(1995-1996) – mandato a morire per fare nuove elezioni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><b>XIII
legislatura</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Prodi 1
(1996- 1998) – caduto per la legge finanziaria e UN voto di meno nella
questione di fiducia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">D’Alema
1 (1998-1999) – caduto per capricci interni alla maggioranza, nonché per l’onda
lunga del disastro amministrativo di Bologna, persa dalla sinistra per la prima
volta nel dopoguerra, disastro dietro cui i più dietrologi vollero vedere il
colpo di coda di Romano Prodi (Bologna, 1939), infuriato per la fine del suo
governo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">D’Alema
2 (1999-2000)<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>– caduto per elezioni
regionali poco felici.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Amato 2
(2000-2001) – mandato a morire per fare nuove elezioni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><b>XIV
legislatura</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Berlusconi
2-3 (2001-2006) – reimpastato dopo regionali poco felici.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><b>XV
legislatura</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Prodi 2
(2006-2008) – caduto per la ripicca di TRE senatori.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><b>XVI
legislatura</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Berlusconi
4 (2008-2011) – caduto per terremoti interni e defezioni multiple.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Monti (2011-2013)
– sfiduciato in itinere e mandato a morire per fare nuove elezioni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><b>XVII
legislatura</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Letta
(2013-2014) – sfiduciato dal suo stesso partito.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Renzi
(2014-2016) – suicidato via referendum (60% contro) a fronte di un 40% del PD
alle europee di due anni prima.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Gentiloni
(2016-2018) - mandato a morire per fare nuove elezioni<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><b>XVII
legislatura</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Conte 1
(2018-2019) – caduto per esito di elezioni europee <i>troppo</i> favorevoli ad
uno dei due partiti della coalizione.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Prescindendo
da <i>tutti</i> i microsismi provocati da <i>tutte</i> le consultazioni
intercorse tra una legislatura e l’altra (coi relativi <i>dimettetevi!</i>), il
saldo è 14 governi in 25 anni. Come se tutti i Consigli di classe in un anno
fossero scrutini. Immaginate l’impazzimento degli alunni. Ecco: adesso trasferitelo
all’Italia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span>
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br /></span>
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">[P.S.:
dopodiché, siccome si diceva che le metafore contano anche per quanto non c’è
di sovrapponibile tra i loro termini (visto che gli studenti non eleggono i
docenti)(<i>repetita iuvant</i>), c’è tanto di scapicollatezza nei politici
quanto in noi elettori, vero? Guardate ancora il <i>resumé</i> di cui sopra: in
25 anni non è MAI successo che la coalizione vincente alle elezioni si sia
riconfermata a quelle successive. Perché? Da un lato non è nemmeno MAI successo
che la coalizione di governo che aveva iniziato la legislatura fosse la stessa
che la concludeva (escluso il cdx 2001-2006), dal momento che girotondi di
deputati, grazie all’assenza di vincoli di mandato, hanno SEMPRE ridisegnato la
seggiografia del Parlamento; facile dunque supporre un certo disorientamento
nel corpo elettorale. Facile però anche riconoscere come NOI elettori siamo
spesso presi da attacchi di erbavoglite acuta, per cui salutiamo come il Messia
qualsiasi candidato premier che prometta mari & monti, lo accompagniamo come
il salvatore della Patria salvo poi dismetterlo non appena fallisce
nell’esaudire entro un mese dall’insediamento proprio <i>quella </i>promessa
per cui l’abbiamo votato, come se esistessero solo le nostre esigenze e non ne
fosse differibile il soddisfacimento. Siamo sempre NOI quelli bravi a
pontificare sulle mancanze degli altri, ma poi quando ci troviamo a compiere
quelle mancanze medesime “eh, ma sai, il mio è un caso particolare…”, siamo noi
che ci serviamo di chi ci sta sui cosiddetti facendocelo amico quando occorre
per poi rigettarlo nel limbo, noi che ci indigniamo quando qualcuno va avanti
grazie “al favorino dell’amico mio”, poi se il favorino tocca noi col piffero
che lo rifiutiamo, noi che pur di vedere il nemico che affonda invece di far
fronte comune contro un problema collettivo [chessò, i tagli alle ore di
latino…], godiamo di andare a fondo assieme a lui al grido di “mal comune mezzo
gaudio”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Questi
siamo NOI. LORO sono semplicemente lì a rappresentarci.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Tienn ‘a
mment.] <o:p></o:p></span></div>
<br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-91226854052867489692019-06-05T20:34:00.000+02:002019-06-05T22:13:17.973+02:00Post-humanism Q&A - 2. La dialettica fiocca.Mentre elaboriamo risposte per le domande dei nostri affezionati lettori, procediamo in ordine di presentazione.<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<b>Q:</b> Eligio, una sana attività di <i>cooperative learning</i> basata sul <i>problem solving</i> consente di sviluppare <i>soft skills</i> e attitudini al lavoro d'<i>équipe</i>, di modo che tutti, secondo le proprie capacità, possono contribuire alla riuscita del compito di realtà. Non è bello rispetto alla scuola selettiva che mette automaticamente all'angolo chi non capisce tutto e subito? Non è più bello consentire a ciascuno di attivare i propri stili cognitivo- operativi in vista della completezza della realizzazione finale?</div>
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<b>A:</b> Il problema e quello di tutte le rivoluzioni quando si pretende di sostituire ad un sistema ritenuto negativo (perché troppo chiuso e a favore solo di certi e non di altri) un altro sistema parimenti chiuso e parimenti discriminante. E' sempre una questione di misura: il <i>cooperative learning </i>e tutto il resto possono certamente applicarsi ai compiti di realtà, ma la cosa porta direttamente ed unicamente a situazioni concrete da cui si esclude in automatico l'esigenza di ragionamenti altamente astratti. Il che va benissimo per coloro che da anni ormai demonizzano le vuote nozioni a vantaggio della sana educazione alla praticità: peccato che se oggi siamo quello che siamo e non siamo rimasti a spaccare cocchi e ciucciare midolli dalle carcasse è stato proprio grazie allo sviluppo delle capacità di astrazione alta, se non altissima. La quale, certo, deriverà dal contatto con la realtà empirica (anche se qui il discorso aprirebbe scenari vertiginosi e dibattiti infiniti), ma poi si solleva da essa e giunge là dove i traguardi della scienza documentano l'eccellenza dello spirito umano. Ora, nessuno mette in dubbio la democraticità del <i>cooperative learning</i>, ma bisogna stare attenti a non confondere democrazia con svilimento dell'eccellenza. Uno studente bravissimo nei ragionamenti astratti se non astrattissimi non potrà non trovarsi a disagio se messo di fronte sempre e solo a compiti di realtà. Non perché noi si cerchi di forgiare genietti alienati a tutti i costi, ma non si può ribaltare del tutto la didattica pretendendo di piegare alla perenne soluzione dell'<i>hic et nunc</i> attitudini che di fatto ci hanno portati, tanto per dire, alla psicoanalisi e alla fisica quantistica. Se il compito di realtà e tutto quanto ne consegue serve a inserire nel gioco didattico chi non eccelle nell'ambito del ragionamento astratto, ben venga. A patto che non si verifichi la penalizzazione inversa. Se il compito di realtà serve a iniettare una sana dose di realismo empirico a gente che rischierebbe di svolazzare sempre e solo nell'iperuranio, a rischio magari di sprofondare nella propria psiche, si può fare: con l'avvertenza, però, che chi è fatto per l'iperuranio prima o poi torna lì, e sarebbe un delitto volerlo tirare giù a forza, strappandogli le ali. Non per lui solo: per il bene dell'umanità tutta. In sintesi: tutto sì, ma un po' di tutto.</div>
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<b>Q: </b>Eligio, non trovi deliziosamente democratica la didattica per <i>flipped classroom</i> che finalmente abbatte i muri tra docente e alunni? Non è più appassionante se lo studente non si limita a subire le nozioni che apprende ma le organizza autonomamente?</div>
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<b>A:</b> Niente da dire. Dipende da quanto però il docente vuole rimanere tale e non limitarsi a diventare facilitatore o peggio semplice uditore delle <i>performances </i>degli alunni. Possiamo flippare tutto quello che vogliamo, basta che sia sempre ben chiaro che <i><b>loro</b></i> possono crearsi la didattica perché<i><b> noi</b></i> li guidiamo dall'alto di una superiore visione globale della materia, visione generata, rassegnatevi, dal fatto che noi ne sappiamo di più e padroneggiamo le più diverse metodologie di insegnamento, verifica e valutazione. Il che non vuol dire che noi sappiamo tutto e loro niente: si imparano sempre un sacco di cose dai ragazzi. Però noi ci possiamo permettere di ampliare lo spettro delle nostre conoscenze, anche grazie agli alunni, perché abbiamo alle spalle un bagaglio che loro, per motivi puramente anagrafici, non hanno. Si capisce insomma che a noi cale poco delle ridicole utopie che vorrebbero l'orizzontalità del rapporto docente-alunno, il rifiuto della visione gerarchica del sapere e la trasformazione della scuola in un ufficio di Google perpetuo. Ma anche qui non è che noi non ci si creda per vacuo narcisismo personale: le occorrenze del globo terrestre ci obbligano a questa forma di resistenza contro gli slogan oggi più in voga. Per un semplice motivo: che la 'nuova' didattica sia palestra di democrazia perché fa saltare le gerarchie tra docente e discente, possono crederlo giusto i bambinologi che vedono il mondo con gli occhiali rosa: vediamo già a sufficienza i deleteri effetti dell'assurda pretesa che il sapere sia solo una costruzione individuale senza una guida esperta. Dipendendo infatti come pellegrini sitibondi da internet, volendo convincerci che tutti possono tutto, ecco che ci siamo trovati sul groppone i terrapiattisti e i No-vax (sì, stiamo prendendo posizione, non siamo un blog cerchiobottista: le Big Pharma hanno le loro ENORMI colpe, né ci piace la medicalizzazione perpetua della gente, ma tornare indietro a prima della penicillina anche no), gente che si permette di smentire secoli di scienza in nome del democratico convincimento che la scienza serve alle <i>élites</i> per difendere le loro rendite di posizione mantenendo nell'ignoranza e nello sfruttamento le masse. Ora che le<i> élites pure </i>abbiano colpe ENORMI circa il degrado culturale e morale della nostra civiltà è abbastanza chiaro, ma è parimenti paradossale che proprio l'istupidimento generale da queste <i>élites</i> voluto per raggiungere l'obiettivo delle quiete masse consumatrici e tonte produca sì dei tonti, che però si ribellano alle <i>élites</i> medesime che così tonti li hanno voluti. Ma questa è un'altra storia. Rimanendo in argomento scuola, noi non vorremmo mai che questo sbullonamento della direttrice docente-discente provocasse le scene da delirio che potete godervi <a href="https://www.youtube.com/watch?v=44cZCmtGoJM&t=1486s" target="_blank">qui</a>: è un rischio di cui tener conto se, sotto la superficie delle 'nuove' metodologie, l'intenzione di fondo è l'erosione dei fondamenti e quindi degli obiettivi più alti della didattica, che non sono questo o quel power point, ma <b><i>arrivare a costruire</i></b> questo o quel power point avendo sviluppato spirito critico, capacità di scelta, organizzazione del discorso, finezza dei collegamenti: tutte cose, rassegnatevi, che non vengono spontaneamente mentre si clicca qua e là sul web, ma si sviluppano perché un'autorità superiore (tremate, ho scritto S.U.P.E.R.I.O.R.E.) ha guidato il lavoro dei ragazzi. E poi, in termini di educazione, cosa c'è di così grave se ad un adolescente viene messa di fronte la figura di un adulto che ne sa più di lui? Non è forse massimamente stimolante fare di costui un modello da imitare, e superare magari, ma solo dopo una lunga e faticosa gavetta di errori, correzioni e miglioramenti (tradotto: non diventi quello che sono io perché mi metti insieme due slide su Virgilio)(e vabbè, datemi dello spocchioso...)(e non ho citato Seneca...)? Sfido chiunque a dire che questa 'verticalità' umilia lo studente o lo disincentiva ad imparare.<br />
Questa è la nostra idea e così, secondo il nostro spocchioso parere, si creerà una democrazia di individui responsabili e utili alla società, e non una massa di parlatori a vanvera che giocano ad abbattere il sistema: a meno che non preferiate la <i>flipped medicine</i>, con pazienti che vanno a spiegare al medico come curarli 'perché l'ho letto su internet'. Attenzione, gente: le democrazie muoiono quando la libertà diventa anarchia.<br />
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[N.B.: se alla fine della lettura avete concluso che qui si sia sostenuta piattamente l'equazione <i>flipped classroom </i>= no- vax, il vostro problema si chiama analfabetismo funzionale, per la qual cosa vi rimandiamo <a href="https://www.lastampa.it/2017/01/10/blogs/il-villaggio-quasi-globale/il-per-cento-degli-italiani-analfabeta-legge-guarda-ascolta-ma-non-capisce-MDZVIPwxMmX7V4LOUuAEUO/pagina.html" target="_blank">qui</a>]<br />
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Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-85134523454992664782019-05-28T21:01:00.000+02:002019-05-28T21:01:04.377+02:00Senecana (4): tutto si tiene, in salute e malattia.<div style="text-align: justify;">
Certo, se corpo e anima sono costituiti dalla stessa materia, è facile che si influenzino a vicenda. </div>
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Già i filosofi stoici parlavano di disturbi solo fisici, solo psichici, fisici a ricaduta psichica, psichici a ricaduta fisica.</div>
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Immaginiamo che due dei quattro umori che albergano nel nostro corpo (la bile nera e la bile gialla) si infiammino: verosimilmente, il pneuma coibente, scorrendo nelle zone del corpo dove tali umori sono presenti, prenderebbe su di sé le loro pericolose alterazioni, ma farebbe qualcosa di più del solito. Facoltà delle due bili è quella infatti di far ammalare non solo il corpo, ma anche l'anima: esse riescono infatti a provocare un'anomalia nel pneuma che gonfia la psiche e allo stesso tempo la abbatte mostruosamente dopo averla gonfiata (o viceversa). Si verificano dunque due disturbi opposti eppure interconnessi, la mania (causata dalla bile gialla) e la melancolia (causata dalla bile nera), dicasi una pazzia furiosa e una depressione rabbiosa. Il maniaco ride, corre senza controllo, è violento, è colpito da allucinazioni di fuoco, il melancolico sfugge dagli uomini, non dorme, non mangia, piange e grida senza un motivo, è colpito da allucinazioni pallide.</div>
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Non sfugga che l'interpretazione pneumatica di queste malattie apre a scenari di impressionante modernità: se già risulta agevole per questi medici spiegare i disturbi psico-somatici come semplice passaggio di un male dal pneuma-corpo al pneuma-anima, nessuno stupore che essi giustifichino allo stesso modo anche il processo inverso. Come negare la possibilità che sia l'anima ad ammalarsi <i>per prima</i> e <i>di conseguenza</i> influenzare il corpo? Un forte accesso d'ira, un amore deluso, un lutto, qualsiasi evento negativo insomma si imprime sull'anima e la abbatte o al contrario la accende e tale alterazione, nuovamente, si trasmette al pneuma coibente che traduce in sintomi fisici il malessere psichico. Ecco pertanto descritte due malattie ad eziologia biunivoca, nel senso che il loro tragitto può indifferentemente partire dal corpo o dall'anima e interessare l'altro elemento. </div>
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C'è altro, tuttavia: bile gialla e bile nera si possono infiammare, ma soprattutto possono influenzarsi a vicenda, per il semplice motivo che la bile gialla è costituita dalle qualità del caldo e del secco, quella nera dalle qualità del secco e del freddo. Il secco dunque accomuna questi due umori, la secchezza eccessiva può affliggere il pneuma sulla scorta di un doppia anomalia, sì che ci vuol poco a che il pneuma si squilibri prima nel senso del caldo e poi in quello del freddo, come se i due tipi di bile in un certo senso si contendessero la possibilità di far ammalare la nostra energia aggregante. Pertanto, è facile che chi viene afflitto da mania prima o dopo manifesti i sintomi opposti della melancolia, così come il melancolico può passare di colpo dalla depressione all'euforia folle. Parliamo in questo caso di disturbo bipolare. </div>
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Quando però la giusta misura si sbalestra, nulla è più sotto il controllo del malato: si può partire melancolici, avere accessi di mania e ritornare melancolici; si può al contrario essere sconvolti dalla mania, cadere nella melancolia e di nuovo riaccendersi di furore. Non si può quindi parlare di mero disturbo bipolare, ma addirittura ciclotimico. </div>
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Biunivocità bipolare ciclotimica: quale psichiatra avrebbe da ridire? </div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-61887301878799179742019-05-27T21:50:00.000+02:002019-05-27T21:50:12.590+02:00Post-humanism Q&A: una ciliegia tira l'altra (1).<div style="text-align: justify;">
Il nostro ameno post sui nostri ameni dubbi sull'altrettanto ameno post-umanesimo mi ha garantito l'accensione di un ameno dibattito che merita qui ulteriore, spocchioso, approfondimento.</div>
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<a href="https://www.gonagaiworld.com/wp-content/uploads/2016/04/professor-shiba.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="640" height="240" src="https://www.gonagaiworld.com/wp-content/uploads/2016/04/professor-shiba.jpg" width="320" /></a></div>
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<b>Q: </b>Eligio, quindi tu difendi a spada tratta la lezione frontale nell'anno di grazia 2019 e rifiuti a priori qualsiasi novità didattica?</div>
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<b>A:</b> Certamente no. Mi fa paura semmai il nuovo a tutti costi quando il presupposto è che tutta la didattica anteriore alle novità degli ultimi anni viene liquidata come 'vecchia', 'fallimentare', 'inadatta ai nuovi stili cognitivi dei ragazzi'. E' chiaro che poco o nulla mi costerebbe buttare a mare la didattica come è stata erogata a me da studente e rinnovarla da capo a pie'. Secoli fa ci dissero che, come futuri docenti, non potevamo pretendere che, siccome noi avevamo studiato in un certo modo, allo stesso modo avremmo fatto studiare i nostri alunni. Certo certo. Quello che tuttavia mi rende difficile questa rivoluzione totale non è sciocco narcisismo, come se la lezione frontale fosse il palcoscenico imprescindibile per nutrire il mio Ego; mi dà enorme fastidio, semmai, il ritornello ormai vieto & vetusto secondo cui è SOPRATTUTTO il vecchiume didattico che noi sciocchi docenti poco evoluti abbiamo ammannito in questi anni ad aver causato la crisi lavorativa del Paese. I giovani non trovano lavoro? Certo, a scuola non gli hanno insegnato 'a saper fare', ma li hanno inzeppati di nozioni inutili. Ora, a parte che non si capisce la pretesa che fin dal liceo (perché siamo noi del liceo a finire nel mirino) la scuola professionalizzi, ma vabbe', chi ci accusa dimentica che ben altri sono i problemi del mondo del lavoro in questo Paese: il familismo amorale, la ricerca assidua della raccomandazione, il merito scavalcato dalle conoscenze, i contratti a progetto umilianti e, ovviamente, i 'cercasi apprendista con esperienza'. Casomai. Ricordate che la scuola plasma i futuri membri della società, ma se la società 'là fuori' smentisce regolarmente a suon di episodi corruttivi ed esaltazione dell'imbecille di successo quanto noi si tenta invano di inculcare (spirito di sacrificio, serietà, impegno, accettazione dell'insuccesso, duttilità intellettuale, spirito critico - QUESTE sono le competenze di livello AAA+++, le altre a seguire) allora poi è inutile lamentarsi con noi. Si smetta dunque di demonizzare la didattica 'tradizionale' come fucina di ogni fallimento delle generazioni di questo Paese e allora si potrà sperimentare qualsiasi cosa. Con un'avvertenza: 'nuovo' non è automaticamente 'meglio'.</div>
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<a href="https://qph.fs.quoracdn.net/main-qimg-f80e81ffde396c90ca3b78ff23c120d0" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="602" data-original-width="602" height="320" src="https://qph.fs.quoracdn.net/main-qimg-f80e81ffde396c90ca3b78ff23c120d0" width="320" /></a></div>
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<b>Q</b>: Eligio, ma non sarebbe il caso di aggiornare la didattica in funzione delle nuove strutture neuronali che i nativi digitali stanno sviluppando? </div>
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<b>A</b>: Non sono io a dirlo, ma sono eminenti capoccioni da me personalmente auditi or qui or là a dire che i computer che noi abbiamo creato sono multitasking, il cervello umano no. La nuova didattica, quindi, può pure servirsi copiosamente delle tecnologie digitali come immensi database di risorse e link tra gli infiniti settori del sapere; e sì, ci sarà sicuramente chi trarrà vantaggio dall'organizzare i proprio contenuti di studio avvalendosi ANCHE degli strumenti informatici. Ma si badi, parliamo sempre di metodologie, che in quanto tali sono assolutamente soggettive: se una piccola o grande fetta di studenti impara meglio 'alla vecchia', dovremo penalizzare costoro per inseguire lo stile cognitivo degli altri? E poi: esistono dati CERTI che le nuove metodologie fanno SEMPRE imparare meglio delle vecchie, dove per 'sempre' intendo che chi studia alla vecchia diventa poi un cittadino/lavoratore meno di successo degli altri? Perché alla fine questo dobbiamo ricordarci: non si tratta di rendere più o meno 'divertente' l'apprendimento rispetto al passato, e certo nessuno di noi rimpiange la scuola anni '50 con i suoi ritmi da accademia prussiana; nondimeno, divertente o no, lo studio deve formare i cittadini di domani, non coccolare gli adolescenti di oggi. Pertanto, a fronte di ogni pretesa facilità di immagazzinamento e organizzazione delle nozioni decantate dalle nuove metodologie, ciò a cui bisogna badare è la persistenza degli apprendimenti. Non accetterei mai una metodologia che, favorendo la rapidità dell'apprendimento di una nozione (e relativa competenza), ne causasse l'altrettanto rapido oblio (con relativa in-competenza). Si ricordi che oggi le pretese abilità multitasking favorite dalla tecnologia deriverebbero in gran parte dall'interazione del singolo studente col mondo virtuale di internet, il che vuol dire per il 90% con l'universo usa e getta dei social network. Stiamo ben attenti a non trasformare le nuove piattaforme didattiche in un magazzino di cosucce utili al momento e dimenticate subito dopo: per quello c'è già Instagram. </div>
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(1 - continua)</div>
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Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8179608539992998847.post-43033656003858821252019-05-21T21:46:00.000+02:002019-05-21T22:01:48.903+02:00Senecana (3): tutto è pneuma<div style="text-align: justify;">
Dice <a href="http://epitteto.com/files/SVF1+2+3%20MASTER.pdf" target="_blank">il saggio stoico</a>: "La realtà è un tutto materiale animato da un unico principio, il pneuma, che si configura come una corrente tonica di fuoco e aria che può assumere anche la consistenza della terra e dell'acqua. Dal pneuma derivano tutte le cose semplici e complesse, dal pneuma si dirama la tensione strutturale che tiene coese tutte le cose e le orienta verso la pienezza della propria funzione nel piano universale. Ogni causa produce un preciso effetto, e il senso finale del Tutto è nel suo stesso funzionamento. Non esiste un Altrove metafisico dove la realtà materiale possa tendere, forse ci sarà alla fine dei tempi - di QUESTI tempi - una gigantesca deflagrazione dopo la quale tutto ricomincerà daccapo. In ogni caso Dio - se così vogliamo chiamare il pneuma - abita nello stesso universo che ha creato, lo permea fino nelle più profonde fibre e lo fa funzionare. Qui e ora".</div>
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Certo, un conto sono le creature inanimate, pura materia senza altro obbligo che essere ciò che sono, senza evoluzione, senza coscienza: per esse il pneuma agisce unicamente come fattore (o causa) coibente, garantendo la semplice coesione strutturale degli oggetti.</div>
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Altro sono le creature viventi, nelle quali scorre il pneuma vitale, responsabile della crescita, del movimento, del nutrimento, della riproduzione, di tutto ciò insomma che contempli un processo evolutivo fintantoché il pneuma coibente garantisce la tenuta strutturale del corpo animato. </div>
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Ed infine gli esseri umani, dotati del terzo livello del pneuma, quello psichico, strettamente connesso con gli altri due: ogni evento esterno non produce solo sensazioni che passano direttamente dal corpo all'anima (essendo corpo e anima- lo si tenga <i><b>sempre</b></i> presente - due aspetti della medesima sostanza), ma anche processi mentali, ovviamente razionali, che coinvolgono la capacità di giudizio, ovvero la possibilità di giudicare gli eventi dell'esperienza (materiale o spirituale) come beni assoluti, o semplicemente da preferire, o come fenomeni rispetto ai quali restare indifferenti, oppure come cose da evitare. In teoria, comunque, anche le cose da evitare non dovrebbero propriamente considerarsi come qualcosa di <b>male in sé</b>, perché un universo così razionalmente regolato non dovrebbe ammettere, a rigore, il male. Diciamo che, nella miriade di stimoli che il mondo offre all'uomo, alcuni andrebbero evitati per non venire distolti dal luminoso cammino che conduce alla virtù spirituale, unico obiettivo che rende la vita dell'uomo pienamente sensata. La virtù altro non è che perfetta sintonia tra il pneuma psichico individuale e quello universale, sintonia che si realizza nella condotta razionale basata a sua volta sulla comprensione dell'esistenza di un ordine intrinseco al reale e sul domino delle passioni, ovvero delle distonie pneumatiche che si verificano qualora la reazione agli eventi esterni non sia conforme a ragione per difetto di giudizio. </div>
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Si comprende che il problema etico apre una voragine immane nel sistema stoico, poiché l'esperienza quotidiana ci dimostra che proprio noi umani, creature razionali per eccellenza, abbiamo la facoltà (o la debolezza) di assumere comportamenti contrari alla ragione e di dare al male, di per sé non consistente, la consistenza delle nostre azioni errate. </div>
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Non meno provocante (o provocatorio) per questi pensatori era il problema della malattia del corpo: un conto, si capisce, è il 'razionale' invecchiamento fisico, molto più inquietanti sono le molteplici possibilità che un corpo anche giovane malfunzioni secondo le più varie occorrenze: febbri, dolori ai singoli organi interni, fratture, lacerazioni di ogni tipo mettevano sotto gli occhi dei filosofi-medici la realtà di un corpo sempre minacciato di disgregarsi.</div>
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Come spiegare in prospettiva stoica tutto ciò? Ripartendo, evidentemente, dai tre livelli del pneuma: un corpo umano è tenuto insieme dal pneuma coibente, si sviluppa grazie a quello vitale, desidera, ama, odia, gioisce, si rattrista per effetto di quello psichico. E' chiaro che, se di un'unica sostanza si tratta, il concetto di malattia per questi medici-filosofi è omnicomprensivo: a fianco di disturbi solo fisici o solo psichici, sarà inevitabile aspettarsi disturbi che, pur nascendo nel corpo o nell'anima, vadano poi ad estendersi dal corpo all'anima e viceversa. Parlando di due aspetti di una medesima sostanza, infatti, l'influenza reciproca è del tutto scontata. Si capisce che, affinché il transito di un disturbo dall'area fisica a quella psichica o viceversa si realizzi, è necessario comunque un elemento vettore che possa permeare tanto la solidità del corpo quanto la leggerezza dell'anima. Visto tutto quanto sin qui detto, questo ruolo veicolare spetta di necessità al pneuma coibente, responsabile della tenuta integrale e complessiva del nostro essere. E' l'energia pneumatica, scorrendo nelle ossa, nei nervi, nelle cartilagini, nelle arterie, a farci restare sani o a farci ammalare, benché la causa remota della malattia non dipenda da essa.</div>
<div style="text-align: justify;">
Qui di sicuro la medicina stoica (o pneumatica), pur germogliando <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/ippocrate_%28Dizionario-di-Medicina%29/" target="_blank">da quella ippocratica</a>, si esibisce in una svolta assai interessante: se un evento esterno, come potrebbe essere un colpo di sole (che chiameremo causa procatartica) o l'anomalia di uno dei nostri organi interni (un'infiammazione, ad esempio, che chiameremo causa antecedente) ci interessano in modo significativo, congiuntamente o disgiuntamente, potremo dirci ammalati solo se l'infiammazione, ovvero il riscaldamento eccessivo, si trasmetterà dalla singola parte del corpo a tutto il resto, complice il flusso pneumatico coibente in grado di portare ovunque lo squilibrio nel senso del caldo, essendosi evidentemente squilibrato a sua volta a causa del contatto, nel transito, con la parte infiammata. Solo quando il pneuma coibente ha compiuto il suo periplo in tutte le più minute zone del nostro corpo possiamo dirci ammalati, per esempio di febbre. </div>
<div style="text-align: justify;">
E l'anima?</div>
<div style="text-align: justify;">
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(3- continua)</div>
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