Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



Per scaricare il poliziesco pentadimensionale I delitti di casa Sommersmith, andate qui!!!

domenica 19 gennaio 2014

Visti per voi: Il capitale umano (P. Virzì et alii)


Vabbe', 'sta Spocchia, mo' se mette pure a recensi' i filme...
No no, recensire non è il nostro forte, correggere semmai, emendare, reindirizzare, cazziare, quello sì. Ma recensire no.
E purtuttavia stavolta recensiamo: il film di Virzì, che tante polemiche ha scatenato per certa impietosa pittura di certo mondo affaristico e non solo tipico del nostro friccicoso nord Italia, è esattamente ciò che abbiamo chiesto e NON ottenuto dalla nostra Ficition di Riferimento Autunnale, talmente di riferimento che ci siamo pure stancati di commentarne gli episodi. Sì, parliamo sempre di Una grande famiglia. 
Giacché, se vogliamo per un istante tirare la fila di QUELLA cosa lì, a conclusione di due serie che hanno però già lanciato il piedino nella terza con la misteriosa telefonata a nonna Sandrelli da parte della nipotina spuntata dal nulla, il bilancio è impietoso: alla fine sono tutti, tutti, TUTTI buoni. Edoardo/ Gassmann (oggi mettiamo due n in fondo), dopo giravolte, paraculaggini, ricatti, balle e controballe, e dopo, non lo si scordi, aver bruciato DECINE DI MILIONI rengoniani, si riscatta (?) offrendosi come agnello sacrificale ai cattivi-cattivi della Villa Sempre Immersa nella Nebbia anche a mezzogiorno di Ferragosto, non prima di essersi microfonato il bottone del loden per essere sentito dalla polizia mentre recita l'ennesima parte. Poi sparisce e tutti clappeggiamo, pensando a quanto sdegno ci si era infuso solo 40 minuti prima o giù di lì, quando il medesimo Gassmann si era preso in auto Ernestino detto Tino per portarlo chissà dove, salvo poi scodellarlo davanti a casa della ex-moglie come niente fosse. Per tacere del resto. Morale, a parte il dissangunate dubbio sul destino di Gassmann, sul thriller va a trionfare lo scioglimento comico, in cui più o meno tutto torna come prima, gli sposati con gli sposati, gli amanti con gli amanti, Sandrelli che, dopo aver ripreso ad assumere Danacol, non soffre più di alcunché, gli omosessuali separati, e i rispettivi genitori pure, perché così la mamma degli sceneggiatori va a letto contenta , 'na palla de 'na strapalla, insomma.
Ecco, le copiose lacrime di delusione che andavamo avanti a piangere da metà dicembre si sono d'un colpo asciugate l'altra sera, alla fine del film in oggetto. Abbiamo finalmente trovato quel senso di pugno nello stomaco perenne, di ansia per la sovversione dell'umanità di cui non si garantisce il reintegro, abbiamo finalmente assaporato tutta la cattiveria, il cinismo, la disperazione che possono allignare e irrorare le famiglie apparentemente più felici. I contrasti, la sete insaziabile di star meglio, il senso di un mondo di puri numeri che crolla, l'arrivismo senza radici, l'amore più casuale che progettato, la giovinezza autenticamente Bimbominkia, viziata, amorale, cazzarona, piagnucolosa, capriccesca, e alla fine il trionfo congiunto del Bene e del Male, perché nel mondo reale ciascuno dei due si porta dietro sempre anche l'altro. Grazie, Virzì, siamo probabilmente tra i pochi che si ricordano la tua opera prima, L'estate del mio primo bacio, che, pur ambientata nel 1987, dipinge con spietatezza esemplare il mondo degli adolescenti viziati e senza cervello di allora, i progenitori diretti degli odierni Bimbominkia. Allora non ci deludesti, e non l'hai fatto stavolta. Grazie, perché hai fatto ciò che la fiction anzidetta non ha MAI avuto il coraggio di fare davvero: rovinare l'anima di chi la guarda.
Rovinare, cioè: far vedere con implacabile oggettività un mondo che è tutto fuori che caricaturale. Dicasi:
1) Fabrizio Bentivoglio: spettacolare nella parte del brianzolotto ricconzolo e complessato che le tenta tutte per entrare nel Salotto Che Conta, paraculo al massimo nel salutare come se l'avesse sempre conosciuto Giòva Bernaschi, il papà miliardarissimo del fidanzato della figlia, e imbucarsi nel match di tennis con gli amici straricchi di lui, così da iniziare il lento insinuarsi che lo porterà a partecipare al Fondo Bernaschi, con tutti gli annessi & connessi, compreso l'assurdo fido bancario di 700.000 euro. Verghianamente, Bentivoglio-Gesualdo Motta reloaded 2.0 prova le inquietudini di chi sta già bene, ma vuole toccare l'apice, senza essere davvero consapevole del prezzo di questo apice. Il look tammarrerrimo, con cinturona di pitone e anellazzo al dito, dice tutto il disordine culturale di costui, confrontato con gli impeccabili completi del Bernaschi, simbolo di un'apparenza che stavolta inganna davvero. Cinico da far spavento a fine film, quando troverà l'éscamotage per riavere quanto perduto, strafregandosene dei sentimenti della figlia, anzi rischiando di farla finir dentro per favoreggiamento. Bravò, bravò.
2) Fabrizo Gifuni: perfetto, disumano nel suo culto assoluto del benessere che si fa ipostasi del desiderio di dominio su uomini e cose, o meglio numeri, specchio anzi della potenza quasi divina del Numero sull'Individuo, personaggio orientato al 110% all'adorazione del Guadagno come virtù in sé, così finto da essere vero più del vero. Marito possessivo, padre supercompetitivo che non accetta che il figlio sia al di sotto della Perfezione, pretendendo da lui una sola cosa: la vittoria; la sua etica è l'etica che ha contribuito all'attuale sfascio dell'economia reale, ovvero il puro gusto della scommessa sul Nulla, sui rialzi e i ribassi di enti astratti che nulla quagliano coi Realien della produttività oggettiva, scommessa, sia chiaro, che funziona perché c'è un esercito di gonzi in stile Bentivoglio che si rendono complici del gioco, come del resto facevano i clienti di Wanna Marchi. In questo videogame perenne, è disposto a conoscere la vetta, il baratro e poi di nuovo la vetta, il tutto senza la minima remora; e quando non mostra punta intenzione di tirar fuori il figlio dal guaietto del presunto omicidio colposo, non si tratta certo di un rigurgito di senso civico: è il desiderio di non aver nulla a che fare con uno che, al punto in cui si è, potrebbe essere una fonte ulteriore di grane, come se in fin dei conti fosse meglio che il bamboccio si disintegrasse lì seduta stante. Talmente monomaniacale da risultare manierista, ma per questo assolutamente reale; come la Medea di Seneca, insomma. Bravò, bravò.
3) Valeria Bruni Tedeschi: eccezzzzzzionale nel ruolo della moglie depressa e un po' tonta, persa in un mondo di aspirazioni frustrate, resasi fin troppo conto di essere convolata a nozze con un tizio che la vede come la bella statuina da esibire e zompare e nulla più, tenera ed ingenua nella sua mini-battaglia culturale, che la porta a conoscere tutta l'aridità del marito ("Il Politeama è l'ultimo teatro rimasto nella zona...", "Ah, perché, è una cosa grave?" ), madre incapace di avere la benché minima autorità sul figlio Bimbominkia, ma soprattutto femminella insoddisfatta e accidiosa, drogata dall'avere troppo di tutto tranne ciò che davvero vorrebbe, il calore umano, calore che si illude di ritrovare nel veloce e amorale zompo (Carmelo Bene a far da colonna sonora) col bravo ma sacrificato Luigi Lo Cascio (ah, La meglio gioventù, quella era TV...)(ah, e c'era pure sonia Bergamasco, non costretta nel ruolo da imbecille in casa Rengoni...), e tuttavia predisposta solo a veder deludere desideri sui quali non ha davvero capacità di incidere (quando la ristrutturazione del teatro esce dalla nota spese di casa Bernaschi per sopraggiunta catastrofe finanziaria, la cosa si chiude lì e ciao). Una Bovary 2.0 reloaded, che alla fine accetterà la ricomposizione dei dissidi con una rassegnazione eroicamente nichilista. Bravà, bravà.
4) Guglielmo Pinelli: applausi a Virzì per aver scelto un attore che incarna alla perfezione il Bimbominkia odierno, fisicaccio inutilmente palestrato e facciotto guanciotto coi ricciolotti lunghi e la riga in mezzo, simbolo concreto dell'adolescente forte all'apparenza e gommoso nella sostanza. Viziato e automobilato con jeeppettino, privo di qualsiasi apertura che lo porti fuori dalla realtà virtuale del consumismo, vive l'incanto della tipica triade Jet Set Bimbominkia, soldi-sesso-giochi, e però vive pure il complesso di inadeguatezza inoculatogli dal padre, il cui Ego superperformante è fonte per lui di non poche ansie, sì che è inammissibile che lui non vinca il premio di miglior studente (e infatti NON lo vince)(e infatti il padre abbandona la sala e lo liquida con un asettico "ciao"). Da bravo adolescente d'oggi, gli manca ogni capacità di vedere al di fuori di sé (visto che ben poco gli cale della morte "di quel ciclista di mmerda!!!"), punti di vista diversi dal suo non devono sussistere, ma appena gli eventi cominciano a metterlo di fronte ai primi pesanti NO della vita, ecco la fuga in camera a piagnucolare, datosi che non sussistono in lui i contenuti umani, culturali ed esistenziali atti ad affrontare problematiche complesse. Dice: "Maronn', e che voi docenti chiedete tutta 'sta roba ai ragazzi di 19 anni?". No, è la realtà che gliele chiede, noi ci limitiamo a rammentargliele... Bravò, bravò.      
5) Matilde Gioli: per chi da decenni si dispera che l'idealtipo della femmina del grande romanzo italiano sia blindato nella linea che da Lucia Mondella passa per KissMeLicia/Cristina D'Avena e sfocia in Michela Quattrociocche, ecco il linimento di cotante ferite. Grazie a questa Angelina Jolie truzza con l'incisivo sinistro storto, abbiamo di fronte la Stronza Intrepida che le combina e le copre, mente spudoratamente all'ispettore, pur sapendo, lei sola, la verità della tragedia, sta con il bamboccio belloccio, ma poi si mette a fare l'alternativa zompandosi l'ex drogato con manie suicide, il tutto con la leggerezza di passare, nella stessa sera, dalla camera da letto del secondo alla mega festa fighetta del primo. Non ci viene risparmiato nemmeno il momento Bimbominkia della foto al computer con smorfie, ma nulla ci stupisce, se costei non ha problemi a fottere l'ex per salvare l'altro. Bene ha fatto Virzì a sganciare, una volta tanto, vissuto individuale e storia scolastica: del rendimento di costei nulla sappiamo, né di fatto il mondo della scuola è mai chiamato in causa, perché è chiaro che qui i codici educativi in gioco sono altri. In tal modo, certo, le protagoniste de I ragazzi del muretto diventano preistoria, ma siamo dalle parti di una Giulietta Pulp/Grunge 2.0 reloaded, che ama di un amore che non ha nemmeno un senso compiuto, improvviso, fiammeggiante, amorale, pulsionale, forse mosso da pietà o forse no, in cui la salvezza estrema passerebbe per un messaggio su Facebook che è invece prodromo alla quasi catastrofe finale. Chi non ne poteva più dei maneggi softcore di Mirandolina è servito. Bravà, bravà.  
Tralasciando Valeria Golino (e non aggiungo altro)(ma chi ce l'ha messa, all'epoca, in Rain man?)(ma davvero la sua è recitazione?)(basta, su...), il tossico e varia altra umanità, diciamo che il meccanismo narrativo del film, affidato alla triplice scissione della medesima trama secondo la prospettiva di tre diversi personaggi, che di suo non è una novità, funziona qui però benissimo, sia perché permette di mettere insieme a poco a poco i pezzi del puzzle e capire chi ha fatto cosa, sia perché in tal modo il desolato mondo etico e materiale in cui si muovono i personaggi, rivisto più volte da angolature diverse, ci si mostra in tutta la sua arida oggettività. Pertanto l'inflessione pesantemente brianzola di tutti i protagonisti (Bentivoglio, Gifuni - nato a Roma!!!!- e Pinelli in primis) perde quel tratto macchiettistico che aveva in Una grande famiglia per diventare il condimento necessario ed esasperante di una visione e di uno stile di vita che trova in effetti piena realizzazione in gente simile. Con il che, peraltro, mi domando perché il popolo leghista, e il quotidiano Libero, abbiano alzato gli scudi contro il film, accusando Virzì di ciucciare soldi alla vacca pubblica per realizzare una pellicola che offende chi lavora davvero: per quanto io non abbia simpatia alcuna per il modus vivendi - e soprattutto il modus culturandi- leghista, se fossi uno di loro non avrei nulla di cui offendermi. Il bacino di utenza della Lega è il famoso popolo delle partite IVA, gente cioè che lavora sul concreto, Gifuni/Bernaschi è un finanziere tanto amorale quanto privo di autentico colore politico, uno che gioca a Monopoli con la carta che diventa straccia o meno straccia a seconda del vento finanziario, mentre il leghista vero si sporca le mani al tornio o passa tre quarti della sua vita al banco, lavora cioè nell'imprenditoria che produce, non nel mondo dei prodotti algoritmici che fermentano sull'economia vera e fanno solo danni. Duole cioè che, per puro amor di polemica, si veda nel film la critica a ciò che non c'è. Il solo accenno, pure qui macchiettistico, all'ideologia leghista si ha nel personaggio del consigliere d'amministrazione del risorto - per poco- Politeama, il quale propone alla Bruni Tedeschi una serata a tema cori alpini, ma ci fermiamo lì. A cadere davvero sotto la scure virziesca, oltre al povero ciclista, è il mondo che idolatra le cifre e traduce ogni aspetto della vita in valore economico, capitale umano, appunto, quanto cioè i periti assicurativi sono disposti a pagare di indennizzo per la morte di un poveraccio. La dignità risiede nel conto in banca, tutto è subordinato alla quantificabilità in termini economici delle tue prestazioni. Di umanità neanche a parlarne. Sia chiaro, siamo tutti figli del consumismo e io sto in questo momento scrivendo sul tablet, in attesa di una mail che mi arriverà fra breve sul Blackberry (oddio, il Blackberry...? Ma ci sono ancora...?). Guai a fare le anime belle. Ma c'è un limite a tutto, e il circuito produzione-consumo, quando si eleva al livello della speculazione sui numeri scissi dalle cose, non merita alcuna indulgenza. Non credo a chi dice che le cose stanno così e insomma questo comporta necessariamente anche quello. In parole povere, l'esistenza del vino non implica che chiunque debba ubriacarsi. Gifuni, invece, quello rappresenta: l'ubriacatura della ricchezza che ad un certo punto non produce più nulla, se non l'astratto senso di dominio su nuovi sudditi, che sono gli ingenui contributori di speculazioni finanziarie che sembrano parenti strette del concetto di usura dantesca, ovvero il fare soldi sui soldi e non sulle cose. Si dice insomma che i nostri poveri e adorati Bimbominkia sono chiusi nella realtà virtuale. Ma, come si vede, essa lavora anche ai piani più alti del circuito economico. Ma non è giusto che videogiochi simili portino, per tutta la catena di cose cui stiamo assistendo dal 2007, alla rovina di famiglie intere. Quello non è più un gioco.

sabato 4 gennaio 2014

Scegli con chi stare...


Tempi complessi quelli in cui tocca dover dire: "Io sto con Caterina" (sì, QUESTA Caterina). A parte che il promotore dello slogan è Renzi, e ciò dimostra la sua mostruosa capacità surfistica di cavalcare sempre l'onda (ciò per cui anche Paolo Bonolis diede del surfista a Fabio Fazio ancora anni fa); fa però specie che una ragazza che vive anche grazie ai risultati della sperimentazione medica sugli animali, e che non può che benvenire simili pratiche, riceva auguri di morte da sedicenti animalisti. Ma, si dirà, l'imbecillità alligna ovunque. Semmai, allora, ri-stupisce al cubo che dire: "Io sto con Caterina" sia sentito come un obbligo. Certe cose, secondo me e la Spocchia, non dovrebbero essere 'obbligatorie', in quanto automaticamente vere & buone e quindi sceglibili in mezzo a nessun'altra alternativa; vojo di': l'obbligo morale di per sé non dovrebbe nemmeno configurarsi come obbligo, perché se una cosa è giusta in sé universalmente, non c'è obbligo, la si fa perché di sì; laddove invece, secondo la nostra etica, l'obbligo vige nel momento in cui, a fronte di determinate situazioni, la natura dell'uomo, di suo imperfetta, potrebbe indulgere, verosimilmente, a scelte sbagliate, e quindi entra in gioco il binomio ordine-sanzione (anche il semplicissimo obbligo di stop al semaforo rosso, pena la multa, rientra in questa categoria, nevvero?) per portare alla scelta buona, neutralizzando la cattiva. Ma allora, ripongo la questione, perché sentirsi obbligati a dire: "Io sto con Caterina"? C'è davvero un'alternativa a ciò? Purtroppo sì, e ce la mostrano gli animalisti pazzi, parenti stretti di certi vegani folli quando non ridicoli, di quelli che mangiano solo frutta caduta spontaneamente dai rami degli alberi per non fare male alla pianta. A Machittevòle, Gelmini esclusa, concediamo un benevolo orecchio a chiunque, ma per un quasi integrale veganesimo ho visto gente di 33 anni morire di mieloma (non sarà stata la causa principale, Brescia notoriamente è tumor-city per millemila motivi, ma il dubbio mi resta sempre) e certi estremismi meritano da parte mia uguale estremismo. 
Domanda: qual è il motore principale che può spingere certuni ad augurare la morte a Caterina? Questo: l'idea che l'uomo è tutto sommato un intruso nella natura, un essere cattivo che, pressoché unico tra tutti gli animali, non si è adattato all'ambiente, ma da un certo momento in poi ha modificato, via via più pesantemente, l'ambiente alle proprie esigenze. Risultato: Gaia, la nostra Madre Terra, boccheggia. Potrebbero queste premesse mettere capo ad una strategia di sviluppo sostenbile fatta di miglior sfruttamento delle risorse terrestri? Macché: l'idea di costoro è che l'uomo deve appaiarsi al resto del regno animale, quindi i malati molto malati (Caterina, per dire) semplicemente si rassegnino, accettino che la natura, la buona natura pre-leopardiana, ha purtroppo voluto per loro un metabolismo perdente, ma guai a pretendere di sacrificare criceti e altra selvaggina per cercare di combattere la malattia. Di fatto, accade ciò che Matt Groening ha meravigliosamente affrescato in quell'episodio di Futurama in cui gli alieni stanno per distruggere la terra, ma con uno stratagemma si potrebbe rifilar loro una coppia di gorilla e se ne tornerebbero sul loro pianeta contenti. Ecco che, sul più bello, quando tutto pare compiersi, irrompe l'animalista pazzo che svela il trucco e si coccola il gorilla appena salvato, naturalmente in spregio della salvezza del resto dell'umanità. Accade poi a costui che gli alieni se lo pappino subito dopo, e non è certo questo il destino che auguriamo agli animalisti pazzi. A questi mostri che riducono a paccottiglia ecologica il mix di malattie di un membro DELLA LORO STESSA SPECIE, in ciò rinnegando secoli di humanitas, vorremmo simpaticamente intimare di rinunciare sin da subito a tutte le conquiste del progresso umano, perché se l'uomo è cattivo, è cattiva anche qualsiasi cosa egli abbia inventato o scoperto. E quindi da costoro non ci aspettiamo solo che prendano la bicicletta ogni tanto quando l'auto non è necessaria, né che usino i detersivi con tanti tensioattivi biodegradabili, né che tirino l'acqua del wc solo in casi estremi di puteolenza insopportabile del bagno. No no no: abbandonino le loro casucce, i lettucci, i cibi cotti, i vestiti, insomma ritornino nelle caverne. Almeno saranno certi di essere buoni con la Natura.

mercoledì 1 gennaio 2014

Circo- stanze romane.

Satolli dopo un lauto pasto, io e la Spocchia ci muovevamo sicuri e ballonzolanti per le vie dell'Urbe. Gente di ogni specie & distinzione popolava le strade brulicanti. Mentre ci si avvicinava speranzosi alla piazza dei Fori imperiali, domande su domande pullulavano nelle nostre capocce. Nello specifico: 1) Mi sarebbe esploso un petardo in faccia prima di mezzanotte? 2) Quante ambulanze sarebbero sfrecciate con a bordo individui maciullati dai loro stessi arnesi? 3) Avrei litigato con qualche olandese ciucco? 4) Quale sarà stato il segreto di quelle cotolette d'agnello impanate che non si tiravano dietro neanche un filo d'olio? Mentre simili e altri interrogativi ci ronzavano in testa, giungevamo nel luogo in cui conveniva di fatto l'umanità intera: il Colosseo. Scie laser sui muri e nel cielo, venditori ambulanti cingalesi con le mani grondanti di roba sberluccicosa, gente attaccata al prosecco o al Gordon gin mischiato con la lemonsoda, petardi-bomba modello Beirut 1980, acrobati simil- Cirque du soleil che si arrampicavano sul niente, mamme col passeggino che speranzose - o incoscienti- spingevano il pupo in mezzo ad una folla densa come l'olio delle acciughe. E la Spocchia: "Senti, non è che stiamo perdendo il nostro tempo?"; "Perché dici ciò, Spocchia mia?"; "Mah, sai, questi posti così affollati... minimo scoppia una rissa con noi al centro"; "Ma figurati...". @@BOOOOOMMMMM!!! @@Altro petardo modello Beirut. "Vabbe', Spocchia mia, se ci sarà da menar le mani...."; "Ma s'era detto serata artistico- transgenica..."; "Infatti stiamo andando a sentire Nina Zilli".  E poi: poteva dirsi seria una serata in cui avanzavamo in mezzo ad una marea di bimbominkia diffusi - adulti e piccini- acconciati all'ultimo grido? Scoprimmo infatti che per fine 2013 si portava molto il cerchietto coi cornini stile Lamù, ma naturalmente si trattava di cornettini luminosi colorati di rara tamarraggine; c'era poi chi ripiegava sulle coroncine modello principessa de La storia infinita, mentre altri andavano sobriamente sugli occhialoni occhio di vespa coi lustrini. "Questa è civiltà...", mi dicevo, appuntando sul tablet ciò che state leggendo, con contestuale riflessione sulla potenza luminosa complessiva degli aggeggi, tale per cui, più che verso il Circo massimo, mi pareva di dirigermi sulla Stella Piumata a sentir cantare l'incantevole Creamy.  Un popolo glitteratissimo finiva dunque a convergere la' ove il Concertone di fine anno era iniziato da circa un'oretta. Senza fatica soverchia io e la Spocchia ci inoltravamo in mezzo al tamarrume ai bordi del Circo, in posizione quindi rialzata a sufficienza per poter vedere il palco e chi vi stava sopra. Certo, in altri tempi non sarebbe passato uno spillo anoressico in mezzo alla gente, ma si vede che quest'anno tira così, i romani e i turisti si sono spalmati su più fronti. O forse non amano Nina Zilli. Eccoci dunque in the middle of nowhere, mentre sull'altro lato del Circo, e nella spianata al centro, era tutto un friccichio di lucine colorate rosa, blu, viola, verdi. File inteminabili di birre già consumate sui parapetti, bottiglie tristemente abbandonate sul terreno, che costavano cadute a più di un turista, petardini e miccette (e in lontananza i petardi modello Beirut), atmosfera carina, ma poco carica. Strano: stava cantando Nina Zilli. La quale Nina Zilli aveva optato per la solita mise poco appariscente: avvolta in carta d'alluminio e ai piedi stivaloni con pailettes dorate e zeppa.Stylish, stylish. Ninetta nostra, prova ulteriore che ad una cantante non basta remeggiare le braccia e ballicchiare su e giù, né giovano i paragoni con la classe di Mina, se di Mina viene a mancare l'attributo fondamentale: la voce. Ninuccia è così, ride, si atteggia, gorgheggia, ma non arriva sotto pelle. Non solo la mia (la Spocchia non ce l'ha, quindi è fuori statistica), ma a quanto pare neanche quella del pubblico: tra una canzone e l'altra, la nostra performer provava in tutti i modi a scaldare la platea, ma niente: "Ecco qui, serata fantastica, capodanno 2013, forza Roma fatti sentireeeeeeeeeeeee!!!!", risposta del pubblico: "Iiiiihhhhhhh........" (a spegnersi) e lei, ostinata, "Non sento bene, dove avete la voceeeeeee??????Daiiiiiiiii!!!!!" e il pubblico: "Ieeeeehhhhh....." (a spegnersi). E via così. Ciao Ni', non ci mancasti (noi si venne per Niccolò Fabi e Malika Ayane, sallo). Ma era ora la volta della conduttrice dell'evento, perché ogni Evento ha la sua Conduttrice, e in effetti scemi noi a pensare che Zilli, Fabi, Ayane e gli altri si alternassero così a botto, senza una Saggia Guida a reggere le fila della Cerimonia. Eccola, la Saggia Guida: un incrocio, soprattutto cerebrale, tra Martina Stella e Vanessa Incontrada, toscaneggiante, zompettante e cinguettante e, soprattutto, totalmente incapace di gestire l'Evento, che in mano a lei sembrava al massimo la cerimonia di chiusura del Grest di Acqualunga (we love Acqualunga, forever in our hearts!). Morale, colei che da qui in avanti chiameremo convenzionalmente La Cretina sbimbominkieggiava da par suo, rivolgendosi a caso ora al pubblico, ora ai cantanti, ora al cielo, sempre con frasi ficcanti ("Che bella festaaaaaaa...............grande Ninaaaaaaaaa........ciao Romaaaaaaaaaaa........... auguri a tuttiiiiiiiiii") nell'indifferenza generale. Congedata adunque Ninetta, La Cretina provvedeva a spoilerarci l'imminente arrivo del Fabi, "Solo qualche minutho, giusto il thempo di hambiare gli strumenthi, ma adesso facciamo sentire un hantante che piace thantho al nostro pubbliho a hapodanno, BOB DYLAN!!!!" (Il noto cantante di capodanno, vero?). Partiva Dylan registrato e noi ad attendere. Intorno, solita gente, solite facce, solita fuffa MA assenza totale di Directioners. Potenza di Nina Zilli. Finiva Dylan, tornava sul palco La Cretina, che doveva ben giustificare la sua presenza lì, e allora se ne usciva con argomenti di profonda sociologia: "Amici, lo sapethe che a Venezia L'ALTRA VOLTA (?) hanno fatto UN RADUNO (?) dove si sono scambiathi il bacio più lungo del mondo?????". Avendo capito l'antifona, ci guardavamo in giro: tardone accompagnate a tardoni, gruppi sparsi di giovincelli ebbri che slinguazzavano le loro belle già da mo', due cretini che si facevano il selfie. Siamo a posto, dicevo tra me e me e la Spocchia. Ma La Cretina proseguiva: "Ecco, là a Venezia erano solo 70.000 [a mollo nel Canal grande? NdR] , ma noi stasera, qui, a Roma, siamo ducentomilaaaaaaa!!!!! [Ma che ti sei bevutaaaaaa!!!! NdR] e alloraaaaaaa..... ci scambieremo l'abbraccio più lungo del mondoooooo! Al mio thre, chiunque abbiate vicino [si inseriva nel frattempo un gruppo di romani strafatti, che si sarebbe segnalato di lì a poco] abbracciathelo, ma davvero, eh?". Comparivano alla nostra sinistra una bimbominkia di 20 anni circa coi cornini viola e il naso attaccapanni, a destra un vecchio. Brividi. "Uno..."; brividi; "Dueeeee...."; ipoglicemia; "Threeeeee!!!!! Abbracciateviii!!!!". Tutti fermi, tranne una coppietta alla mia destra. Ok, passata pure questa... peggio dell'addestramento di Kenshiro.... Ma lei, La Cretina intendo, non era sazia: "Allora, amisci, pubbliho di Roma Circo Massimo, manca poho a mezzanotte, preparathevi a festeggiare!!! Facciamo homparire sullo schermo che ore sono!!". Sullo schermo comparivano le 23.15. E lei: "Ohhh, bene, manca un quarto a mezzanotte!!!". E dalla platea partivano insulti, cui si univa sommessamente il nostro (mio + Spocchia): "Ma impara a leggere l'ora, cretina!". Evidentemente, però, l'arricciolamento della chioma del Fabi nel backstage stava richiedendo più del previsto, giacché, non contenta di averci sfranto le gonadi coi suoi siparietti monovoce, La Cretina chiamava sul palco uno dei conduttori di RadioDue, che stava coprendo l'evento, per interagire lepidamente. Lui, il conduttore, avendo capito evidentemente da un pezzo quale acuta massa cerebrale era stata chiamata a dirigere la baracca, non si provava nemmeno a far notare alla Cretina che aveva sbagliato a leggere l'ora; lei quindi proseguiva imperterrita: "Ma he bella seratha, non trovi???"; "Ah, ccerto, veramente un bel pubblico.... Ma secondo te, quanti romani cce stanno a ssenti' qua ar Circo massimo?"; "Lo vediamo subithoooooo!! Allora, al mio thre [fin lì sa contare, che vi devo dire....NdR] tutto il pubbliho, no, cioè, tutto il pubbliho solo i Romani, insomma chi è di Roma griderà 'Ahoooooooò!!!!', va bene? Al mio thre, uno, due , threeeee!!!". Partiva un tiepido ahò dalla platea. "Però, che halore!", diceva La Cretina all'altro, che rincalzava: "Vabbe', mo' vediamo quanti sono i turisti: ar mio tre, gridate oooooooohhhhh, che sarebbe addi' ahò senza la a [questo è spettacolo, per Giove! NdR]". Partiva il grido, identico per intensità al precedente, e La Cretina: "Però, allora sono più i turisti dei romani!", "Pare dde sì", confermava l'altro. "E allora concludiamo coji stranieri: se siete stranieri ['from all over the world!!!!', precisa La Cretina], gridate yeah, al mio tre!!". Silenzio. "Ahò, so' tutti italiani...", concludeva il tizio e tornava ad intervistare gli artisti giù al box.  Lo strazio per fortuna finiva grazie all'ingresso di Niccolò Fabi, il quale, liquidata rapidamente La Cretina, partiva in quarta col momento subito più struggente della serata: la canzone Una buona idea, che di suo ci stava già benissimo, vista la serata capodannizia piena di buoni propositi per il 2014, si caricava evidentemente di significati altissimi, dato che il ritornello: " Mi piacerebbe essere il padre di una buona idea" valeva doppio, essendo cantato da uno, il Fabi, che di buone idee per fortuna non fa difetto, ma che ha avuto la disgrazia di perdere una figlia di 2 anni per meningite. Possiamo assicurarvi che, tutte le volte che la canzone finiva sulla parola 'padre', passava negli occhi di Niccolò un velo sottilissimo di tristezza, subito incendiato dalla grinta con cui la parola medesima veniva scandita, quasi ringhiata, ad esprimere la voglia di dedicare la serata a lei, rinfacciando la propria rabbia al destino, però in una forma così discreta e dissimulata, così Niccolò Fabi in definitiva, che persino la Spocchia si è commossa.  E poi si scivolava via, una goduria dopo l'altra, Il negozio di antiquariato, Capelli (in versione rock), Lasciarsi un giorno a Roma, piccoli capolavori di sentimenti quotidiani ed elegantissimi che ci ricordavano che esiste una speranza oltre Fabio Volo e il suo sentimentalismo da Bacio Perugina (parliamo del resto del confronto tra un laureato in filologia romanza, il Fabi, e un simpatico ciarlatore con la terza media, il Volo- momento antipatia on, ci sta, fatevene una ragione).  S'era intanto fatta una cert'ora. Precisamente le 23.48. E la Spocchia: "Mettiamoci in disparte, qui fra dieci minuti inizierà il finimondo...". Cercavamo allora un comodo seggio parapettile, a fianco di un quartetto di quarantacinquenni veneti che tentavano, perlopiù invano, di scattarsi foto col Samsung S4. E noi, seduti, sentivamo i razzi terra-aria esplodere ovunque attorno, vedevamo le mongolfiere di carta salire leggere al cielo, portandosi con sé i desideri e le speranze di chi le faceva decollare, in effetti pareva di stare in mezzo ad una guerra. Ma forse il capodanno non è altro che la guerra contro le delusioni dell'anno passato cui si unisce il desiderio di costruire il nuovo? Diciamocelo pure: l'aspetto parabellico che spesso il capodanno assume è un retaggio neanche troppo velato di riti di passaggio che prevedono simulazioni di distruzione e rinascita.  Così pensando cercavo di far passare i minuti che mancavano; avrei certo potuto pensare a qualche puntata di Criminal Minds, o immaginare quale nuovo personaggio di Glee sarebbe schiattato nel 2014, invece no: per effetto evidentemente dei tagliolini cacio e pepe ingurgitati 3 ore prima, mi si svelavano aspetti filosofici della festa che non avevo mai considerato; da ciò deducevo che, a botti finiti, bisognava provvedere ad uno spuntino. Ma c'era tempo: scoccava la mezzanotte e partivano i missili, baci e abbrracci, girandole di scintille, cerchietti lampeggianti lanciati ovunque, una dei quattro veneti di cui sopra che, nel goffo tentativo di scendere dal parapetto che separava il terrapieno del Circo dalla strada (altezza un metro scarso) rotolava di fianco ora avanti ora indietro, risate degli altri tre, ma, ma, ma... "Sì, manca qualcosa", osservava tetramente la Spocchia. E io ne convenivo: non potrei dire che non ci fosse allegria, in quel momento, ma, ossimoricamente, percepivo un'allegria fredda. Mancava l'entusiasmo, mancanza appena coperta dal fragore dei botti. Le facce dei circostanti a me erano appena appena insorridentate, giusto perché sì, dai, Circo Massimo a Capodanno, almeno stanotte ridiamo, ma io e la Spocchia abbiamo avuto nettamente la percezione che il defunto 2013 si sia portato via molti sorrisi, come in certi cartoni giappi in cui il cattivone di turno prosciuga l'allegria alla popolazione e poi si aspetta il mago, la maga o il chimico di turno per riassestare tutto. Gente che beveva, ma non cercava più nemmeno l'ubriacatura fine a se stessa, conscia della sua fondamentale inutilità. Si avvertiva un certa rassegnazione ad aspettare tempi migliori nella coscienza che tale miglioramento non dipende da chi lo spera, ma da circostanze oggettivamente incontrollabili. Spiace che si sia giunti a questo fondo. Sensazioni, forse. Ma di rara concretezza. Ecco quindi che toccava a Malika Ayane dare un po' di brio post-botti alla serata. Missione compiuta dal punto di vista cromatico: capello biondo inguardabile e tubino (nel suo caso un po' più che tubino) rosso fuoco capodanno, più tutta la caratteristica serie di smorfiette, miagolii, gesticolature da neuropatica che l'hanno resa apprezzata & famosa a tutte le latitudini. E, in cima a tutto, le sue miticissime frasi prive di qualsivoglia senso, frasi che Malika ad ogni concerto pronuncia nella fretta di riempire il vuoto tra una cantata e l'altra, giusto per non fare la figura della cantante fredda e poco ammiccante al pubblico, ciò di cui sono accusate da mo' sia Giorgia che Elisa, passando per Carmenco'. "Allora, Malika," inizia La Cretina "sei contenta di dare tu l'inizio al nuovo anno?", "Certo, grazie a tutti che siete qui, è la prima volta il primo dell'anno per me a roma, graziegraziegraziegraziegraziegrazieeeeeeee!!!! ". E fin qui, ok. Poi Malika cantava Tre cose e gli esseri umani intorno a me, che fin lì non avevano dato gran segno di vita, cominciavano a muovicchiarsi sulle gambe, così come Malika gattoneggiava sul palco con le sue pose improbabili, lanciando sensuali richiami allo zompo post-evento indirizzati ai suoi stessi "miticissimiiiiiii!!!!" membri della band ("i miei compari", li definiva). Peccato che il tilt fosse dietro l'angolo: "Oh, adesso, graziegraziegraziegrazie Roma!!!!, adesso dicevo cantate con noi, e se non la sapete scegliete una vocale a scelta e cantate!". Ehm, sì.... Partiva Ma cos'hai messo nel caffè?, e una selva di punti di domanda fioriva sopra le teste della platea nello spiazzo: di che vocale parlava Malika? Semplice: si era confusa con la scaletta, perché la canzone a colpi di vocale era quella dopo, Thoughts and Clouds, dove si canta: "She says aaaa-aaa-aaa-a-a!". E vabbe', succede. Poi: "Graziegraziegraziegrazie, che bello, oh, se poi il 2014 non va bene, questo è un precedente micidiale!". Ehm, sì... E via con La prima cosa bella, e qui il risveglio dei romani strafattoni di cui si diceva. Malika cantava: "La senti questa voce?" e i fattoni: "A Mali', e tu lo senti questo vaff******?". Stavo per girarmi a mazziare il sacrilego, quand'ecco un intero coro di ubriachi, mix maschi-femmine, età poco sopra il bimbominkiese, intonare (si fa per dire): "La prima cuosa beeeeellllaaa- che uho auuuto dalla uiiita- e il tuouo suorriso giovanehhhh sciueituuuuuu!!!!". Compresa la disparità di forze in campo, tornavo al mio nido. In tempo, peraltro, per godermi l'unico vero motivo della mia presenza al Circo Massimo: l'esecuzione dal vivo di Ricomincio da qui, il gioiellino confezionato da Arnò-Pacifico per Malikuccia nostra, un pezzo che ad averlo dato 40 anni fa a Dionne Warwick oggi lo saprebbero cantare anche le badanti svizzere. Malika non deludeva, arieggiava le note della canzone con le morbide tonalità esotiche e speziate di cui è capace solo lei, saliva di ottava con irrisoria facilità, gesticolava a caso con altrettanta facilità, ma arrivati a: "E mi porterà- a non fermarmi mai..." ecc. ecc. un tumulto scuoteva le coscienze dei presenti e giù nello spazio fronte palco le braccia iniziavano a sbracciarsi. Ok, Malika, mission accomplished. "Ancora tu....qui..." veniva flautato nell'aria come una nuvola d'incenso & cardamomo e l'ipnosi cessava, ma che ipnosi! L'unico, autentico momento di estasi, nel senso di "uscir fuori dall'ordinario", della serata. Clap Clap. Poi si andava verso il congedo: "Oh, graziegraziegrazie, adesso il momento-limone, nel senso che le due canzoni a seguire vanno benissimo per quando si limona". Ehm, sì... soprattutto Come foglie, chi non limonerebbe al suono di "È piovuto il caldo.... d'estate muoio un po' "? Ma va bene così, seguiva l'ultima canzone e poi ciao ciao Malika.  E così, sazi ma felici, io e la Spocchia ci apprestavamo a guadagnare il metro'. Senza danni, oltretutto, anzi, c'era pure il momento lollons: gruppo di bimbominkia che veniva nella nostra direzione, uno di loro dava un calcio per sbaglio ad una bottiglia di birra vuota che giaceva solitaria sul pave', io spostavo le gambucce per non venir birrato, la bottiglia mi passava in mezzo alle gambucce e il bimbominkia mi guardava estasiato: "Tunnel!!!". Ah, che momenti. Ma il metro' chiamava. Non prima di aver mantenuto la promessa- panino: un umile camioncino delle delizie stazionava giusto lì, chissà perché poi, ed io mi procuravo, quasi inconsapevolmente, un modesto panino con la porchetta, la cui croccantezza mi invitava a proseguire le riflessioni prinicipiate poc'anzi: sì, l'umanità si avvolgerà su se stessa, fin quando non capirà che è la rottura del cerchio e il suo divenire spirale l'unica via di salvezza. E pensando ciò, tagliavo di netto il viale, fidando nel piede sonnecchioso degli automobilisti. E così giungevo all'ingresso del metro'. Chiuso. Ma scusi, signor agente, non s'era detto fino alle 2.30? Spallucce. Provavo allora a guadagnare l'altro ingresso, quello davanti alla sede della FAO. E facevo tappa ad un altro umile camioncino sparavivande, luminoso nella notte buia come un porto felice nelle tempeste, o meglio nel caleidoacusma di petardi e sirene che saliva da ovunque, segno che anche quest'anno qualcuno si era ustionato. Cordoni di volanti e luci blu, cordonate a loro volta da panciuti e soddisfatti poliziotti, circondavano me e il mio panino salamella e ketchup, giusto il tempo di prendere atto che anche l'altro ingresso era sbarrato. Peccato, pensavamo io e la Spocchia leccandoci le dita dal ketchup, dovremo farcela a piedi. Circo Massimo- quartiere Prati. Ma sì, un'oretta in mezzo al caos capodannizio, cosa vuoi che sia...  Cosucce, sì: slalom tra auto in corsa per finire in coda, ulteriori petard-bombing con sottofondo di ambulanze, gruppi umani a caso che prendevano direzioni a caso, il bimbominkia della Roma- bene prelevato sul lungotevere dal papi in Maserati, gli edifici storici dell'Urbe mollemente adagiati sulle rive del fiume o accoccolati sui colli intorno, immersi nei guanciali della vegetazione sempreverde, illuminati di caldi toni ocra, isole di armonia nel disordine, comprensivi e quasi annoiati nel vedersi svolgere l'ennesimo rito di massa al cospetto della loro immutabile maestà, retaggio di epoche in cui verità & bellezza andavano a braccetto (but we love Risorgimento, sia chiaro). Così, zompettando zompettando si giungeva al quartiere Prati, noto per essere il più tranquillo di Roma, datosi che in esso nulla accade mai a nessuna ora di nessun giorno di nessun mese. A un km di distanza, in Vaticano, può esserci l'assalto alla piazza della Basilica, nel quartiere Prati tutto tace; feroci tornate di shopping in via Condotti, al Prati non si muove foglia; capodanno folle in tutta Roma, il Prati mi accoglie col l'estinguentesi odorino di petarducci da poco scoppiati, robetta, in questo quartiere una tromba d'aria diventerebbe il mulinello di un placido rio. Così pensavo, riflettendo sulla monotonia del Prati, quand'ecco @@BOOOOOOMMMMM!!!!@@ un petardo Beirut pure qui, con contestuale luce saltata in un pezzo di via. Ok, segno che non esiste luogo al mondo immune dal divenire. Ed è così che divenivo nel mio lettuccio, con una sola idea in testa: che, al momento, non ricordo.  Buon anno.