Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



Per scaricare il poliziesco pentadimensionale I delitti di casa Sommersmith, andate qui!!!

domenica 27 gennaio 2013

"Lacrime del tramonto", episodio 5: tu schiaccialo...

[Episodio 4 qui]

[Provincia di Las Rooedas, contea di Chachakunya, palazzo Sombra de la Lira; due giorni dopo il fidanzamento mancato; interno giorno; su un moderato divano di ossa di tricheco siede sconsolata Derrilla, intenta a straziare di calde lacrime un fazzolettino di seta di platino (sì, seta di platino, cari miei); di fronte a lei, seduto su una poltrona di pongo solidificato al forno, il fratellino Paquito; dialogo in modalità monaurale].


Derrilla: Tu sapevi....??????
Paquito: Ma... no... diciamo che Mareja mi aveva accennato... sai, quella volta che ci eravamo incontrati per caso sul ponte di Theazzaria [il ponte che separa il lago artificiale di Chachakunya dal suo emissario artificiale ndr]... così, mi diceva...
D: Ma quella volta sul ponte è stato due mesi fa, io ho annunciato il mio fidanzamento con Faillor tre settimane orsono!!!
P: Ah, forse allora è stato quando ci siamo visti alla spaghettoteca per l'onomastico di Tormiento....
D: Ma se quella volta mi avevi detto che non eri andato perché avevi le colichine!!
P: No, ma poi ci sono andato lo stesso, ma non te l'ho più detto, perché avevi già programmato di andare al cinema, però non ti sei persa molto, gli spaghetti erano quasi sempre scotti...
D: Ma come hai fatto a incontrarti lì con Mareja, se lei è celiaca? Cosa va a fare in spaghettoteca?
P: Ma no, adesso hanno anche gli spaghetti per celiaci, infatti lei ha gradito molto quelli allo scoglio.
D: Ma se è allergica ai frutti di mare!!!
P: No, intendo che li ha ordinati Calvario e a Mareja piacevano come organizzazione del piatto, lei si è presa quelli al pesto.
D: Ma ha sempre detto che odia il basilico!!!
P: No, non hai capito, li ha ordinati, ma senza pesto.
D: Quindi è venuta in spaghettoteca per mangiare la pasta in bianco?????
P: No, l'ha mangiata quando siamo usciti, in spaghettoteca mi guardava mangiare e intanto mi accennava allo scherzo che voleva fare a una delle sue cugine, ma io pensavo volesse farlo a Martirio per vendicarsi di quella volta là che era inciampata nel suo frullatore a immersione di Hello Kitty.
D: E quand'è che Martirio avrebbe mai detto che si voleva fidanzare?
P: No, Mareja è stata vaga, parlava di una cugina un po' snob che meritava una lezione...
D: Ma se mi hai detto prima che ha fatto il mio nome!!!
P: Ma no, ha esclamato: "Peggio di Godzilla", il film...
D: Non lo proiettano dall'anno scorso....
P: Comunque quando ha parlato dello scherzo, io ho pensato che non fosse importante e non ho detto niente a nessuno.
D: Come 'non importante'???. Ma si tratta delle tue sorelle!!!
P: Le stesse che, quando avevo 5 anni e rimasi sepolto sotto la valanga a Proghaderta [località sciistica artificiale a 70 km dalla città dei nostri simpatici eroi ndr], non mi soccorsero, perché dovevano andare al the danzante di zia Truleida? Le stesse che vendettero il mio orsacchiotto preferito per comprarsi le paillettes e andare alla festa della scuola e mi dissero che l'orsacchiotto si era suicidato perché puzzavo? Le stesse che...
D: Insomma, basta! E' stato secoli fa!!! Ancora con questi rancori?
P: Fai tu...
D: Aspetta, ora che ci penso... tre settimane fa Mareja era in vacanza studio col circolo del punto a croce... come hai fatto ad incontrarla alla spaghettoteca?
P: Ma no, è stato il mese scorso, c'era anche Sidròn...
D: Allora è da un bel po' che Sidròn è complice della cosa!!!!
P: Ma no, c'era Sidròn nel senso che Mareja accennava al fatto che doveva arrivare di lì a poco...
[passaggio a modalità stereo] D. Hermanito, tiengo la impresiòn que tu me racontas una sfracca de boletas....
P: Quanto es ingiusta, Derrilla, te ho dido tutto quel che sapievo. E che sarà mai un fidanzamiento saltado... come se fosse el unico...
D: Madre de dios, el mio honor calpestado dalla recita de un gigolò travestito da assicuradòr...
P: Soy multo entristido, querida hermana, ma ahora devo andar via.
D: Maaaa... come mai tutto en ghingheri, Paquitinho?
P: Ah, non te l'ho detto? Devo andar a far el testimone de nozze.
D: E chi se espuesa?
P: Gorrendha, non lo sapievas?
D: Gorrendhaaaaa!?!?!?!?!?La mia arcinemica? E tu le tieni el bordòn dello strascico senza anticiparme nada?????? Como puedes....?
P: Puedo, porque pure tu regalasti a Palmito per el compleanno la macchinina sparabolle che piaceva anche a me... Te saludo, hermanita.... [esce, Derrilla crolla sul divano in preda a convulsioni isteriche e chiama uno schiavetto che le porti del punch]


[Provincia di ecc. ecc., appartamento di Mareja; interno mezzogiorno; Mareja si specchia voluttuosa al boudoir e conta mentalmente gli aghi di pino marittimo che è riuscita ad infilare nella sottoveste di Derrilla mentre costei era svenuta nell'episodio 4; Paquito sta in piedi dietro a lei; modalità monaurale].

Mareja: Quindi mia cugina non sospetta di nulla?
Paquito: Macché. Buio totale. Crede siano state le sorelle ad organizzare tutto.
M. E non ti ha fatto domande?
P. No, neanche una. Anzi, credeva che Palmito ne sapesse più di me.
M. Quindi Derrilla non immagina che io e te ci siamo trovati segretamente alla Fiera dell'uovo sbattuto sei mesi fa e tu mi hai consigliato di aspettare il suo fidanzamento, che sarebbe stato imminente, perché tu avevi detto a Faillor, incontrato per caso nella fotocopisteria del collegio, dove tu lavori come raccoglitore di toner scaduti, che da lì a tre mesi in biblioteca avrebbe conosciuto una bella gnocca e si sarebbero fidanzati ed intanto io avrei dovuto pensare ad una vendetta in grande stile per infamarla davanti a tutti, una volta avuta notizia della cerimonia?
P. Non lo pensa affatto.
M. Eccellente... Ma tu sei riuscito a confondere ancora un po' le acque?
P. Certo, le ho detto che ci eravamo incontrati al parco giochi e tu mi avevi detto che qualcuno ti aveva detto che qualcuno era arrabbiato con Derrilla e voleva dare fuoco a casa sua, accontentandosi in seguito di mandarle a monte il fidanzamento.
M. E lei ci è cascata?
P. Non sospetta minimamente di te.
[passaggio alla modalità stereo] M. Maravillhoso, cuginito... tieni esto pacchetto di figurine dei Digimon, intanto, poi te comprerò qualcosa di ancora mas formoso...
P. [a parte] Sì, con le tue promesse estoy fresco... [A Mareja] Cuginita, quella tua amica tanto belloccha...
M. Fintrebba Padelha?
P. Sì, non è que per caso potresti....
M. Claro que sì, mi amor, domani la chiamo e poi te faccio saper.
P. Perfieto. Gracias de corazòn! [la bacia sulla guancia].
M. De nada. Hasta luego! [Paquito esce dalla stanza].



[Provincia di ecc. ecc., ancora palazzo Sombra de la Lira; interno notte; cameretta di Paquito, tappezzata di poster di Super Mario Bros e Donkey Kong Country; Paquito si guarda allo specchio].

Paquito: Soy de verdad el più furbo de el bigoncio... non truevas?
Paquito Riflesso nello specchio (o forse Paquito stesso che si risponde, chissà...)Es un demonio de abilidad... tienes todos ellos en las tuas manos...
P. Manca solo un ingrediente e la miscela esploderà como un petardito...
PR. Està solo question de paciencia. 
P. [suggendo avidamente una stringa di liquirizia Haribo] La vendetta se consuma fria.
PR. Anch'io voglio la liquiricia...
P. No, così emparas a non rispuenderme quando te domando l'imitaciòn dell'anitra muta!
PR. Es el solito egoista...
P. Ah, sì? E allora adios! [getta una latta di vernice sullo specchio per non vedere più l'immagine riflessa].
[Voce alle sue spalle] Excelente manovra, Paquito... Multo mejo de Arles de Gemini...
[5- continua]

giovedì 24 gennaio 2013

Ed è sempre Atene...


I numerosi ed affezionati lettori del blog ('Tiratela di meno!!', 'Ahò, machittevole?') mi perdoneranno se inzeppo di post ad argomento politico i miei ultimi, interessantissimi interventi, ma capirete bene che il momento è gravido di tensione, siamo alla svolta da Seconda a Terza repubblica (aridatece Giulio Cesare....), la blogosfera crepita ansiosa, in attesa dell'Evento che avrà luogo fra un mese esatto.
Ci avviciniamo alle elezioni con alcune curiose evenienze: non possiamo che complimentarci con i gruppi politici che hanno deciso, come si dice, di 'ripulire' le liste dei candidati al Parlamento, così da non presentare alla competizione personaggi in odore di malversazione. La qual cosa, se pure è la risultante inevitabile ANCHE del battage mediatico-piazzaiolo portato avanti dal movimento di Beppe Grillo, rappresenta comunque una presa di coscienza, pure un filino ipocrita, che un inquisito in lista porta via più voti di quanti ne fa affluire. Cosentino, per dire, gran collettore di tessere & suffragi in Campania, è stato allegramente lasciato a piedi perché il numero di voti da lui collettabile è certo inferiore a quelli che il PDL perderebbe presentando lui in lista.
Ma, come sempre in Italia, c'è un ma: lungi dal limitarsi a depennare certi nomacci dalle liste, depennatori e depennati si stanno esibendo in un esercizio di deformazione della realtà molto pirandelliano, ma nondimeno assai patetico. Nello specifico: Cosentino, a detta di Berlusconi, è stato escluso per colpa della magistratura che con le sue inchieste ha a tal punto infangato il buon nome dell'ex deputato che costui non è più presentabile, ma la colpa, appunto, è dei giudici. Scajola, detto anche 'L'inquilino autoincosciente', rinuncia alla candidatura perché non ne può più di dover sostenere esami di moralità su ogni virgola della sua esistenza, ma la colpa, appunto, è di coloro che gli hanno fatto notare l'esistenza dell'appartamento vista Colosseo e altre cosucce. A livello locale, nella ridente cittadina di Livorno si stava per nominare assessore un ex militante di Prima Linea, ma la dirigenza nazionale del PD ha detto no; l'interessato, tal Marco Solimano, ha quietamente rinunciato, ma 'solo per evitare polemiche', cioè a dire che sono esagerati gli altri ad inalberarsi così tanto per il suo trascurabile passato da terrorista, e insomma come la fate lunga, vabbe' vabbe', mi ritiro così la smettete di ciarlare, veh...   
Sembra insomma di assistere a certe interviste vippute nelle quali, ad un bel momento, si chiede al vip di dire un proprio difetto. Qualche secondo di esitazione e poi: "Mmmhhh...sai....a volte sono.... un po' troppo paziente....", oppure: ".... sono troppo altruista" et similia. In sostanza, i loro difetti sono in realtà pregi eccessivi. Così i nostri esclusi eccellenti danno ad intendere che il loro allontanamento dall'arengo politico non è dovuto ad un carico di accuse di fronte alla più piccola delle quali gente come De Gasperi o Pertini si sarebbe suicidata, ma anzi sono loro che, in un empito di bontà, accettano con stoica rassegnazione di cedere il passo di fronte alla soverchiante montagna di calunnie mosse loro. "Non siete voi a mandarmi via, sono io che me ne vado".  
Dice: 'Del resto Berlusconi, come da te piamente osservato qualche post fa, ha dato il via alle danze facendo la volpe e l'uva nel rinunciare alla candidatura a premier perché tanto è una carica senza vero potere'. Appunto. L'importante è l'angolatura da cui si osservano gli eventi.
Vero è però che, pur essendo Silviuccio nostro il gran capostipite degli Autonconvincentisi, c'è in lui una carica di manipolazione del reale che ha un che di artistico. Un conto è fare la vittima, come vediamo da parte di Cosentino & compagnia, altro è comportarsi coi fatti passati, presenti e futuri come se essi fossero pongo da plasmare per offrire al pubblico un'immagine del reale perfettamente sovrapposta al vero ('Ma la verità assoluta non esiste!!!", spari in sottofondo).
Il carattere, si sa, l'animo del lottatore... Silviuccio si convince e cerca di convincere con lo charme del grande venditore. Aggredisce, replica, sciorina dati in contraddizione con qualsiasi altro resoconto di qualsiasi istituto statistico dell'orbe terracqueo (nonché con l'evidenza empirica più nuda coglibile da tutti noi), ma lui si staccherebbe una rotula per convincerti che gli unici numeri affidabili sono i suoi; lui sa e vuole che tu sappia che il mondo è bello, la povertà è un illusione che si sono creati i poveri, la vittoria sarà sua, lui rivolterà l'Italia come un guanto, i suoi peccatucci carnali sono propellente per nuovo entusiasmo esistenziale, i suoi accusatori sono grigi burocrati, gli altri politici, tutti tranne lui cioè, sono mestieranti che se non facessero politica sarebbero spacciati, lui sì che ha il piglio, guidava aziende, lui.
Ma perché queste cose sono le stesse nel 1994 e oggi, intercorso un diciannovennio di traguardi mancati di fronte al quale chiunque avrebbe evitato di ri-mettere la faccia di fronte al popolo bue, detto pure che a 76 anni puoi anche pensare a passare una chiuccosa vecchiaia e spendere quei due-tre miliarducci che hai messo da parte? I soliti bene informati dicono che Silviuccio starebbe trattando con la futura maggioranza piddina una sorta di scambio: la presidenza del Senato per lui (= immunità quinquennale da qualsiasi inchiesta magistratuale), i voti del PDL + Lega per il candidato piddino al Quirinale.  
Ma dai, ingenui... vi pare che, dopo tutto il tuttibile, presenteremmo come seconda carica dello Stato un pluri-inquisito in odor di Ruby? Silviuccio si è ributtato in politica in ossequio al suo inguaribile ottimismo e alla convinizione, anch'essa già esplorata, di modellare il Paese a sua somiglianza. C'è però un dato in più, ed è l'ascendenza squisitamente letteraria di tale atteggiamento, che sin qui non avevo colto, me tapino. L'ottimismo berlusconide nella propria onnipotenza ha infatti un tratto talmente sesquipedale da sfiorare il gigantismo di certi fanciulli che si creano il loro piccolo regno nella cameretta e ne diventano sovrani assoluti, facendo sì che ogni minimo evento all'interno di quelle quattro mura dipenda direttamente dalla loro volontà. 
Ebbene, di dove viene a Berlusconi tutta codesta energia? Semplice, dalla lettura attenta e approfondita delle commedie di Aristofane (aaaaahhh, ecco il perché del titolo....sono un birbacchione, eh?).
I lettori sapranno che ad Atene, nel quinto secolo a.C. impazzava il genere comico ed il suo più autorevole esponente era un ricco signore col pallino della scrittura, Aristofane, appunto. Dove uno s'aspetta che la commedia nasca fin dai primordi come genere letterario 'de sinistra', dettosi che il comico in genere mette alla berlina i difetti della società e della classe politica al potere, c'è che ai tempi di Ary al potere c'era una squadra di demagoghi che sobillava la pancia del popolo ateniese, propellendola verso scellerate decisioni soprattutto in materia di guerra contro Sparta, guerra che infatti verrà persa. Ary, da buon proprietario terriero, si era un tantino scocciato di avere i propri possessi fondiari devastati dagli eserciti nemici, né potevano intravvedersi per lui prospettive di guadagno a guerra eventualmente vinta, i cui vantaggi sarebbero andati, semmai, a farsi godere dai commercianti e dal popolicchio. Accade cioè che uno dei maggiori comici della letteratura greca sia, giudicandolo con le dovute cautele secondo le categorie odierne, un reazionario di destra (Pingitore, non sei il primo, sorry).
Le commedie rimasteci, impregnate di vivissima polemica politica e quindi specchio interessanterrimo, seppure fatalmente deformato, della realtà contemporanea del poeta, si incentrano spesso su un personaggio di bassa estrazione che, a fronte di una situazione di partenza sfigatella, riesce con una serie di scelte e azioni fuori dall'ordinario a ricostituire l'ordine perduto. Il fatto è che il protagonista è animato da una fiducia nei propri mezzi che risulta istintivamente risibile, vista la condizione non certamente 'eroica' in cui esso versa, eppure, con una vitalità davvero fanciullesca, egli riesce a spezzare i vincoli della realtà ostile e a far trionfare la sua visione delle cose. Per dire: un tal Trigeo sale in groppa ad un gigantesco scarabeo stercorario e sale sull'Olimpo per cantarle agli dèi e ottenere la sospirata pace. Diceopoli, contadino stanco di vedere devastati dalla guerra i suoi terreni (chi si celerà dietro costui...?), decide di strafregarsene della politica ateniese e di procedere per conto suo alla pace con Sparta. Gli allegri amici Pistetero ('colui che si fida dell'altro') ed Evelpide ('colui che coltiva buone speranze') ('e smettila, abbiamo capito che hai la laurea in Lettere classiche, su') mollano il mondo di quaggiù e fondano una città celeste nel regno degli uccelli, la sublime Nubicuculia, luogo pionieristico in cui non varranno più le leggi corrotte della Grecia contemporanea, senza contare che la posizione strategica della nuova città permette di intercettare il fumo dei sacrifici fatti dagli uomini agli dèi, sì che costoro non possano deliziarsene, rischiando di morire affamati. Risultato: gli dèi protestano invano e le nuove divinità di Nubicuculia saranno gli uccelli.
E' quest'ultima commedia che secondo me Silviuccio ha letto più delle altre: in essa i protagonisti non si limitano a rimodellare il mondo in cui vivono, ma ne creano proprio un altro, all'interno del quale essi dettano legge secondo un'istintualità ed una voluttà di godimento che vanno al di là del possesso o meno delle doti politiche. Pistetero ed Evelpide vogliono una realtà dove poter gustare la realizzazione di tutti i propri desideri. La giustizia non sarà dettata dalla Legge, ma dal Capriccio. Assistiamo insomma ad una fuga utopica in un sistema privo di regole, dove sia finalmente possibile fare ciò che non è possibile fare giù tra gli uomini, ovvero quel che si vuole. Per dire cioè che Pistetero & socio non sono certo eroi rivoluzionari che raddrizzano i torti e abbattono i tiranni, eroi i cui ritratti di norma campeggiano sopra i caminetti del popolo eternamente grato, ma eroi del proprio interesse straccio, adulti-bambini guidati solo dai propri impulsi egoistici. Una cosa li rende davvero eccezionali: la convinzione che le proprie voglie, quali esse siano, si possano tramutare senza ostacolo veruno in realtà. Per godersela.

(L'avrà letto in lingua originale?).     

martedì 22 gennaio 2013

De fuga (contumace memoriale per Fabrizio Corona)

Quando ho trasportato dal profilo FB a qui le note sul bimbominkismo e su Mariah Phillips, non ho fatto lo stesso col ritratto di Fabrizio Corona, ritenendo ormai costui mediaticamente ed esistenzialmente decotto.

Poi apro il televisore (come diceva Mike Bongiorno) e scopro non tanto che l'ottimo fotografo dei vips ha avuto la conferma in Cassazione della condanna per le foto-ricatto a Trezeguet, ma che, prima ancora di sentire la sentenza, si è dato alla macchia, manco fosse Dante accusato di baratteria. Dubbio non v'è che la sua uscita di scena sia in linea col personaggio, poiché questo disperato è condannato a far parlare di sé per sentire di esistere. Egli, di fatto, assomma una serie di caratteristiche che sono un formidabile sunto di tutte le storture della nostra età, e non solo dal versante bimbominkiesco, cui lui peraltro, avendo 38 anni, non può tecnicamente appartenere.
Fatto sta che adesso incollo qui il ritratto che di lui feci a suo tempo, con annesso predicozzo finale di allora che adesso verrà fatalmente ampliato. Buona visione.

Fabrizo Corona (Namec 1974 – vivente), showman, pluricondannato per qualsiasi cosa abbia a che fare con la frode e/o la violazione di divieti (guardare su Wikipedia per credere), fotografo del bel mondo: la sua età anagrafica sconsiglierebbe di classificarlo come Bimbominkia (e difatti non lo classifichiamo tale), ma la sua attività, diciamo così, lavorativa ha prodotto un tale impatto sulle giovani menti dei nati dopo il 1990 che non è possibile trascurare il peso di questo personaggio sulla cultura nativa digitale d’oggidì. Il presente ritratto, quindi, gronderà di facile moralismo come una puntata di “Arnold”.
Il piccolo Fabrizio, figlio e nipote d’arte, passa un’infanzia spensierata a non far nulla. Così la fanciullezza. Idem l’adolescenza. Preoccupati di ciò, parenti e affini decidono di sondare le capacità del soggetto, posto che ne abbia. Falliti i tentativi di appassionarlo al badminton e al bridge, si prova regalandogli una macchina fotografica ad istantanee: il frugoletto, tutto eccitato, rivolge l’apparecchio verso di sé e si scatta una foto, restando abbagliato per due ore, passate le quali si accorge che la macchina ha slinguazzato una foto con la sua faccia. Convinto di aver trovato il Ponte spaziale per Cybertron che gli Autorobot cercavano invano da decenni, continua a scattarsi foto, perdendo fino a 4 diottrie dall’occhio destro e 3 dal sinistro (che a volte strizzava per apparire più cool), la qual cosa spiega lo sguardo spesso fisso nel vuoto che egli esibisce tutt’oggi in certe interviste. E’ a quel punto che comincia a venirgli il sospetto che il flash della macchina vada rivolto a qualcun altro che non sia lui.
E’ l'inizio del Futuro. Fabrizio scopre di poter fissare nell’Eternità i momenti più intensi di familiari e amici: la zia che fa la conserva di pomodoro, il giornalaio che si arriccia i baffi, i compagni di classe sporchi di Nutella alle feste della scuola. Che tenerezza... Sennonché, il sagace e puccioso fotografo realizza che le foto di momenti privati rubati alla privacy possono servire a ben altro, per esempio ricattare la gente: è così che, fotografando una scappatella del nonno con la lattaia del paese, tiene sotto scacco il vecchio con la minaccia di diffondere lo scottante dossier e ottiene, in cambio del proprio silenzio, il suo primo motorino. E’ poi la volta dei compagni di classe, sorpresi a studiare le coniche, non quelle di matematica, ma quelle ripiene d’erba: ecco arrivare, pur di evitare lo scandalo, soldi, orologi, braccialetti, copie gratis di Tex Willer et similia.
Ormai è chiaro: la fotografia d’alto bordo è il destino del Nostro. Dopo il diploma all’Accademia di Star Trek, Fabrizio parte per Milano e lì trova l’America, ovvero un mondo di vip e sotto vip di cui egli intuisce le potenzialità, nel senso che, da uomo navigato, sa benissimo che la gente che conta è anche quella che si caccia nei guai con più voluttà. Fondata un’agenzia di paparazzi (originalmente chiamata Corona’s), il Nostro batte (in tutti i sensi) a tappeto i locali della Milano che conta, conoscendo anzitutto colui che sarà l’arbitro delle sue glorie e sfortune, un budino semovente di nome Lele Mora: costui, abbagliato dal fisicaccio da muratore postatomico del fotografo, lo prende sotto la propria gelatinosa ala e, in cambio di servizi non solo fotografici (andate su wikipedia se non ci credete), lo copre d’oro, di automobili e lo fa entrare nei giri giusti; è a quest’epoca che Fabbri’, come affettuosamente lo chiamava il barbiere da cui non andava mai, conosce la prima donna della sua vita, un canotto di origine ceca con attaccata una donna di nome Nina Moric, fotomodella pettoruta di dichiarata fede cattolica. I due si guardano e, fulminati da affinità intellettuale, se zompano prima di subito, riproducendosi di lì a poco.
Sistemata dunque l’immagine da buon padre di famiglia, Fabrizio comincia a tentare di demolire le famiglie altrui: è del 2006 il suo primo Ricatto Di Un Certo Livello (d’ora in poi RDUCL) ai danni del calciatore juventino David Trezeguet, flashato all’uscita da un locale notturno in compagnia di una ragazza che NON era sua moglie. Al modico prezzo di 25mila euro Trezeguet ottiene che Fabbri’ non pubblichi le foto, che pure non sarebbero di per sé prova di alcunché, essendo la fanciulla “solo un’amica”, ma per evitare dicerie e guai coniugali il calciatore (che, lo ricordiamo, appartiene ad una stirpe umana non sempre dotata di cervello e facile al panico) preferisce sganciare denaro cash e chiuderla lì. Fabbri’ ha ora modo, nella sua latitanza, di pentirsi di tutto ciò.

Successiva vittima di RDUCL è la sempre frizzante Simona Ventura, già moglie del dotatissimo calciatore Stefano Bettarini, la quale dalla sera alla mattina vede sbattute sui settimanali più chic le sue foto “amichevoli” con Giorgio Gori, marito della giornalista del TG5 Cristina Parodi. Scandalo, pensieri piccanti, ma soprattutto una domanda: chi aveva le foto? Fabbri’, no? Il quale tenta di ricavar ciccia pure da questa vicenda, ma più che altro attira su di sé l’ira dell’agente della Ventura. E chi è costui? Lele Mora. Quando si dice: sparare alle proprie passere...
Qui la vicenda del Nostro conosce una brusca svolta: la procura di Potenza lo riduce all’impotenza (aaaahh ah, ah, ah...) facendolo arrestare con la delicata accusa di associazione a delinquere finalizzata all’estorsione. Dopo 77 giorni di detenzione, il fotografo che piace ottiene gli arresti domiciliari. Risulta tuttavia che la detenzione non abbia minimamente scalfito il suo Ego: all’ingresso del carcere, lo si è sentito ordinare ad un agente: “Portami un caffè”, all’uscita le sue prime affettuose parole sono tutte per il Pubblico Ministero che lo aveva sbattuto dentro (“Un talebano!!!”). Fabbri’ mostra a questo punto di aver capito il secondo grande assioma che regge il bel mondo: trasformare in Fatto Clamoroso tutto ciò che ti accade; è così che sui settimanali appaiono servizi fotografici di lui durante il gabbio (aveva corrotto una guardia per farsi portare una fotocamera digitale in cella, vedete voi...). Il Nostro si fa fotografare sobriamente in calze e mutande, esibendo la muscolatura fresata e lasciando intendere di essere stato vittima del sistema. Il sistema però, nelle ovoidali fattezze di Lele Mora, mostra sempre più insofferenza per Corona: sollecitato dagli amici che gli gridano continuamente: “Lele, nulla interposita Mora!” (jiggle jiggle....), Mora abbandona Fabrizio dichiarando di avere poco o nulla da spartire con le sue “imprese”. Corona tenta a questo punto, con il solito tatto, di farsi notare sui campi di battaglia meno usuali per il suo mestiere: pochi giorni dopo il delitto di Garlasco, ovvero l’omicidio della giovane Chiara Poggi, il cui maggiore indiziato, Alberto Stasi, risulterà poi innocente, Fabbri’ piomba nel paesello pavese, ma nessuno se lo fila. Dopo aver urlato ad un tizio seduto al bar: “Scusa, hai da accendere?”, il fotografo viene notato e tutti si stringono intorno a lui, dopodiché, avendo realizzato l’inutilità della sua presenza, lo rimollano. Restano sedotte da lui le cugine di Chiara Poggi, le famose sorelle Cappa, che fiutano l’occasione per farsi un po’ di pubblicità, essendo uno dei loro sogni proibiti la carriera nel mondo dello spettacolo: perché non approfittare di un bell’omicidio per vedere se il fotografo dei vip può ricavar qualcosa anche per loro?
Notevole era peraltro già stata la pertinente presenza di Fabrizio sul teatro di un’altra sciagura plurifamiliare italiana, la strage di Erba, autori i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, lievemente inaciditi nei confronti del vicino di casa marocchino al punto da fare strage della moglie italiana, del figlio e di altra gente. Il marito della vittima, tal Azouz Marzouk, riceve da Fabbri’ l’offerta di un servizio fotografico con l’obbligo contrattuale di indossare ai funerali la maglietta con il logo della Corona’s. Bonjour finesse.
Il resto delle vicende coroniane si svolge tutto più o meno sulla falsariga dei pochi esempi forniti: scandali montati ad arte, denunce, condanne, controcondanne, ospitate TV in cui il Nostro ovviamente si difende e dà lezioni di vita e di etica al mondo intiero, fan bimbominkia che stazionano sotto il suo appartamento in attesa che Lui compaia lanciando mutande come ricordo. Da ultimo, lasciata affondare la Moric, il Nostro si accoppia con la talentuosa soubrette latinoamericana Belen Rodriguez, con la quale verrà più e più volte ritratto mentre, ALL’OSCURO DI ESSERE SOTTO L’OBIETTIVO DEI FOTOGRAFI, si gode momenti di calda intimità, guardando di tanto in tanto, ma per puro caso, proprio in direzione dell’obiettivo.

Ebbene, come già la congiura di Catilina insegna, non si può condannare un personaggio a prescindere dal sistema che lo ha prodotto. Il Corona- pensiero è semplice: il mondo dei vip dello spettacolo e dello sport è marcio, dietro lo splendore delle serate al Billionaire e degli yacht si nascondono miserie di solitudine, rivalità, dispetti reciproci, tradimenti, droga, promesse di lavoro in cambio di zompi facili; a questo punto io (cioè Corona) non faccio altro che svelarvi quel marcio, e magari tento di guadagnarci pure su, visto quanto guadagnano loro nel condurre le loro ipocrite esistenze. Insomma, non date a me dell’immorale, è immorale il mondo che vi svelo. Che poi io faccia il Robin Hood di me stesso, questo non deve interessarvi.
E’ qui che il tribunale della Spocchia si permette di dissentire: che il mondo dello spettacolo sia una fogna rivestita di diamanti è noto fin da quando noi tutti assistevamo all’inarrestabile crollo psicofisico di Judy Garland, bambina prodigio ne “Il mago di Oz” poi spentasi nel 1969 a 47 anni per overdose di barbiturici. Non crediamo però allo zelo missionario dei Corona, che fingono di fare gli Apostoli della verità e sono in realtà più marci del marcio che pretendono di farci scoprire. Non si diventa Agenti del Bene ricattando calciatori e veline, per quanto squallida possa essere la loro vita: si scende semplicemente al loro livello. Ogni Grande Inquisitore deve avere la decenza di non sporcarsi con i liquami che sottopone a processo: non ci dev'essere guadagno in questo tipo di denunce, sennò il sospetto che si agisca per interessi non meno luridi è automatico. Il problema, e qui torniamo alla questione bimbominkia, è sentire i Nativi Digitali tifare per Corona, vedendo in lui il modello del figo che fa carriera sulle idiozie degli altri. No, Nativi Digitali (parte la musica paternalistica), non è così che va il mondo, quello vero, almeno: non ci si proclama immorali di professione rinfacciando semplicemente agli altri: “sei sporco tu, devo vergognarmi di essere sporco anch’io?”. Così non si fa altro che riprodurre all’infinito i difetti della società. Posto che nessuno è perfetto, non è facendo a gara di immoralità che si sviluppa un tessuto sociale coeso e produttivo; al contrario, ciascuno si chiuderà nel fortilizio del proprio egoismo, cercando solo il momento giusto di fregare gli altri in nome della relativistica considerazione che ciò che va bene a me è bene di per sé anche se fa il male di un altro. Di fatto, non è Fabbri' in sé che spaventa, ma il sistema di valori su cui ha fondato la sua carriera, a sua volta agganciato ad un sistema socio- economico su cui nutrire dubbi è lecito. Attenti ai modelli che seguite, Nativi Digitali: i fiori di maggio sono i primi a sbocciare e i primi ad appassire (e su questa intellettualistica metafora, parte l’Eroica di Beethoven).
[update] Erano giorni di maggio, quando tu, Fabbri', ospite della D'Urso, ammannivi verità esistenziali profonde e ti spacciavi per gran conoscitore del Sistema. Macché: eri solo uno di quei pesci-spazzino che vagano per gli oceani nutrendosi degli avanzi dei pasti dello squalo. Oggi quegli squali di cui tu ti credevi la spina nel fianco sono ancora lì, tu sei costretto alla fuga, poiché non hai capito che con le azioni di guerriglia si possono al massimo tenere impegnati i reparti di fanteria leggera del nemico, ma quando il nemico stesso sfodera l'artiglieria pesante, e tu non ce l'hai, devi solo sperare che abbia la mira storta. Detto fuor di metafora, Fabbrì, per quanto possano essere realmente miserande le esistenze quelli che tu hai preso di mira, LORO, agli occhi del Sistema, sono quelli che fanno girare spettatori, sponsor e soldi, e per quanti scandali li travolgano, prima di fare a meno della loro presenza dovrà succedere l'Apocalisse. Pensavi davvero che il Sistema, per quattro foto pruriginose, avrebbe preferito te a loro, tu che esisti solo perché loro esistono? Il Sistema sarebbe autoimploso per causa tua? Così potente davvero ti credesti?
Esci di scena, dunque, fregato da una hybris che neanche il più scriteriato degli eroi omerici avrebbe mai esibito. Esci di scena, dicono, passando per una palestra, da dove saresti scappato di soppiatto per eludere i poliziotti. La palestra, appunto: simbolo dell'ideologia tua e di quelli che hai illuso, poggiata  unicamente sull'apparenza, la muscolarità spacciata come valore autonomo, l'arroganza esibita, l'aggressività come unico linguaggio. Il tuo grugno litigioso nel replicare a chicchessia, il tuo fare capronesco, la tua sicumera che non si nutriva altro che di sé stessa, così da rendersi credibile agli occhi dei meno avveduti: tutto si spegne in questo inverno zottozero coi colori in bianco e nero. Fuggi come una superspia internazionale, fatti sguinzagliare dietro l'Interpol, fingi a te stesso di aver di nuovo le luci del palco puntate su di te mentre scappi: è il tuo più meraviglioso addio, e nonostante esso abbia l'apparenza di un'interminabile fuga, ti stai in realtà gettando addosso a Moby Dick come già Achab a suo tempo. Con la differenza che lui, di legno, aveva solo la gamba. [esce la Spocchia seguita da un corteo di giovani sacerdotesse di Mitra]

martedì 15 gennaio 2013

Promemoria per Marione nostro (la par condicio, sai....).

Mario, non credere che io e il mio blog non ti pensiamo, solo che Silvio è mille volte più divertente di te. Dopo la patetica sortita contro la 'statura accademica' di Brunetta, roba che nemmeno i comici alla festa del patrono di Folgaria, hai cominciato a mentalizzare che una campagna elettorale seria, posto pure che tu in lista non ci vai, non può giocarsi su battutine, calembours e colpi di fioretto. Bravo. Adesso hai calato gli assi pure tu. 'Quei tizi che mi davano il voto fino a 2 mesi fa? Gentaglia...'. 'Berlusconi? Pifferaio magico'. Et similia. Bravo. Adesso la fossa è scavata del tutto. Perché vedi, Marione mio adorato, tu, il cui Ministro della Pubblica Istruzione ha tentato dalla sera alla mattina di creare altri 60.000 docenti precari per l'anno prossimo, sei stato un capo di governo forzatamente super partes, poiché la composita maggioranza che ti reggeva ti obbligava ad incassare voti e zitto.
Così ti vogliamo, devi cantargliele!

Poi, salito nell'agone politico, ti sei tolto tutti i sassolini dalla scarpuccia e hai svelato le magagne del PD, che ti ha azzoppato un pezzo di riforme, e del PDL, che ti ha azzoppato l'altro. Vabbe', ti lamenti pure? Siamo alla fase 'volino gli stracci'? A che pro? Era ovvio che ti reggevi su un compromesso emergenziale e solo per questo non bollabile come assurdo, ma adesso salta fuori che hai dovuto fare da mediatore tra suocera e nuora? Ma giura?
No, Mario, versare a posteriori liquami sui tuoi ex sostenitori non giova. Sappiamo bene perché ad un certo punto sei comparso tu. Grazie. Guarda avanti. Non cercare di accalappiare voti infamando gli ex compagni di viaggio: lo capiamo da soli che, se alla fine c'è voluto il governo tecnico, questi qui erano troppo idioti per cavarsi d'impiccio con le proprie forze. La tua sola presenza degli ultimi 14 mesi vale come spot anti- PD e anti- PDL. Non aggiungere altro, impara la sottile arte della sottrazione, quella per cui il non detto è spesso più fragoroso di quel che si dice.
Lancia quell'onda energetica, lanciala!!!!

Parla di programmi, chè di quelli c'è sete. Mi consenti una metafora scolastica pure per te? Quando sparli del PD e sopratutto, fatalmente, di Silviuccio, sai che impressione mi dai? Quella di un professore super serio durante tutto l'anno che, a un cena con la classe a giugno, si mette ad infamare colleghi e alunni assenti, intendendosela coi presenti in modo ridicolmente cameratesco, senza rendersi conto di aver buttato alle ortiche il proprio prestigio. Ecco, tutta questa polvere sotto il tappeto che tu ora tiri fuori contro gli altri due schieramenti mi pare proprio rappellare questa situazione: da serio garante di terzietà a battutista pruriginoso. Non cadere nel tranello, non cercare la sottigliezza o la rispostina da Chichibìo e la gru. Dicci cosa diavolo vuoi fare da marzo in poi. Non perdere un minuto nei giochini di stoppata dialettica cui questa per fortuna morente legislatura ci ha abituato fin troppo. Facci tornare alle cose. Non è questo il tempo di quelle versioni di latino da ginnasio intitolate: "Acuta replica del giovane Scipione a Pincopallus". Vogliamo ciccia. Rem tene, verba sequentur (boato dal pubblico).
Guarda lontano e colà conducici!

Non ci sono fatti, ma opinioni.

M'è giusto finita or ora l'ennesima uscita di Berlusconi, stavolta a Sky, intervistato dalla burrosa Ilaria D'Amico, detta anche: "Colei che disse No al figlio di Moggi" (ma chi era Giovanna D'Arco al confronto?). Certo, il clima più disteso e la presenza di un'interlocutrice non certo sospettabile di simpatie sinistrorse palesi, hanno reso Berlusconi meno ringhioso rispetto alla seratina a casa Gruber della settimana scorsa. Poi, il copione è lo stesso. Cioè, fatta la media dei suoi più recenti interventi, l'ottimo Silvio, cui noi già demmo (o diedimo, istess...) fiducia e poi non ci piacque più causa Gelmini, ha delineato questo scenario:
1) Fosse per me, mi sarei dedicato negli ultimi anni della mia trionfale esistenza a costruire ospedali per bambini.
2) Sono diventato nonno per la settima volta, visto che patriarca? Altro che Ruby & bungabunga.
3) Non mi candido a premier mica perché in quel caso tre quarti dell'elettorato leghista piuttosto voterebbero Grillo, ma perché il premier è una figura azzoppata, non ha veri margini decisionali, tanto vale fare il Ministro dello sviluppo, che almeno lì so come ci si muove.
4) Se non ho portato a termine tutte le riforme che ho promesso, la colpa è di tutti i capetti di partito che mi hanno messo i bastoni tra le ruote in questi anni di governo, prima Casini, poi Fini. Gente che fa il politico di mestiere, mica come me che vengo dal concreto mondo dell'imprenditoria. Date la maggioranza assoluta al mio partito e poi vi faccio vedere io.
5) Appena al governo, metteremo mano ad una riforma della Costituzione che permetterà all'Esecutivo di avvalersi dello strumento del Decreto legge, immediatamente operativo, sì da evitare le pastoie parlamentari, per le quali ogni provvedimento di legge richiede dai 400 ai 600 giorni per essere approvato (tranne la legge Gelmini, Silvio, quella è passata d'incanto).
6) Lo spread è un'invenzione dei mercati, fu artatamente gonfiato per farmi cadere. Prima di Monti eravamo la seconda economia d'Europa e stavamo benissimo. Il nostro debito pubblico non è così alto, perché non si tiene conto del sommerso e del nero (tipico argumentum ex silentio: siccome non ci sono prove che Virgilio NON abbia scritto un poema sugli amorazzi gay di Enea, non è escluso che l'abbia fatto. Silvio, ti prego...).
7) L'attuale crisi economica e sociale del Paese è colpa del governo dei tecnici.
8) Mai voluta l'IMU,ma che potevamo fare? Coi miei governi non ho mai messo le mani in tasca agli italiani, in compenso mi tocca pagare 750 milioni di euro alla tessera numero 1 del Pd, De Benedetti, per un processo la cui sentenza è stata scritta da giudici comunisti...
9) Il taglio dei parlamentari e dei costi della politica? Già proposto nel 2005, ma poi la sinistra ha organizzato il referendum e ce l'hanno abrogato.
10) Votate a sinistra e darete il potere ad una coalizione animata dall'invidia sociale, per la quale la proprietà è un furto, che è ancora attaccata ai residui del comunismo e pensa che il cittadino debba essere al servizio dello Stato e non viceversa.

[entrano 15 ciambellani armati di lavagna e gesso per fare l'analisi del testo]

Quindi: siamo d'accordo con te, Silvio, per quanto concerne il punto 6, e già lo dissimo (o dicemmo, istess...): non si può far cadere un governo in base ad un differenziale tra titoli di Stato. Per il resto, però, consentici, Silvio caro, di perplimerci, a prescindere da quella certa riforma che tu sai ("E piantala, vittimista...!", "Fuori dal mio blog, subito!!!").
Cioè: sui punti 1 e 2 vabbe', sei un caro padre di famiglia e pensi solo agli altri. Ruby, pure, poraccia, le hai dato 57.000 euro per avviare l'attività da estetista, sono soldi tuoi, mica fondi pubblici, ergo ne fai quel che vuoi. Solo una domanda: possibile che tutte,
TUTTE le tapinelle a cui tu generosamente elargisti emolumenti per la startup di qualsivoglia attività, tutte costoro siano femmine di alta piacenza
e forme a dir poco generose? Possibile che tra le tue beneficiate non compaia nessuna tipo Ugly Betty, o al limite Licia dei BeeHive prima di convolare a nozze? Notti brave ad Arcore o meno, resta il fatto che il target pettoruto-estetico delle donne che ti emunsero pecunia è sempre quello.
Perdona se penso male.
Per il punto 3, dai Silviuccio, non fare come la volpe e l'uva, su... Il tuo Ego strabordante mal sopporta la relegazione ad un ministero qualsiasi, ma del resto i leghisti, liberatisi di Bossi, non potrebbero mai averti a Palazzo Chigi dopo tutta la bufera dell'anno scorso. E anche il giochetto di 'Berlusconi presidente' nel simbolo elettorale... 'Perché sono il presidente del partito', ma chissefrega, 'La nostra Costituzione vieta di indicare il candidato premier nel simbolo', e le altre volte allora? Dai, non rigirare la frittata: non ti fanno fare il premier per 80.000 motivi e tu fai la parte di quello che nemmeno ci pensava. No, questo no!
Punti 4-5: sì, sai, il piagnisteo del 'mi hanno sabotato' ha sempre in sé un pericoloso rovescio: e perché TU hai permesso loro di sabotarti? Cioè, quando va bene è merito tuo, quando va male è colpa degli altri? Ora, se a dire queste cose sono allenatori notoriamente incapaci di accettare le sconfitte come Capello o Lippi, allora vabbe'... ma tu, che sei sceso in campo strombazzando il nuovo, non puoi davvero farci credere che la tua sulfurea capacità decisionale sia stata messa in stallo da quattro broccoli. E', se mi consenti l'ennesima metafora scolastica, il caso del professore accusato di non saper tener le classi: sono davvero troppo esuberanti gli alunni o è incapace lui? Non è col vittimismo che si manda avanti un Paese: se non hai saputo domare Fini, Casini & circo accluso (e i mezzi di persuasione li avevi), la colpa è tua.
Eravamo tutti amici, allora...


Oltretutto non è così scontato che una maggioranza pidiellina sarebbe la soluzione: posto pure di avere i numeri in Parlamento anche senza la Lega, chi ti assicura che il tuo granitico partito a lungo andare non si sgranerebbe in correnti e correntucole come la vecchia DC? A volte i governi della Prima Repubblica cascavano per 'fuoco amico' all'interno del partito egemone, senza che i partiti alleati muovessero un dito.
Punti 7-8: senti, Silvio, è inutile fare la parte di quello che partecipa alla festa, ma lui non voleva venire e ce l'hanno costretto. Eri lì a sostenere Monti, sia pure obtorto collo, ma quando la va, la va. Non ci si può sfilare adesso, facendoci credere che tu neanche li volevi quei provvedimenti lì: intanto li hai votati, stop.
Punto 9: peccato che in quella riforma della Costituzione ci fosse parecchia altra roba un po' così.
Punto 10: già sentita.

Morale: a darsi ragione sono bravi tutti, ma io non posso votare un sofista. Sì, perché le varie performance berlusconiane, in particolare quella da Santoro, sono in tutto e per tutto simili a quelle degli oratori della Seconda Sofistica, brava gente del II secolo dopo Cristo che girava di città in città a farsi sfidare dialetticamente dal pubblico adorante, stupendo chicchessia con la capacità di intavolare orazioni su qualsivoglia argomento, accordato in precedenza o meno, pescando da un repertorio fisso di temi e schemi. Per tacere dei tour promozionali dei filosofi del medioevo che giravano di università in università a farsi 'provare' dai colleghi con quesiti di logica aristotelica. Nell'uno e nell'altro caso, il merito della questione contava e pure no, nel senso che era più interessante valutare la capacità del filosofo di argomentare, replicare e mettere in difficoltà gli avversari. Tutto, ovviamente, avendo come base comune la filosofia aristotelica, ritenuta immutabile e inaggiornabile nei suoi contenuti, e quindi fruibile come spazio di infiniti ragionamenti deduttivi e sillogistici da opporre agli interlocutori. Ecco, il girovagare berlusconico di piazza mediatica in piazza mediatica è così: lo senti ribattere con il solito treno di argomentazioni- slogan accuratamente studiate coi suoi esperti di comunicazione e marketing (Santoro, scusa se ti chiamo dentro, ma davvero la letterina a Travaglio non te l'aspettavi, dopo che sono tre mesi che da questo augusto blog ti facciamo notare la strategia defilippica del PDL di far vedere sempre da che pulpito vien la predica? Essù, dai, mi trascuri così?); lo vedi impegnato a rintuzzare le osservazioni-standard del conduttore (che se invece gli facessero sentire le intercettazioni della Minetti...); noti un vigore certo notevole in un 76enne, unito ad una capacità di illudersi e di illudere immutata dal 1994. Però...
Però, proposte autentiche per il nostro futuro, nisba. Ancora il taglio delle tasse, ancora addosso ai giudici comunisti, ancora a dire che prima andava tutto bene... Silvio, io voglio sapere cosa ne sarà di noi domani, non me ne può fregar di meno se tu cambierai la Costituzione, manca tutto il resto. L'economia boccheggia, non mi interessa di chi è stata la colpa, chi andrà al governo dovrà avere un programma VERO, non promesse generiche; non voglio passare ogni giorno della prossima legislatura con te che lanci proclami e subito ti lamenti che non ti lasciano lavorare; non posso immaginare ancora la Santanché, Napoli, Lupi et alii che gironzolano per i talk show a giocare ai piccoli maestri di dialettica con la clava. Basta. Voglio un Paese che abbia una direzione oltre la contingenza, non una gara a chi stoppa l'altro. Voglio una classe politica non impegnata a tener bordone al Capo o all'Idea, ma gente che lavora concretamente e non perde tempo a giocare con le parole. Spread o non spread, complotto europeo o no, ormai facciamo parte di un sistema e tu non puoi un giorno dire che l'Europa è bella e il giorno dopo che sono degli sporchi tecnocrati. Rasségnati, siamo integrati col resto del continente: anche a me parecchie cose della visione della vita dei paesi nordici non piacciono, ma se c'è da combattere, va fatto da dentro, non da fuori. Silvio: hai la tua età. Fai bene i conti. Anche i tuoi.

sabato 12 gennaio 2013

"Lacrime del tramonto", episodio 4: avevo un uccellino.

(Episodio 3 qui)


La mattina del fidanzamento, dunque, passò rapida e affannosa. Wak litigò con quelli del catering, perché a suo dire c'era troppo poco burro d'arachidi nella tartare di tonno che avrebbe dovuto costituire l'intermezzo della cena, scandita da 122 portate in 4 fasi, divise equamente tra mare (crostacei bolliti e trote vive), monti (frullati di selvaggina assortiti), terra (cacciagione e uova di cobra) e stagno (rane fritte). Pif si era incaricato di assaggiare personalmente ciascuna delle pietanze, metti mai... Derrilla si svegliò di buon'ora alle 11.45, ma la tensione le impedì di fare colazione; avvolta nella sua vestaglina di ornitorinco strabico, telefonò a Faillor per chiedergli di arrivare a casa sua mezz'ora prima del previsto, in modo da aiutare Pif a vestirsi, detto che era necessaria la forza bruta di 5-6 persone per far entrare l'uomo nel frac che aveva ordinato, e gli inservienti erano già tutti con l'ernia. Faillor acconsentì. Fu quindi la volta della distribuzione degli incarichi per la cerimonia: avendo 4 simpaticissime sorelle (in ordine decrescente di età esse si chiamavano Tormiento, Martirio, Delirio e Calvario), la nostra frizzante protagonista aveva in mente di usarne due (le più magre) come damigelle d'onore e le altre 2 (le più grasse) come damigiane, nel senso che avrebbero dovuto servire da bere agli invitati prima, durante e dopo la consegna degli anelli; scesa in salotto, tuttavia, ebbe la sgradita sorpresa di trovare sul tavolinetto vicino al clavicembalo 4 buste sigillate con ceralacca, recanti ciascuna il simbolo di famiglia (un lumacotto caduto in padella), e tutte e quattro recavano ben visibile sul dorso la scritta: "Alla mia queridissima hermanita", dal che la ragazza dedusse che le autrici erano le sorelle. Aprì la prima lettera, quella di Tormiento: "Carissima Derrilla, soy veramiente mortificada, ma proprio oggi devo andar dal dentista e penso de estar via todo el giorno, salutami Faillor. Besos". Le altre riportavano scuse consimili. "Ecco," pensò Derrilla "le solite invidiosas...". Non che non se lo aspettasse: la sera prima aveva litigato con tutte e quattro, perché si era accorta che il clavicembalo su cui Faillor avrebbe dovuto suonare la loro canzone di fidanzamento era scordato, e siccome l'ultima ad averlo usato era stata Martirio 16 anni prima, evidentemente era guasto da allora, quindi era colpa sua; invano Delirio e Tormiento le avevano fatto notare che la cosa era impossibile, dato che il clavicembalo suonato da Martirio era andato distrutto in un incendio, mentre quello che avevano in casa era stato comprato in saldo due anni prima e accordato all'epoca. "E allora come mai non suona?" aveva quindi tuonato Derrilla. "Forse perché non hai tolto il silenziatore..." le aveva fatto notare Martirio. "Ah, ti credi più brava di me? Allora fino a domani non vi parlo piùùùùùùùù", aveva replicato Derrilla, scappando in camera. Ed ecco il bel risultato. "Devo procurarme otras damigellas..." rimuginò la giovine e prese a telefonare pazzamente a tutte le sue compagne di collegio, che però non le risposero, perché avevano litigato con lei il mese precedente, quando all'esame di raviolologia applicata tutte avevano preso più di 28, e Derrilla solo 19, perché la sera prima era andata a vedere il concerto della star di Chachakunya, Mohamed Marranjo, tornando alle 4 del mattino seguente, con l'esame alle 8. Sentendosi ingiustamente penalizzata, la ragazza aveva carinamente dato della zoccola a tutte le compagne, in ciò interrompendo amicizie che duravano da ben tre settimane. E i telefoni, infatti, tacquero. "Oh, maldida suerte, come farò ahora?" piagnucolava Derrilla, distesa mollemente sul divano di corna d'alce giusto accanto alla vasca dei piranha del salotto. "Forse a questo punto me conviene buttarme nella vasca...". Ma una voce flautata la distolse: "Cuginita, porque piangi? Te posso aiutar?". Era Mareja, la cara ed insostituibile Mareja, giunta in largo anticipo per studiare l'ambiente. "Oh, Mareja del mio corazòn, chi è il carrozziere che ti ha pettinada?" sussurrò Derrilla al vedere la cofana di capelli della cugina, larga come la cugina stessa. Mareja abbozzò, vista l'urgenza della missione, e replicò: "Non puedo sopportar las lacrimas sulle tuas guanciottas, querida. Qual è il problema?". Derrilla spiegò rapidamente il tutto, e Mareja si illuminò: "Ma non te preoccupar, cuginita, te farò io da damigella! Se non ci si aiuta tra parenti, qui...". "De verdad, lo faresti?" mugolò incredula Derrilla. "Oh, te sarò grata per siempre... Ah, però ti sei seduta sopra il mio bolerino di cinghiale, come hai potuto, basta, non ti guardo piùùùùùùù!!!!" e si alzò per andarsene. Mareja, pazientemente, aspettò i quattro minuti canonici, dopodiché Derrilla ricomparve sulla soglia del salotto e disse: "Facciamo la paz? Me serve assolutamiente la damigella...". "Ma seguro..." rispose la fanciulla.
E venne la sera: i 2000 invitati avevano preso posto nel giardinetto, seduti su sedie di vimini e acciaio disposte a forma di cuore attorno all'altare del fidanzamento, un delicato cubo di cemento armato con sopra una tovaglietta di fibra di rodio, due candele sorrette da schiavetti etiopi e cinque aiuole di baobab. La doppia fila di pini marittimi fatta mettere da Wak aveva sortito il suo effetto, poiché il sole non offendeva gli occhietti liftati delle invitate, in compenso gli aghi secchi volavano giù ad ogni alito di vento e infilzavano diffusamente gli astanti.
In prima fila sedevano Pif e Wak. Pif, sobriamente vestito col frac anzidetto, da cui fuoriuscivano generosamente i glutei di una buona metà, si guardava attorno famelico, poiché già pensava all'aperitivo imminente; Wak, emozionatisima, vestiva con un completino grigio perla, costituito da una gonna- pantalone di lontra con sandaletti alla schiava, camicina trapunta di bottoni a forma di caramella e un cappellino alto 80 centimetri di raso viola, sormontato da un pappagallino impagliato. Le altre invitate non erano da meno; Truleida, tuttavia, rodendosi d'invidia per il successo della nipote, che fatalmente si sarebbe riverberato 3 sorella, era venuta apposta vestita male per dare l'idea di schifare l'evento, per cui esibiva una sottoveste verdona e zoccoli da ortolana, nessun braccialetto e un misero collier di rubini secchi al collo. Wak l'aveva poi pure provocata: "Maaaa.... el tuo maritinho se è dato por malado? Dov'è, che non lo vedo?". "No, hermanita, Sidròn està un attimo a casa sua a finir una pratica, ma ha detto che farà in tiempo". "Escussame, Truleida, ma da casa sua a qua estàn 200 kilometros...". "E vabbe', prenderà l'Intercity!!!", aveva concluso la donna, irosa assai. Sì, in effetti la casa di Sidròn, mai messa in vendita anche dopo il matrimonio con Truleida, si trovava prima della valle entro cui si distende la provincia di Chachakunya, e Sidròn aveva detto a Truleida che gli urgeva recarsi là per mettere a punto una nuova polizza contro le rotture dei vetri delle finestre causate dal guardarci troppo attraverso. Truleida stessa era rimasta interdetta da quella motivazione, temendo che il maritino avesse ripreso gli antichi vezzi, ma si era rassegnata a fidarsi. In seconda fila sedevano, tra gli altri, gli unici figli maschi di Pif e Wak, fratelli di Derrilla. Uno, Paquito, era nato tra Martirio e Delirio, mentre l'altro, Palmito, era proprio il più piccolo di tutti. Dal che si deduce che Paquito fosse il mezzano esatto di tutta la nidiata. Ciò gli aveva procurato non pochi complessi in gioventù, poiché le sorelle più grandi lo tenevano alla larga dai loro affari in quanto troppo piccolo, ma non poteva nemmeno giocare con le sorelline e Palmito, perché ormai era troppo grande per loro. A ciò aggiungasi che Paquito era piuttosto grassoccio, laddove Palmito era smilzo e piacente. Paquito aveva quindi patito un'infanzia di solitudine e rancori, puntualmente sfogati alla prima occasione. Era poi stato spesso visto in compagnia di Mareja.
Suonò la fanfara preregistrata in Mp3 da Palmito e fecero il loro ingresso i futuri fidanzati. Faillor, accompagnato dal suo meccanico di fiducia, indossava un abito di ottimo taglio, giacca e pantalone arancio, camicia blu, cravatta oro, sneakers di sottomarca. Derrilla, accompagnata da una sghignazzante Mareja, aveva optato per un tailleur fasciante color pesca, decidendo però di abbinare una gonna di lustrini e cordine etniche tintinnanti, mentre ai piedi calzava degli infradito di plasticotto bianco, ideali per le serate umide di Chachakunya. Mareja, più o meno inserita dentro un tubino color ocra, sorrise maliziosa a Paquito, passandogli accanto.
I due promessi presero posto davanti all'altare, di fronte al sacerdote che avrebbe officiato il rito, don Ardiego de la Firmidad, ex discotecaro, ex piazzista di padelle, ex riparatore di infradito, ex studente di bioriflessoplantoagrocriologia fuoricorso, iscrittosi al seminario 3perché qualcuno gli aveva detto: "Lì si mangia bene". Ciucco come suo solito, don Ardiego invitò Derrilla e Faillor e rispettivi damigelli ad alzarsi. "Que emociòn..." sibilava Wak, vedendo che la pro-pro-zia invitata all'ultimo minuto non aveva la borsetta coordinata con gli orecchini.
"Y ahora...hic... los duos piccioncinhos qui davanti a me...hic," iniziò tentennando don Ardiego "sono pronti per...hic... escambiarse le reciproche promesse d'amor...". [Segue tutta la pappardella sull'importanza dell'amore e della fedeltà, nonché della monogamia] "E quindi, Derrilla e Faillor, siete pronti a scambiarvi los anellos?". I due, emozionatissimi, fecerò 'sì' con le testoline, tentando contestualmente di togliersi dalla bocca gli aghi dei pini marittimi. "Ebbene, prego los testimones...hic... di dare los anellos...hic... ai fidanzatos", terminò don Ardiego, ormai privo di sei diottrie per occhio. Lentamente Faillor prese gli anelli dal testimone; Derrilla lo guardava sospirosa, ma ecco che Mareja sussurrò alla cugina: "Derrilla, querida, hai controllato la posta, stamattinha?". La ragazza, interdetta, stava rispondendo: "Cosa? Porque? No, no, certamiente no....", quand'ecco che dal fondo del parcò si udì un clacson con rumore di bue muschiato in amore, dopodiché una stentorea voce gridò: "Raccomandataaaaaaa por Derrilla Markiunteira Nopejo!!!!". Tutti si voltarono e videro comparire Mohamed Marranjo, che, a cavallo di una moto di notevole cilindrata, irruppe tra gli astanti.
"Oh, Senhor.... Mohamed que presenzia al mio fidanziamiento... Mareja, te pare possibile?". "Stupefacente..." cicicchiò la cugina, sorridendo a Paquito. "Derrilla querriddissima, " riprese Mohamed "te vengo a portar un regalinho tutto pepatinho!!!" e si avvicinò all'altare sgommando. Fu allora che la folla commossa notò che sul retro della supermoto c'era una busta formato gigante 3 metri per 2, stranamente rigonfia. Derrilla tremava tutta. Wak era prossima al collasso dalla gioia. Truleida stava per lanciarle uno zoccolo. Mohamed raggiunse i fidanzati e voltò la moto per far cadere davanti a loro la busta. Faillor guardò la scena imbambolato, perché la busta si agitava tutta, come fosse viva, la qual cosa provocava pure un discreto disgusto. "Ecco, che il regalo si mostri!!", proclamò Mohamed. La busta continuò a contorcersi finché larghe crepe cominciarono ad aprirvisi, crepe dalle quali iniziarono a far capolino membra umane variamente semoventisi: prima una mano, poi un piede, quindi una testa... Fu un attimo accorgersi che il proprietario di tutti questi frammenti era uno solo, e stava pure rischiando il soffocamento: Sidròn.
"Cuginita... esto es el tuo ex marito o mi sbaglio?", bisbigliò Derrilla. "Que giocherellòn...", ridacchiò Mareja.
Liberatosi definitivamente delle cartacce, Sidròn si alzò, pur avendo ancora pezzi di busta attaccati ai capelli. Dopo una tossicchiata diplomatica, l'assicuratore espletò ciò che Mareja gli aveva imposto di fare: "Derrila, mujer piena de virtud, como tuo fedelissimo fidanzato ad orologeria, dopo anni e anni de frequentaciòn e confidencias, te priego de non te fidanzar con esto cetriolòn, non disonorarte con uno che non sa neppure in che tonalità è composta la nona sinfonia de Beethoven...".
"Beh, in rosso, no...?", azzardò Faillor. La sua risposta non sortì tuttavia l'ilarità che ci si poteva aspettare, perché la sua voce fu sovrastata da un "ooooohhhhh!!!!" collettivo che si propagava come un'onda del Pacifico in tutte le bocche dei presenti. Lo scandalometro del giardino, pratico oggetto presente in ogni casa chachakunyese per misurare il grado delle offese ricevute, toccò quota 100, poi esplose. Wak svenne. Pif, avendo saggiamente intuito che per quel giorno era andata in vacca, si gettò sul buffet per difenderne, mangiandoseli, gli stuzzichini prima che gli inservienti del catering li portassero via, poi però eccedette con le lumache fritte e svenne. Sull'altare, don Ardiego aggrottò le ciglia, poi si fece un cicchettino per chiarirsi le idee e svenne. Faillor guardava Derrilla e poi Sidròn, Sidròn e poi Derrilla. Stava per chiedere conto delle parole del marito di Truleida, ma svenne, centrato in piena nuca da uno zoccolo scagliato per rabbia da Truleida stessa, che però era destinato a Sidròn, ma la mira difettava alla donna. Mareja, al colmo della gioia per aver azzoppato il fidanzamento della cugina, svenne. Derrilla, inorridita da quanto era successo, fuggì dall'altare e scappò verso casa, inciampando tuttavia nel cavo di ferro che teneva in piedi i pini marittini piantati in tutta fretta quel pomeriggio, divellendolo. Ciò provocò il crollo in contemporanea dei pini predetti, i quali finirono addosso alla folla, che svenne; Derrilla stessa, battendo la testa contro lo spigolo del go-kart di Palmito, svenne. A Sidròn non restò che fare il conto dei danni per il risarcimento assicurativo, in ciò assistito da Paquito. (4- continua)

giovedì 3 gennaio 2013

Letti per voi: M. Gotor, "Il memoriale della Repubblica".

SPIACENTE, STAVOLTA LA VIEN LUNGA....

Dopo la recensione di due romanzi, vi ammanniamo ora un saggio, Il memoriale della Repubblica di Miguel Gotor, sentito anche lui al Festivàl di Mantova: giornalista/professore universitario, collaboratore di Repubblica e candidato alle primarie PD, Miguel Gotor, origini evidentemente non italiane, ma italianissimo comunque (romanesco eccellente) insegna Storia moderna a Torino. Il Gotor, le cui expertise filologiche si applicano in realtà di solito ai documenti del '500 e dintorni, ha da tempo esteso il campo delle sue frequentazioni alla storia contemporanea, se non contemporaneissima, in pratica guardando ciò che in Italia è accaduto l'altro ieri, e in particolare le vicende legate ad una delle più grandi tragedie della storia repubblicana, dicasi il rapimento, la prigionia e quindi l'assassinio di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, da parte dei terroristi delle Brigate Rosse (addì 16 marzo- 9 maggio 1978).


La vicenda è troppo nota per riassumerla qui, anche se, da bravo docente pignolo, devo dolermi del fatto che, nonostante ogni anno le due date di inizio e fine sequestro siano giustamente oggetto di segnalazioni particolari da parte di tutti gli organi di informazione, nonché di commemorazioni pubbliche (per tacere di tutte le vie dedicate a Moro), la gioventù bimbominkiese pare non avere punta idea del personaggio e di ciò che egli passò in quei fatali 55 giorni. Non dico di vedere dubbi sull'anno dei fatti, o sugli esecutori del massacro, o al limite sul ruolo politico di Moro in quel periodo (formalmente “fuori” dai giri governativi grossi, al limite in attesa -vana- del Quirinale, ma di fatto ancora assiduo cesellatore di manovre politiche drammatiche sia per il contesto nazionale che per quello internazionale in cui l'Italia giocava un ruolo delicatissimo), quanto proprio il fatto che per il 99 per cento della mia gente scolare Moro è un perfetto sconosciuto. Dal che si deduce che a casa i genitori non sentono l'obbligo di rammentare ai figli certe pagine del nostro passato recente, che è assolutamente necessario avere presenti se si vuole capire l'origine delle dinamiche che hanno portato al disastro attuale; mi chiedo poi, con la sana vis polemica di chi ha visto i tagli gelminiani colpire principalmente il proprio grado di scuola, cosa pifferi impedisca almeno ai docenti delle medie di accennare anche solo cursoriamente ad eventi certo non facilissimi da decifrare, ma che non è un delitto rendere noti a gente di 12 anni, visto che i dodicenni, a trattarli da futuri adolescenti e non da ex bambini, capiscono molto più di quanto non ci si aspetti e hanno una curiosità infinitamente maggiore per le cose 'serie' che per Naruto, solo che ci sia qualcuno che riesce a stimolargliela, magari evitando di perdere 12 ore a fare i cartelloni su “Io e i miei amici” (ooohhh, chi si toglie un sassolino a Capodanno, se lo toglie per tutto l'anno). Tanto per citare un'esperienza a me vicina (me stesso): al momento del sequestro, io non avevo ancora compiuto un anno e tre mesi, e per singolare coincidenza la prima tv a colori entrata in casa nostra fu inaugurata con le immagini di Paolo Frajese che effettuava la sua smarrita e attonita telecronaca da via Fani, luogo del sequestro di Moro e della strage della scorta, situazione a tal punto aberrante che i miei restarono convinti per 5 minuti che sul primo canale Rai stesse andando in onda un poliziesco. Poi capirono. E, alle soglie della prima media, anch'io avevo tutte le informazioni di base sull'evento, e con me praticamente tutti i miei coetanei. E' chiaro che qualcosa si è rotto dopo.

FORMIDABILE, QUEL MEMORIALE...
Tornando ora a bomba, va premesso che Gotor stesso, a Mantova, ha voluto precisare che l'oggetto del suo saggio è per gran parte frutto di una ricostruzione indiziaria, che alcune conclusioni non possono materialmente verificarsi, ma sono per così dire il quasi inevitabile frutto di tutta una serie di deduzioni che si possono fare su prove concrete (il memoriale stesso di Moro, ma pure decine di interviste a politici, magistrati, brigatisti, giornalisti, oltre a tutta la documentazione attingibile dagli archivi personali delle maggiori personalità dell'epoca), cosicché, se pure la verità sull'argomento è probabilmente destinata a restare inattingibile per sempre, l'autore si sente di poter affermare che ciò che è dichiarato per via deduttiva nel libro ha un grado di vicinanza al vero piuttosto alto. Il saggio offre la minuta ricostruzione del destino di uno degli elementi più controversi della vicenda in oggetto, ovvero il cosiddetto 'memoriale' di Aldo Moro: si tratta, è noto, di una serie di fogli, dattiloscritti da parte di un brigatista, Gallinari (scoperti nell'ottobre 1978), o autografi di Moro stesso in fotocopia (scoperti nell'ottobre del 1990), riportanti roba pesantissima, ovvero da un lato la trascrizione delle dichiarazioni che 'il prigioniero politico Moro' rilasciava ai suoi carcerieri, che lo interrogavano sui più vari aspetti della vita politica italiana degli ultimi 15 anni, dall'altro le lettere che Moro spedì dal carcere alle personalità politiche più eminenti dell'epoca (parte delle quali rese pubbliche già durante il sequestro), grondanti di giudizi a volte anche aspri sul comportamento delle forze politiche sia prima che durante il sequestro (Andreotti, per dire...), oltre poi a tutta una serie di appunti vergati da Moro nei lunghissimi tempi morti della carcerazione, appunti in cui egli fatalmente trasfonde la summa delle sue riflessioni circa il proprio operato nei precedenti 30 anni di vita pubblica, oltre a ragionare a più largo raggio sul contesto internazionale (Guerra Fredda, ma non solo) e sulle sue ricadute sugli italici destini. Il libro di Gotor si snoda per 600 e più godibilissime pagine, né pertanto sarebbe possibile effettuare qui una sorta di riassunto di tutta l'argomentazione. L'aspetto più corposo e profondo del problema è comunque questo: chi ritenesse ancora che la vicenda in questione si sia snodata solamente lungo un ipotetico triangolo Brigate Rosse- Moro prigioniero- Istituzioni dello Stato italiano, triangolo del quale il memoriale rappresenterebbe l'oggettiva testimonianza dell'attenta strategia propagandistica delle BR da un lato, del travaglio di Moro dall'altro, nonché della delicata e dolorosa gestione della vicenda da parte dello Stato, è rimasto al livello di chi crede che S. Apollonia venga a ritirare i dentini da latte caduti ai bambini, lasciando al loro posto banconote da 5 euro. E' chiaro cioè, ci dice Gotor, che il memoriale in nostro possesso, in entrambe le versioni, rappresenta ciò che si è voluto rendere pubblico (con attentissimi dosaggi, tempistiche e omissioni), ma che non è assolutamente tutto ciò che Moro e le BR ci hanno 'lasciato'; inoltre, è altresì evidente che gli attori sulla scena non sono solo quelli di cui andiamo dicendo, ma la vicenda- Moro si situa di fatto al centro di un più complesso viluppo di rapporti politici e strategici che chiamano in gioco generali, giornalisti, criminologi fiancheggiatori delle BR, cancellerie internazionali; da ultimo, l'asse politico di cui l'Italia si è trovata in quegli anni ad essere forzosamente il perno non è solo quello ovest-est (dicasi la Guerra Fredda), ma pure quello, approssimativamente, nord-sud (mondo occidentale- paesi arabi). Insomma, un conto è il canovaccio generico a noi sempre ammannito (Moro rapito per i suoi progetti di governo sostenuto dalla non-sfiducia dei comunisti, istituzioni divise tra fermezza e trattativa, lettere spedite dalla prigionia cariche di astio nei confronti della DC e sopratutto di Andreotti, fallimento di tutti i canali, assassinio e 'riconsegna' del cadavere, collocato con diabolica raffinatezza tra le sedi romane della DC e del PCI, importanza relativa di tutto il memoriale nei diversi ritrovamenti) un altro sono le vere manovre ruotate attorno al memoriale, spia di un clima politico assai più complicato, nel quale all'opinione pubblica si facevano credere determinate cose, ma sottotraccia si operava in modo del tutto differente (dice Gotor che Moro disseminava le lettere dal carcere di messaggi in codice per chi di dovere, e la linea della fermezza fu solo il paravento di trattative che andarono avanti su amplissima scala). E' infatti ampiamente dimostrabile che sul memoriale hanno messo le mani in parecchi: i fogli dattiloscritti venuti alla luce nel covo brigatista milanese di via Monte Nevoso nel 1978 sono stati certamente rimaneggiati, poiché risulta che il loro numero iniziale gravitasse attorno alla settantina, ma quelli a nostra conoscenza sono solo 49 (i ruoli più scottanti, secondo Gotor, sono quelli del generale Dalla Chiesa, di Mino Pecorelli, ma pure a Repubblica c'erano giornalisti stranamente molto più informati di altri). Nonostante, osserva Gotor, già la sola natura dattiloscritta di quel memoriale ne favorisse il processo di squalifica, nel senso che sarebbe stato facile per il nostro governo sconfessare la paternità delle idee di Moro lì espresse, perché un dattiloscritto può essere stato buttato giù da chiunque, si decise tuttavia di 'ripulire' il pacco da pagine evidentemente ritenute esplosive anche solo nella loro precaria forma non autografa. Spuntano poi, si diceva, nel 1990, i manoscritti di Moro, 419 cartelle, di cui 245 corrispondenti ad una versione del memoriale ben più ampia della precedente, in parte sovrapponibile al dattiloscritto, in parte nuova. E qui, l'intrigo: stesso appartamento di 12 anni prima (un buco, si badi) e all'epoca i carabinieri non avevano notato la facile rimovibilità del pannello di gesso dietro cui erano nascosti gli autografi? Gotor osserva che il periodo era gravido di eventi, detto che ad Agosto di quell'anno Andreotti aveva rivelato l'esistenza della struttura paramilitare clandestina Gladio, messa in piedi negli anni '60 per far fronte ad un'eventuale invasione sovietica, mentre appena un anno prima il Muro di Berlino era crollato, portandosi dietro tutto il comunismo europeo; per dire insomma che il ritrovamento dei dattiloscritti pareva proprio avvenuto al momento giusto, quando ormai il pericolo rosso era finito, e quindi la figura stessa di Moro nel suo rapporto forzoso con le BR poteva lentamente sbiadire, mentre s'avvicinava vento di elezioni presidenziali, e Andreotti moriva dalla voglia di silurare Cossiga e sostituirlo al Quirinale, utilizzando, per così dire, informazioni a orologeria. Più altra gente che più o meno aveva interesse a che i manoscritti ricomparissero magicamente da un pannello di gesso diventato all'improvviso friabile, dopo essere stato più impenetrabile del piombo per 12 anni. E insomma, quei manoscritti potevano scottare o non scottare a seconda delle convenienze, ma è certo che molti sapevano della loro esistenza ben prima del ritrovamento 'pubblico' del 1990. Gotor, incrociando testimonianze svariatissime, giunge alla conclusione che la manina dei servizi segreti, in concorrenza coi carabinieri guidati da Dalla Chiesa, entrò pesantemente nel covo ancora nel 1978, tolse i manoscritti, di cui Dalla chiesa non sospettò mai l'esistenza, censurò ciò che andava censurato, e poi rimise dietro il pannello di gesso il tutto, in attesa di tempi migliori. Il risultato di tutti questi interventi è piuttosto evidente: noi abbiamo in mano una serie di documenti fortemente corrotti dalla censura preventiva. In più, sia confrontando filologicamente tra loro dattiloscritti e manoscritti, ma anche dattiloscritti e manoscritti al loro interno, Gotor dimostra che la loro somma non è nemmeno equivalente alla porzione di un tutto indisponibile nella sua interezza, ma che entrambe le versioni del memoriale paiono a loro volta rielaborazione di un altro memoriale (filologicamente chiamato Ur-memoriale), ovviamente ormai disperso. Il che, sia chiaro, non porta a concludere di avere in mano carta straccia, ma testimonia piuttosto la pericolosità che le informazioni estorte a Moro, ma pure le sue privatissime ed in certo modo disperate riflessioni durante la prigionia, portavano con sé agli occhi di tutti i livelli politici, giudiziari, militari che risultavano interessati dalle dichiarazioni dello statista, per tacere ovviamente dell'interesse diretto dei brigatisti a divulgare o meno certe idee del Presidente democristiano.

LA FINE E' NELL'INIZIO
Ribadendo che il saggio di Gotor è ben più ricco di suggestioni e sollecitazioni di quanto una scarna blogrecensione possa esplicare, l'episodio del sequestro di Moro e del memoriale ad esso accluso getta una luce notevole sulle dinamiche del potere italico della Prima Repubblica e ci fa capire molto della nascita e del fallimento della Seconda. Il turbinio di uomini di qualsiasi estrazione sociale e di rappresentanti dei più ampi settori delle istituzioni attorno al memoriale dimostra che sulla vita o morte di Moro si giocava una partita amplissima. Senza dubbio, il suo avvicinamento ai comunisti, con il sostegno mascherato di questi ultimi al governo Andreotti che andava a nascere nella fatal mattina, ha per Moro rappresentato il superamento di quella linea rossa che le cancellerie occidentali ritenevano invalicabile, unendosi peraltro a certi atteggiamenti nostri un filino troppo ondivaghi nell'ambito del conflitto israelo- palestinese (il cosiddetto lodo Moro). Ciò dimostra che i pesanti condizionamenti sulla vita politica del nostro Paese che nell'ultimo anno si sono denunciati da più parti, con l'Italia nello scomodo ruolo di osservato speciale da rieducare ad una sana economia, non sono altro che la più remota propaggine di una condizione che l'Italia ha vissuto da sempre all'indomani della Seconda guerra mondiale. La nostra è sempre stata (e forse lo è ancora, a dispetto delle forme mutate) una democrazia sotto controllo, poiché il ruolo strategico del nostro Paese esigeva un certo tipo di governo piuttosto che altri. Oggi, tramontate le vecchie opposizioni tra blocchi ideologici, l'Italia è comunque teleguidata perché, essendo il Paese più grosso tra quelli con l'economia allegra, se crolliamo noi ci trasciniamo dietro tutti. E ciò non può accadere. E qui ci vogliono i conti in ordine. Ed ecco Mr. Monti. Non solo: Gotor affronta senza paternalismi o romanticismi il fenomeno del brigatismo, osservando che la spinta rivoluzionaria del movimento, radicata in un'ideologia 'democratica' solo teoricamente accettabile, è stata soffocata dal rigurgito di disinteresse, quando non di schifo vero e proprio, che la società italiana ha riservato ai terroristi a partire dai primi anni '80. E' in effetti notevole il fatto che un decennio di lotte, sangue, occupazioni, sequestri e attentati si sia rovesciato, nel decennio successivo, in un'era che ha voluto dimenticare tutto e anestetizzarsi a colpi di miti consumistici e materialismo esasperato, sì che i movimenti ideologizzati si sono progressivamente dileguati a vantaggio degli schemi della moda, molto più semplici e meno impegnativi da mantenere, nel senso che transitare da una moda all'altra non è certo come cambiare formazione di partito. Penso in effetti che, se i famosi modelli da me analizzati con gioiosa pienezza altrove hanno attecchito così bene, è stato anche perché l'archetipo estetico-consumistico del Figo e i suoi addentellati sono stati ad un certo punto la risposta più rapida al bisogno di ordine di una società letteralmente esasperata dai contrasti ideologici e dalla loro declinazione armata. Il benessere voleva tutelare se stesso. A ciò hanno naturalmente contribuito tutti coloro che, lanciatori di molotov e sprangatori di professione a 16 anni, a 35 si sono ritrovati brillanti impiegati di banca e onesti padri di famiglia, più borghesi di quegli stessi borghesi che demonizzavano fino a due giorni prima: ciò perché larga parte dei movimenti contestatari dell'epoca, come già osservato, non osteggiavano il privilegio in sé, ma più umanamente volevano usufruirne anche loro. Il paninaro e il Moncler si sono mangiati il brigatista e la kefiah. Da ultimo, il saggio gotoriano innuisce che in quel fatale 1978, sequestro Moro a parte, si fossero ormai messe in moto dinamiche destinate ad esplodere giusto 15 anni dopo, con l'inizio dello scandalo Tangentopoli e contestuale crollo della Prima Repubblica. Concordiamo. Moro avrà pure fato il passo più lungo della gamba con l'avvicinamento dei comunisti all'area di governo, ma quest'iniziativa mascherava il problema vero della democrazia italiana, ovvero la sua granitica stitichezza. L'obbligo non detto di avere sempre la DC al potere aveva favorito nel partito (e a ruota seguiranno tutti i suoi alleati, in primis il PSI di Craxi), lo sviluppo endemico della corruzione. “O noi o il caos”, dicevano a mezza bocca i democristiani, in ciò autolegittimandosi a pretendere tangenti e prebende da chiunque. Tutto ciò mentre cresceva lo sdegno della nazione nei loro confronti e nei confronti del loro ricatto, che in effetti suonava come un capestro: sotterranei movimenti imbevuti di populismo e di antimeridionalismo iniziavano a prender vita già all'alba degli anni '80, e poi fu Lega Lombarda. Il monopolio della RAI, che lasciava fuori dalla greppia dei contratti pubblicitari un esercito di piccoli e medi produttori ansiosi di visibilità, fu scalfito da Mondadori (Rete4), Rusconi (Italia1) e Berlusconi (Canale5), poi quest'ultimo, accoppiando talento imprenditoriale cristallino e ottime entrature craxiane, si prese tutto e iniziò una scalata travolgente che lo ha portato dove sappiamo. Anni curiosi, quei fine '70 onwards. La sensazione all'epoca fu quella di essere impegnati a chiudere tutti i conti con lo Ieri, ma si stavano scrivendo pagine copiose di Domani.