Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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sabato 24 dicembre 2016

Senecana (1) : quanto ce piace ciangotta'...

[avviso ai lettori dal naso fino: ricordate che è la pagina di un blog...]

Dedichiamo qualche post ad alcuni punti fondamentali del pensiero del più grande filosofo di Roma e isole circonvicine, convinti della sua invincibile modernità.
Tralasciando la biografia e le complicate risultanze di un'epoca piuttosto ardua da viverci dentro (guardate cosa gira sul web, che bellezza...), diciamo che Seneca rispecchia nel suo animo complesso e multiforme un'ampia gamma delle disposizioni umane: filosofo stoico che non disdegna di praticare l'usura, teorico del disprezzo delle ricchezze purché a lui rimangano quei tre milioni di sesterzi giusti giusti per conseguire la virtù senza scendere a compromessi con lo stomaco, consigliere del principe finché tigelle e soprattutto Tigellino non gli consigliano di lasciar perdere, alfiere di un umanesimo quasi paolino e primo firmatario della mozione per far fuori Agrippina, adulatore senza faccia dell'imperatore Claudio per tentare di rientrare dall'esilio e poi zucchizzatore del medesimo quando costui morì, Seneca ci ha lasciato tesori di saggezza difficilmente comparabili coi prodotti di qualsiasi altra stagione della cultura occidentale (pace Volo et Moccia).
L'efficacia del messaggio senecano sta nella sua rinuncia alla chiacchiera astratta, in omaggio sia a certa tradizione cinico-stoica sia alla mentalità concretissima dei romani suoi uditori, il tutto a vantaggio di una prosa non certo semplice, ma costellata da esempi e metafore di squisita efficacia. 
Il bello è poi che Seneca ha tradotto in massime solidissime e indimenticabili i presupposti di una filosofia che per colmo d'ironia ci è pervenuta, prima di lui, desolatamente a pezzi. Spesso infatti si omette di considerare che la filosofia stoica, fondata dal greco/fenicio Zenone di Cizio laggiù verso il III sec. a.C, ha avuto bensì esponenti di genialità indiscussa (Zenone appunto, Cleante, Crisippo, Panezio, Posidonio), il pensiero dei quali ci è giunto tuttavia frammentario e spezzettato (guardate un po' qui...) in citazioni di altri autori, autori che in non pochi casi erano avversari dello stoicismo, le cui testimonianze vanno quindi prese con estremo beneficio di inventario.
La cosa stupefacente è appunto che una filosofia così architravica per la cultura occidentale risulti, alle sue fonti, per noi solo ricostruibile da una messe di frammenti non sempre chiarissimi, alle volte vagamente contraddittori tra loro o assai difficili da interpretare nel contesto generale (noch, Herr Max Pohlenz, wir lieben dich...).
E dunque.
E dunque il ruolo di Seneca come diffusore di filosofia bellissima ma perduta nella sua interezza originale appare di primissimo piano e meritevole della più ampia commendevolezza.
Certo, come egli stesso afferma, il SUO stoicismo non è rapsodico montaggio delle teorie dei greci, alla maniera di Cicerone diciamo (ricordate che ecc. ecc.), ma cosciente e responsabile rielaborazione di un mare magnum di precetti, a volte accettati, altre volte rimodernati in ragione delle esigenze dell'epoca sua. Egli è in tutto e per tutto erede della tradizione della sua scuola, nella quale si sono succeduti maestri che non hanno avuto problemi a rimettere in discussione, anche pesantemente, le dottrine messe a punto dai predecessori (o almeno così ci pare di capire dai frammenti).
Così lui pure assorbe tonnellate di stoicismo, ma non esita a mostrare gradimento nei confronti di sapide spezie epicuree, senza contare, come gente spocchiosa ha messo in luce ormai da millenni, il contributo fondamentale offerto dalla sapienza medica del tempo alla messa a punto delle teorie filosofiche.
Ricavare una condensazione minima di un pensiero ampio e articolato come quello di Seneca sarebbe, in questa come in qualsiasi sede, impresa a dir poco ridicola. E per le imprese ridicole abbiamo già provveduto. Per quanto concerne le intenzioni di questo umile blogghino, mi vorrò più e più volte soffermare su un aspetto del modus docendi di Seneca che mi ha sempre colpito in particolare e che in questi periodi di bullismo mediatico e arene social mi pare di tutta importanza: l'atteggiamento di un filosofo che, pur seguace di una dottrina in grado, teoricamente, di dare una risposta a TUTTO, è sempre perfettamente conscio che tra la luminosa perfezione delle concezioni astratte e il momento in cui esse devono calarsi nel concreto della quotidianità esiste una discrasia irriducibile. Detto meglio: altro è convincersi che l'universo obbedisca ad una struttura razionale ed infallibile, altro è illudersi che tali canoni di perfetta razionalità valgano davvero per tutti gli aspetti della vita umana, la quale sarebbe niente più che un prevedibile algoritmo facilmente controllabile una volta che, sapute le cause dei singoli fatti, se ne possono dedurre irrefutabilmente gli effetti. Con la conseguenza di essere sempre in grado di collocare senza errore il Bene e i Buoni da una parte e il Male e i Malvagi dall'altra.
Seneca forse ci sperava, ma ha sempre saputo, e le sue opere sono lì a dimostrarlo, che la tragicità della condizione umana riposa sull'irrisolvibile contrasto tra volontà individuale e attuazione della medesima in contesto popolato da altri che non siamo noi, nonché sulla triste certezza che il male non è un'entità esterna a noi, ma un prodotto delle nostre più insondabili fragilità. Il Bene assoluto che lo stoicismo promette e che consiste di fatto nella virtù morale, la quale a sua volta discende dalla comprensione della perfetta razionalità del mondo e dall'adeguamento altrettanto razionale della nostra anima ai suoi processi, questo Bene assoluto giace intatto e invitto nelle menti dei filosofi, ma per tutti gli altri, e Seneca si colloca fra costoro, è conquista quotidiana pezzo per pezzo, sempre perfettibile, tra cadute, risurrezioni, vicoli ciechi, cambi di direzione e purtroppo sì, anche palesi deviazioni nell'incoerenza (leggete qui cosa dice Montanelli di Seneca, due mesi prima di tirare le cuoia...).
Le vicende della Roma dei suoi tempi avranno poi convinto Seneca di qualcos'altro, che forse resta più sottotraccia, a motivo del carattere eminentemente razionalistico dello stoicismo: il fatto cioè che nessuno può veramente ritenersi detentore del Bene, poiché, a seconda delle prospettive, la tragicità dell'agire umano esige una goccia di male anche là dove si vorrebbe un esito moralmente buono. E' il dramma della ragion di Stato che Seneca ha conosciuto dal di dentro come pochi, ma è il prolungamento di quello stesso dramma che Virgilio aveva intravisto tra le pieghe del provvidenzialistico mito di Enea carinamente commissionatogli da Augusto via Mecenate: una volontà superiore guidava le azioni dell'eroe verso il radioso futuro della fondazione di Roma e del dominio di questa sul mondo intero, eppure tale disegno ha richiesto un tributo di dolore innocente e di sofferenze individuali e collettive che portano Virgilio stesso, all'inizio di un poema pure epico-celebrativo, a chiedersi se ne sia valsa davvero la pena.
Sono gli interrogativi che ci poniamo oggi noi occidentali del terzo millennio globalizzato, allorché registriamo le conseguenze quotidiane di processi storici alimentati dai nostri predecessori che sembrano presentare il conto tutti in una volta in questi ultimi anni. Di qui l'angoscioso dubbio che forse siamo noi gli sbagliati, mentre tutti coloro che riversano critiche su noi e sul nostro modo essere e di vivere, considerandoci causa del male di tutto il resto del mondo, sembrano essere invincibilmente nel giusto.
Ebbene, la risposta alle questioni di oggidì è ardua e complessa, ma gli spunti offerti dal pensiero di Senecuccio nostro, posto pure che non portino ad alcuno sbocco risolutivo, mi paiono comunque stimolanti per impostare un discorso critico che ormai è merce rara sul web, dove tutti procedono per verità autoevidenti e autopiaciute, in genere ammannite da profeti e profetesse dell'ovvio che prima guardano dove va il mainstream riguardo le singole questioni, dopo fanno due conti se sia più conveniente, in termini di seguaci social, mettersi in scia o dire l'esatto opposto, quindi scrivono. Bravi, eh, ma c'è anche di meglio in giro.
Concludo questo post introduttivo alla serie Senecana ridendo in realtà di me stesso, poiché affido alle pagine di questo blog che non ha certo il seguito di quelli là di cui sopra riflessioni assai impegnative che meriterebbero ben altro palcoscenico e numero di lettori. Non per me, per Seneca.
Vabbe', ma la Spocchia si nutre di sé medesima, dai...
Appuntamento al prossimo post dal titolo: Il mondo è tutto un logos.

                                                                                                                                         [1- continua]  

domenica 18 dicembre 2016

ITALICA - 3- Ancora col metodo.

[VI RICORDIAMO IL POLIZIESCO PENTADIMENSIONALE QUI]



E' vero che Cartesio ha scritto una volta per tutte il Discorso sul metodo e poi non l'ha più rivisto, gettandolo nel mondo bello com'era appena uscito dalla stamperia: molto meglio, si disse l'uomo pineale, andare a fare jogging con la regina di Svezia e schiattare di polmonite.
Più di recente, quando Charles de Gaulle, ultimo monarca di Francia (lol), fece l'eutanasia alla Quarta Repubblica per sopravvenuta Algeria, creò la Quinta dalla sera alla mattina, ne buttò giù uno scartafaccio di Costituzione, mise insieme il semipresidenzialismo con tutti i suoi addentellati (elezioni a doppio turno, ballottaggi, possibilità di coabitazione tra un Capo dello Stato di un partito e un premier dell'altro) e finita lì. Il metodo per tenere su la Francia era quello e i successori, si chiamassero Valéry Giscard d'Estaing o François Mitterrand, vi si attennero scrupolosamente. Giusto Chirac, ma siamo nel campo delle finezze di pura scuola alessandrina, ha ridotto gli anni di presidenza da sette a cinque (ridotto... vi rendete conto?). Per il resto, dal 1958 la République Française è come la vediamo tutti.
Loro, del resto, di passaggi non incruenti tra repubbliche e repubbliche, con neo-monarchie, imperi e regimi filo-nazisti dal nome di crema idratante a far da intermezzo, se ne intendono. Oggi però si presentano al mondo con un assetto politico perlomeno coerente da decenni, il che non implica che lassù vada tutto bene, ma le figure di palta che la nostra politica rimedia di fronte a tutti i Paesi civili non hanno paragoni.
E veniamo a oggi, con una discussione interessantissima: la nuova legge elettorale (l'ennesima) dalla cui redazione dovrebbe finalmente discendere un assetto politico stabile sia per la Camera che per il Senato. L'ultima proposta che pare stia acquisendo credito crescente è quella del maggioritario più o meno esemplato sul mattarellum di Mattarella. Il quale si chiederà per quale strambo giro dell'oca si torni là dove la seconda Repubblica, auspice lui medesimo, pareva iniziare tra salve di cannone ed evviva! di rinnovamento.
Già lo dissimo altrove: illudersi che la legge elettorale sia la cura miracolosa per tutte le storture della vita parlamentare è come credere che uno scolaro poco dotato diventi di botto un genio solo cambiando metodo di studio. Bisogna intervenire chirurgicamente su mali ben più profondi della nostra coscienza civile, quali il familismo amorale, la propensione a sacrificare sistematicamente l'interesse pubblico a quello privato, l'idea che il potere sia una diligenza da assaltare ed uno strumento per punire anzitutto chi non è con noi e poi riempire di favori i nostri alleati. E molto altro, tutto ciò insomma da cui dipendono le ormai settantennali crisi di governo ad orologeria, con maggioranze che cadevano sul nulla, per tacere dei vorticosi cambi di casacca cui i parlamentari ci hanno abituato negli ultimi due decenni. La coerenza disintegrata dall'egoismo spicciolo. 
Bene.
Adesso il neo-mattarellum risolverà tutto, perché la corsa, nei collegi uninominali, la fanno i candidati che devono guadagnarsi sudando sangue i voti degli elettori, non sono calati dall'alto dalle segreterie nel comodo e caldo cestello delle liste bloccate. Macché: consensi da guadagnarsi casa per casa, piazza per piazza, perché col maggioritario uninominale l'elettore vota la persona, non il partito. 
Come no...
Credo a questo punto che ai fautori caldi e croccanti di questo ritorno a sistemi ormai sepolti, quelli che ora si stracciano le vesti per i governi non eletti dal popolo, giovi ricordare un paio di cosette, giusto perché sappiano che la zuppa della nostra politica è così da un pezzo.
Una, che dovremmo sapere noi tutti per i quali la consapevolezza della storia della politica italiana rimanda indietro di almeno un trentennio, è questa: il tanto rimpianto mattarellum non ha garantito nulla. Esso nacque, visse e defunse tra il 1994 e il 2006, venendo applicato in tre corse elettorali che hanno dato luogo ad almeno due legislature imbarazzanti (1994-1996 e 1996-2001), laddove la terza (2001-2006), pur essendo esteriormente occupata dal solo Berlusconi (che si voglia splittare la sua esperienza in Berlusconi II e III o II e IIbis o II e basta) ha così chiaramente mostrato il bello e l'efficacia del mattarellum che esso mattarellum medesimo è stato fatto morire per essere sostituito dall'orribilerrimo porcellum, del quale curiosamente tutti rinnegano la paternità.
Più nello specifico, signori della giuria, col mattarellum associato ad una elargizione di collegi a dir poco suicida, Berlusconi fece avere alla Lega Nord un numero di seggi tale da poterlo allegramente sfiduciare nell'autunno del 1994 dopo solo sette mesi di governo; seguì poi il capolavoro del governo Dini, voluto da Berlusconi, ma tenuto su dai voti di quelli che a Berlusconi si erano opposti, mentre all'opposizione ci finiva Berlusconi stesso. Geniale.
Le politiche del 21 aprile 1996 videro invece il mattarellum declinato nel democraticissimo metodo della desistenza, per cui agli elettori dell'Ulivo, cioè di Romano Prodi, si chiedeva caldamente di votare i candidati di Rifondazione comunista in un certo numero di collegi, sì da ottenere il contro-voto rifondarolo in tutti gli altri dove il candidato ulivista si presentava senza avversari a sinistra. Risultato: Ulivo comodo al Senato, in bilico alla Camera, proprio in virtù dei seggi ottenuti da Rifondazione. Risultato del risultato: governo Prodi sfiduciato alla Camera (ottobre 1998, unico caso in tutta la storia repubblicana) dopo due anni e mezzo e nuovo governo guidato dal simpatico assai D'Alema. E sostenuto da chi? Massì, da un tot di ex-deputati centristi filo-berlusconiani scopertisi patrioti di sinistra coll'arrivo dell'autunno e rinominatisi UDR (Unione Democratica per la Repubblica)(che poi: mi vuoi dire che gli altri parlamentari non sono democratici e non sono per la repubblica?). 
Bene, D'Alema dalemeggia da par suo, dopo una gioventù di estrema sinistra concede agli odiati yankees le basi per andare a bombardare l'ex Jugoslavia, poi a fine 1999 qualcuno dei suoi gli dice che lui... boh, gli dice qualcosa, nessuno capisce niente, fatto sta che D'Alema si dimette e poi ritorna in sella con un governo rimpastato che va a schiattare nella primavera successiva con la débacle alle elezioni regionali, stravinte per 10-5 dal centrodestra. 
Elezioni? Macché, la maggioranza c'è ancora, dicono, era D'Alema ad essere antipatico. Ed ecco che per un annetto mi va a guidare il governo uno che aveva gridato e giurato ai quarantaquattro venti che in politica, per carità, mai più: Giuliano Amato, ex braccio destro di Craxi, rapido a rinnegarne la bracciodestraggine quando Craxi medesimo tracollò.
E via così, ancora un anno a tener su una legislatura con l'ossigeno e il defibrillatore. Poi Berlusconi rivince nel 2001 e, numeri alla mano, governa comodo. Sennonché, lamenta l'uomo di Arcore, i suoi alleati continuano a mettergli il piombo nelle ali, ostacolando tutti i suoi provvedimenti per rinnovare l'Italia. Ecco quindi nell'estate del 2003 i quattro tavoli e la cabina di regia per tentare di mettere ordine in una coalizione solo esteriormente compatta, poi, sondaggi alla mano, la consapevolezza che col mattarellum alle elezioni del 2006 non c'è speranza. Ed eccoci al porcellum, vero sudario di ogni democratica libertà di mandare in Parlamento chi si vuole. Ma fermiamoci pure al 2006. Qual è stato, quindi, lo spettacolo offerto da questo sistema elettorale maggioritario? Lo stesso di quando c'era il proporzionale: agguati, instabilità, interessi di bottega. Tiriamo pure delle casarecce somme: in dodici anni di Parlamento mattarellico si sono succeduti al timone di Palazzo Chigi 6 governi, 8 se si splittano D'Alema e Berlusconi 2001-2006. Meno certamente della media di tutto il settantennio, ma comunque troppi rispetto a qualsiasi Paese avanzato. Ci duole quindi concludere che no, non è il maggioritario la ricetta.
Non lo è anche un secondo motivo, più municipale, ma non meno significativo. A chi sostiene che coll'uninominale il candidato ci mette la faccia e gli elettori se li deve guadagnare indipendentemente dalla parte politica di pertinenza, mi pregio di portare l'esempio delle nostre elezioni bresciane per il Senato nel 2001. Candidato nella circoscrizione 22- Brescia per la Casa delle Libertà (Berlusconi, sempre) era l'ottimo giornalista Paolo Guzzanti. Personaggio sulfureo, padre di cotanti comici, intellettuale e giornalista dal senno fine e dalla penna corrosiva, tutto bene insomma, ma... non esattamente bresciano di origini. Romano, anzi, pare. Vissuto a Brescia per anni come Ambra Angiolini o Mina? No no. Cultore da tempo immemore del nostro spiedo e quindi bresciano per adozione in virtù di banchetti e lieti conversari più e più volte ripetutisi nel tempo? Nemmeno. Guzzanti conosceva Brescia come presumibilmente io posso conoscere La Spezia, essendoci passato di sguincio una volta mentre andavo al mare a Castiglioncello. La cosiddetta conoscenza del territorio, nonché la familiarità con la mentalità dell'elettorato locale, che sarebbero i requisiti ineliminabili dei candidati col maggioritario erano, nel caso di Guzzanti, pura chiacchiera ('elettorato ostile', disse di noi, 'linguaggio violento', eccallà...). Serviva un collegio libero, comodo, e statisticamente sicuro: nulla a che vedere con la certezza assoluta data dalle liste bloccate, ma il meccanismo era affine: siccome nella Seconda repubblica la passione politica è sinonimo di tifoseria, non importava chi fosse il tizio in questione, è della mia parte, ok, votiamolo. E così fu. E così Guzzanti ascese al soglio palazzomadamesco (tralasciamo le intemperanze degli anni successivi, che lo portarono a mollare e riprendere Berlusconi con movimenti a fisarmonica degni di un gitano). Davvero potevamo dire di aver mandato in Parlamento uno che ne sapeva di cose bresciane? Certamente no, visto poi che, come primo firmatario, presentò disegni di legge di interesse, diciamo, limitato per noi del Cidneo (belle, eh, le disposizioni di riordino e promozione del pugilato... per non parlare dell'istituzione della figura professionale dell'educatore cinofilo...). Ma era la faccia oscura del maggioritario: c'è SOLO quel candidato della parte che piace a me, e se non voto lui vince l'altro. Piuttosto, allora... voto lui, anche se della mia terra egli nulla sa né mai saprà.     
Non esiste, insomma, sistema elettorale perfetto, ma il problema è che noi italici riusciamo a far funzionare benissimo solo i difetti e le storture di tutti quelli a cui ci affidiamo. 
Se ne ricordino, i geniacci del presentismo.

DE BIMBOMNKIBUS (-2-) XY ANNI E NON SENTIRLI

[Narratore: omodiegetico.
Focalizzazione: interna.
Tecnica narrativa: monologo interiore complesso, con effetti di straniamento.
Opzioni linguistiche: la mentalità bimbominkia è resa con un linguaggio normalizzato, scevro da volgarità ed abbreviazioni per una migliore comprensione del contenuto della storia. In tal modo l'autore non regredisce del tutto al livello del narratore. La qual cosa potrà certo peccare sul versante veristico, ma conferisce al dettato un'aria deliziosamente ucronica. ]

Non manca molto, arriveranno. Ma sì, ma sì, adesso ti rispondo, 'sto jingle di whatsapp... E' andata bene fin qui, andrà anche meglio. Non è importante. Però che emozione, se solo sei anni fa uscivo dal Liceo, cioè quella specie di Liceo di sfigati, dopo quello di prima, poi, e adesso eccomi qui. Sì, arrivo. Ti rispondo dopo, ma ti rispondo. Poi usciremo insieme, ci sei anche tu, come ci siete tutti. I soci di una vita. Anche quelli che non sentivo da un pezzo. Adesso tutti qui, un iperparty che Orange County levati. 
Non era stato male, là all'estero. Sì, voglio dire, ci vuole un'esperienza di quel tipo: lo diceva anche il vecchio mentre firmavo per la carta di credito, guarda che ti apre la mente, mica quelle quattro cretinate che ti hanno spiegato a scuola quelli là, ma figurati se dovevo perdere tempo a leggere le poesie, che poi al 70% è roba che non interessa a nessuno. 
Diranno che sto bene così vestito. 
Sì, già all'aeroporto era tutto dinamico, finalmente solo a pensare a me stesso e arrangiarmi. Che poi ricordarsi la conversione in euro, vabbe', bastava tenere il conto. Tremila al mese di plafond. Ricordarsi quello.
Però che bello l'appartamento. Non c'era praticamente niente, ma tanto mi serviva per dormirci, poi era tutta vita sociale e cercarsi il lavoro, il MIO lavoro.
Che poi, imparavo un po' l'inglese, no? Si va là per quello. Tanto a scuola non facevo niente. Insomma, le cose si imparano nella vita reale, quelle sui libri sono morte. Anche l'inglese delle regole di grammatica è morto, come il latino. Se avessero fatto qualcosa di più nuovo, di più interessante, tipo... insomma i film, ecco. Tutti i film in lingua originale e poi parlarne in classe tutti in inglese, vedi come le impari le regole. 
Invece studia.
Come se i libri contenessero la Verità. Di gente che fa le vacanze di tre mesi. Non come faccio io che sto a sgobbo adesso.
Anche là sgobbavo, è vero. Quando mi chiedevano di stare su dalle 13 alle 18, oh, io non mi ribellavo, anche se a fargli capire che fino alle 19 era troppo, e arricciava il naso, ma mollami zio. Sì, era un po' una palla girare per i tavoli con quella gente che parlava tutta veloce, ma dovevo pur cominciare da qualche parte (a parte gli indiani che boh, sarà stato inglese?). Certo, poi qualche volta capivo trenta invece di tredici, ma anche il capo sempre a prendersela, fai su i soldi dando alla gente il pesce fritto, non muori di fame anche se io sbaglio il resto. Solo che si irritava se alle 17.45 cominciavo a guardare l'orologio. Ma ero lì anche per fare vita sociale, va bene a sgobbo, ma i regali per quando tornavo non li compravo mica alle 10 del mattino. 
Fai i conti, brutto bestione.
Se esco dalla tua tana alle 18, metro, casa, doccia, dire all'altro che se esce, esco, apericena all'inglese, giro, locali, foto, ballo, foto, ne troviamo un paio e me le porto, foto, dormo (insomma, dormirei), sveglio, selfie, colazione, saluto, selfie, colazione, altro saluto, doccia, chat, instagram, non è mica già finita la mattina? 
I regali dalle 19 alle 20. Entro i tremila ci resto. Poi le mance e quei quattro soldi del bar, ma sì, la smetteranno di dire che non so organizzarmi. Vorrei vedere qui quelli della mia classe, che studiavano. I bei voti, ma poi? Università, disoccupati. Perché non si vengono a fare un po' di vita vera qui come me? 
Lo pensavo mentre mandavo giù quello. Vedi qui che la gente gira con le magliette di Emergency e nessuno gli dà dei comunisti? Più giustizia nel mondo, gridava il mio socio, anzi una bella foto con quei due lì e la loro amica dei campi profughi, guarda, quelle 5 sterline che mi avanzavano dalle sigarette gliele ho proprio date volentieri. Di cuore. Ha ragione Papa Francesco, troppe ingiustizie. Lo vedo anch'io, fannulloni che ciucciano i vecchi dalla mattina alla sera. No, il mondo non va proprio bene. Vi porto io dalla la gente che sta male.
Devo vedere il Tibet, poveretti. Ma ce la farò. Dopo. Adesso arriveranno.
Poi però, quant'era? Due mesi? Tipo, sì, insomma anche basta lavorare per non mettere via niente. E quelle tre parole di inglese, imparate quelle anche basta. 
Mancavo ai miei vecchi, vero?
Via da casa, perduto nel niente, una noia a stare in mezzo a gente che un po' capivi e un po' no. E diciamocelo, vivere per lavorare, insomma... io non so quelli che dicono che sono partiti da zero... ma zero coooosa? Io ho fatto DUE mesi e niente... Ma va', sono tutte storie: quella è fatica sprecata, lo sfigato nasce sfigato e ci resta.   
Adesso invece imparo il mestiere. Bello che poi non rischio il licenziamento e sono più sereno, in effetti. Il vecchio mi ha messo là all'ufficio spedizioni, basta stampare e poi fa tutto il computer. Dico, per i tre calcoli che bisogna fare, e quella là che mi diceva dei seni, dei coseni, delle funzioni. Se ho due mele, dammene ancora tre e sono cinque. E piantala.
Come quella volta con la X5: se ho fatto 600 km con un pieno, e il pieno è di 85 litri, ecco il costo. Consuma, però. Ma non hai bisogno dei seni, insomma. E poi il pieno lo fa il vecchio. Perché se no non riesco a sbocciare col Krug al sabato in disco. 
E' orgoglioso di me perché lavoro. Sotto padrone va bene, ma fino a un certo punto. Uno che non ti conosce, magari sbagli e ti caccia senza lasciarti spiegare. Col vecchio ci si capisce, sono io insomma, anche lui che figura ci farebbe a mandarmi a lavorare da un altro? 
Comunque dopo tre mesi che ho iniziato, sto bene. Infatti sono andato in ferie sereno. Così, tre mesi a sgobbo che tanto in giro c'è la nebbia, poi però la Nuova Zelanda davvero, eh? Sarà bassa stagione, vabbe', però le onde sono quelle belle belle. 
Chissà se stasera vengono anche i soci della band? Ussignur, due mesi che non gli ho riarrangiato il pezzo nuovo, ma dovevo lavorare. La chitarra sarà arrugginita, domani mattina controllo. Il video da caricare. E' che non riesco a trovare il ritmo dopo il primo foglio, mi chiedono il groove, ma insomma il prog.
Chiamava quel cliente scassaminchia, l'ho girato a Mario, sono cinquant'anni che è qui, lui li conosce e sa parlarci. La band. Dobbiamo trovarci prima o poi. Certo poi finire per suonare gli stessi pezzi sei volte perché quello col basso si dimentica la sua parte... 'sto album lo finiremo mai...
Ma la Nuova Zelanda, sì che sanno vivere: il mare, le onde, il cielo, la sabbia, il surf, basta con le regole, basta con il 'tu devi', ma che devi, puoi se vuoi.
Credo che andrò a vivere lì, via dalla noia, dalla gente, da questa vita di... va be', però stasera i soci sono arrivati tutti, laggiù chi mi porterei?
Perché poi settimana prossima Barcellona, poi fra due mesi visto Ryanair che pacco? Con la Emirates subito in Cambogia. Quattro giorni di differenza e mi salvo 2000 euro... La gita ai templi. E i bambini africani nella foto, gli piaceva il mio Ipad.
Lavoro, sempre lavoro. Anche oggi. E' sbagliato Excel. E io cosa c'entro? Che però è bello avere lo stipendio. Fa bene a fare l'accredito, poi coi soldi in mano non si sa mai, vanno via come niente. 
Così adesso ho capito come vanno le cose, se aspettavo quelli là col loro latino... Faccio il file, mi realizzo, sono cose utili. E quei cretini che hanno fatto Economia e adesso nel call center o a dare via i volantini. Perché a scuola vi serve quello che imparate, come no.  
Io ho imparato che tanto negli uffici tipo là dai promotori lavorano i paraculati, arrivano lì con le giacchette del primo giorno tutti tirati a fingere, ma la mamma è amica (amica!!) del capo, immagina che colloquio che avranno fatto con le risorse umane... ti va questo lavoro? Cosa ti aspetti? Come reagisci alle situazioni di tensione? Sai lavorare in équipe? Sì, ma tranquillo, tanto prendiamo te... bella la vita così, eh? Comodo, vero? Finisce che le conoscenze servono più del talento.
Vedi che io invece imparo qualcosa che serve? E' bastato darmi l'occasione e voilà! Se mancava giusto uno di spalla ai preventivi, perché Mario è lento col mouse e chiude le finestre prima di salvare. Ma sì, sono cose per giovani, poveretto. Ma se arrivava il laureato spocchioso, invece me mi conosce da sempre, accetta i miei consigli. No, davvero, fortuna che sono arrivato io qui in quest'ufficio. Cinque minuti e avevo già risolto quella cosa del modem: metti on e imposta la password. Erano là a guardarsi. E aspettavano me. 
Ma quanto tornerei volentieri a scuola da loro a dirgli: "Visto che ce l'ho fatta?". Adesso mi sono fatto una posizione con le mie forze e prendo anche casa. Bella l'idea della vecchia dell'appartamento della zia, non cambio neanche i mobili e il parquet facciamo a metà col vecchio.
Da solo. In casa mia. Quelli che mi dicevano che non sapevo neanche da che parte ero girato. Perché a stare sempre sui libri e a insegnare le cose inutili poi uno non vede più la realtà, che pena, peggio degli spazzini. 
E adesso gli sbatto in faccia una bella triennale in Scienze della comunicazione, come ci godo... fi', stasera festona al ristorante, poi la disco al piano di sotto, tutto pesce, il vecchio ha scelto bene. I tavoli da sei, voglio diecimila foto, le posto TUTTE così i professori del Liceo le vedono e capiscono, poveri, ecco come ci si crea una posizione senza la loro scuola. Ho fatto tutto da solo e senza latino. Bastava darmi tempo, mica loro che ogni settimana "sei pronto, oggi?", oh, bello, pago pure per venire in questa scuola per fare tre anni in uno, pronto cosa? Adesso hai visto? Un esame ogni sessione, ben fatto, studiato due ore al giorno finito il lavoro, anche se dopo sgobbo tutti i giorni dalle 10 alle 14 (e mezz'ora per il pranzo, va vaff...) a stampare bolle di accompagnamento certo è dura, ma insomma. Poi anche lì, dipende se uno è fissato con la perfezione: io, qualche 19, un paio di 20 e un 18 perché quello scritto di inglese, uffa, i test a completamento, fortuna che ho parlato e hanno sentito che ero stato in Inghilterra.
E però alla fine una bella tesina di 25 pagine sugli youtubers e basta. Quest'estate al lago se stavamo bene al ristorante e i vini bianchi, mi è venuto in mente Favij, ce l'ho la foto della catalana? 
Sono stato bravissimo, non ho neanche rinunciato ai tornei di softair, ed eccola lì, la foto sotto i Beatles ad Abbey Road, io con la chitarra sul letto, bella bella. Suonano? No.
E qui, ecco che devo ancora fotografare il biglietto dell'aereo... destinazione San Francisco, regalo di laurea. Beh, lo sgobbo viene riconosciuto, alla fine. 
Adesso suonano.
   

domenica 11 dicembre 2016

ITALICA -2- BIM, BUM...SBAMMM!!

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La defunzione dell'esperienza governativa renziana ci costringe a chiudere il cerchio iniziato quasi tre anni fa col post che linkiamo qui. Osservavamo allora che, tanta o poca o punta che fosse la simpatia ispirata dal rignanese più noto d'Italia, era un fatto che con lui andasse al governo un rappresentante della cosiddetta 'generazione Bim bum bam', altresì detta generazione X, quelli insomma che, nati a partire dalla metà degli anni '70 e appena prima del pieno fiorire degli anni '80, non hanno fatto in tempo a gustare il vento delle grandi narrazioni ideologiche novecentesche, avendo suppergiù l'età dei calzoni corti ancora quando veniva giù il muro di Berlino, ma sono cresciuti con i miti un po' plastificati e sempliciotti identificati nei cartoni animati trasmessi soprattutto dalle TV private; gente venuta su in un benessere non apparente, ma per così dire quasi anestetico, gente cui si disse: "Facciamo tutto noi, tu gioca", gente però a cui, come pesante contraccambio di una vita priva di spigoli, si impose l'assoluta inerzia nel gioco delle grandi decisioni. Detto più crudamente, in cambio dei giochi così generosamente offertici, i 'grandi' ci costrinsero a restar fuori da un percorso di crescita che ci avrebbe dovuto portare prima o poi a sostituire i 'grandi' medesimi, i quali appunto, fattisi 'vecchi', avrebbero dovuto passare naturaliter la mano ai virgulti sapientemente coltivati. Niente di ciò: i 'vecchi' di oggi, ovvero i 'grandi' di una volta, sono ancora lì ai posti di comando che contano, laddove noi non riusciamo, sembra, ad uscire ancora pienamente dalla stanza dei giocattoli. 
Pareva in effetti che Renzi in qualche modo avesse innescato una svolta in senso contrario a quest'andazzo (vista anche l'anagrafe della gente di cui si era circondato), ma evidentemente gli è mancato qualcosa (o molto) per compierla fino in fondo. Difetti di carattere? Certamente. Strategia poco sensibile agli umori di grandi fette dell'opinione pubblica? Senza dubbio. Forse però c'è dell'altro, e noi lo temevamo sinceramente al momento dell'insediamento renziano. Temevamo cioè che in lui prima o poi si manifestasse un tratto della nostra generazione di cui sospettavamo la latenza.
Mi spiego. In più occasioni abbiamo osservato come la generazione bimbominkia che oggi impera sia figlia per molti versi di una certa visione delle cose cui fummo educati già noi della precedente generazione X. Ciò che però ci distingue rispetto ai bimbominkia, opinammo a più riprese, è la capacità, nonostante il giocattolume in cui siamo stati affogati, di distinguere ancora piuttosto nettamente i contorni del reale da quelli del virtuale. Nessuno di noi della generazione X, in altre parole, arriva ad autoconvincersi di vivere in un cartone animato o in un videogioco.
Ecco.
Forse ci sbagliavamo. E Renzi forse ne è la prova.
Sia chiaro che enucleiamo la sottopresente opinione coll'animo gonfio di tristezza non tanto per lui [63 governi e 28 primi ministri, compreso Renzi, in 70 anni, che vuoi che sia...], ma per noi: tutto, o quasi tutto, nel modo in cui Renzi ha gestito il suo discorso governizio, tradisce il fatto che il predetto Renzi ha vissuto come in una bolla cartoonesco/videoludica. In particolare:
a) i politici da lui rottamati (e adesso di lui rottamatori), relegati al rango di nemici espressione di un vecchiume non più necessario; lui al contrario, il giovane coi superpoteri in grado di mutare la sostanza stessa della realtà: come non vedere la lotta senza quartiere tra Babyl Junior e Yomi?
b) la liquidazione al rango di gufi per gli oppositori alle sue riforme: è evidente il retaggio traumatico legato all'immagine del più brutto dei Gatchaman, Ryu il gufo, appunto [quindi la Boschi era Pretty Jane?].
c)  la convinzione di potercela fare sempre e comunque, anche contro l'avversario più insormontabile, perché l'energia che brucia dentro lui [lui Renzi, intendo] avrebbe attivato soluzioni impensabili ed inarrestabili: quanti Cavalieri dello zodiaco non vediamo dietro a ciò?
d) la promessa di una riforma al mese, da realizzarsi spazzando via, in livelli di difficoltà crescente, tutti i loschi figuri difensori dello status quo, con il sottinteso che ogni ostacolo superato sarebbe stato il piedistallo per l'impresa successiva: para para, la struttura di Super Mario Bros 3.
e) l'assertività aggressiva capace di trasformare in conflitto permanente la discussione in merito a qualsiasi argomento in agenda, fino alla demolizione dell'avversario: una frenesia certamente figlia dei duelli di Street Fighter II.

Citazioni lepide a parte, soprattutto il modo in cui Renzi si è immolato nella contesa referendaria ha dello spaventoso: non obbligato al giudizio popolare, lo ha comunque voluto per cercare una seconda e più solida certificazione di dignità del proprio mandato premieratizio, superiore anche al cospicuo 40% delle elezioni europee di due anni fa; nato il suo governo sotto la stella dell'#enricostaisereno, Renzi ha vissuto mille giorni col peso di questa sorta di peccato originale da riscattare in tutti i modi. E sin qui saremmo su tonalità tragiche quasi wagneriane [a-ehm...]. Egli tuttavia si è gettato nell'arengo referendario più che altro con la convinzione tutta videoludica dell'eroe che corre ad abbattere i nemici fino al mostro finale, la cui sconfitta sancirà il primato inestirpabile. La sicurezza di sé esibita con saputa strafottenza ha coperto un'idea purtroppo ben nota a noi tutti figli di epoche in cui il virtuale ha pian pianino eroso spazi di pertinenza al reale: quella del mondo magico, ovvero la convinzione di poter dominare, in quanto paladini del Bene, tutte le contrarietà che si potrebbero mettere di traverso tra noi e la Mèta suprema. Solo perché vogliamo quella cosa, nulla sarà in grado di opporsi. Se per caso l'esperienza dell'insuccesso contraddice il nostro pensiero, non c'è nulla da giustificare, ma semplicemente se ne addossa la colpa a fattori 'altri' rispetto alle nostre nobili e giustificatissime intenzioni. S'è mai visto, nei cartoons anni '80, uno dei buoni che fallisce nel suo obiettivo (escluso quel generatore positronico di sfighe perpetue del Dolce Remì, s'intende)? Avanti, siamo onesti: Grande Mazinga, Goldrake, Jeeg robot, Mimì Ayuhara, Holly e Benji (più Holly che Benji, per verità...) sono tutti engrammi di un'unica narrazione: il nemico è lì apposta per essere battuto, sennò che gusto c'è a vivere l'avventura?
Così dunque Renzi ha cavalcato la tigre referendizia (o referendaria? o referendese?): aver messo come posta in gioco addirittura la sopravvivenza del governo è tipico sintomo di chi considera il proprio percorso come quei videogiochi anni '80 in cui, finite le vite extra, c'è il game over e pace (o al limite si salva la posizione - come in Zelda e Faxanadu- in attesa di tempi migliori, ma intanto si fa altro). Brunetta, che da vero squalo fiuta il sangue della preda lontano 30 miglia, come ha commentato a botta calda l'esito della consultazione? "Renzi, game over!". Non ci vedrei un lapsus o un modo di dire tanto per. E' semmai l'idea che Renzi appartiene per formazione a quel periodo lì, dall'Atari al Nintendo 16 bit, e ha gestito la faccenda con la scriteriata levità di chi imita per gioco i tanti atti vagamente samuraieschi degli eroi degli anime del bel tempo che fu [Musashi Tomoe, esci da quell'angolo!], oppure spegne senza rimpianti la consolle a 8 o al massimo 16 bit, i cui giochi possono anche ricominciarsi da zero perché non sono lunghissimi [Mystic Defender, per dire...].
E fin qui.
Ma il motivo dello spegnimento? "Non state dalla mia parte, quindi con voi non si gioca più!!". Quanta brezzolina di beghe anni '80 spira da questo ragionamento... problemi di tutte le epoche, certo, ma l'idea che il raro possidente di consolle videoludica di allora potesse decidere d'un colpo di sbarazzarsi di tutti quelli che gli facevano corteggio solo per giocare, salvo poi pugnalarlo alle spalle con i più beceri tradimenti... Bei tempi anche qui... Capricci dell'età, certo, ma non si aveva la responsabilità di un Paese intero da gettare di nuovo nel vortice dell'instabilità. Il gioco, qui, è concretissimo, e le conseguenze terribili: avevamo bisogno dell'ennesima crisi di governo sul nulla? Consultazioni in cui i consultanti si guardano esterrefatti, perché un governo e una maggioranza ci sarebbero già, ma il capo ha deciso che no, con voi il gioco è finito? Tutto risolto con un rancoroso indispettito  "me ne vado, arrangiatevi"?
Ecco, Matt, i limiti insiti nella nostra generazione, limiti dei quali certo chi ci ha preceduto detiene una certa paternità. Ma ora toccava a noi. E abbiamo fallito.
                                                                                                                                                                                                                     [continua...]

martedì 6 dicembre 2016

ITALICA -1- RICORDATE CHE REFERENDUM E' UN GERUNDIVO.

[VI RICORDIAMO IL POLIZIESCO PENTADIMENSIONALE QUI]


Lungi da noi levare la nostra vocetta nel panorama di rumori di fondo e colpi di clava assortiti che caratterizza il post-referendum. Provo a dire qualcosa di umile & sommesso (tu, proprio, Spocchia!) in rapporto ad una visione alternativa, insomma tanto per fare.

1) Assodato che, negli ultimi 20 anni, ci sono stati 3 (TRE) tentativi di cambiamento istituzional/costituzionale e che tutti e 3 (TRE) sono morti in culla, nello specifico:
1a: commissione bicamerale 1997-1998, presieduta da Spezzaferro D'Alema, morta di berlusconite fulminante;
1b: riforma proposta dal centrodestra nel 2006, morta di referendite fulminante, più complicazioni di Calciopoli, senza contare che era ancora vivo Jesse McCartney;
1c: riforma di centrosinistra Renzi/Boschi et alii, abortita per via referendaria poco fa.

Bene.

Assodato che nel caso (1a) Berlusconi poteva (come ha potuto) benissimo dire che, tirate le fila, i lavori della commissione non gli quagliavano, e ri-assodato che nei casi (1b) e (1c) il popolo votante ha avuto ben diritto di esprimere il suo voto sovrano verso riforme che hanno avuto il solo vero torto di essere state messe a punto da una sola fetta dello schieramento politico, mi domando e chieggo: quand'è che si riuscirà a riformarla, 'sta benedetta Costituzione?
Cioè: se non passano tentativi bipartisan e se, visto il clima di aperta tifoseria in cui ormai vegeta il nostro sentimento politico, le riforme monopartisan fanno la fine che fanno, siamo condannati alla perpetuazione dello stato attuale, detto familiarmente status quo? Non giungeremo mai allo status qui o perlomeno ad un onorevole status qua? [scusate...]
Dice: di ritocchi alla Costituzione se ne sono già fatti, altro che sistema bloccato. Difatti se ne lamentano tutti.
Ridice: la legge Fornero, perché avevamo il cosiddetto peperoncinarculo, è stata concepita, gestata e partorita in 20 (VENTI) giorni, vedi che il bicameralismo non ostacola nulla? Vero. Allora dobbiamo domandarci: COSA ha impedito ai nostri politici, in giusto 70 anni di democrazia parlamentare, di approvare altre leggi con la stessa rapidità della Fornero? Perché è chiaro che, messa così, la questione è doppiamente angosciante: la giaculatoria sui difetti del bicameralismo perfetto è fuffa, ma di fatto abbiamo una classe politica che accelera legiferando solo quando vuole, e in genere lo vuole solo sotto pressioni apocalittiche. I mezzi ci sono, ma nessuno li usa.

Proiettiamoci dunque già al di là dell'agone odierno: il fallimento renziano è il terzo in ordine di tempo, e verosimilmente nuove riforme di questo peso si rivedranno forse quando Plutone verrà riclassificato come pianeta, cioè mai. Buttiamo a mare, da oggi e per sempre, ogni sogno di riforma costituzionale e, non per fare la volpe e l'uva, ma per prendere atto dell'esistente, decidiamo che è altrove che bisogna incidere per guarire l'Italia dai suoi mali.
E allora torniamo a cose già dette: non è il sistema politico a rendere efficiente un Paese che campa di cialtronaggini e sotterfugi, come non è il metodo di studio a rendere bravo uno studente che non ha né voglia né capacità apprenditizie. Sui limiti strutturali dello studente forse è impossibile intervenire, ma si riuscirà prima o poi a ripulire la rogna morale di un Paese che puntualmente si rispecchia in quella dei suoi rappresentanti? Sotto-questione: può la scuola aiutare in tal senso? Certamente sì, se si permetterà alla scuola medesima di formare il sentimento civile smettendo di demonizzare le materie umanistiche "che tanto non interessano a nessuno", sbattendo fuori dall'insegnamento delle medesime i docenti che hanno palesemente sbagliato mestiere e popolando le relative classi di concorso di gente che insegna con passione e sa trasmettere il messaggio più vero che si cela dietro le analisi del testo, la narratologia e la divisione in sequenze. Basterà per fare breccia nel muro eretto dalle famiglie delle scimmie vestite, che mandano i loro figli alle superiori e soprattutto al liceo solo come certificazione di status symbol, ma sotto sotto restano convinte, e ai loro figli ciò non sfugge, che l'umanesimo non serva a nulla? In parole più crude: ti mando a fare il Liceo, vedi cosa riesci a fare, tanto a me serve dire che fai il Liceo per far vedere che ho raggiunto un certo livello sociale, dopodiché stai tranquillo, colto o ignorante che tu mi esca, un posticino in bottega te lo preparo già, quindi a quei poveracci dei tuoi professori puoi anche sputare in bocca.
E' chiaro che se la base di partenza è questa, base che si basa sull'idea che il merito e lo sforzo non contano quando c'è chi ti ha già preparato la cuccia, non c'è discorso che tenga: più in grande, gente così si disinteresserà SEMPRE della cosa pubblica finché potrà coltivarsi il suo orticello di privati interessi e mezzucci per tirare a campare, educando in modo consimile la prole. Salvo poi lamentarsi che la politica "non fa abbastanza" per i cittadini. No, scimmia vestita-padre: se non si rivoluziona il modo di concepire il proprio ruolo nella società, la politica non farà che replicare i nostri vizi peggiori. Abbi, per dire, il coraggio di spedire il figlio ciucciapaghetta a lavorare ben lontano dalla tua bottega; assumi chi si è fatto il vero mazzo per sviluppare le vere competenze che servirebbero alla tua bottega, e che il figlio ciucciapaghetta non svilupperà mai, o molto più lentamente di quest'altro. Perché ciò? Perché si creerebbe un circolo virtuoso: gente competente e premiata per le competenze sarà di stimolo ad altra gente competente, non si punterà al ribasso offrendo un posto di lavoro al pargolo incapace, ma si ragionerà più in grande promuovendo i capaci e chissà, da questa perpetuata violazione di familismi amorali e clientelismi sciocchi forse in capo a tre, quattro generazioni usciranno politici in grado di anteporre il bene pubblico agli interessi di cricca perché sono cresciuti in un clima in cui gli interessi di cricca non hanno mai fatto premio sulle qualità oggettive dei singoli. E magari avremo un Paese davvero competitivo, in cui non ci è limitati a replicare l'identico, umiliando i meritevoli e mandando avanti i paraculati, ma si sono (ri)messi al primo posto i valori del sacrificio e della promozione sociale in base alle virtù innate o acquisite (e di ciò parleremo un'altra volta, sennò famo notte).
Voglio cioè dire che il processo non è breve né facile, ma parte dal piccolo. E la scuola può aiutare se è al tempo stesso aiutata.
Utopia?
Chissà.  

lunedì 5 dicembre 2016

DE BIMBOMINKIBUS (-1-) Fenomenologia dello scoiattolo frullato

[SPOILER: POST SPERIMENTALE PER VEDERE QUANTI ACCESSI ARRIVANO DAL WEB CON LE TAG BIMBOMINKIA]

[VI RICORDIAMO IL NOSTRO POLIZIESCO PENTADIMENSIONALE DA SCARICARE, EH??]

Insegna il bravo blogger che alla tragedia segue sempre il dramma satiresco.
Ecco quindi che, dopo amene discussioni di altissimo (ma altissimo, eh?) livello, vogliamo oggi riposarci ripercorrendo gli anni della verde gioventù, allorché, tutti impegnati a perfezionare la pronuncia dell'inglese, guardavamo MTV. Tra una Céline Dion d'annata e una Whitney Houston dannata (pardon...) alla depressione, ci capitava che, in un'ora, due video su tre fossero delle allora imperanti boyband. 
La qual cosa ci induceva a pensare a quanto fossero imbecilli le teenagers di allora che, a fronte di band maschili (?) di bambocci cartonati tutte uguali (qui la serie storica)(comunque gli irlandesi fanno impressione), con canzoni più o meno tutte uguali (evidenza 1 cfr. evidenza 2; evidenza 1/bis cfr. evidenza 2/bis), mossettine (ine ine) tutte uguali (evidenza 3 cfr. evidenza 4), temi tutti uguali (evidenza 5 cfr. evidenza 6), svaligiavano negozi, riempivano stadi, acquistavano tonnellate di rivistine sceme il cui angolo della posta era un delirio di "sono stata con Mark e quello nella foto è nostro figlio"  ecc. ecc.   [oggi, invece...]
Poi il sociologo che era in noi si accorse che non erano solo uguali i ragazzi (?), ma erano identiche anche le voci, in ispecie quelle del front boy (?) della band. Certo, ci si disse, se per mettere insieme le Spice Girls avevano addirittura sondaggiato le ragazzine inglesi on target (9-14 anni o giù di lì) così da sapere qual era il tipo femminile (?) di riferimento e scegliere le membresse della band, vuoi che non abbiano fatto così anche coi maschi (?) delle boyband? [INCISO: se le ragazzine inglesi di vent'anni fa si identificavano in questa cosa qui, poi non chiediamoci perché la Brexit...][del resto, con certi incontri al vertice, cosa pretendi...?].
Cioè: magari, sondaggia tu che sondaggio io, era venuto fuori che le proto-bimbominkia andavano in solluchero per un preciso timbro maschile, che quindi era opportuno riproporre in tutte le boy(?)band
I dati controfattuali erano, del resto, a favore della predetta ipotesi: come non avvertire una palese affinità di timbro tra quel funghetto biondo bombardato a positroni di Nick Carter
                       
                                               

e quell'altro perfetto incrocio tra un carlino e una pecora di JustinTimberlake?




Poi certo, uno apparteneva ad una boy(?)band ben fighetta, quella dei bravi ragazzi sempre ben vestiti, dediti a balli di gruppo stile Rimini anni '50, pionieristici come i Digimon, (brava gente), l'altro, beh, l'altro costretto a condividere il desco con dei buzzurri che a stento si riusciva a disciplinare per videoclip di lepida ironia sul mondo della psichiatria, alternati ad autopromozioni come sguatteri per case abbandonate, con episodiche puntate nelle fiabe di Andersen.
Si sa, lo stile non è per tutti: il Carter ed il Timberlake risultavano comunque accomunati, oltre che dalla casa discografica, da quel particolarissimo timbro da scoiattolo gettato vivo nel frullatore che sempre ci interrogò sull'effettiva qualità sonoro-melodica, ma che evidentemente acchiappava.
Quando poi l'oblio cadde su queste band, ed erano i benvenuti anni 2000 e un po', ci rilassammo a preoccuparci di antiche ricette contro il mal di denti. Pazienza, ci dissimo, le nostre coetanee o giù di lì cresceranno convinte che l'idealtipo del maschio alfa abbia l'estensione vocale dell'aspirabriciole da tavolo. E intanto ascoltavamo Mango per rifarci le orecchie (ciao, Pino, quasi due anni e un vuoto incolmabile...).
Poi fu la volta degli One Direction (di cui già dissimo, ma dovremo tornare a dire ora che li hanno sepolti) e vabbe', fuoco di paglia, del resto se Take That e Backstreet boys, con le pezzarculo per una vita di eccessi, devono tornare sulle scene a fare i ventenni a quarant'anni (poracci 1 cfr. poracci 2)(se gli scappa una mossa di più, gli finiscono il polso e un'anca in platea), dai, Harry Styles che male fa?
Appunto.
Poi temettimo (o tememmo?)(o temimo?) che qualcosa si muovesse nientemeno dalle nostre parti, nel senso che a XFactor edizione 2015 si presentò un onesto pupazzetto italo-americano (da parte di nonno o qualcosa di simile) di origini romanesche, che ai primi casting, tenero sedicenne, fu accompagnato da mammà, la quale ci tenne a far sapere al conduttore che il figlio frequentava il classico ("ha 9!", che detta così può voler dire tutto: 9 in una materia? la media del 9? un 9 in tutto l'anno? ah, mammine mammine...). Morale, Luca Valenti, il mini Justin Bieber da Garbatella incrociato con Guile di Street Fighter II (o Dumbominkia, if you prefer...), canta buttando sul palco il cuore e un po' tutti gli organi interni, visti i ragli di sofferenza che inanella di puntata in puntata, fino alla trista eliminazione per sopraggiunta febbraccia (testa sulla spalla di Mika e tanto Hellospank). Eccerto, ci diciamo io e la Spocchia, non si resuscita Justin Timberlake così a piffero, le minestre riscaldate non rendono, suvvia... (comunque non si è rassegnato, eh? un velo di betacarotene direttamente sopra i capelli e via!)(tra l'altro fa il piacione con Nicole e prende un due di picche da antologia)(comunque l'hanno eliminato anche da lì...).
Ci era però sfuggito che il suo (di Luca, sempre) XFactor starter pack comprendeva questa stramba ballata per adolescenti ciucchi di cedrata che lì per lì ci disse poco. Sennonché una sera d'estate, mentre eravamo in pizzeria ad aspettare una contadina (la pizza, sempre) e una golosa (sempre pizza), ecco che ci cade l'occhio sullo schermo tivvù del locale predetto, proiettante una curiosa sequenza, probabilmente un estratto di qualche film concettuale della transavanguardia polacca non allineata, in cui un tizio con la testa a melanzana gira senza meta in un parcheggio coperto prendendo sberle da una mano invisibile. Evabbe'. Poi aguzziamo l'udito e ci pare di sentire ciò che ci fece sentire il Valenti e facciamo due più due: QUESTA che va in onda è la canzone originale, che Luca non è riuscito a rovinare perché è già terribile così. Di fatto, l'incubo del risveglio dello Shin dragon tanto temuto dai dinamici e svolazzanti piloti delle astronavine Getter si è materializzato: il mono-boy(?)band con la voce da scoiattolino frullato che noi tutti si pensava affidato alle più polverose memorie del castello di Trappingham è risorto! 
Eccolo qui, il nuovo che avanza guardando indietro: Shawn Mendes, canadese come Justin Bieber, ma di tratti più, diciamo, mediterranei e con meno gommapiuma nelle guance. Una faccia da niente come poche, il classico vicino di banco anonimo a cui potresti bucare la mano con la punta del compasso e neanche direbbe ahia, il bravo ragazzo che si lascia usare la cute per accendere i fiammiferi e non prenderle, quello che nel presepe vivente fa sempre la parte di Melchiorre perché ha la testa grossa e il caftano gli gira bene attorno e poi la sua parte dura solo per la Messa dell'Epifania. 
Stupore dunque ci prende nel constatare i numeri su Vevo di costui (675 mln di visualizzazioni adesso, Madonna je spiccia casa...), ma subito dobbiamo razionalizzare: perché, dopo 20 anni, ancora lo scoiattolino frullato? E' chiaro che alle shawners succede una delle tre cose sotto descritte:
a) si attiva nel grigio periacqueduttale il sentimento materno che porta a proteggere le bestiole indifese.
b) la vocetta di cui sopra, con quelle vibrazioni da antello della cucina arrugginito, va a coprire lo spettro sonoro del progesterone.
c) sono sceme e basta.

Niente, 20 anni dopo e la stessa zuppa. L'occidente è finito in loop. Poi non lamentatevi della crisi di valori, la trascuranza, il debbionismo, eh? Ecco.

[ci voleva, eh...?]

giovedì 1 dicembre 2016

Scholastica - I - Tempo di nuovi paradigmi

Non spenderemo altre righe per spiegare alle scimmie vestite (che neanche ci leggono)(perché non sanno leggere, non per altro)(lolleria) cosa ci spinga a praticare una professione che ormai da due decenni è trattata in modo indegno dall'opinione pubblica e non solo. Parole come passione e fatica intellettuale sono incomprensibili a certe orecchie e pace.

Da qualche giorno ci è però sorto il dubbio che forse il problema, come dire, teoretico del dibattito scuolesco italico odierno non porta a nulla perché le premesse sono tutte rovesciate rispetto alla realtà. Almeno credo. Comunque, amico lettore, ti offro il mio ragionamento, e tu sarai libero di condividerlo oppure don't.

                                                   PARABASI   (t'a ricordi a parabbasi, Giacomì..? nun t'a ricordi?? Guarda qqua...)

<ODE'> Uno dei mantra che certi esperti del nulla ci ammanniscono, credendo di incantarci, è la fuffa circa la necessità di finlandesizzare il nostro sistema scolastico, perché la Finlandia, notoriamente membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU, primo Paese cui ci si rivolge quando arrivano gli alieni (era Finlandia questa, vero...?), culla di artisti in confronto ai quali Durante (detto Dante) Alighieri o Italo Calvino sono dei modesti inchiostratori, ebbene la Finlandia è la Terra Promessa, la Minas Tirith cui noi tutti, nani e hobbit, dobbiamo tendere, abbandonando la nostra pallosa lezione frontale, rinunciando ad ammannire conoscenze per forgiare esperti progettisti di semafori che fanno l'onda verde all'incrocio dei loro paesini; vuoi mettere le lezioni luminose, con un quarto d'ora di svago tra un'ora e l'altra (e sei ore di luce al giorno da novembre), la didattica costruttiva in cui le materie sono modulari come i mattoncini Lego e tutti crescono felici, visto che il Paese in questione ha il record europeo di suicidi e un consumo di antidepressivi altino (+1761% a partire dal 1985 o giù di lì)(comunque una volta era peggio)(anche loro, però, con questi psicofarmaci...)(no, carino, è tutta invidia!!)(si, ma la Francia dove la metti?)?
Certo, certo, del resto il loro sistema scolastico è così "oltre" che ha prodotto la prima casa produttrice di telefonini, la Nokia, che tuttora primeggia... ah, no...
Poi la loro scuola steineriana è così rassicurante che questi non sanno neanche cos'è un fionda, figurati una pistola... ah, no...
<EPIRRHEMA> Del resto la loro didattica, fatta apposta per i test PISA (umanisti, sotterriamoci!), nei quali notoriamente quelli ci strabattono (nel complesso, scorporando i dati viene fuori ben altro), insomma è giusto così, no? quando ti iscrivi a scuola guida, non sei lì a riflettere sui profondi significati del divieto di sosta o sull'opportunità etica di non sorpassare nei tratti ascendenti dei dossi: devi ricordarti che a quella domanda lì si risponde crocettando quel quadratino lì. Ecco, la loro didattica è così, teach for test come si dice (hanno dei dubbi anche gli inglesi, figurati...), ma intanto lassù si vive mille volte meglio che da noi (risalite a leggere di venti righe a partire da ora per conferma), noi invece, così scioccamente fissati ad ammannire agli alunni lunghe verifiche scritte per saggiare, oltre alle nozioni, lo spirito critico... no no no. L'adulto del futuro deve saper fare. Stop. Imparate dalla Finlandia, loro imparano facendo, mica prendendo voti e svolgendo i compiti a casa (ovvove!!!)(del resto, se il sole cala a mezzogiorno, che compiti vuoi fare...?)(vabbe', ma andranno a scuola nei mesi con più luce, no?)(ehm... no).
<ANTODE'> Ma perché poi fare confronti con un Paese che ha 17 abitanti per km quadrato e un dodicesimo della nostra popolazione?
I nostri amici Brexit e i loro epigoni d'oltreoceano, prime economie del mondo, sono certo più performanti come esempio: è evidente che la loro economia e soprattutto la cultura dominano in lungo e in largo (gente così, vedi?)(poi endorsano Hillary Clinton, ... ti credo che vince Trump)(e se non basta, vanno a fare shopping in Canada)(bricconcelli, anche i cetrioli bombardati da radiazioni mi fate cantare...) perché il loro sistema scolastico è il migliore al mondo... cioè, no, il migliore è quello finlandese, ma quello anglosassone dev'essere comunque il migliore, sennò come ha fatto Microsoft a mangiarsi Nokia? Loro hanno capito che le nozioni non servono, il docente deve essere un mero "facilitatore" dell'apprendimento alunnizio, guardare più al processo che al risultato (del resto, se mi faccio operare al cuore, conta molto di più che il medico abbia seguito tutti i passaggi necessari anche se gli muoio sotto i ferri, no??), assegnare ricerchine che quelli si arrangeranno a mettere insieme compitando da internet, ma va bene, così, no? L'importante è fare, districarsi tra un problem solving e un cooperative learning, basta che sia chiaro il messaggio che a fare l'insegnante non ci vuole poi molto, giusto un  po' di vigilanza mentre i pupi, seduti alle loro scrivaniette tutte colorate modello uffici di Google, surfano tra wikipedia e youtube per svolgere il tema "Il conoscimento cambia modalità a seconda dell'oggetto" e amenità consimili. Ma poi là sì che si trova lavoro in fretta, infatti vanno tutti in Inglesia (a Brexit piacendo, si capisce), le università ti buttano subito nel mondo del lavoro, perché loro là fanno, mica pensano... loro professionalizzano, da sempre.
E sai perché alla Samsung esplodono i tablet? Perché la loro scuola è troppo competitiva... questi qui stanno 10 ore al giorno in classe, studiano anche dopo cena e dormono 5 ore a notte, ci credo che qualcosa poi gli sfugge (ehi, ma questi hanno più suicidi della Finlandia!!).

                                                   SI PROTRUDE IL CORIFEO

Ecco, dalla volutamente caotica rassegna di cui sopra, credo si sia capita una cosa (ah, no...?), cioè che forse è il momento di disilludersi circa la convinzione che un Paese diventa quel che diventa grazie al suo sistema scolastico. Semmai è vero il contrario: il sistema scolastico riflette (come sovrastruttura)(no, Marx noooo!!)(ma che tte frega? stamo ner dumila, ahò!) il Paese che lo ospita. Se la scuola anglosassone è così, diciamo, empirica, lo è perché loro, i Brexit e gli Yankee, sono empirici da sempre, da quando Guglielmo da Occam rasoiava Aristotele e Locke polemizzava amabilmente contro Cartesio. Da lì, e non al contrario, nasce la 'loro' scuola. [di Giappone e Corea adesso non ci occupiamo, right?] I finnci, che pure hanno rivoluzionato la loro scuola 'solo' da 40-45 anni, hanno potuto farlo con calma e senza fretta perché... sono finnici, cioè non avevano il mondo addosso ad aspettarsi chissaché da loro. Mi rendo conto che detta così sembra un'idiozia, ma rimane il fatto che parliamo di un Paese di 6 milioni di brava gente la cui ex-punta di diamante si chiamava Nokia dal nome del fiume su cui fu impiantata una cartiera (sì, non esattamente la Silicon Valley...) che dal 1865 agli anni '90 del secolo scorso evolvette (o evolse)(o evlibbe) meritoriamente a leader mondiale del telefonino. Merito della loro scuola? Giustacconto negli anni '70 questi si riformarono l'istruzione e Nokia decollò? E allora perché adesso è schiantata? Non funziona più la scuola finlandese?
Il sistema economico mondiale si è evoluto in una direzione capitalistico-neoliberista che ha dato ragione, diciamo così, a chi di quel sistema è stato la mosca cocchiera, ovvero il mondo anglosassone, oggi imitato dalla Cina. Ma non è certo a scuola che gli anglocinesi hanno appreso lo spirito del capitalismo: quello spirito ha semmai chiesto un certo tipo di scuola per venire perpetuato a livello di strutture di pensiero (vedi, elabora, risolvi, vinci)(semplicità, semplicità). L'errore nel parlare di scuola sin qui è stato appunto scambiare l'antecedente col conseguente. Mi si conceda (no, no!!)(sì, invece, taci, Wotan!!) l'arguta battuta da classicista impenitente: che sistema scolastico avevano Atene e Roma ai bei tempi del loro splendore? E appannaggio di quanti cittadini? E' in virtù di quello che hanno dominato il loro pezzo di mondo per le rispettive spettanze? O la scuola non finiva per riprodurre un'ateniesità e una romanità preesistenti? Tra l'altro i greci imparavano a perculare i persiani leggendo e studiando Omero (per tacere che i primi elementi della loro educazione erano musica e ginnastica, vedi tu...), ma appena i Romani hanno iniziato a studiare se stessi, diciamo a partire dagli Annales di Ennio, gli sono iniziate in casa le guerre civili...


                                             ENTRA L'AUTORE (AH, VI RICORDO IL NOSTRO POLIZIESCO...)

Battute a parte, torniamo al focus della chiacchiera e stabiliamo due punti fissi che poi svilupperemo quando ne avremo voglia:
1) Come le leggi fisiche danno conto che nell'universo le cose funzionano così e non cosà, ma non spiegano perché il così prevalga sul cosà, allo stesso modo sarebbe ora di smetterla di magnificare i sistemi scolastici diversi dai nostri come la radice profonda del successo che tanto invidiamo nei Paesi economicamente e socialmente più floridi di noi. Quel successo deriva da altri fattori, che si possono contestare o meno: il trionfo del capitalismo aggressivo può piacere o no, finora è andata così e non è detto che duri, ma potrebbe anche durare più del previsto in forza di qualche - al momento ignota - evoluzione. Duri o non duri, non sarà il sistema scolastico a decidere la svolta, quale che sia.
2) E allora la scuola a che serve? E quella italiana non ha mezzi di formare futuri cittadini che siano un po' più concorrenziali con quelli del resto del mondo? Dipende da cosa si vuol chiedere alla scuola e dal sistema entro cui questa 'nuova' scuola dovrà inserirsi. In altre parole:
a) divertiamoci pure con la didattica della competenze, la flipped classroom, le soft skills, il tutoring, il learning by doing (e amenità varie...), innoviamo fin che si vuole, facciamo tutto sulla LIM e mettiamo in scena l'Eneide in lingua originale. Sia però chiaro che se da tutto questo profluvio di novità si pretende semplicemente di tirar fuori dei bravi esecutori di compiti (anzi tasks) pratici privi di qualsiasi senso critico, se in altre parole ci si chiederà di azzerare le difficoltà dell'apprendimento teorico e speculativo in nome di un generico 'fare', se in altrettante altre parole si ridurrà la scuola a bottega dell'apprendista lavoratore, coi professori cui verrà vietato di fornire una visione più alta, sinottica e problematica del reale (paroloni, paroloni!!), allora sì l'Italia si troverà ad essere un popolo di futuri servi di qualsivoglia Paese avrà il ticchio di colonizzarci. Una massa non pensante e solo operante è la materia bruta irrinunciabile per qualsiasi sogno di dominio totale, sia esso ideologicamente di destra o sinistra o, come dicono accada oggi, 'laicamente' radicato nei piani alti della finanza che conta. Quegli stessi che magnificano la scuola pratica e futuristica sono, magari inconsapevolmente, gli sponsor della fine dell'Italia.
b) lasciate che la scuola, senza essere orrendamente selettiva e classista come in passato, ritorni a dire a ciascuno ciò che può e non può fare; per il bene suo di lui, non di lei. Basta con le mammine convinte di avere un genio in casa che di fonte alle insufficienze piombano dal docente a contestare e ad insinuare che "ce l'avete con mio figlio!!"; basta con la demonizzazione delle insufficienze, la pretesa di farsi promuovere portando "cinque paginette, così recupero!" alla mattina del 6 giugno, i piagnistei per due verifiche in due giorni; basta con l'idea che la scuola sia come un'agenzia viaggi o una concessionaria che deve erogare il servizio che vuole mammina, nel senso che se mammina vuole che il pargolo abbia tutti 8, noi docenti DOBBIAMO trovare il modo di farglieli avere; non funziona così: non stai mandando il piccolo dal barbiere, che lo taglierà PROPRIO come vuoi tu, mammina. Lo stai affidando a noi, che verificheremo se la sua capoccia è in grado di produrre quel che tu vuoi. Ma non dipende solo da noi, se nella capoccia manca la materia prima, non c'è taglio di capelli che tenga.
c) prima di lamentarsi che la scuola non produce figure competenti per il mercato del lavoro, ci si chieda se il mondo del lavoro e più in generale la mentalità italica sono pronti a sfruttare questi competenti: siamo il Paese dei figli di che vanno avanti ereditando posizioni di potere per via feudale (eventualmente incenerendole come questo genio qui...), il Paese che cerca apprendisti con esperienza max 29 anni, il Paese che non conosce meritocrazia se non quella che nasce dal merito di essere già nel giro giusto; il Paese della fuga di cervelli, dove le spintarelle contano più del talento, com'ebbe a dirmi uno dei tanti miei conoscenti che si credono fatti da sé e non si rendono conto che senza l'intervento familiare oggi sarebbero a cacciar nutrie; è il Paese dei Battiferro che, dopo aver urlato ai quattro venti che andavano a cambiar vita a Brexit, sono tornati precipitosamente a fare i ragazzi di bottega da papà, convinti anch'essi di essere diventati grandi imprenditori dopo aver lavoricchiato un annetto a buttar giù preventivi prestampati e tirar righe con la squadretta di Hamtaro, tutto alle dipendenze di chi non li licenzierà mai, bravi, dall'alto di una posizione che non meritano e per cui esistono millemila persone più qualificate, a sparare a zero sulla scuola "che non serve a niente", quando non vedono che sono loro a non valere niente, e che tutto per loro è pura fortuna; il Paese in cui il furbo che chiagn' e fotte prevale sempre sull'onesto che si illude che la virtù attiri di per se stessa i premi. Può davvero l'istruzione scolastica divellere QUESTA mentalità-Paese (per tacere di quando, purtroppo, la replica al proprio interno...), se il Paese stesso non si dispone a farsela cambiare? Se il Paese stesso vede la scuola come una zavorra popolata solo da fannulloni mangiastipendio? Un Paese che ha messo in cima ai suoi ideali il binomio tronista-velina, ovvero l'incapace di successo, negazione assoluta del sacrificio e della fruttificazione del talento che la scuola dovrebbe insegnare? Un Paese in cui mammina non esita a sborsare tonnellate di euri per mandare la figliuola a sentire Justin Bieber e poi protesta per un libro da 5 euro in più da comprare per la scuola? E la mancanza di profili coerenti con le occasioni lavorative sarebbe colpa dei professori?

                                                    VABBE', CHIUDI CHE MME SCOCE A PAJATA...

Ci vuole, insomma, un movimento delicatissimo, biunivoco e, ad oggi, pressoché inimmaginabile: una scuola che si apra alla proposte più feconde dell'innovazione senza diventare una succursale di Mountain View e una società che si faccia così schifo da sola da chiedere alla scuola di cambiarle i connotati.
Ripartiamo da qui, però: la si smetta di dare addosso alla scuola per lavarsi la cattiva coscienza di cittadini e lavoratori incompiuti. Veniteci incontro, perché noi, con le nostre sole forze a sradicarvi da dove vi siete incistati non possiamo arrivare. E lasciate in pace 'sta povera Finlandia: siamo italiani e da italiani dobbiamo (ri)costruire l'italianità. E allora anche la scuola finirà per servire a qualcosa.
Ecco.

(P.S.: ho forse peccato anch'io di astrattezza, come da me stesso imputato a Settis e Zagrebelsky? No, perché io so che il passaggio al concreto va fatto lavorando di squadra. Per adesso abbiamo tracciato il perimetro della questione, il resto verrà. Ciao).

domenica 20 novembre 2016

QUADERNI DI FINE OCCIDENTE - III - LA CRISTALLINA PERFEZIONE DELL'ASTRATTEZZA

Per continuare l'allegra carrellata di alta intellettualità che porta a un bel nulla di fatto, mi rifaccio qui ad una pertinente conferenzessa del pro-no alla riforma Prof. Gustavo Zagrebelsky tenuta nell'ambito del festivàl della filosofia a Sassuolo nel passato settembre. Come tutte le cose, lasciata lì a frollare, la conferenza adesso mi dice più cose che nell'immediato.  
L'ottimo ex presidente della consulta fu chiamato a parlare sul tema di quest'anno, ovvero l'agonismo, la concorrenza e la competitività in genere. Come e più del Settis commentato in quest'altro post, lo Zagrebelsky ha dispiegato una lucidità analitica sul tema scelto da vero intellettuale; come è più di Settis, tuttavia, le sue conclusioni si sono arrestate alla soglia del teoreticamente ineccepibile, per poi scivolare via senza dirci concretamente il come del suo cosa. Il che, beninteso, non muta di un millimetro la nostra stima intellettuale per l'uomo, il giurista e il professore, ma ci lascia sempre in bocca l'amaro dell'intellettualismo sterile. 
Si parte insomma sull'appagante autostrada del pluralismo e della tolleranza, e la si prende alla lontana, giusto nel 1562 quando un consigliere della regina di Francia, tal Michel de l'Hôpital, in un periodo in cui cattolici francesi e ugonotti si sbranavano vicendevolmente con voluttà, se ne venne fuori dichiarando che non è importante stabilire quale sia la vera religione, ma il saper viverla insieme. 
Come dire: mentre un cuius regio et eius religio aleggiava per l'Europa, il tizio qui non negava per principio che fosse possibile la convivenza concorde senza che lo Stato imponesse UNA sola verità. Di qui il salto su Gesuiti e illuministi porta alla moderna nozione di pluralismo, che ha per suo germe costitutivo il laico rispetto delle idee, presupponendo che tutti appartengano alla medesima esperienza & storia, meglio ancora ad un medesimo contesto da cui tutti traggono legittimazione. 
Zagrabelsky salta dunque al problemuccio oggidì più urgente, che non è il pacco tirato da Dylan a quelli del nobel, né la scandalosa assenza di Justin Bieber agli EMA di Rotterdam, no no: il problema è che il cospicuo fenomeno migratorio cui le nostre eurocoste sono sottoposte sta sovvertendo equilibri, sì che il pluralismo forse non basterà più; cioè: facile pluralizzare quando il contesto di riferimento è poi sempre quello, cattolici o ugonotti sempre europei siete. Ma se arriva gente da fuori?
A venir silurato è poi il concetto di universalismo, che presuppone che l'agire individuale sia normato da una norma di validità universale. Ma se le norme degli arrivanti differiscono dalle nostre? L'universalismo, nel momento in cui non ammette alcuna deroga e concepisce chi deroga come un'anomalia da espellere, crea barriere, invece il multiculturalismo promuove la liceità di diverse visioni del mondo. 
Mentre quindi una certa arietta di John Locke comincia a spirare in quel di Sassuolo, Zagrebelsky aggiunge che il terzo grande avversario del multiculturalismo è l'individualismo: bei tempi quando i diritti dell'individuo venivano anteposti a quelli della comunità, nel senso che i secondi derivavano assiologicamente dai primi... Paradosso dei paradossi, in una società sedicente individualista vanno invece a crearsi concessioni al potere che, per proteggere gli individui medesimi, li omologa. 
Ecco. Se quindi mettiamo sul piatto universalismo, individualismo e multiculturalismo, esiste una ricetta che salvi i primi due senza impedire al terzo di dire la sua?
Dice Zagrebelsky che le opzioni sono 3:
1) Separazione: si coesiste, non si convive. Il separatista vede le culture come entità spirituali chiuse, ciò per cui eventuali relazioni inter-culturali sarebbero solo fastidioso inquinamento delle rispettive identità (guai!!). All'arrivo dei diversi, l'unica reazione è la segregazione. No, no.
2) Integrazione: qui il problema delle differenze culturali è neutralizzato alla radice, perché si fa di tutto per annullarle in modo che non creino più disagi. Se la cultura A è pronta a integrare, la cultura B deve farsi placidamente assorbire. Si crea quindi una asimmetria perfetta, con una cultura dominante che assorbe tutte le altre. Dall'assimilazionismo si produce poi l'isolazionismo, perché le culture piccine che non si sono lasciate assorbire restano semplicemente ai margini, povere & dimenticate. Quando va bene. Nel caso invece la cultura non assorbita sia percepita come nemica, l'assimilazionista va oltre il separatista: estingue il diverso, come fecero i nazisti con gli Ebrei. E quelli là agivano sentendosi perfettamente legittimati a farlo. No, no.
3) Interazione: si mescola, ma si tollera. Il postulato è la capacità di rapportarsi per definirsi autonomamente e allo stesso tempo partecipare ad un cammino comune. Si apprende gli uni dagli altri; si dà e si riceve. E' quindi un atteggiamento opposto tanto al separatismo che all'integrazionismo, perché l'assunto di base è l'accettazione della diversità; nessuno ha diritto di assorbire nessuno, men che mai di respingerlo. Ogni cultura riconosce nell'altra uno stimolante competitor nella costruzione della coesistenza. Nessuno rinuncia a priori ai propri ideali, non si sente depositario di nulla di assoluto. 
Dice: relativismo? No, osserva Zagrebelsky, un conto sono le verità di fede non negoziabili, altra cosa è l'etica, i cui convincimenti sì possono essere soggetti a ritracciamenti reciproci tra culture. Universalismo è permettere ai membri della macro-comunità mondiale di andare, tornare, uscire, rientrare dalle idee e dalle culture, essere aperti al dialogo in verità e giustizia. E il vero individualismo è la priorità della coscienza degli esseri umani sui condizionamenti delle istituzioni.

§§Clap clap§§.

Adesso, attesa l'insindacabile lucidità delle tesi sovraesposte, tutti si sarebbero attesi un esempio, anche uno solo, di messa in pratica del limpido assunto: siccome abbiamo giusto l'est/sud del Mediterraneo che ci bussa alle porte, ma fra poco più che bussare si presenterà a colpi d'ariete, forse sarebbe il caso di calare i decreti nei precetti (Senecaaaaaa....!!!), trovando applicazioni pratiche a questi infallibili esercizi teorici: di esercizi dovremo parlare, infatti, finché non verranno tradotti in un piano culturale- umanitario globale.
Bello è infatti distinguere il separatismo dall'integrazionismo e poi, come nei confronti tra quadrilateri che hanno i lati paralleli MA non le diagonali equivalenti, oppure hanno quelli e quelle MA non gli angoli retti, arrivare pian piano al quadrato che soddisfa tutte le proprietà quadrilatere. E quindi il multiculturalismo che risolve tutto. Però, mi domando e chieggo:
a) l'equilibrio tra culture sarà frutto di un processo graduale, certamente; come si farà a smussare lo smussabile fino a che tutti più o meno sopportino la "diversità" degli altri? A quale momento della perfetta fusione potremo gridare alla perfetta fusione? Sarà quantificabile e/o qualificabile? E in base a cosa?
b) il multiculturalismo dovrebbe a questo punto essere una massa perennemente fluida, perché, posto che si giunga al perfetto equilibrio di tutte le diversità, esso diverrebbe un nuovo universale valido per tutti: sarebbe in grado di aggiornarsi nel caso emergessero diversità nuove?
c) in concreto, modello "occidentale" (qualunque cosa ciò voglia dire) e modelli alternativi/competitivi, come possono integrarsi senza disintegrarsi reciprocamente? Per essere multiculturali,  un americano e un arabo, per dire, cosa devono aggiornare/mutare/integrare del loro stile di vita? Quali cibi, quali abiti, quali libri, quali spettacoli, quali sistemi di gestire le relazioni interpersonali devono far parte del loro bagaglio? Persone che credono fortemente nella sacralità della vita dal concepimento alla defunzione e persone favorevoli all'eutanasia e all'aborto, come troveranno un punto d'incontro? Decidendo, nel caso dell'eutanasia, a quale livello i parametri vitali di una persona in coma rendono accanimento terapeutico le cure che le si somministrano? Che ruolo spetterà alla religione? L'economia, per mettere d'accordo tutti, dovrà mettere d'accordo finanza aggressiva, derivati cartacei, caffè equo e solidale, decrescita felice?
d) E se uno al multiculturalismo proprio non volesse crederci? Non perché costui avesse conati assimilazionisti e/o separatisti: consideriamo semplicemente il caso di uno che sta bene come sta, fiero e appagato del suo sistema di valori, rispettoso di quelli altrui ma per nulla intenzionato a realizzare alcuna mistura. Cosa ne sarebbe di costui? Come si comporterebbero con lui i multiculturalisti? Gli direbbero che è lui che si segrega da sé, quindi affari suoi, e allora diventerebbero separatisti? O proverebbero ad assorbirlo nel multiculturalismo, in ciò diventando assimilazionisti? O lo "sopporterebbero" lì dov'è, membro inerte di una società fluida?

Se c'è una cosa cui tutti aspiriamo ardentemente è la pace che più pace non si può. Se la via è quella multiculturale, bisogna fornire esempi, casi concreti, applicazioni pratiche di essa medesima: le alte e geometriche costruzioni del pensiero sono tanto carucce, ma la carenza empirica le rende sottili sottili. E questa sottigliezza può essere la fine del pensiero che si autonutre della sua pensosità.
Ecco.