Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



Per scaricare il poliziesco pentadimensionale I delitti di casa Sommersmith, andate qui!!!

domenica 28 ottobre 2012

Sulla scuola e lepidezze varie

Il proprietario di questo blog, accuratamente celatosi sotto il nome idiota che vedete, di mestiere fa il professore di lettere. Nella mia finora decennale esperienza insegnantizia ho potuto constatare che, rispetto agli anni in cui ero studente io, e non si parla evidentemente della preistoria, il giudizio sulla scuola e su chi ci lavora da parte dell'opinione pubblica è semplicemente precipitato. I motivi sono i più vari e ne riparlerò spesse volte d'ora in avanti. La stretta attualità delle ultime settimane, tuttavia, mi suggerisce di postare qui il testo di una lettera che ho spedito al giornale in merito all'abbozzato e ora forse del tutto abortito tentativo da parte del Ministero dell'Istruzione di alzare l'orario dei docenti della scuola secondaria da 18 a 24 ore settimanali, senza commisurato aumento stipendiale. Ci sono almeno 2 articoli della Costituzione che verrebbero violati se la norma passasse, ma la cosa più grave è che l'Italia che ragiona "di pancia", e ci odia a prescindere, ha naturalmente plaudito alla cosa, ignorando che le ricadute di un simile provvedimento sarebbero innanzitutto la mummificazione del corpo docente italiano, già ora il più vecchio d'Europa, e l'impossibilità di una didattica veramente efficace, strangolata dall'esorbitante numero di alunni che ogni docente si troverebbe a gestire. Ho affrontato la questione nella lettera che ora vado a postare, avendo avuto cura di considerare tutto da un punto di vista avulso dalle polemichette "lavorate poco, prendete tanto" et similia. A voi il giudizio.

"Premetto che, al momento dell'invio di questa lettera, non è ancora chiaro se la proposta contenuta nella bozza della Legge di stabilità, inerente all'aumento dell'orario settimanale dei docenti della secondaria da 18 a 24 ore, sia destinata a venir soppressa o meno. In ogni caso l'ipotesi, almeno a leggere i commenti dei lettori sulle pagine dei quotidiani online, o anche ascoltando distrattamente le altrui conversazioni per strada, è stata salutata con fanfare di gioia da quella fetta di opinione pubblica che odia la nostra categoria al grido di : “Finalmente lavorerete anche voi!”. Ho constatato, insieme ai miei colleghi, che è pressoché impossibile convincere codesti interlocutori che, oltre alle 18 ore di lezione frontale, il nostro impegno ne prevede almeno altrettante di lavoro pomeridiano, spalmate tra preparazione e correzione compiti, riunioni, aggiornamento et similia. Nulla. Quelle sono ore non quantificabili, ergo non esistono. Tale chiusura di fronte alle nostre ragioni è poi sempre condita dalla (vecchiotta) sequela di stereotipi secondo cui guadagniamo troppo per quel che lavoriamo, siamo pagati d'estate per non far nulla – perché come è noto a luglio i ragazzi sono a scuola mentre noi giriamo per il mondo – quello che spieghiamo potrebbe spiegarlo chiunque, ecc. Giunti a questo punto, ho il sospetto che l'odio di cui siamo bersaglio, e che nemmeno i corposi tagli agli organici voluti dal precedente governo paiono aver saziato, sia ormai qualcosa di pregiudiziale. La nostra è una categoria di costosi fannulloni, quindi dobbiamo essere puniti in qualche modo, per esempio aggiungendo 6 ore di cattedra che si tradurranno in nuovi tagli. Proverò ora a spiegare ai nostri infaticabili detrattori perché questo accanimento è inutile e controproducente tanto per noi quanto per loro. Procederò per punti, come a scuola.
1. A chi ci odia perché a suo tempo ha avuto a che fare con qualche professore poco saggio, e quindi vorrebbe essere risarcito della sua triste gioventù vedendo gli insegnanti di oggi licenziati o gravati da più ore in cattedra, rispondo: io non pago per l'incapacità altrui, come non si chiudono gli ospedali se un medico sbaglia un'operazione. I tagli, è bene che i nostri odiatori lo sappiano, non ripuliscono le scuole dagli “incapaci”, ma impediscono il ringiovanimento del corpo docente: una scuola “taglia” nel senso che, graduatorie dei docenti alla mano, “toglie” semplicemente il posto a quelli con minore punteggio, a prescindere quindi dalla questione se siano individui validi o meno,  peraltro rallentando o addirittura bloccando l'immissione in ruolo dei più giovani. Dove sia il vantaggio per i figli dei nostri odiatori, delusi all'epoca dai loro insegnanti, è tutto da scoprire.
2. Sul fatto che lavoriamo poco: che vogliate crederci o no, sappiate che l'insegnante motivato, quando sale in cattedra, è come un attore che entra nel suo personaggio e spende energie per tenere avvinta a sé l'attenzione di un pubblico che non è esattamente quello di un teatro, ma deve essere continuamente gestito, sollecitato e sottoposto a verifica. Posso assicurarvi, odiatori carissimi, che già dopo tre ore di fila di lezione ci si sente provati né più né meno che se si fosse compiuta un'attività fisica intensa. Voi dite che è impossibile. Notevole è la superbia di chi giudica senza mettersi nei panni dell'avversario. Che voi, ai vostri tempi, non riusciste a mantenere una decente curva dell'attenzione, e quindi vi sembrasse che il professore non spiegasse, è un conto; che quel docente si sia consumato nell'istruire non solo voi, ma anche i vostri 25 compagni, è un altro.
3. La radice di tutti gli attacchi è però un'altra: “la scuola non serve” e le materie che si spiegano, in primis le umanistiche, “non interessano a nessuno”, mentre le cose veramente utili si imparano nella vita quotidiana e sul lavoro. Questa seducente tesi, sostenuta con un certo seguito già a suo tempo dall'australopiteco Lucy, ma poi smentita dal prosieguo della storia umana, cozza contro un dato di fatto che alla sua base è, oserei dire, darwiniano: la cultura, intesa come funzione della coscienza tramite cui l'uomo “si racconta” a se stesso e ai suoi simili, evolvendosi dalla condizione di animalità pura, è un dato biologico ineliminabile, al pari dell'attività respiratoria. La scuola a sua volta deve essere valorizzata come luogo in cui l'ossigeno della cultura si trasmette alle generazioni. Abbiamo il dovere di difendere e promuovere  la cultura (tutta: umanistica e scientifica) e la scuola come veicoli della nostra umanità. Chi si oppone a ciò, e vagheggia “soluzioni finali” contro l'insegnamento, finisce per essere un airone che rifiuta di volare. Troviamo il modo di intervenire sui casi di docenti obiettivamente inadatti al ruolo, ma solo su di loro; aggiorniamo la didattica; facciamo interagire scuola e territorio; discutiamo pure di tutto; al fondo di tutto, però, odiatori carissimi, toglietevi dalla mente l'idea che la scuola sia solo un'istituzione da punire o decimare indiscriminatamente: il vostro è autolesionismo inconsapevole."

Sono graditi i commenti, anche polemici. 

Ritratti del bimbominkismo: Maria De Filippi (1)


Maria De Filippi (Transilvania 5 dicembre 1961- vivente): autrice televisiva, conduttrice, rastrellatrice di disgrazie- amorazzi- talenti più o meno inverosimili. E’ perlomeno chiaro che l’era Bimbominkia deve tantissimo a questa donna, non solo per l’ormai consolidato rito massmediatico di Amici, ma per tutto il messaggio che trasuda dai programmi che conduce: l’apparenza conta più della realtà e il merito non serve. Per l’estensione del file della sua storia, siamo costretti a splittare il ritratto in (spero solo) due puntate.

 I primi passi  

Nata in un castello dei Carpazi, ai primi robusti vagiti, che facevano tremare i quadri alle pareti, Maria lascia perplessa l’ostetrica (per l’occasione Arles di Gemini) sul proprio sesso. Dopo attenti esami, tuttavia, si decide per la femmina, anche se i dubbi permarranno fino al matrimonio con Maurizio Costanzo e oltre.Una delle più spiccate note caratteriali di Maria è la convinzione di essere sempre al posto sbagliato, da cui discende il volerci restare a tutti i costi. Sarà per il problema sopra esposto, chissà, fatto sta che la piccola, il primo giorno alla scuola materna Staifrescu di Bucarest, esclama: “Ma io non sono una mezzana, devo stare coi piccoli...”. Visto però che i piccoli restavano tramortiti dal suo vocione, la si mette comunque nei mezzani. Passata l’adolescenza nel vano tentativo di fasi assumere come baritono nell’orchestra nazionale, Maria trasmigra a bordo di un carro volante trainato da iguane in Italia, a Pavia. Qui consegue rapidamente la laurea in legge con una tesi su cambio illegale di timbro vocale, dopodiché passa due anni in attesa di darsi alla magistratura, cosa che però non si avvera. Decide allora di rilassarsi recandosi a Roma ad un convegno sulla pirateria (dei massmedia, che credete?), al quale partecipa anche Maurizio Costanzo, mongolfiera con lo sputacchio, giornalista e conduttore televisivo dal mento che fa provincia, famoso all’epoca per il Maurizio Costanzo Show, salotto pariolino di cazzeggio vario (esclusa la puntata in tandem con Michele Santoro contro la mafia che per poco gli non costò la vita), a cui tutti i vip dell’epoca dicevano di non voler andare, mentre facevano carte false per esserci. Maria e Costanzo si vedono, si piacciono (vabbe’, de gustibus....), Maurizio, che tanto aveva già alle spalle tre matrimoni falliti e una convivenza con la notissima regista Simona Izzo, decide di ammettere Maria nella cerchia dei suoi collaboratori. La donna, dopo aver detto: “Ma io sono laureata in legge, non so nulla del tuo mondo”, accetta, dando inizio al più lucroso sodalizio della storia umana.

  Amici, ma dde che?

Maria mette subito a frutto il fatto di non saper niente di tivvù sfornando una delle trasmissioni più melense che si ricordino: Amici. Tenete bene a mente il titolo: questo Amici, che a posteriori dovremmo definire abbozzo di un crimine, parla, ma pensa un po’, di storie di amicizia che i telespettatori sono invitati a raccontare in studio, davanti alla conduttrice Lella Costa, la quale ordinariamente fa l’attrice corrosiva e femminista e la doppiatrice, ma per l’occasione decide di accettare il ruolo di madrina delle lacrime, accogliendo in trasmissione patetici monologhi di ottuagenari che hanno perso il cagnolino da poco e commoventi novelle di gente che per amicizia ha sacrificato la pensione. Sì, vabbe’, aveva detto tutto già Enzo Tortora in Portobello, ma Maria ci aveva avvisati di essere incompetente.....Ohibò, la stagione successiva, mentre si preparavano storie di gente che aveva perso le ceneri del nonno, Lella Costa pensa bene di riprodursi. La maternità della conduttrice pone Costanzo di fronte ad un problema serio: chi mettere al timone di cotanto strazio? Gli cade l’occhio su Maria, che gli aveva appena sottratto il rasoio per i baffi: “A’ Mari’, che tta senti de condure er frutto stesso d’a tua fatica cerebbrale?”. Maria replica: “Ma io non sono una conduttrice...”, quindi accetta.Parte dunque la seconda versione di Amici, che potremmo sottotitolare gioventù fighetta a ruota libera: buttate a mare le vicende di persone salvate dalla casa in fiamme, Maria passa al talk-show sociologico. In studio vengono ammassati un’ottantina di ragazzi, parte reclutati nella Roma bene, parte alla periferia di Ostia, parte con la rete a strascico, ai quali sono proposte storie piuttosto forti di adolescenti in crisi, figlie che non vedono il padre da millenni, ragazzi con madri drogate e defunte, fanciulle che sostengono di essere morte già tre volte, gente che si sente esclusa dai compagni di classe perché non indossa vestiti firmati, insomma un tripudio di gioiezza: i ragazzi in studio intervengono, esprimendo opinioni di raro splendore (“Devi essere forte”, “Conta quello che hai dentro”, “Il vero figlio è quello che cresci, non quello che partorisci”), ma ciò che lascia basiti noi Osservatori Distaccati della Realtà (d'ora in poi ODR) è il piglio della conduzione di Maria: la donna, certo intimorita da un mezzo a lei sconosciuto, presiede il dibattito come se si fosse ad una corte di giustizia prussiana,
Durante una pausa, in attesa della prossima vittima
non muta mai espressione, restando sempre imbronciata, dà e toglie la parola senza rispetto di nessuno, commenta i fatti con il suo tipico ringhio ad erremoscia gutturale che la renderà famosa in tutti i circoli ricreativi trans-friendly. Morale: la TV ha scoperto un personaggio nuovo, lontano dal friccicore delle sorelle Carlucci o dall’esuberanza della Carrà. Il fatto è che noi ODR restiamo convinti che Maria finga: non è umanamente possibile condurre per due ore e passa un programma (registrato, per giunta)  mantenendo inalterati i lineamenti del viso. Di qui l’ipotesi scientifica: in mancanza di validi sostituti, Maurizio Costanzo aveva mandato a condurre un androide. Poveri noi sciocchi...  dopo due stagioni in cui la trasmissione si impone al grande pubblico in una fascia di ascolti in genere perdente per Canale 5 (laddove Amici prima versione spaccava di brutto solo agli ospizi), l'androide impalma il suo Pigmalione: avute rassicurazioni su quello che si sarebbe trovato davanti la prima notte di nozze, Maurizio porta all’altare Maria nella calda estate del 1995 (quella in cui finì Non è la Rai, praticamente un cambio di epoca). La foto dei due fuori dal Municipio,


che a tutta prima potrebbe sembrare la copertina fotoscioppata di un album degli Eurythmics, 



dà l’idea del trasporto passionale che ha condotto i due al grande passo: Maria ha capito di aver trovato l’Eldorado, ma non vuole darlo a vedere, Maurizio ha trovato una partner seria e poco impegnativa, un osso di brontosauro nel piatto e via. Amici seconda versione durerà dal 1993 al 1998, per poi avere un piccolo ritorno di fiamma alla fine del 1999, ma poca roba; alla versione pomeridiana si affiancherà lo spin off del mercoledì, Amici di Sera, nel quale si parla delle stesse disgrazie del pomeriggio, ma esse disgrazie sono più numerose, lo studio è più grosso, ci sono i collegamenti via satellite con le case dei disgraziati parenti degli ospiti in studio, e insomma è tutto ancora più allegro. Noi ODR cominciamo a chiederci se il titolo della trasmissione abbia un senso, ancorché sia il primo inventato da Maria e lei forse gli si sia a tal punto affezionata da usarlo per un programma che di amichevole ha ben poco. Eppure, eppure... i segni del bimbominkismo strisciante, che fino a tutta la primavera del 1996 erano rimasti latenti, esplodono con voluttà nell’edizione 1996-1997. Forte dei Telegatti vinti con la trasmissione, Maria appare più sciolta, ride persino, ma soprattutto scopre di avere un impareggiabile talento a montare la fuffa. Amici seconda versione, da talk-show a volte urtante ma incisivo, comincia a manifestare tutti i caratteri delle future trasmissioni che Maria condurrà e che saranno alla base del bimbominkismo. Eccone, in sunto, l’elenco:
1) Valorizzazione dei bellocci: la redazione del programma comincia ad essere subissata di letterine di sedicenni moderatamente infoiate che dichiarano di essersi innamorate di alcuni ragazzi del pubblico. Esse bambinette vengono chiamate in trasmissione e Maria, regolarmente, inizia dicendo: “Abbiamo ricevuto la lettera di una spettatrice che si è innamorata di  (Gino, Pino, Paolo, Luca, Astolfo, ecc....). Segue un “eeehhhhhh...!!!!” da parte degli altri ragazzi, che segretamente avrebbero voluto uccidere il divo in questione, quindi Paolo o chi per lui viene inquadrato, si schermisce, fa la faccia come a scusarsi di essere così figo, quindi si alza, bacia la tizia, uh che emozione, si siede. Per tutto il testo della puntata Maria troverà il modo di far parlare Paolo o chi per lui per farlo inquadrare dalle telecamere, anche quando il suddetto avrà ben poco da dire riguardo all’argomento in corso di trattazione (“non bisogna mai dare schiaffi ai bambini”). Un altro belloccio dichiarerà di essere stato inseguito dalle fans da Via del Corso fino a casa sua. Et similia.
2) Ricerca del personaggio “spaccone senza peli sulla lingua” che attira odio e divide il pubblico: Maria sfrutta da par suo le potenzialità mediatiche di un tal Guccio, laziale fascista iscritto al liceo Classico, il quale, non essendo poi granché bello, decide di farsi notare per altra via, cioè sparando spacconate a ciclo continuo, rispondendo alle osservazioni degli altri ragazzi con insulti, insultando pure gente che scrive da casa contro di lui ed è invitata in trasmissione per litigare con lui. La sua cifra stilistica è non stare mai sull’argomento, ma buttare tutto in rissa. Esempio: spettatore in studio: “Guccio, il tuo modo di fare è arrogante e privo di contenuti”. Riposta di Guccio: “Ma chi è la vacca che ti ha leccato la testa?” (allusione, supponiamo, alla pettinatura dell’interlocutore). Mai che si possa metterlo di fronte alle sue contraddizioni: come un dodicenne bimbominkia, Guccio si dà sempre ragione e il massimo di dialettica da parte sua è: “Tu mi dici così? Ma guardati te!”.
3) E’ appena il caso di notare che, unendo 1) e 2), viene fuori il meccanismo generatore dei Tronisti di Uomini e Donne e di certi concorrenti spaccamarroni di Amici di Maria De Filippi.
4) Il trionfo dell’ipocrisia estetica: dopo aver celebrato la vacua belloccezza dei suoi cocchi, andando peraltro in onda sulla rete televisiva madre delle Veline, Maria dà voce anche a ragazze ex- anoressiche o bulimiche per farci scoprire il loro strazio e farci riflettere su quanto siano fuorvianti e pericolosi i modelli imposti dalla società. Beh, allora deciditi.
5) Il trionfo della superficialità e del relativismo: trovato l’argomento che divide esattamente in due come una mela la platea, Maria fa di tutto per NON giungere ad una sintesi. Si parlava della discriminazione delle donne sul lavoro: le ragazze in studio dicono che non è giusto, i ragazzi pensano che in fin dei conti un uomo ha più possibilità di una donna. Punto. Un filo di analisi storica per capire che le differenze tra uomo e donna non vengono dall’altro ieri, cioè da quando i ragazzi dello studio hanno scoperto che esiste il mondo, ma da un insieme di circostanze che affonda le sue radici ben prima di tutti noi, costava troppo. Così pure un’intera puntata del pomeridiano, sulla scia di una polemica sorta ad Amici di Sera tra discotecari e gente che in discoteca non ci va, è passata nel continuo rimpallarsi che “noi” facciamo così e “voi” vi sentite meglio di “noi”, insomma tutti sulle loro posizioni e addio.
Alessandro Errico, presago della fine.
6) La prima, embrionale contaminazione tra talk- show e talent show: nel 1995 Maria decide di sponsorizzare un ragazzo del pubblico, tal Alessandro Errico, che si diletta a scribacchiar canzoni sullo stile “depresso post-industriale”. Ebbene, il buon Ale si esibisce spesso e volentieri in studio, con le ragazze del pubblico che piangono manco avessero lì Eros Ramazzotti e, di appoggio in appoggio, ottiene di partecipare al Festival di Sanremo 1996 categoria Nuove Proposte con una canzone per aspiranti suicidi (ritornello: “Ma quante notti in bianco/ davanti a un cielo stanco/ il grido del silenzio che annaffia fogli di malinconia...). Dopo sparirà, s’intende. Eppure, come accade alle barriere coralline, noi tutti ODR vedemmo nella serata finale del Festival che dalla schiena di Alessandro si staccavano due molluschi che come i Pokémon ripetevano a pappagallo: “Carta, Carta!!” e “Scanu, Scanu!!”. Ma non intuimmo. (1- continua....) 

domenica 14 ottobre 2012

Ritratti del Bimbominkismo: Jesse McCartney


Jesse McCartney (Sim City, 1 gennaio 1991- Rifugi Oscuri, 31 dicembre 2008), è, o per meglio dire era, il cantante- idolo delle bimbominkia di tutto il pianeta terra: noto per le sue guance a prova di acido muriatico e per la sua estensione vocale da mezzogrillotalpa, ha abbandonato questa valle di lacrime in seguito all’assalto di un male a tutt’oggi incurabile chiamato Justin Bieber.
Prima di cedere alla soverchianti forze nemiche, ha tuttavia cercato di Super –  Mega – Arci – Ultra digievolvere da Jessemon a Lady Oscar per ingannare il pubblico, ma il Conte di Fersen non ha gradito, ghigliottinandolo.

I difficili inizi

Nato da Agumon e Pyomon, incontratisi in un rigido inverno sulla Terra Virtuale Isola Di Nome File, Jesse diventa subito l’oggetto del desiderio di tutte le infermiere del reparto neonatale, prima per la sua irresistibile pucciosità, poi perché, anche gettandolo per terra, rimbalza senza danni.
L'embrione di Jesse

Dopo tre terribili anni di asilo, nei quali finiva sempre nello sgabuzzino dei bambolotti per la colpevole svista del personale ATA dell’istituto, Jesse inizia le scuole elementari, dove compaiono inequivocabili i primi segni della Grande Vocazione Canora (da qui in avanti GVC): si notavano infatti incredibili svenevolezze tra il pubblico femminile ad ogni concerto di Natale, quando il piccolo si esibiva nel suo cavallo di battaglia (“White Christmas”) vestito da marshmallow.


Jesse corre in Jardino



L’esplosione della GVC avviene però alle scuole medie: dopo aver battuto per un soffio Baby Puffo al casting per una pubblicità di stringhe di liquirizia (recitando, si dice, il monologo del sofficino alla pizzaiola), Jesse ottiene visibilità su tutte le reti commerciali della California e sigla il suo primo importante contratto discografico: la sua voce verrà campionata mentre urla ‘’Spinning Bird Kick’’ e poi impiegata per il colpo di Chun Li in Street Fighter.

 E’ l’inizio del successo: il videogioco va a ruba, i capoccia della Nintendo si fregano le mani per l’idea geniale e pensano addirittura di produrre un Picchiaduro per bimbominkia stile Celebrity Deathmatch, in cui far scontrare i cantanti più cool del momento (Jesse vs Justin Timberlake, i Boyzone vs i Blue, ecc.), ma l’iniziativa viene soppressa sul nascere a seguito dell’azione legale di Ricky Martin, che avrebbe ritenuto il gioco ‘’una malintesa rappresentazione della virilità’’.  

Gli anni d’oro

Siamo ormai nella tarda maturità del Nostro: a 16 anni Jesse viene scritturato per fare la parte dell’Orsetto Abbracciatutti nel noto serial TV americano ‘’Summerland’’, nel quale i protagonisti passano metà di ogni puntata ad insultarsi, accusandosi di  qualsiasi nefandezza dalla Strage degli innocenti in avanti, e l’altra metà a chiedersi scusa, cedendo agli amorazzi più istantanei e spensierati possibile. Jesse, alternando una derapata sul suo surf a rotelle ad una pomiciata con un’asse da stiro di nome Erika, termina usualmente l’episodio con la testa appoggiata al finestrino di un autobus diretto chissà dove, in preda ai più cupi pensieri adolescenziali (“Erika, perché non mi hai mai detto che odiavi le cicche alla cannella?”). 

Ma non pensiate che la GVC si sia estinta: contemporaneamente ai gravosi impegni sul set, Jesse trova il tempo di incidere un album di cui nessuno ricorda più il nome, che però va a ruba, grazie soprattutto alla forza emozionale della canzone ‘Because you live’, tenera e struggente ballad in cui il Nostro spiega che, grazie a Lei, lui vede nel suo mondo il doppio delle stelle del cielo (no, questa si chiama diplopia, hai bevuto, Jesse, ammettilo...). La canzone provoca struggimenti bimbominkiosi ai quattro angoli del pianeta: Jesse fa ospitate su ospitate in qualsiasi trasmissione ci sia un buco a forma di Topo Gigio da riempire, esibendosi rigorosamente dal vivo, ma con la base musicale che attacca due ottave sotto la versione da studio. Ma gli effetti sono dirompenti. La sua comparsata al Festival di Sanremo del 2005, per dire, provoca l’eliminazione dei Negramaro.
Jesse si laurea in bimbominkiologia 




L’inarrestabile declino

La concorrenza però incalza: il piccolo Jesse, piccolo ma mica scemo, comincia a sospettare complotti quando, tra le guest star degli episodi di ‘’Summerland’’, vede comparire Carmen Electra e un curioso botolo piastrato di nome Zac Efron. A quel punto, armato con una spada laser di Star Wars scarica, si presenta con fiero cipiglio dai produttori della serie e, dopo essersi avventurosamente arrampicato sulla poltrona, guarda in faccia il suo capo e squittisce: “Wht r u plnnng??? R u gng 2 fire me????”. Il capo, ignorando cosa Jesse gli stia dicendo, gli chiede di disattivare il bimbominkiese, cosicché le sue parole risultano essere: “What are you planning? Are you going to fire me?” (trad. italiana: “Ahò, che mme volete licenzia’?). “Certo che no, sei uno degli attori di punta della serie!”, lo rassicura quindi il capo. “Dai, prendi un leccalecca e vai tranquillo a dormire. A domani, Justin!”. Jesse non fa caso a come è stato chiamato, un lapsus, pensa, e si corica placido nella casetta degli Orsetti del cuore. Il giorno dopo si sveglia in mezzo ad una strada, senza nemmeno la coperta, circondato da gatti randagi e vecchi ubriachi. Riavutosi, scopre di essere stato nottetempo buttato fuori di casa per far spazio alla nuova star della musica mondiale, Justin Bieber, un esperimento genetico dei laboratori canadesi, consistente nell’incrocio del DNA del Playmobil con quello del criceto, destinato a rimanere dodicenne a vita. Summerland ha chiuso i battenti e ora tutte le luci sono puntate su Justin. Jesse non può sopportare l’onta e prepara il contrattacco in tre semplici mosse:
*1) Girare tutti i talk show d’America gridando: “Ma come fa a piacervi? E’ un bambino!” (scattano risate dal pubblico).
*2) Passare al look “adolescente faccia a cicciobombo stempiato sexy”, con accluso video dal titolo “Shake”, in cui Jesse tenta mossette soul/ hip hop, affettando slinguazzamenti con ballerine più alte di lui di una testa e mezza (metà del suo pubblico passerà a Tiziano Ferro – s’intende, il Tiziano Ferro Prima Della Grande Rivelazione).

 Prima


                   Dopo

*3) Sfidare a duello Justin Bieber: scartate le opzioni più violente (nascondino e palla prigioniera), i due si accordano per affrontarsi coi fucili sparabolle. Il piccolo canadese risulta purtroppo imbattibile, grazie alla sua capacità di ricaricare il sapone con due decimi di anticipo rispetto a Jesse, il quale, mortalmente colpito da una scarica di bolle al viso, tenta la digievoluzione di cui sopra, coi già accennati risultati.


L’ultimo saluto


Il lutto inconsolabile della nonna di Jesse 


Ai funerali, cui prendono  parte tutti i Digiprescelti, il cast al completo di O.C., i nipoti e pronipoti dell’ormai ventunenne Britney Spears, la folla si commuove in almeno due occasioni: l’orazione funebre in Quenya tenuta da Gandalf, che ovviamente nessuno capisce e proprio per questo suscita pianti dirotti, e l’esecuzione di “Because you live” in tonalità chipmunks da parte dell’improvvisato trio Robert Pattinson – Taylor Lautner – Cam Gigandet, in memoria del fatto che Jesse doppiò Theodore nel secondo episodio del film. Alla fine, la boccia di vetro con dentro la neve e le ceneri di Jesse viene adagiata su una barchetta di pongo e fatta salpare verso il Mare oltre il quale c’è Frodo.   

sabato 13 ottobre 2012

Alle origini del Bimbominkismo (2)


AH, GLI ANNI '80...


Gente che ha vissuto ben prima di noi ha detto che, mentre negli anni '70 la gioventù veniva tenuta “occupata” con lo stragismo e l'eroina, negli anni '80 è bastata la programmazione di Italia 1 a rimbambire una generazione. La battuta in sé è notevolissima, detto peraltro che tutti noi abbiamo ampiamente attinto alla programmazione pomeridiana delle TV commerciali, godendo come caprette ipocolloidali delle infinite proposte cartoonesche che andavano da Heidi a Kenshiro, passando per Holly e Benji, i Transformers, l'Incantevole Creamy and so on. Dice: ma non siamo diventati mica tutti scemi per questo. Certo che no, sennò cosa ci staremmo a fare qui io e la Spocchia ad ammannire Verità Assolute ad un pubblico di bimbominkia che non sanno distinguere la destra dalla sinistra, noi, unici cervelli funzionanti in un mare di follia, noi che notoriamente non abbiamo amichetti immaginari con cui discettare di categorie post-kantiane, insomma.....
Vabbe', non v'è.. dubbio che il mondo cartoonesco già negli anni '80 riuscisse a convincere molti di noi della liceità di crearsi universi personali in cui far interagire esseri del tutto fuori dall'ordinario, proiezione in genere delle nostre più remote aspirazioni di grandezza o semplicemente abitatori di dimensioni fantastiche nelle quali il Bene trionfa sempre perché il Male non esiste, o se esiste verrà debellato entro 50 episodi. Certo. Ma anche il pubblico di 2500 anni fa che ascoltava i poemi omerici reagiva allo stesso modo, eppure quelli hanno fondato città, creato costituzioni, scritto opere storiche, cioè, mica cotica, e quegli altri nel Lazio, a colpi di Eneide, si sono convinti di essere gli eletti del Fato e hanno dato vita ad una compagine imperiale le cui ricadute storico- culturali sono avvertibili ancora oggi.Cioè: diffondere opere che stimolano la fantasia del pubblico, anche a volte nei suoi connotati più fanciulleschi, non è in linea di principio dannoso; altro però è fare la fine di Don Chisciotte, convinto di vivere in un poema cavalleresco che lui solo poteva plasmare su se stesso, essendoglisi sfraccicato il cervello a furia di letture di quel tipo. Ecco, credo che alle origini del bimbominkismo non vada certo collocato il povero Cervantes, tuttavia la degradazione psicologica del suo personaggio è una matrice che possiamo impiegare per illustrare analogicamente cosa accadde nei favolosi '80- '90.
Ci vuole però un altro evento a premessa di questo: per placare le ansie delle Giovani Generazioni, e mettere un pietrone tombale su una stagione contestataria vivace e feconda, ma violenta, si cominciò a perfezionare un modello i cui archetipi stanno sempre negli eroi omerici, ma declinato secondo i canoni della civiltà del consumo: il Figo (il femminile è a deduzione vostra), categoria umana inizialmente comprendente gente dai 16-17 anni ai 27-28 (si è sentito l'omoteleuto?). Poi l'età di riferimento si amplierà.
Se Achille re dei Mirmidoni, gran guerriero di Troia (città), era bello + forte in battaglia + intrepido + aureolato dal mito della morte giovane & gloriosa, al Figo anni '80 si tolsero le battaglie e la morte e si lasciò tutto il resto. Basta con il ribellismo, le facce scavate dai digiuni pro-Vietnam, i capelli in disordine, il sandalo finto fratesco: esplosero chiome ingellate, completi firmati fin nelle mutande, occhiali da sole utili anche senza il sole, pose, palestramenti assortiti, atteggi, modi di parlare che dovevano tutti ricondursi ad un modello di solare e inscalfittibile positività. Il Figo, naturalmente destinato a Giovinezza Perpetua, economicamente in grado di procurarsi tutto quanto necessitava alla sua Figaggine, si muoveva sicuro di sé, attraendo sguardi e concedendone altrettanti, parlava sì, ma sopratutto si vantava delle sue gloriose imprese (erotico- discotecare) diurne & notturne, si deliziava delle perfetta coordinazione di abiti e accessori, sapeva sempre dire e fare la cosa giusta al momento giusto e come ti organizzava lui le serate, ah, beh... Felice, sempre. Mai un contrattempo. Portafogli pieno e una precisa mappa di luoghi spenderecci ove pascolare.
Il Figo... eroico a suo modo, sì. Ma eroico in cosa? Nell'essere Figo. Il capolavoro di questo archetipo di massa stava proprio nella sua circolarità: era Figo perché era Figo, stop. Non gli si chiedevano gesta di particolare epocalità, se non il fatto di piacersi e piacere. Pura estetica, nel senso etimologico greco più basilare, ovvero percezione: guardatemi e dite che sono un Figo, innamoratevi, ma non vi garantisco di poter essere di una soltanto (qui ci azzeccarono gli inventori delle boyband ad obbligare i loro membri a dichiararsi sempre single: sai che emorragia di fans, altrimenti?).
Semmai, era più importante ciò che NON si chiedeva al Figo, ciò che anzi gli si chiedeva di non essere: ad esempio, intelligente. Fu cioè in questi curiosi anni che si perfezionò l'equazione intelligenza (intesa in senso giovanilistico come bravura a scuola) = sfigaggine. Perché ovviamente, dove c'è l'eroe ci vuole anche il suo opposto: se Achille aveva Ettore, ed Enea Turno, il Figo si opponeva allo Sfigato. Nessun duello, tuttavia: il Figo doveva vincere per abbandono, nel senso che allo Sfigato non si concedeva nemmeno il diritto a venir preso in considerazione. Ne parleremo. Troppa intelligenza, insomma guastava: perché perder tempo su cose che non servivano nell'immediato? La giovinezza era nel Mondo Fuori, nelle amicizie, nei giri in motorino, nelle partite a calcio. Poi, molto poi, ci si doveva applicare a ciò che sarebbe servito per il futuro. Sì, ma che barba 'sto futuro, io sono Figo e mi spetta di essere felice qui e ora, chi ha voglia di crescere? Mica voglio essere una lucertolina pallida che ripete le cose a macchinetta, ma chi mi si fila poi?
Il Figo dunque sostituisce il tipico Ribelle anni '70, nel senso che non ha più nulla a cui ribellarsi, visto che gli viene teoricamente concesso tutto. Il ribellismo (esclusi i seriamente intenzionati che continueranno la loro battaglia, anche a dispetto dei limiti visibili delle ideologie di base) prese le pittoresche ma socialmente innocue sembianze del dark, del punk (oggi ancora più innocuo, specie dalle parti di Castelmella) et similia, gente che si conciava in modo a dir poco carnevalesco, ma palesemente non rappresentava più minaccia alcuna per l'ordine costituito. Semmai la concessione che si fece a tutti costoro (dal Paninaro a quello che girava con la lametta da barba nel portafoglio per suicidarsi alla bisogna) era la stessa: restate pure giovani, a fare gli adulti ci pensiamo noi. Detto poi che alcuni adulti, sedotti dal regalo che essi stessi avevano fato alla gioventù, cominciarono a regredire mentalmente in cerca dei fiori perduti di primavera: ecco presi d'assalto i centri estetici, le cattedrali dei chirurghi plastici, le fattorie del benessere ed ecco girare le prime quarantenni in abbigliamento da adolescente e i primi quarantenni ostinati ad esibire braccini penosamente palestrati guizzanti da magliettine imbarazzantemente strette.
La stupidità e l'immaturità del Figo, che in altre epoche sarebbero state semplicemente rifiutate in quanto elementi potenzialmente sovversivi dell'ordine sociale se prolungati all'età adulta, vennero ora esaltate come una cosa buona & bella. Però il vero aspetto cool del fenomeno è che esso rampollava ancora dalle turbolenze degli anni '70, come risposta alle inquietudini di allora: non vi va di aderire al Sistema? La vita borghese vi sembra troppo schematica, predeterminata, carica di obblighi sociali e lavorativi che vi costringono a essere ciò che non volete? Bene, diventate come il Figo, al quale non chiederemo mai di di crescere: anche voi contestatori del resto... giovinezza che si fa giovanilismo, fantasia al potere, solo diritti - no doveri.... ecco, il Figo vive proprio così. Consuma un po' di più di voi e pensa un po' di meno, ma siamo lì.
I signori noteranno cioè che il Figo, nella sua totale e consumistica derivazione da un ambiente certamente borghese (cioè: per essere – e restare – Figo servono soldi, chi li garantisce?), si trovò ad concentrare in sé i valori esattamente opposti a quelli fondanti della mentalità borghese (sì, lo so, stiamo procedendo per blocchi concettuali di rara grossolanità). Dicasi: al mito dell'impegno si sostituiva il godersi la vita; all'esaltazione della produttività, il rifiuto della fatica, non però come protesta contro il padronato e l'ingiusta dialettica storica, bensì come rivendicazione del proprio diritto al tempo libero e allo spasso: di fatto, sotto il tendone comune del fankazzismo si ritrovarono, stupefatti gli uni degli altri, figli di borghesi e contestatori. Il senso della conquista individuale del successo si ridusse alla ricerca dell'eccellenza nell'essere alla moda, bruciando la concorrenza degli altri aspiranti Fighi. Addio al mito dell'uomo che si fa da sé: molto meglio il Figo che trionfa spendendo i soldi altrui (genitori, zie, cugini....).
Buttato preventivamente a mare lo studio, non godette giorni migliori l'apprendimento derivato dall'esperienza, sostituito dalle sublimi esperienze di divertimento che non lasciavano nulla nel lungo periodo, ma sul momento erano irrinunciabili ed eccitanti. La bellezza esteriore, oggetto di analisi e critiche fin dai tempi dei filosofi antichi, divenne valore di supremazia mai raggiunta prima: l'Estetismo protonovecentesco professava sì il culto della Bellezza, ma era pur sempre Bellezza per pochi, esperienza aristocratica e quasi sovrumana, consistente nell'entrare in contatto con l'armonia segreta delle cose che il freddo e tassonomico pensiero scientifico non poteva individuare [1]; esperienza, soprattutto, antiborghese, nutrita del sovrano disprezzo degli artisti e intellettuali dell'epoca per la volgarità dei nuovi ricchi. La Bellezza anni '80, invece, entra dai televisori nelle case di tutti e arriva dappertutto, si rende fruibile a molti individui e a molte tasche. Chiunque, se ben indirizzato e se disposto a spendere, può diventare un Figo, non certo per cogliere i vertici dell'Assoluto, ma solo per piacere a chi gli sta attorno, per essere cioè “attraente & ricercato”. E Don Chisciotte dov'è finito? Arriverà, ma non ora....

[continua...]


[1] Segnaliamo sull'argomento l'interessantissimo volume di studi miscellanei L'irraggiungibile Perfezione delle idee di Gabriele D'Annunzio come viatico per un contatto panico con l'Essenza del Mondo, a cura di Massimiliano Luterotti, edizioni Leonardo (prezzo speciale per i fans dei Prodigal Sons).

Alle origini del Bimbominkismo (1)



E’ un fatto che solo una persona senza visione tridimensionale delle cose potrebbe davvero pensare che i Nativi Digitali siano spuntati come funghetti allucinogeni dalla sera alla mattina e abbiano manifestato la loro tendenza bimbominkiesca verso la fine degli anni ’90 per poi sbocciare in tutta la loro virtuale insensibilità al mondo reale negli anni 2000.
No, Genti del Mondo d’Oggi, non fatevi ingannare dalle dimensioni del fenomeno: il computer esisteva da ben prima del 1990, i cartoni animati pure, la televisione anche.


–        PARTENDO DA ADAMO ED EVA... –


La teoria mia e della Spocchia è la seguente: senza tirare in ballo chissà quali Sistemi Oscuri di Controllo delle Coscienze, è un fatto che, finita la Seconda guerra mondiale, il Mondo Occidentale, tra una guerra fredda e uno sbarco sulla Luna, abbia cercato una sola cosa, la Pace. Questo termine, declinato in modi diversi a seconda delle aree politiche, ha significato nella nostra mentalità a prevalenza liberal- liberista un obiettivo ben preciso: fare in modo che molti avessero a disposizione molto. Soddisfatti i bisogni, la gente smetterà di agitarsi e farsi la guerra. La qual cosa, detto per inciso con Spocchia umanistica, è esatta dal punto di vista materiale, laddove le inquietudini dell’animo, alcune delle quali paradossalmente create proprio da questa nostra civiltà del benessere, non sono così semplici da risolvere.
Ma tant’è: fu l’alba del consumismo, l’idea cioè che sul mercato si immettono beni di qualsiasi tipo più o meno per tutte le tasche, i quali beni devono durare per un certo tempo, ma neanche troppo, altrimenti la massa smetterebbe di comprare e questo no, non va bene, sennò come facciamo a far girare l’economia e dar da lavorare a chi lavora là dove si lavora il bene che immetteremo nel circuito? Il sistema, in certo modo, produceva dei beni, e anche parzialmente del bene, con il tacito accordo che il consumatore dovesse consumare in continuazione per permettere al sistema di continuare a soddisfare i suoi desideri. C’è del buono e del meno buono in tutto ciò, ma a noi interessano i bimbominkia, quindi fast forward to:

–        L’ERRORE DI PROSPETTIVA DEI FABULOUS 70S  –

Certo, cotanta civiltà produsse al suo interno i suoi anticorpi (ogni tanto quel tale di Treviri di azzeccava...): contro un blocco sociale conservatore e consumista, o così almeno era inteso, sbocciarono come fiorellini di campo la Beat Generation e tutti i movimenti di contestazione che resero più frizzante l’aria di qua e di là dell’Atlantico (ripassarsi i topic delle guerra in Vietnam e tutto il resto, qui non c’è tempo di, ecc. ecc.). L’assunto di fondo di questi movimenti era protestatario, anticapitalista, anticonsumista, rivalutatore della vita semplice & ridotta ai bisogni essenziali, libertario nella misura in cui la società dell’epoca era ritenuta ipocrita e conformista. Si urlò per la fantasia al potere, e si chiesero diritti per tutti e non doveri e soprattutto si inneggiò alla GGioventù come autentica forza espressiva della società.
Tutto questo movimentismo celava però una natura duplice, come tutti gli esseri bifronti: c’erano i genuini contestatori, che ritenevano marcio il sistema e ingiusti i privilegi delle classi dominanti, e i contestatori “elastici”, quelli cioè che non contestavano i privilegi degli altri in quanto “privilegi”, ma in quanto “degli altri”. In altre parole, volevano semplicemente il loro posto alla greppia.
Tra l’altro, anche il giovanilismo, che risultava l’estrema declinazione dei miti progressivi della Robusta Gioventu' dei regimi totalitari, era un’arma a doppio taglio: il Giovane pieno di idee innovative che si opponeva al Vecchio rimbambito e chiuso nel suo sclerotico ordine di valori ammuffiti, viveva a stretto contatto col Giovane che delle idee non sapeva che farsene, ma voleva semplicemente godersi la vita senza avere il fiato sul collo di chi gli imponeva scadenze, impegni, convenzioni, insomma un’esistenza già programmata in nome del perbenismo “borghese”. Non però che questo secondo tipo di giovane fosse antiborghese o addirittura – BUM!!! – comunista: era semplicemente anarchico, ma nemmeno di un anarchismo di stampo ottocentesco, bensì dell’anarchismo che nasce dal nichilismo, che però non è nemmeno quello di Nietzsche, bensì quello che si produce in una società a diffuso benessere. Alla fine, il DNA mentale di questo tipo di giovane è: “Non fare niente, tanto c’è già chi lo fa al posto tuo, tu spassatela”.
E’ evidente che i Padroni del Vapore intuirono rapidamente la possibilità di agire in maniera chirurgica sul fenomeno e rigirare la frittata contestatrice a loro vantaggio. Anche in questo caso, il teorema è semplice: se la contestazione diventa un fenomeno di massa, esso fenomeno esprimerà dei bisogni come tutti i fenomeni di massa e noi saremo lì ad esaudirli.
Rinunciando sin da subito a riconvertire i duri e puri, nella speranza che sarebbero implosi da sé [1], l’industria del consumo allettò i giovani giovanilisti che vedevano negli eroi della contestazione niente più che personaggi da film. Ebbene, come poter esprimere il proprio appoggio alle posizioni anticapitaliste e antisistemiche di Allen Ginsberg, padre della Beat Generation, se non indossando una bella maglietta con su la faccia del predetto poeta? Certo. E chi produceva quelle magliette, che pendevano dalle bancarelle assiepate attorno ai palchi dei concerti di Bob Dylan? Di fatto, il Systema (scritto alla greca è davvero puccioso...) veniva incontro ai suoi contestatori, o meglio alla fetta più ingenua di essi.
C’era poi l’altra grande lampada di Aladino con cui il Systema poteva sedurre i suoi presunti avversari, ovvero la Moda. Tu, GGiovane GGiovanilista, obietti ai Vecchi Bamba Matusa di inibire la tua libertà di espressione? Ma prego, esprimiti! Capelli lunghi, zampa d’elefante, look indian-friendly, tutto ciò che poteva essere così deliziosamente “contro” gli schemi estetici ingessati che la moda giovane aveva fin lì proposto, costituirono non una anti- Moda, ma semplicemente una nuova Moda. Sempre da consumare. Pudiche fanciulle con gonna al ginocchio si dimenavano al suono del pop- rock- disco- melodico- progressive a fianco di disinibite baiadere in pigiama palazzo, sotto gli occhi di bravi maschietti con la camicina bianca e il coprispalle blu scuro vicino ai quali fumavano sigari Avana maschi tatuati dall’ascella forestosa e dalla canotta assassina. Le discoteche accolsero un’umanità varia & frammischiata. Tutti i tipi di musica trovarono cittadinanza, per finire prima o poi prodotti dalle grandi major discografiche, le quali ovviamente non sottilizzavano sul livello di ortodossia o ribellione degli artisti che producevano: ove di fosse un Grande Pubblico da soddisfare, la macchina del consumo era pronta a produrre. Anche la contestazione, alla fine, era diventata un’industria.
Al di là degli aspetti materiali del fenomeno, tuttavia, c’era una brodaglia ideologica che ribolliva e da cui sarebbero poi derivati i Bimbominkia che ci piacciono tanto: l’esaltazione massificante & indiscriminata della GGiovinezza in sé aveva reso i giovani soggetti di consumo eccezionali. Perché non esplorare i margini di espansione della cosa? 
(1- continua....)
Note  [1]: persone che all'epoca c'erano sostengono che il Systema o chi per lui finanziò la diffusione delle droghe giusto per tener buoni i  contestatori e farli sparire in una nuvola del loro fumo

Prova

Datosi che lo spazio su Facebook si era fatto piccino, io e la mia Spocchia abbiamo creato questo prolungamento virtuale che potrebbe anche non servire a una ceppa. Il nome del blog è un omaggio, forse tardivo, forse inapprezzabile, alla triste storia di una fanciulla ingiustamente respinta dai maggiorenti della sua famiglia, che per tal motivo si rinchiuse in una torre a forma di tazza di the e da lì comunicò col mondo solo attraverso disegni. Orbene, qui non si parlerà di fanciulle sole, ma, nell'ordine:
1) del destino della gioventù di oggi, ovvero di tutti i nati dopo il 1990, che per questo fanno parte della generazione cosiddetta dei Nativi Digitali o più familiarmente Bimbominkia;
2)  dei fenomeni di massa che stanno alla radice del bimbominkismo;
3) della scuola e dei suoi multiformi e spesso incomprensibili destini;
4) della Cultura, intesa come funzione biologica dell'uomo che racconta sé a se stesso;
5) del mondo, a seconda se esso ci fornirà spunti.

I primi post saranno una semplice traslazione di quanto già pubblicato su Facebook, poi si farà sul serio. Se qualcuno può risentirsi del fatto che è arrivato l'ennesimo aspirante profeta a disquisire di cose di cui tutti parlano, non tema: cercheremo di  scegliere sempre angolature originali. Sennò s'attacchi e cambi blog. Adesso io e la mia Spocchia andiamo a traslare. Un avvertimento ai lettori: qui si scrive.

Eligio De Marinis  - La Spocchia