Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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lunedì 31 marzo 2014

Mi stupisco del Suo stupore....

Si sa, ai tempi di Tangentopoli, ciò che stupì era che la ggente si stupisse del malaffare che imperversava nei palazzacci della politica. Era cioè risaputo da mo' che in Italia non potevi costruire mezza cuccia del cane senza far passare una mazzetta all'ufficio di competenza, per tacere del peggio. Eppure fu tutto uno spalancarsi di bocche e occhi a scoprire che "quelli là" rubavano.
Orbene, i più recenti fatti di politica italiana e mondiale mi corroborano nell'idea che è proprio del genere umano non voler vedere le cose fino a che esse non ci piombano tra capo e collo, per poi esclamare: "Ahia! Ma com'è possibile?". Vediamone alcuni, sobri esempi.
1) Le "donne" del Parlamento e la loro battaglia per le quote rosa. Premettiamo il premettibile, lo fa anche RenzOne, possiamo pure noi e la Spocchia: decidere per legge che una certa categoria deve avere riservato un certo numero di posti in un certo organismo è un'idea democratica, ma fino a un certo punto, nel senso che di per sé non garantisce che i "riservati" siano automaticamente gente saggia. Così come, per fare un esempio scemissimo, gli spazi "rosa" nei parcheggi pubblici sotterranei possono essere una cosa carina, sempreché qualcuno li occupi, laddove io, maschio alfa, mi rassegno a cercare uno stallo più lontano dall'uscita, perché ovviamente non posso occupare il posto vuoto, non sapendo se prima o poi una gentildonna verrà a occuparlo. Però potrei sempre dire che in quel momento nessuno lo occupa, e presumibilmente non lo farà per le prossime due ore, e quindi chi mi vieta di ecc. ecc. visto che al momento nessuna donna ha bisogno di quel posto. Ecco, il problema è quello: preassegnare ciò che potrebbe non essere poi ben usufruito è sempre un rischio. Ma si sa, la democrazia È un rischio a fondo perduto, si dà il diritto di voto a tutti sapendo che con ciò ci si porta in casa, paradossalmente, anche la possibilità che il potere vada in mano a forze non democratiche. Non è certo il caso delle quote rosa, che però sono miseramente naufragate. E le quoterosiste di ambo gli schieramenti a stracciarsi le vesti. Ora, passi che lo stracciamento avvenga in zona PD, che del femminismo fa una bandiera dai tempi in cui si chiamava PCI (partito peraltro sempre a rigida guida maschile), ma di cosa si lamentano le vergini di Forza Italia? Il gruppo Carfagna- Ravetto e simpatie consortite, intendo? Credono davvero che il Paese, prima ancora del Parlamento, possa appoggiare la questione- quote rosa con la prospettiva che un nutrito gruppo di seggi sia dato a femmine come loro? Parlatrici a macchinetta, irritanti sacerdotesse di riti triti e ritriti, celebratrici senza pudore di maschi dominanti che se le sono portate via a colpi di regalie? Detto più crudamente: c'è una parte dell'opinione pubblica che, spiace per tutte loro, non le vede come donne in politica, ma come concubine del Capo che le ha calate dall'alto nei corridoi del potere per meriti tutt'altro che intellettuali. Faccio il superliberale e ribatto che, al di là di come una ci arriva, al Palazzo, poi può guadagnarsi tutta la mia stima se fa bene. Beh, tralasciando la Gelmini, su cui sparare a zero mi sarebbe sin troppo facile, è chiaro che le Silvio- girls non si sono mai distinte per esemplare indipendenza di pensiero: tutte lì a difendere oltre ogni ragionevolezza ciò che meriterebbe almeno un momento di dialettica e di dubbio, sempre pronte a far quadrato attorno al capobranco a colpi di lezioncine imparate a memoria e slogan da televendita. Mai una che, al primo tintinnar di Minetti, si sia posta davvero la questione se inchiavardare nel listino delle regionali lombarde 2010 una pettoruta igienista dentale non fosse uno schiaffo in faccia alle donne serie della politica. Mai una che si sia chiesta se è davvero accettabile che la selezione delle amazzoni silviesche avvenga sulla base di meriti estetici cui poi, eventualmente, si accompagna la capacità di blaterare pacchettini di concetti precotti. Mai. Non serve tirare in ballo Ruby. Le intercettazioni telefoniche della suddetta igienista sono già abbastanza deprimenti. Ma non è neppure facile moralismo o voyeurismo nell'alcova del Capo, chissefrega ad un certo punto. Il fatto è che le donne forzitaliote sembrano una setta di baccanti invasate e possedute dal Pensiero Unico pro-Silviuccio. Gente così, che sacrifica la femminilità sull'altare del fotomodellismo da passerella istituzionale, che si ostina a dichiarare puro e schietto il comportamento di chi ha dato troppo volte adito a sospetti di fissazioni sessuogaudenti, e che, senza condanne preventive, dovrebbe tuttavia essere osservato con dovuta lucidità nei suoi comportamenti, ebbene gente così, popolo da harem postmoderno, vuole pure le quote rosa? Ma per carità....

2) L'Europa tremebonda per le amministrative francesi. Sempre per riagganciarci a quanto testé detto, Marine Le Pen sarà pure antipatia allo stato puro, però almeno ha messo la faccia per un progetto politico (che personalmente NON condividiamo) dotato, pare, di un certo appeal su certa Francia esasperata dalla crisi. Il successone alle municipali transalpine ha però messo in moto il totoeuropee, col timore che i movimenti nazionalisti trabocchino di qui a maggio. Stupirsi? E di cosa? Il problema non è la bontà delle misure con cui gli eurocapoccioni insistono nel chiedere sacrifici e rientri dal debito a mezzo continente, il fatto è che non se ne vede il fine estremo. "Fate tornare i conti", ci dicono, sì, ma poi? "Come in una famiglia, dopo anni di spese allegre, ad un certo punto bisogna risparmiare", senza dubbio, ma in una famiglia, per quanto sia sul lastrico e si imponga tirate di cinghia epiche, nessuno penserebbe mai di far fuori uno dei membri "perché non rientra" e lasciarlo morire di fame. Qui in Europa pare invece che vada così. I Paesi "virtuosi" si intignano a chiedere ai "birichini" tagli e risparmi che certo "faranno tornare i conti", ma col rischio che poi non ci siano più persone che quei conti facciano andare. Quello che il grosso dell'elettorato non capisce è perché, in nome di astratti numeri da far quadrare, si mettano sul lastrico individui e famiglie, si taglino pensioni, si blocchino assunzioni. "Colpa dei bilanci statali mal gestiti", senza dubbio, ma la soluzione è il genocidio lavorativo/retributivo? Lo Stato, questa entità troppo astratta per potersi delimitare, può davvero sovrastare con le sue colpe i suoi stessi membri fino a schiacciarli? È dunque esso un meccanismo di creazione/distruzione ignaro del dolore che produce, manco parlassimo della Natura che dialoga con l'Islandese nell'Operetta morale leopardiana? Non so. Certo, chi lavora nel privato e gode a guisa di infoiata faina alla prospettiva di sforbiciate epocali egli emolumenti nel pubblico, dovrà prima o poi rendersi conto che il collasso del pubblico danneggia ANCHE i privati. E sarà bene, prima che ciò avvenga, mettersi d'accordo su una piattaforma programmatica che riporti in primo piano le singole individualità dei cittadini europei piuttosto che il Moloch famelico dei "conti in ordine", simmetrico a quello dei conti sballati degli stati pazzerelli.  Altrimenti chi li fermerà più, i movimenti che favoleggiano di combattere contro futuri governi in mano a dieci-venti tecnocrati che, a colpi di spread, algoritmi e "conti in ordine" tiranneggiano i popoli per alimentare il proprio potere? Vogliamo ridurci al fanta-thriller? Ma per carità [2]. 


sabato 22 marzo 2014

Le pagelle della settimana [9]. La prontezza è tutto (per chi ce l'ha...).

Matteo Renzi: partito a razzo, pronto con due- tre riforme al minuto, il nostro ghibellin non fuggiasco mostra un dinamismo che neanche Craxi ai tempi del suo primo governo (bei tempi, però, Topolino costava 400 lire...). Certo, la faccia è quella lì, da porcellino d'India sborone e pronto alla rissa col primo che passa; certo, l'inflessione fiorentina tira le sberle a due a due; certo, non si è sottoposto alle forche caudine delle urne, cosa che Letta ha pur fatto, anche se il premier in pectore del PD era un altro (che poi, visto il mezzo coccolone che gli è preso, meglio così)(e l'altro alla Cultura? no, non lui, dico quest'altro); Monti, oddio, vabbe', premier tecnico, ma l'éscamotage di nominarlo senatore a vita otto minuti prima delle dimissioni di Silviuccio ha perlomeno rivestito di nobile cartapecora parlamentare un'operazione molto molto bricolagica (e però quei due là se la ridevano da lassù... no, non loro, questi altri, dico...). Vabbe', insomma, diciamo che nutriamo ancora pesanti riserve su come si è giunti al RenzOne: praticamente la profezia si è autoavverata, siccome io sono il più figo, facciamo come se ci fossero state le elezioni e quindi salgo io in cabina di regia; la maggioranza è pressoché la stessa, ma le riforme sono tutte nuove, solo è cambiato lo spirito del condottiero. Possibile che tutto sia così semplice? Pare di sì. Immagino che i nostri affezzzzzzionatissimi readers si aspettassero un nostro maxi-endorsement in relazione ai proclami bombastici fatti da Renzi in tema di scuola, oltre che per la cosuccia dei 1000 euro suppergiù di bonus sfigaggine riservati ai redditi sotto  sale... No, I'm sorry. Sarò un vecchio liberale di nobili origini contadine, ma finché non vedo non credo. Primum. Secundum, siamo al punto che avevo già criticato a Matty l'altra volta: ottima cosa l'edilizia scolastica, ma qui bisogna sbriciolare la legge Gelmini, non si può sopravvivere con 30 alunni per classe, non si possono ammazzare le materi umanistiche senza un vero ricarico sulle scientifiche, non si può lasciare in attesa di ruolo una platea sterminata di giovani e non più tali. Matty, trova i soldi per rinfrescare i lavoratori della scuola, perché dei tuoi 75 euro in busta al mese in più almeno la metà se ne andranno in piscofarmaci, fra poco, quelli degli scuolasauri che non vedono la fine del supplizio e quelli dei giovani che passeranno altri lustri di frustrazione. In altre parole: Matty, sblocca gli organici della scuola o per l'Italia è la fine. Voto: 7 alle intenzioni, degradabile a 4 da qui al 25 maggio.

Papa Francesco: è noto che noi, un anno fa, puntammo su un altro cavallo (ma forse meglio che no...), nondimeno Bergoglio, al pari di RenzOne, ha il turbo nel motore, chiama a casa fedeli a caso, celebra messe nei luoghi della disperazione, abbatte i superbi, prega i mafiosi, chiude banche, se avesse tempo poterebbe di persona i bossi della residenza di Castelgandolfo, insomma fa. Già abbiamo osservato che il suo animo schiettamente pop oscura fino a disintegrare la memoria del povero Ratzinger; del resto, mi si dirà, o si sventagliava di aria nuova a Vatican City o le chiese sarebbero diventate ripostigli per bambole decapitate. Vero. Rimane sempre un retrogusto asprigno nel considerare che oggidì anche il sommo Pontefice debba poppeggiare per piacere; in altre parole, pare proprio che il brand "fede cattolica" non dipenda da ciò che si dice, ma da chi e come lo dice: se infatti andaste a rileggervi o a risentirvi una qualsiasi delle omelie di Benedetto XVI, o uno dei suoi molteplici interventi su questioni della più varia natura, trovereste una chiarezza e una semplicità che non sono assolutamente seconde a quelle di Francesco. Eppure B-XVI è stato inteso come il teologo-rottweiler che parla per essere capito da pochi, Francesco parla a tutti, persino con lo stra-ateo Scalfari su Repubblica. Il che non mi porta a sminuire il portato del pontificato bergogliesco, tutt'altro, qui a Machittevòle l'attuale Papa gode di un credito amplissimo; è l'atteggiamento della comunità dei fedeli che ci perplime. Vabbe', anche Wojtyla aveva puntato molto sul carisma papalizio, e ancora più indietro fu un attimo opporre il mite e carezzevole Giovanni XXIII all'ascetico e roccioso Pio XII. Però, insomma, il valore di un messaggio dovrebbe avere anche una sua forza intrinseca, che prescinde dall'eventuale capacità attorial- merchandinsing- mediatica di chi lo veicola. È un po' il problema che abbiamo noi oggi a scuola, là dove si esige anche un certo istrionismo professorizio per far digerire Inferno XXXIII o gli eleganti endecasillabi rococò del Parini. Va bene che eseguire un pezzo di poesia o di prosa in un modo o in un altro può in effetti garantire una maggiore presa sull'uditorio alunnizio, ma ad un Papa non si chiede esattamente la performance che si chiederebbe a Glauco Mauri. Del resto, a lume di Vangelo, non pare proprio che Gesù fosse un battutaro nelle riunioni al cenacolo con gli apostoli o durante i suoi viaggi. Anzi (a meno che...). Eppure funzionò. In definitiva, se dobbiamo rassegnarci al fatto che anche la religione sconti il pegno che ormai tutte le forme della vita associata pagano alla vetrinizzazione e spettacolarizzazione del gesto "che non ti aspetti", dello slogan "di sicuro effetto", dell'immagine "che rimane scolpita", pazienza. Ci auguriamo che tutti questi effetti speciali non restino solo fenomeni di superficie, sennò finirà come è finita a Wojtyla sepolto, quando lo si accusò di aver riempito le piazze e svuotato le chiese. Quanto al Bergoglio "politico", eravamo neanche a farlo apposta in piazza S. Pietro l'1 settembre scorso, quando il Pontefice recitò il mestissimo Angelus dedicato a scongiurare l'attacco militare americano alla Siria come rappresaglia per le ripetute violenze e violazioni dei diritti umani nell'area. Voce funerea, frasi stentoree, damazze intorno a me che piangevano, effetto assicurato con la proclamazione del digiuno per il sabato successivo. Obama soprassedette, senza dubbio. Certo, con tutto l'amore per Bergoglio, se dall'altro lato dell'Atlantico ci fosse stato Bush figlio, non so come sarebbe andata, visto che gli appelli alla pace di Wojtyla contro la seconda guerra del Golfo caddero nel vuoto. E però grazie Francesco, chè ci siamo pure scocciati dell'ossimoro "guerra umanitaria". Non è a colpi di bombardamento che si risolvono le cose. E però, giusto perché lo Zio Sam è alle volte prepotentuccio, ma pure dall'altra parte del globo non si scherza, una parolina sulla situazione in Crimea no? Referendum, ok, la regione è sempre stata russa fino ad un colpo di ciucca di Kruscev (o come diavolo si scrive) 60 anni fa, però però, la prova di forza putiniana, i carrarmati, la disperazione dei crimeani ucraini, lo sdegno del resto del mondo vorranno ben dire qualcosa. Ora, sia chiaro che il Papa non può passare il suo tempo ad esecrare i pugni di ferro minacciati o attuati ai quattro angoli del globo, né richiedere digiuni a getto continuo ai suoi fedeli, tuttavia resta sempre la sgradevole impressione che, se è l'America a fare la voce grossa, "beh, ma chi si credono di essere questi mangia-hamburger?", mentre su altre prepotenze si resta, come dire, sempre un pochino più indulgenti. E per uno che da un anno dimostra coraggio da vendere come Bergoglio, uno che gira per città brasiliane senza scorta, il silenzio ucrainico davvero è poco pertinente. Voto: 7,5 con outlook speranzoso.

Fabio Fazio: prontezza, si diceva. Ebbene, Fabiuccio, dopo il flop sanremese, sembra diventato anche più bradipo di prima. Cioè, prima la bradipaggine, facente parte fissa del suo stile, i suoi frutti, anche di un certo pregio, li dava. Oggi, scopertosi anche lui vulnerabile dall'Auditel, nonché sabotabile dai primi due disoccupati che passano, Fazio sembra un cerbiattino timido, interagisce con una Littizzetto che nei suoi monologhi mamma-cacca mostra delle polveri decisamente più bagnate rispetto a prima del Festivàl, trasuda insomma una tristezza e un'insicurezza mai viste, va in cerca di chicche pucciose come il ridicolo selfie con l'incolpevole (e riluttante) Gramellini postato su Twitter, intervista don Ciotti sparendo più del solito dietro la verve ispirata dell'interlocutore, no no no, non è più lui. E su tutto, il capolavoro: invitare Veltroni, un altro volto notoriamente giulivo della nostra politica dell'altroieri, per parlare del film in memoria dei trent'anni dalla morte di Berlinguer. È ben vero la cosa suscita in me una certa, vereconda emozione, non perché io sia mai stato comunista, ma perché la morte di Berlinguer è il primo fatto di storia italiana che mi ricordi direttamente. Epperò la celebrazione della celebrazione filmica del segretario del PCI fatta a casa Fazio ha preso dopo trenta secondi il sapore dell'armadio appena aperto coi vestiti ancora pregni di naftalina: vedere un già ingrigito conduttore prestare il fianco ai deliri del vivace interlocutore, capace di dire che il PCI di Berlinguer era un partito senza ideologia, in cui si riconoscevano anche persone estranee al mondo operaio e più vicine a quella che oggi chiameremmo fighetteria berlusconiana, beh, beh, beh... E poi, su tutto, il fatto che Berlinguer era "una persona perbene" (e fin qui, nulla da dire), che guidava un partito "fatto di persone perbene", in cui riconosceva "LA GENTE PERBENE". A poco è valsa la subitanea correzione: "Non che non ce ne fosse anche negli partiti, eh?", perché il caro, vecchio adagio rosseggiante della superiorità morale di chi vota mancino era ormai calato senza appello. Eccoli lì, Fab&Walt, nostalgici cantori di un mondo che non è più. Oddio, non che il mondo che oggi è sia quello splendore, nevvero? Dirò anzi che ho più rispetto di quei pugni chiusi alzati al cielo di una Roma assolata di giugno al passaggio del feretro di Berlinguer che dei queruli tifosi asserviti al verbo del Capo (Renzi o Silviuccio che sia) che oggi infestano i talk show. A quell'epoca si credeva davvero di poter cambiare il mondo, pur secondo una visuale che la storia ha dimostrato perdente; ma c'era una fede, per quanto laica. E una speranza, pure laica. E una carità, laicamente declinata in solidarietà sociale. Oggi c'è il tifo, irrazionale e radicale, assoluto ed esclusivo, ma soprattutto nichilista: si crede al contenitore, ma si ignora il contenuto. E ciascuno vive per sé, perché alla politica si chiede solo la garanzia del proprio micro- equilibrio, ma guai a pensare in grande. A quell'epoca, le idee c'erano. Ma la classe dirigente dell'epoca, poco pronta pure lei (e non so quanto Berlinguer avesse fiutato fino in fondo i tempi nuovi), non volle capire che quelle idee andavano aggiornate in salsa socialdemocratica. Cosa che non si fece. E oggi, a comunismo sepolto, il PD non è più nemmeno socialdemocrazia. È semplicemente Renzi. In quell'11/6/84 si celebrò la fine di un uomo senza capire che si stava celebrando la fine di un mondo. Stasera Fazio e Veltroni hanno rifinito quella fine. Poracci. Voto: 5,5 per la stanchezza. (P.S. Fabio, prenditi un anno sabbatico, sei a pezzi...)

mercoledì 5 marzo 2014

Le allegre (?) comari e le vedove (non) allegre di Renzi

La prima osservazione che viene spontanea in questi affollati giorni è che l'Europa si trova sull'orlo del collasso politico a causa di una sopravvenibile guerra in Crimea. Il che pare riproporre cose già viste. A quel tempo, tuttavia, il primo ministro italiano era un certo Cavour, quello dell'Unità d'Italia, cosucce simili, vabbe'. Oggi abbiamo Renzi. 
I tempi, mi si dirà, la storia ironica e baraccona, l'Europa perennemente vecchia e ripetitiva, senza dubbio, sì. Certo però che Cavour pure, all'epoca, mostrò un fiuto politico di tutto rispetto, inviando un commanduccio di frombolieri a combattere una guerra da cui, materialmente, l'Italia non poteva aspettarsi NULLA. Ma tanto bastò, come oggi, quando patetici blogger da 10.000 visite in un anno dragano gli hashtag di twitter per cercare quelli in cui infilare link ai loro post, sperando di alzare l'asticella giornaliera delle visite. Ecco, Cavour fece più o meno lo stesso: partecipando alla guerra suddetta, fece scoprire al resto d'Europa che c'era uno staterello tenero e bello, il Piemonte, che aveva un'idea grandiosa e pucciosa, l'unità d'Italia. E siccome Napoleone III moriva dalla voglia di fare un dispettuccio dei suoi al Kaiser, ecc. ecc., ed eccoci a Garibaldi, Porta Pia, ecc. ecc.
Oggi abbiamo Renzi, che dalla guerra in Crimea di Putin ha ben poco da attendersi. Certo, lo zar russo è stato gentile, minaccia di dare fuoco alle polveri al sopravvenire della primavera, sì che l'Ucraina non potrà contro-ricattare l'Europa con la minacccia di lasciarla al freddo; potremo insomma cantare l'inno a Venere di Lucrezio in tutta agilità.
Ecco, credo che semmai Renzi abbia un problema di natura completamente diversa dalle trascurabili scaramucce che accadono a un fuso orario da qui, roba più, diciamo, di intendenza che di sussistenza: il suo fulmineo assalto al Palazzo Chigi d'Inverno (tanto per restare in tema russo-ucraino), di cui ha fatto le spese Letta (senza viaggio premio ad Ekaterinburg, comunque), con contestuale conquista del premierato senza elezioni, squadra ggiovane, ministri smart, programma cool, prospettive LOL , tutto ciò ha scatenato una prevedibile tracimazione di estrogeni, che è la normalità quando il maschio alfa del branco prende il potere; singolare tuttavia che, a questo giro, gli estrogeni siano prodotti da uomini.
Pare infatti che Matty nostro collezioni primati su primati (premier più giovane, governo con più donne, sottosegretari in odore di corruzione come mai prima, ecc.), ma questo degli estrogeni femminili a produzione maschile in effetti era il meno prevedibile. E non sto facendo facile e becera ironia su un eventuale ruolo da icona gay per Renzi, almeno non finché gli One Direction terranno la piazza tutta per sé, e sono giovani, più giovani di lui di una pezza. Renzi riesce invece a produrre un'eccitazione para-orgasmica (e per converso, una depressione da coitus inaccadutus tipica delle femmine escluse dal sacro congresso) in coloro che vedono finalmente in lui la realizzazione di promesse attese da decenni, il giovane uomo della tribù reduce dal periodo di latenza rituale e apportatore di quella percentuale di carne fresca su cui vedove e zitelle possono finalmente sfogare le loro più inappagate brame. Si dirà che anche Berlusconi ha sempre fatto questo effetto, perché il fascino del potere si tinge sempre di una nota puramente sessuale, prescindente tanto dall'estetica quanto dagli effettivi successi politici del potente di turno. Egli può, e potendo fa godere chi banchetta alla greppia della sua potenza. Vero. Ma, se si considerano bene i vent'anni suppergiù al potere di Silviuccio, non sfuggirà che gli uomini che gli hanno dedicato i più commoventi e sontuosi madrigali, da Emilio Fede a Sandro Bondi, lo hanno fattto vedendo in lui piuttosto la madonna di Medjugorie che un toro da monta. C'è, in altre parole, nella letteratura agiografica berlusconide un tocco di misticismo ascetico, di adorazione a prescindere, di estasi a-sensoriale da cui i fans di Renzi sono immuni: essi al contrario, accaldati come le cavalle di Diomede, non attendono altro che il Divin Fiorentino sosti anche solo per pochi minuti nella loro alcova per godere selvaggiamente la deflorazione a lungo anelata, dicasi per veder finalmente fruttificare i loro sogni di Verità e Cambiamento, sogni che ormai parevano confinati nel regno di Fantàsia, puri oggetti di diporto dei Fortunadraghi; e, come le cavalle di Diomede, costoro non esitano a divorare, possibilmente vivi, tutti gli straneri (alias detrattori) che osino solamente mettere in dubbio la virilità governativa di Matt.
Ecco dunque che le trasmissioni televisive a tema Renzi in cui Renzi è assente, ma sono presenti i suoi fiancheggiatori, diventano delle puntate di Colpo Grosso, puntate dove altrimenti azzimati intellettuali, gente che di solito reagirebbe con un sommesso 'ohibò' alla proiezione di un filmato sugli stupri etnici durante la guerra in Bosnia, tipi così insomma, si trasformano in feroci Baccanti, scalpitano in poltrona, sputaccchiano in camera pur di elogiare le gesta renziane, come se costui avesse già asfaltato Dario III a Gaugamela, si sbracciano, sguscerebbero nei televisori per fiondarsi ad una ad una nelle case dei telespettatori e far capire quant'è bello essere posseduti (politicamente) da Matteo, grugniscono e mugolano in una climax di gioia pura fino all'urlo liberatorio: "Teo, in te mi beo!".
La prova più eclatante del nostro assunto è senza dubbio la puntata del gruberiano Otto e mezzo dell'altra sera, presenti in studio il baffuto psichiatra Paolo Crepet, colui per il quale le anime labirintiche di Annamaria Franzoni e Alberto Stasi sono poco più che vezzosi giardinetti all'italiana, Norma Rangeri, giornalista de Il manifesto, e quindi abituata ai ragionamenti senza ascoltare la controparte, o fingendo di farlo, e in collegamento dallo spazio esterno Massimo Cacciari, il sindaco-filosofo la cui azione politica ha dimostrato una volta per tutte che i libri sulla Repubblica di Platone, al capitolo: "Perché ai filosofi spetta il governo dello Stato", sono il più clamoroso errore teoretico della storia dell'Occidente. Orbene, i tre sono stati variamente interrogati da Gruber su variazioni tematiche a tema: "Renzi ce la può fare?". Come potete constatare dal filmato, il tratto più evidente del trialogo Cacciari- Crepet- Rangeri non è tanto la polarizzazione tipicamente eucariotica tra i due maschi pro-Renzi e la femmina anti-Renzi, ma neppure ciò che i due maschi renziani dicono, che è la stessa zuppa che un po' tutti i renzofili vanno mescendo da mo' (è giovane, diamogli tempo, hai visto com'è assertivo, ha portato il PD nel PSE senza colpo ferire, è intrapredente, ci fa crescere nei sondaggi, merita fiducia, ecc.); a stupire noi tutti Osservatori distaccati della Realtà (è un po' che non la tiravamo fuori...) è la ferocia da groupies di boyband con cui il duo Cacciari- Crepet seppellisce la Rangeri, messa all'angolo come un'ereticuccia qualsiasi. Non sfuggano i sobbalzi sulla sedia dei due maschi, manco avessero le braci nel cuscino, tutte le volte che le due femmine (vere) in studio osano interloquire con un sussurrato "ma" ad interrompere le loro dichiarazioni d'amore imperituro per Matt. I capelli di Cacciari paiono attraversati da tutti i venti racchiusi nell'otre di Eolo, Crepet non sa più quale angolo del tavolo massacrare a gomitate per ribadire, anche a gesti, che Renzi può, Renzi sa, Renzi vive, Renzi vs Darth Vader è una partita persa in partenza (per Darth Vader, s'intende), e appena la povera Rangeri obietta, giù insulti, e lei che fa tanto d'occhi nel vedere due personaggi, in genere posati come l'impasto della pizza messo a lievitare, che d'un colpo diventano bocche di lava etnea in grado di eruttare lapilli di godimento nel parlare delle magnifiche sorti e renzessive, assieme alle fiamme del più feroce biasimo contro di lei che, tapinella, crede ancora nei vecchi partiti. E però Rangeri, che è donna sul serio, resta soprattutto basita del fatto che l'acidità da dive incomprese è il vero trait d'union degli accorati appelli pro-Renzi dei due sudatissimi interlocutori. La tintocrinita chioma cacciariana è tutto uno scuotersi di "no, no, e tu non capisci, e come fai a essere così vintage col tuo giornaletto da cooperativa, ma non vedi che Matty ci traina verso il Domani?", laddove il baffo vissuto di Crepet freme di sdegno all'udire parole riferite a Matteo che siano appena al di sotto dell'Inno liturgico, specie quando Rangeri si avventura in similitudini antropologico-esistenziali tra Renzi e Berlusconi. Non sia mai che Renzi il Magnifico abbia qualcosa a che spartire col demonio di Arcore! Ma stasera va così: Cacciari e Crepet non stanno semplicemente, e legittimamente, difendendo le proprie idee: si stanno letteralmente eccitando a parlare di Renzi, ma di un'eccitazione che, non essendo presente l'oggetto della medesima, assume sfumature di tonitruante onanismo. Voglio dire, paragoniamo per un attimo una stringa del trialogo anzidetto con una qualsiasi chat di facebook che veda coinvolte le groupies di Justin Bieber e degli One Direction e tutto si chiarirà. 

1)Crepet/Cacciari: Renzi è il futuro del Paese, lasciamolo fare e cambierà l'Italia! = Groupie OD: Harry 6 fighixximo tvttb guardami al concerto ma xchè nn vieni mai a trvrm? 

2)Rangeri: Ma Renzi è semplicemente il prodotto del berlusconismo!= Groupie JB: che caxxo dici Justin canta live i OD sn checcheeeeeeeeeee!!!!!! 

3)Replica Crepet/Cacciari: Piccola comunista senza palle, piantala di parlare di ciò che non sai, se non ti piace Renzi sei complice anche tu del sistema di potere catto-mediatico che ci ha condotti alla rovina! = replica della groupie OD: ma ki t conosce strnz spero ke muori cs nn dovrò sntr la merda ke ti esce dll bocca il tuo J è 1 drgt!!!!!!

C'è altro da aggiungere? 

Semmai vi è ora da occuparsi dell'altra faccia del fenomeno, giacché, è noto, in ogni corte reale non ci sono solo le Favorite del re, o aspiranti tali (la duchessa du Barry, per dire, un Cacciari con la gonna a campana), ma non meno sensazione fanno le Escluse, quelle che per inespiabili demeriti prestazionali non sono state in grado di soddisfare il monarca e quindi devono accontentarsi di un dignitoso oblìo. Senonché, trattandosi anche in questo caso non di escluse, ma di esclusi, l'oblìo si condisce del più amaro rimpianto per la mascolinità troncata, sì che, prima di sparire per sempre nella dimenticanza della Sesta Casa del Grande Tempio, il disgraziato di turno si concede un estenuante sfiga-tour multimediale per spiegare al pubblico assetato di gossip quanto è stato ingiusto il destino nei confronti suoi (dell'escluso) e delle sue gonadi (sempre quelle dell'escluso).
È il caso evidentemente di Pippo Civati, il nostro Hobbit preferito, che da quando ha perso le primarie e ha visto Renzi realizzare in tre settimane ciò che lui aveva pianificato per tre anni, vaga smarrito per i corridoi di Montecitorio, votando fiducie a caso con il lessico delle letterine dell'angolo della posta di Bim bum bam (del resto....), stando lì senza starci, ricevendo insulti bipartisan e perculamenti da tutto l'arco costituzionale dei social network. Ciò spiega parzialmente perché, sempre l'altra sera, ma dalla Bignardi, Civati abbia fatto l'upgrade del look e sia passato da Hobbit ingenuo a reincarnazione di Bubu, l'amico dell'orso Yoghi: il sopracciglio cespuglioso, il labbruccio sporgente a piagnucolìo, gli occhioni spalancati come a chiedere un semplice gesto d'affetto al primo perdigiorno che passa, sono tutti i segnali della tipica depressione melancolica dell'esclusa, qualcosa che colloca Pippo nostro in un'orbita vicina a quella della compianta Soraya di Persia, rinnegata dallo Scià per il fatto di non riuscire a dare un erede alla dinastia. Iddio si sa poi qual sua (di Soraya) vita fusi. Quanto a Civati, la sua sterilità politica post-Leopolda è tutta nei suoi musi lunghi quando Bignardi lo obbliga a rivedere i filmati di quei gloriosi giorni del 2009, quando lui e Renzi erano una cosa sola, i Dioscuri del nuovo centrosinistra, e come i Dioscuri, infatti, Castore schiatta mentre Polluce è immortale. E poi via a smanacciare per spiegare che uffa, io ho tante idee ma non mi caga nessuno, io e Renzi avevamo un patto, poi lui mi ha rubato le macchinine e non me le ha più ridate, eravamo d'accordo che a nascondino si contava fino a 100 e invece lui mi ha tanato perché ha contato fino a 80, e lamentele consimilli. Civati, di fatto, fa la fine del bimbo emarginato che tanta fortuna ha avuto nella letteratura urbano-sfigoide degli anni '80 ("Le chiavi di casa", "Il ragazzo che sapeva volare", cose così). A riprova di ciò, nuovo filmato con Pizzarotti e Pisapia a Parma, "Farebbe un'alleanza con Civati?", "Ma anche no!" risponde chiunque interrogato, e Pippo con gli occhi sempre più lucidi e il labbro sempre più sottoterra, fino al capolavoro di perfidia finale, che solo una come Bignardi, che ha pur sempre gestito la prima edizione del Grande Fratello, poteva ordire: altro filmato con la civateide, ma stavolta si prende un pezzo di comizio nel quale Pippo chiama ad un certo punto al suo fianco "la mia Giulia", una castana occhialuta che gli butta le braccia al collo e viva l'amore. Ritorno in studio, un paio di osservazioni innocue su "la mia Giulia" ("ma c'è ancora?", no, guarda, era una comparsa...) e poi la stoccata, roba da far impallidire Iago quando tenta di far impallidire Otello: "Senta, Civati, ma Giulia L'AVREBBE DATA A RENZI......(silenzio, lo spazio-tempo si dilata, la pupilla civatiana pure, e in pochi nanosecondi passa una vita intera, lo spettro di una definitiva sconfitta anche sotto le lenzuola, l'ambiguità di Bignardi che non si capisce se domandi o affermi, l'alternativa tra il suicidio e la castrazione rituale come previsto in Catullo 63)... la fiducia?". Ahhhh, vabbe', ok, pensa Civati, afflosciandosi sulla poltroncina per biascicare una non più comprensibile risposta. Ecco, tanto resta del sottile pensatore rinascimentale. E alla fine, vale il solito adagio: mentre Cicerone parla, Ottaviano si prende il potere. 


 (Certo, a pensare come poi ha trattato le donne della gens Iulia, fossi Crepet mi preoccuperei....)