Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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lunedì 13 aprile 2020

S3#6: il modulo e la radianza.

Seneca, Consolatio ad Marciam 5, 3-4; 7, 1.


'Per cui sii disponibile, anzi accogli i discorsi nei quali su racconta di lui e spalanca le orecchie al nome e alla memoria di tuo figlio; e non ritenere ciò una cosa grave secondo il modo di pensare degli altri, che in un caso simile ritengono sia parte del male ascoltare parole di consolazione. Adesso ti sei gettata tutta sull'altra parte e, dimenticandoti di quelli migliori, guardi alla tua sorte dal lato in cui appare peggiore.  Non ti rivolgi ai momenti di familiarità con tuo figlio, alle sue allegre corse verso di te, non alle carezze di dolce bambino, non alle tappe di crescita degli studi: continui a tenerti davanti quell'ultimo aspetto delle vicende; ammassi in essa qualsiasi cosa tu possa, come se di per sé fosse poco spaventosa' [...]. 'Ma infatti è naturale il rimpianto dei propri cari'. Chi può negarlo, finché è moderato? Infatti a causa dell'allontanamento, non solo della perdita delle persone più care è inevitabile un morso così come la contrazione anche degli animi più saldi. Ma è un di più ciò che l'opinione aggiunge rispetto a ciò che la natura ha ordinato.

Seneca deve consolare Marcia, figlia dello storico Cremuzio Cordo, suicidatosi ai tempi dell'imperatore Tiberio per il contenuto della propria opera storica, ritenuta eccessivamente nostalgica dei tempi della repubblica, che gli era costata un processo di cui egli non vide la fine. La donna, che pure aveva retto con dignità la perdita del genitore, è invece da tre anni disperata e in lutto perenne per la morte del figlio. Seneca decide allora di fare sue (il che vuol dire far dire a qualcun altro quello che pensa lui) le parole che il filosofo Ario Didimo avrebbe detto a Livia, seconda moglie di Augusto, per consolarla della morte del figlio Druso (padre del futuro imperatore Claudio). Nell'opera consolatoria, prendendo atto dell'inevitabilità assolutamente naturale delle prime fasi del dolore della perdita, il filosofo esorta Marcia a non insistere nel lutto come se fosse una colpa non provarlo . Nell'ottica stoica di Seneca, come sarebbe inaccettabilmente disumano non provare il minimo dispiacere per la morte di un figlio, è però altrettanto innaturale permettere al lutto di occupare stabilmente la propria anima, perché significherebbe ribellarsi ai decreti del Fato. Il realismo filosofico di Seneca insiste ancora sulla distinzione tra 'morsi' e 'contrazioni'  dell'energia psichica che sono del tutto naturali nel momento in cui l'evento esterno 'si imprime' su di essa. L'aggravio è però costituito dall'opinione, ovvero dalla convinzione che sia conveniente, anzi doveroso vivere nell'afflizione perpetua. La quantità di bene che i defunti ci hanno lasciato, anche quelli che giudichiamo scomparsi troppo presto, non arriva a compensare, ma certo rende più sopportabile la loro assenza. Il che è assai stoico. Senecanamente stoico, perlomeno. C'è però un aspetto del'anormale lutto di Marzia che in realtà potrebbe estendersi ad altri disturbi psichici che hanno in comune con il lutto una sorta di senso di monoscopia. In altre parole, l'intensità del dolore legato ad una certa circostanza è tale da annullare nella memoria tutto quanto avveniva prima, mentre il dopo è solo una triste appendice di memorie compulsive, ciò per cui 'quel' giorno si ripete all'infinito. L'evento doloroso ha svuotato di senso tutta la vita ad esso successiva e non esiste più prospettiva esistenziale: ogni pensiero è semplicemente 'appiattito' sull'evento (le prole di Ario- Seneca insistono in effetti sull'innaturale 'incumbere' e 'premere' di Livia solo sulla parte della propria memoria in cui è presente il 'frame' della perdita di Druso, come se tutti i momenti belli con lui fossero semplicemente obliterati). La complessità del fenomeno sta appunto nella sua anomala 'radianza' nella memoria: in una stoica successione di momenti felici-evento doloroso- assorbimento del dolore-recupero della serenità- ritorno ai 'normali' ritmi di vita, il disturbo di radianza riesce a 'ritagliare' gli eventi, isolandone solo la parte dolorosa, che viene quindi in un certo mondo decontestualizzata rispetto alla reale serie delle cose come sono avvenute. In questo modo si matura la convinzione che tutto, in quel particolare frangente, sia stato sofferenza (quando non è andata davvero così); che il dolore non era eccezione, era la regola; ci si impone di dimenticarsi che esisteva una felicità prima e ci si vieta che ne esista una dopo. Non meno insidioso è il caso in cui il dolore è stato in effetti elaborato, ma la sua radianza non è mai cessata del tutto, cosicché anche ad anni di distanza, in particolari momenti di debolezza, può addirittura riacutizzarsi la sofferenza, come se i conti con la perdita non si fossero chiusi mai del tutto. In quel caso i frame degli eventi custoditi nella memoria si infiammano come una sorta di piaga suppurata e finiscono per rappresentare una sorta di 'valore assoluto' del dolore, come fossero un modulo matematico: non importa in che reale ordine siano andate le cose, se il dolore che ora si sente assoluto sia stato in realtà medicato, o forse non era nemmeno così forte allora. Il problema è che la persona sofferente di adesso ricorda il sé stesso sofferente di allora, caricandogli però addosso anche i problemi e le frustrazioni accumulatesi dopo quel dolore, all'epoca risolto. La ferita dunque si riapre e si arricchisce, come se le sofferenze successive trovassero in quella passata la loro necessaria premessa. Non esistono più gli eventi, ma la loro ri-narrazione nel labirinto di specchi della coscienza.  E' per questo che non basta superare il dolore del presente considerandolo già passato: bisogna essere perfettamente padroni delle onde della propria memoria, perché il rischio di selezionare il passato e rimetterlo in ordine secondo logiche esterne al reale svolgimento degli eventi significa rischiare di finire prigionieri di una sceneggiatura di sofferenza doppiamente beffarda, essendone noi gli autori e le vittime. La felicità dipende dalla radianza.