Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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sabato 19 ottobre 2019

Senecana (5): e LUI cosa dice?

Seneca non cita mai espressamente la scuola Pneumatica in nessuna delle opere giunteci, ma è verosimile una sua conoscenza delle dottrine mediche stoiche: filosofia e medicina, nel mondo antico, erano molto meno distanti, dal punto di vista teoretico, di oggi, in quanto entrambe si prefissavano di curare l'uomo dai suoi mali. Essendo poi la scuola Pneumatica filiazione diretta della scuola stoica, difficilmente Seneca avrebbe potuto erudirsi di sola filosofia senza buttar l'occhio sulle opere dei medici, detto pure che lui stesso, come evinciamo dalle sue opere, non era esattamente un fiore dal punto di vista della salute.
A questo punto, lettore accanito, vorrai chiederci se è possibile in ogni caso dimostrare in Seneca conoscenze mediche Pneumatiche pur senza esplicita ammissione? Noi ti diciamo di sì, ma per arrivare a tale contezza si dovranno recuperare tasselli sparsi un po' dappertutto nell'opera del Nostro. Saremo brevi.
Dice Seneca (De ira) che quando bisogna mettere a punto una terapia che renda più difficile cadere preda dell'ira è molto importante tener conto della mescolanza di calore e umidità all'interno di un individuo (ricordate che siamo nel I secolo d. C....): ebbene, un medico greco del secolo successivo, nientemeno che Galeno (il curriculum è scaricabile qui) attribuirà, così pare di capire dai suoi testi, quest'attenzione al caldo e all'umido proprio ai medici Pneumatici.
Dice sempre Seneca (Naturales Quaestiones) che tutto il mondo è retto dalla tensione dello spiritus che in esso scorre, la qual cosa ricorda assai da vicino il pneuma coibente degli stoici. La virata in senso medico è poi poco distante, per così dire: il Nostro afferma che nel corpo, come in tutto il resto del pianeta che è un macro-corpo in cui abitiamo noi micro-corpi, possono nascere malattie se il flusso regolare dello spiritus è alterato da qualche causa come può essere il freddo, il caldo, uno scompenso o scossone di qualsiasi tipo, ma anche un accesso di febbre o un timore improvviso, tutti fattori che intaccano la nostra energia vitale, il tutto senza contare le anomalie che possono interessare gli umori corporei; se hai seguito le puntate precedenti, amico lettore, non potrai non rilevare che queste di cui Seneca parla sono esattamente le cause procatartiche ed antecedenti messe a fuoco da Ateneo (sia fisiche che psichiche, oltretutto), laddove il fatto che lo spiritus si alteri insieme alla parte del corpo ammalata rimanda direttamente alla nozione di pneuma coibente che si fa veicolo della malattia in tutto il corpo. 
Le sindromi biliari sono a conoscenza del Nostro? Ovviamente sì. Nell'accezione di Areteo, magari? Io credo di sì.
Noterai infatti, amico lettore, che nella lettera 94 a Lucilio Seneca parla di una insania publica e di una insania quae medicis traditur: per follia 'pubblica', ovvero rilevabile in modo abbastanza diffuso in quel caravanserraglio di pazzi che è la Roma imperiale, Seneca intende la melancolia di natura psichica, mentre l'altra, che va affidata ai medici, è evidentemente quella somatica, causata dalla bile nera. L'eziologia del male è quindi, solidamente, biunivoca, cosi come biunivoche sono le cure: parole sagge possono spegnere l'infiammazione della bile, come pure sani salassi biliari possono smorzare il malumore. Anche altrove Seneca ribadisce che alla base dei disturbi dell'umore possono trovarsi sia cause fisiche che psichiche.
Se poi diamo un'occhiata ai ritratti dell'uomo in preda all'ira, gli accessi del male presentano elementi assai vicini a quelli che leggiamo nei medici greci: occhi infossati che si alternano a occhiatacce furibonde, urla sguaiate, agitazione di tutto il corpo, il segno insomma dello spiritus che ha perso il suo giusto ritmo. Soprattutto, pare chiaro che il nostro filosofo preferito ritenga che nell'ira possano confluire sia i sintomi della mania che della melancolia. Del resto depressione rabbiosa e pazzia furiosa sono consorelle.
E' però che nelle tragedie che Senecuccio nostro dà il meglio di sé: secoli addietro critici frettolosi additarono i personaggi tragici senecani come piatte allegorie del furor, imprigionate in comportamenti ripetitivi e irrealistici, in certi casi fissati sulle proprie azioni malvagie a tal punto da sconfinare nel manierismo. Sciocchitudini: chi legge i comportamenti, tanto per dire, di Fedra e Medea nelle rispettive tragedie con occhio medico-Pneumatico, non può non vedere che quando queste donne sono descritte dalle rispettive nutrici ciò che abbiamo sott'occhio non è banale fisiognomica del potenziale pazzo, ma una vera e propria cartella clinica che riproduce i sintomi della malattia psicosomatica. Vuoi la prova con Fedra, amico lettore?

[Antefatto: Teseo, re di Atene, si fa un giretto nell'Oltretomba per aiutare il fido sodale Piritoo nell'impresuccia di rapire la regina di laggiù, Proserpina; ad Atene la moglie di Teseo, Fedra, cretese, figlia di Minosse, sorella di Arianna (l'altra grande fiamma di Teseo, puntualmente piantata in Nasso a seguito del minotauricidio), attende solitaria il ritorno del marito, trovandosi peraltro un pochino infatuata del di lui figlio Ippolito, nato da una relazione espressa con la regina delle Amazzoni, Ippolita, poi morta. Pur tentando di fermare questa passione, Fedra cede gradualmente alle spinte irrazionali, nonostante la Nutrice, manuali di stoicismo alla mano, tenti invano di farla rinsavire. A un bel momento, quando l'innamoramento diventa irreversibile, la regina si presenta in scena vestita da amazzone per far capire al figliastro quanto gli sia groupie. La Nutrice così ce la descrive, versi 360-383...]

      NUTRICE  
      Che speranza può esserci? Una passione così non si può frenare, è un fuoco 
      senza fine. Si consuma a un silenzioso ardore... Anche se la chiude in sé 
      e la nasconde, questa follia, il volto la tradisce. I suoi occhi brillano 
      febbrili, le palpebre stanche non sopportano la luce. Non sa quello che 
      vuole, soffre, le sue membra sono irrequiete. Ora il suo passo è stremato, 
      vacilla come se morisse, e il collo, reclinando, sostiene la testa a 
      fatica; ora vuol concedersi riposo, ma si nega al sonno e passa la notte 
      in lamenti. Si fa levare dal letto e, subito dopo, coricare. I capelli, 
      ora sciolti li vuole, ora acconciati. Insofferente di se stessa, muta 
      continuamente di aspetto. Del cibo e della salute non si cura. Fa l'atto 
      di muoversi, incerta, e subito le forze l'abbandonano. No, non c'è più il 
      suo slancio, non c'è più sul viso lucente colore di rosa. Quel pensiero la 
      consuma tutta. Il suo passo è tremante, adesso, la tenera bellezza del suo 
      corpo se ne va. E gli occhi, quegli occhi che recavano le tracce della 
      luce del sole, non brillano più del loro splendore divino. Lacrime 
      scendono giù per le guance, bagnandole di rugiada, senza sosta, come sui 
      gioghi del Tauro le nevi si sciolgono alla tiepida pioggia...

Notiamo, notiamo...
  • il volto tradisce la follia = i sintomi del male sono tutti evidenti in viso. Non si tratta, bada bene lettore, della fisiognomica che pretende di dedurre il carattere di una persona e le sue personali inclinazioni dai tratti somatici, qui assistiamo ad una malattia in atto.
  • occhi che brillano (arrossati) = mania
  • occhi che fuggono la luce = melancolia
  • non sa quello che vuole, membra inquiete = mania
  • passo stremato, testa che ciondola sul collo = melancolia
  • insonnia = melancolia
  • si alza e si corica, cambio acconciatura = mania
  • insofferenza di sé = mania/melancolia
  • rifiuto del cibo = melancolia
  • forze carenti, passo tremante = insufficienza dell'energia pneumatica
Vuoi vedere Medea? Eccotela...

[Antefatto: Medea, principessina del Mar Nero est, si incapriccia dell'eroico benché imbranatuccio Giasone, giunto sulle coste della Colchide dalla lontana Iolco per recuperare una pelliccia d'ariete dalle proprietà miracolose, inviato lì da uno zio usurpatore che spera lo scotennino. Medea tuttavia, come Arianna del resto, non resiste alla seduzione dello straniero belloccio e lo aiuta a conquistare l'agognato plaid, ricevendo peraltro una proposta di matrimonio in cambio di ulteriore aiuto per consentire a Giasone e compagnia di tornare a casuccia, obiettivo centrato ritardando gli inseguitori con una sfida a puzzle consistente nella la dispersione in mare di pezzetti del fratellino Absirto. Tornati a Iolco e de-usurpato il trono tramite bollitura fraudolenta dello zio, i due devono poi fuggire a Corinto, dove Giasone, colto da improvviso cinismo, ripudia Medea per poter impalmare Creusa, figlia del reonzolo del luogo, Creonte, e garantirsi finalmente un trono non traballante. Medea, sola, barbara e senza diritto alcuno, la prende sportivamente e decide di uccidere i figli avuti da lui. Mentre la follia omicida monta in lei, così la descrive la Nutrice, versi 380-396...]


      NUTRICE 
      Dove corri, figlia; lontano dalla tua casa? Fermati, calmati, frena la tua 
      furia. Come una menade, che, alla cieca, già invasata da dio, si lancia e 
      porta i suoi passi sulla cima del Pindo nevoso o sui gioghi di Nisa, così 
      Medea corre qua e là con gesti selvaggi, mostrando in volto i segni di un 
      furore delirante. Il suo viso è in fiamme, il respiro affannoso, grida, il 
      pianto le sgorga dagli occhi, di colpo si mette a ridere. È in preda ad 
      ogni emozione. Esita, minaccia, avvampa, si lamenta, singhiozza. Dove si 
      volgerà l'empito del suo cuore? Dove spingerà le sue minacce? Dove andrà a 
      infrangersi questo vortice? Il suo furore trabocca. No, non è da poco, non 
      è comune il delitto che medita tra sé. Supererà se stessa, Medea. Li 
      conosco, io, i segni del suo antico furore. Qualcosa di inaudito sta sopra 
      di noi, qualcosa di grande, selvaggio, empio: lo leggo nel suo volto 
      delirante. O dèi, fate che la mia paura sia vana.    

Ri-notiamo, ri-notiamo...
  • similitudine con la Menade, sacerdotessa dei riti dionisiaci che prevedevano l'abbandono estatico alla possessione divina = mania, termine peraltro corradicale a 'Menade'.
  • corsa delirante, viso in fiamme = mania
  • respiro affannoso = crisi dell'energia pneumatica
  • alternanza pianto/riso = bipolarità
  • minacce, avvampamento = mania
  • lamenti, singhiozzi = melancolia
  • lettura sul volto delirante del furore = ulteriore prova che non di mera fisiognomica si tratta,ma di autentico quadro clinico
Vediamo dunque che in nessuno dei due casi predomina solo uno uno dei due disturbi, poiché fanno sempre capolino anche i sintomi di quello opposto. Alla fine, nel personaggio domina una perenne alternanza di umori e  e comportamenti che testimonia l'instabilità delle sindromi biliari.

Questa è arte di serie A+++: non una piatta resa del furor, ma l'illustrazione realistica dei suoi catastrofici effetti. Le conoscenze mediche al servizio della filosofia e della tragedia: questo è il genio.

[poi c'e sempre https://it.wikipedia.org/wiki/Lucio_Anneo_Seneca nonché https://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_pneumatica]

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