Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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martedì 31 marzo 2020

Spocchia's Seneca School #1: la debolezza è forza.

S3#1

Seneca, Epistulae ad Lucilium 57, 4

Quaedam enim, mi Lucili, nulla effugere virtus potest; admonet illam natura mortalitatis suae. Itaque et vultum adducet ad tristia et inhorrescet ad subita et caligabit, si vastam altitudinem in crepidine eius constitutus despexerit: non est hoc timor, sed naturalis affectio inexpugnabilis rationi.

("Alcune emozioni, Lucilio mio , nessuna virtù può sfuggirle; la natura le ricorda la propria mortalità. E così (anche il saggio) corrugherà il volto di fronte a spettacoli tristi e gli si rizzeranno i capelli di fronte a stimoli improvvisi e si confonderà se scruterà dall'alto un abisso profondo piazzatosi sul suo bordo: questo non è timore, ma un istinto naturale che la ragione non può espugnare").

Se qualcuno si vergogna di essere in ansia in questi catastrofici giorni, tenga presente che il Lucilio a cui Seneca si rivolge non è un ragazzino sprovveduto alle prime armi, ma un cavaliere romano forse poco più che cinquantenne. Un uomo, quindi, che nonostante l’ampia esperienza di vita era ancora vittima delle proprie inquietudini esistenziali. Ora come allora, non esiste età per essere o non essere inquieti: le circostanze della vita possono metterci alla prova in ogni momento. Addirittura, le emozioni improvvise ed incontrollabili da cui alle volte siamo colti non sono segno di debolezza, ma anzi, sembra dire Seneca, quasi un dispositivo di auto-tutela insito nella natura umana che serve a ricordare anche all’uomo più virtuoso di essere comunque una creatura mortale. Abbiamo qui il risultato di tutta una riflessione circa i meccanismi psichici che i filosofi stoici portavano avanti da non meno di tre secoli: ammesso pure che la sostanza del nostro essere e della nostra psiche sia pura razionalità, anche la razionalissima filosofia stoica ha dovuto prendere atto che ci sono delle circostanze in cui il nostro animo reagisce per via puramente emozionale, senza alcun vaglio o “permesso” della ragione all’emozione in questione. Ciò avviene di fronte a situazioni improvvise o a tal punto fuori dell’usuale (una scena di dolore estremo, un episodio in cui qualcuno si comporta in modo estremamente aggressivo, ecc.) che è impossibile non provare almeno un minimo di negatività, anche solo credendo di sentire su di noi il male che colpisce un altro (mi spingerei a dire che l’espressione vultum adducet ad tristia è puro rosolio per gli scopritori dei neuroni specchio). Si tratta di reazioni ir-razionali nel senso che la ragione non ha ancora dato loro un nome, ma ne avverte il verificarsi come un piccolo morso o un’irritazione che colpisce lo spirito, esattamente come se si trattasse di punture o scottature che ci fanno istintivamente ritrarre il dito o la mano. Nemmeno il saggio, dice Seneca, ne è immune, perché queste reazioni sono, mi si consenta l’ardita espressione, spiritualmente fisiologiche, avvengono perché la struttura della nostra psiche è predisposta a questo accoglimento passivo dello stimolo esterno. Dal momento infatti che lo stimolo deriva da circostanze concrete (una scena triste, un’aggressione fisica, l’improvviso trovarsi di fronte al vuoto) e non spirituali (come potrebbe essere l’ascolto di una riflessione filosofica o della spiegazione di un teorema), esso non può interessare immediatamente la nostra razionalità, la quale quindi dev’essere per così dire “avvisata” dell’accadimento. Ecco quindi che entrano in gioco queste reazioni istintive che si verificano automaticamente e obbligano la razionalità a “chiamare” la sensazione con un nome (spavento, offesa, tristezza) e decidere se darvi credito oppure no. Qualsiasi evento esterno, insomma, non avviene davvero se prima non è razionalizzato, se cioè il nostro pensiero non lo definisce con qualche vocabolo. È allora che le cose fuori da noi entrano completamente in noi. Ed è quel punto che siamo in grado di combatterle, se negative. Pertanto, non ha senso vergognarsi se non sappiamo controllare lo spavento e se eventi troppo più grandi di noi paiono sovrastarci e avvilirci: è grazie a questi stimoli istintivi che si possono attivare le nostre difese psichiche. E, con buona pace degli invincibili, grazie a ciò veniamo riportati alla salutare coscienza della nostra finitezza.

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