Ebbene sì, contro ogni pronostico Matteo Renzi si imbriglia il PD e relativa stanza dei bottoni (oddio, bottoni: ci trovi giusto due poster sbiaditi di Berlinguer, quattro spille "I care", le chiavi della Trabant di Longo, una bottiglia di Lambrusco da doversi stappare la sera del 18 aprile del '48 e poi lasciata lì), portando al potere, come da lui stesso affermato, "la generazione che era alle medie quando è caduto il muro di Berlino e faceva il Liceo al tempo delle stragi di Capaci e via D'Amelio". La nostra, insomma. La Generazione Bim bum bam, quelli nati tra il '75 e il 2000, quelli venuti appena prima dei bimbominkia, quelli bollati a metà anni '90 come generazione X, postideologici senza più punti di riferimento che non fossero quelli dettati dai modelli del consumismo imperante. Noi, che abbiamo passato pomeriggi a slogarci i malleoli per eseguire il tiro ad effetto di Oliver Hutton, alternandolo con una sana Polvere di diamanti, mentre le nostre amichette disegnavano aeree chiavi di violino in aria al grido di pampulopimpuloparimpampum. Noi, tutti presi da un idraulico che andava per tubi, in aperta concorrenza con un porcospino rompiballe con il feticcio degli anelli tintinnanti e una schiera sterminata di animaletti sfigati da liberare; noi, che hadoken! shoryuken! e congiuntivite a nastro per star dietro alle mosse di M. Bison.
Noi, insomma: quelli che si sono trovati la pappa talmente pronta che non si sono più chiesti come si facesse a prepararla, abituati ad uno stato di cose dato per assoluto e quindi non modificabile. Prendete questo benessere, ci dicevano, e state zitti nelle vostre camerette a mangiare Bounty e Fonzies mentre al mondo pensano i grandi. Ma anche noi, un giorno, si sarebbe diventati grandi. No, stavolta no: i guru del consumismo, e gli adulti a traino, preferirono narcotizzarci in una adolescenza perenne, figosa, tutta pose, atteggi, vestiti di marca, giocattoli costosi, ma senza un briciolo di responsabilità su ciò che sarebbe stato domani. Del resto non valeva la regola del ricambio generazionale, visto poi che i cosiddetti 'vecchi', vuoi per il miglioramento medio delle condizioni di vita, vuoi per l'accresciuta utilità della tecnologia che fa risparmiare un terzo del tempo rispetto ad una volta in qualsiasi lavoro, 'sti vecchi insomma non hanno più mollato l'osso, riuscendo a restare giovani di una giovinezza attiva ed assertiva, ma soprattutto corsara: si sono presi tutto l'edificio e a noi hanno lasciato solo la stanza dei giochi.
Eccoci qui, ora: per la prima volta un esponente della nostra indecifrabile generazione post-qualsiasi cosa prende le redini di un grande partito. E, paradosso, non trova sponda nei suoi stessi coetanei: lasciando stare l'opinione del sottoscritto su Renzi, ampiamente argomentata già l'anno scorso, stupisce che un altro circa 40enne, Andrea Scanzi, spari a palle incatenate su Matteone (chiara Gamberale stasera dalla Gruber invece era tutta un friccicore per Matt, beata lei...)(in terra francese no, invece), con argomentazioni in cui mi rivedo assai: sostanzialmente si dice: "Ma che vuoi saperne tu, giovane e sbarbatello, di come si guida un partito e, un domani, il Paese?". Il problema è che queste cose, se dette da uno dei nostri burosauri, sarebbero plausibili, ma che a pensarle siamo noi, ovvero i coscritti di Renzi, dimostra che tra noi stessi non c'è alcuna fiducia che qualcuno di noi possa fare ciò che hanno saputo fare i 'vecchi'. Ciascuno di noi generati-X si specchia nei coetanei e vede solo una cosa: l'incompetenza figlia di una stagione in cui le troppe coccole ci hanno resi al massimo passibili di diventare il capo dei giocattoli e nulla più. Ora, senza scomodare Alessandro Magno e Ottaviano Augusto, che a 32 anni erano già un po' imperatori, bisogna prendere atto che l'autopercezione di sé della nostra generazione è quella di bambocci mai cresciuti, gente che non può davvero pretendere di fare sul serio, perché dalle serietà, dal rischio, dal dolore, dal fallimento è stata tenuta accuratamente lontana negli anni d'oro del trionfo dell'edonismo reaganiano e poi del gaudentismo post-muro di Berlino, quando, prima che le Torri Gemelle si accartocciassero e portassero via con sé tutta l'illusione del Mondo Perfetto, una grossa fetta di noi credette di aver trovato l'Età dell'oro del disimpegno a spese altrui. Quel cloroformico incantesimo oggi presenta il conto: a vedere uno di noi che tenta di volare alto, o un po' più alto, siamo i primi a metterci a ridere, a volergli dire: "Ma lascia stare, su, non fare figure!". Eppure dovrà ben venire il tempo che tocchi a noi. Nelle Università c'è un'età media dei docenti che fa spavento (ok ok, l'ASN sta ringiovanendo gli organici, o meglio promette futuri ipotetici ruoli da associato a gente under 50, ma bisogna vedere i fondi a disposizione); il mondo manageriale è saldamente in mano a gente, diciamo così, agée; eppure l'idea è che noi non abbiamo diritto ad accedere alle posizioni dei vecchi "perché non siete capaci, ci vuole esperienza". Vabbe', ma se ci impedite di farla, l'esperienza, è ovvio che staremo sempre al palo. Mi pregio solo di ricordare che un giovane dottore di ricerca in filologia classica fu classificato come "troppo giovane" a 33 anni per incarichi più pesanti in Facoltà. Ok, ma di questo passo saremo troppo vecchi quando i vecchi veri saranno trapassati. E cosa faremo? Lasceremo le redini del mondo ai bimbominkia, con cui pure condividiamo ampie fette di genoma? Possibile che la nostra civiltà sia destinata a questo baratro generazionale?
C'è evidentemente una serie di effetti forse non indesiderati, ma certo non previsti, che risalgono ancora ai primordi della diffusione dei consumi di massa: l'assolutizzazione della giovinezza ha reso inconciliabile quest'ultima con la maturità, detto che la porosità delle capocce dei giovani alle cantilene pubblicitarie e ai modelli di consumo è unica, garantisce rendite sicure con sforzi minimi (album dei Backstreet boys uscito nel 1999: 1 milione di copie in 7 giorni; album degli *Nsync uscito nel 2000: 2 milioni di copie in 7 giorni; stessa casa discografica, stesse canzoni, stesso pubblico di riferimento....). Delle due l'una: o ci si preoccupava di ricordare ai giovani che sarebbe venuto il giorno della fine della ricreazione, e li si preparava a quel giorno, e però si finiva per perdere un continente intero di acquirenti del superfluo; oppure li si faceva baloccare ad infinitum, profittando di circostanze storico-politiche così favorevoli da non richiedere il rinsanguamento delle classi dirigenti con gente più fresca. Capitò, 30 anni fa, che tali circostanze si presentassero, gradualmente ma inesorabilmente. E fu un attimo spacciarci la vita per una Gardaland perenne.
Ecco quindi che oggi noi figli di quell'epoca di marzapane non crediamo in uno di noi: i dati del voto alle primarie dicono impietosamente che solo il 29% dei votanti di Renzi è under 45, contro il 44% di Civati, numeri che però non sono serviti al Frodo Baggins monzese per sfondare. Renzi traina, ma non nel suo stesso recinto. Chi lo vota sono soprattutto militanti esasperati dalla nullitudine di D'Alema e di tutti quelli che non hanno saputo trainare l'ex-PCI verso una seria alternativa socialdemocratica al cdx. Voto per punire, più che per sperare. Perché forse, in noi figli della melassa, i padri non spererebbero mai. Ma non so se sarebbero capaci di prendersi parte della colpa.
Tutto questo per dire cosa? Che nemmeno io credo in Renzi, nella sua faccia senza zigomi, nella sua fisiognomica da porcellino in mezzo alle stoppie, nelle sue smorfiette a comando, nelle battutine da Zelig, nelle citazioni squisitamente cool come il pulcino Pio. Non c'è nulla del suo programma che mi convinca, nemmeno al capitolo scuola, eppure dovrei perlomeno dargli fiducia, come ne accordai a camionate a Berlusconi 20 anni fa, dicasi a un 58enne che aveva l'unico merito di averci propinato cartoni animati a tutto andare dalle 13 alle 18 di ogni pomeriggio tra Canale5, Italia1 e Rete4. Invece no: vedo in Matteo tanta fuffa. E senza che costui abbia ancora fatto nulla per deludere o disilludere nessuno. Sono dunque anch'io vittima della mia stessa diffidenza generazionale?
(Risposta della Spocchia: "Sì, come tutti gli inappartenenti!". Sipario)
Noi, insomma: quelli che si sono trovati la pappa talmente pronta che non si sono più chiesti come si facesse a prepararla, abituati ad uno stato di cose dato per assoluto e quindi non modificabile. Prendete questo benessere, ci dicevano, e state zitti nelle vostre camerette a mangiare Bounty e Fonzies mentre al mondo pensano i grandi. Ma anche noi, un giorno, si sarebbe diventati grandi. No, stavolta no: i guru del consumismo, e gli adulti a traino, preferirono narcotizzarci in una adolescenza perenne, figosa, tutta pose, atteggi, vestiti di marca, giocattoli costosi, ma senza un briciolo di responsabilità su ciò che sarebbe stato domani. Del resto non valeva la regola del ricambio generazionale, visto poi che i cosiddetti 'vecchi', vuoi per il miglioramento medio delle condizioni di vita, vuoi per l'accresciuta utilità della tecnologia che fa risparmiare un terzo del tempo rispetto ad una volta in qualsiasi lavoro, 'sti vecchi insomma non hanno più mollato l'osso, riuscendo a restare giovani di una giovinezza attiva ed assertiva, ma soprattutto corsara: si sono presi tutto l'edificio e a noi hanno lasciato solo la stanza dei giochi.
Eccoci qui, ora: per la prima volta un esponente della nostra indecifrabile generazione post-qualsiasi cosa prende le redini di un grande partito. E, paradosso, non trova sponda nei suoi stessi coetanei: lasciando stare l'opinione del sottoscritto su Renzi, ampiamente argomentata già l'anno scorso, stupisce che un altro circa 40enne, Andrea Scanzi, spari a palle incatenate su Matteone (chiara Gamberale stasera dalla Gruber invece era tutta un friccicore per Matt, beata lei...)(in terra francese no, invece), con argomentazioni in cui mi rivedo assai: sostanzialmente si dice: "Ma che vuoi saperne tu, giovane e sbarbatello, di come si guida un partito e, un domani, il Paese?". Il problema è che queste cose, se dette da uno dei nostri burosauri, sarebbero plausibili, ma che a pensarle siamo noi, ovvero i coscritti di Renzi, dimostra che tra noi stessi non c'è alcuna fiducia che qualcuno di noi possa fare ciò che hanno saputo fare i 'vecchi'. Ciascuno di noi generati-X si specchia nei coetanei e vede solo una cosa: l'incompetenza figlia di una stagione in cui le troppe coccole ci hanno resi al massimo passibili di diventare il capo dei giocattoli e nulla più. Ora, senza scomodare Alessandro Magno e Ottaviano Augusto, che a 32 anni erano già un po' imperatori, bisogna prendere atto che l'autopercezione di sé della nostra generazione è quella di bambocci mai cresciuti, gente che non può davvero pretendere di fare sul serio, perché dalle serietà, dal rischio, dal dolore, dal fallimento è stata tenuta accuratamente lontana negli anni d'oro del trionfo dell'edonismo reaganiano e poi del gaudentismo post-muro di Berlino, quando, prima che le Torri Gemelle si accartocciassero e portassero via con sé tutta l'illusione del Mondo Perfetto, una grossa fetta di noi credette di aver trovato l'Età dell'oro del disimpegno a spese altrui. Quel cloroformico incantesimo oggi presenta il conto: a vedere uno di noi che tenta di volare alto, o un po' più alto, siamo i primi a metterci a ridere, a volergli dire: "Ma lascia stare, su, non fare figure!". Eppure dovrà ben venire il tempo che tocchi a noi. Nelle Università c'è un'età media dei docenti che fa spavento (ok ok, l'ASN sta ringiovanendo gli organici, o meglio promette futuri ipotetici ruoli da associato a gente under 50, ma bisogna vedere i fondi a disposizione); il mondo manageriale è saldamente in mano a gente, diciamo così, agée; eppure l'idea è che noi non abbiamo diritto ad accedere alle posizioni dei vecchi "perché non siete capaci, ci vuole esperienza". Vabbe', ma se ci impedite di farla, l'esperienza, è ovvio che staremo sempre al palo. Mi pregio solo di ricordare che un giovane dottore di ricerca in filologia classica fu classificato come "troppo giovane" a 33 anni per incarichi più pesanti in Facoltà. Ok, ma di questo passo saremo troppo vecchi quando i vecchi veri saranno trapassati. E cosa faremo? Lasceremo le redini del mondo ai bimbominkia, con cui pure condividiamo ampie fette di genoma? Possibile che la nostra civiltà sia destinata a questo baratro generazionale?
C'è evidentemente una serie di effetti forse non indesiderati, ma certo non previsti, che risalgono ancora ai primordi della diffusione dei consumi di massa: l'assolutizzazione della giovinezza ha reso inconciliabile quest'ultima con la maturità, detto che la porosità delle capocce dei giovani alle cantilene pubblicitarie e ai modelli di consumo è unica, garantisce rendite sicure con sforzi minimi (album dei Backstreet boys uscito nel 1999: 1 milione di copie in 7 giorni; album degli *Nsync uscito nel 2000: 2 milioni di copie in 7 giorni; stessa casa discografica, stesse canzoni, stesso pubblico di riferimento....). Delle due l'una: o ci si preoccupava di ricordare ai giovani che sarebbe venuto il giorno della fine della ricreazione, e li si preparava a quel giorno, e però si finiva per perdere un continente intero di acquirenti del superfluo; oppure li si faceva baloccare ad infinitum, profittando di circostanze storico-politiche così favorevoli da non richiedere il rinsanguamento delle classi dirigenti con gente più fresca. Capitò, 30 anni fa, che tali circostanze si presentassero, gradualmente ma inesorabilmente. E fu un attimo spacciarci la vita per una Gardaland perenne.
Ecco quindi che oggi noi figli di quell'epoca di marzapane non crediamo in uno di noi: i dati del voto alle primarie dicono impietosamente che solo il 29% dei votanti di Renzi è under 45, contro il 44% di Civati, numeri che però non sono serviti al Frodo Baggins monzese per sfondare. Renzi traina, ma non nel suo stesso recinto. Chi lo vota sono soprattutto militanti esasperati dalla nullitudine di D'Alema e di tutti quelli che non hanno saputo trainare l'ex-PCI verso una seria alternativa socialdemocratica al cdx. Voto per punire, più che per sperare. Perché forse, in noi figli della melassa, i padri non spererebbero mai. Ma non so se sarebbero capaci di prendersi parte della colpa.
Tutto questo per dire cosa? Che nemmeno io credo in Renzi, nella sua faccia senza zigomi, nella sua fisiognomica da porcellino in mezzo alle stoppie, nelle sue smorfiette a comando, nelle battutine da Zelig, nelle citazioni squisitamente cool come il pulcino Pio. Non c'è nulla del suo programma che mi convinca, nemmeno al capitolo scuola, eppure dovrei perlomeno dargli fiducia, come ne accordai a camionate a Berlusconi 20 anni fa, dicasi a un 58enne che aveva l'unico merito di averci propinato cartoni animati a tutto andare dalle 13 alle 18 di ogni pomeriggio tra Canale5, Italia1 e Rete4. Invece no: vedo in Matteo tanta fuffa. E senza che costui abbia ancora fatto nulla per deludere o disilludere nessuno. Sono dunque anch'io vittima della mia stessa diffidenza generazionale?
(Risposta della Spocchia: "Sì, come tutti gli inappartenenti!". Sipario)
Combinazione: in queste sere, ho visto... http://youtu.be/qRUkOCi0PZ8
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