Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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lunedì 8 dicembre 2014

E adesso insegui l'aquila.

Coccodrillare le defunzioni degli artisti, specie quando tali defunzioni generano automaticamente sui social network torrenti di "Eri un grande, RIP", "Sarai sempre nel mio cuore, RIP", "Sei stato la colonna sonora della mia vita, RIP", "Non ti conoscevo, non mi piacevi, però RIP" non ci garberebbe. Facciamo un'eccezione per Mango, defunto nel modo artisticamente più epico, ovvero sul palco, di fronte al proprio pubblico, cantando per giunta la canzone di tutta una vita ("Oro"). Se ne va con lui un artista discreto, dal carattere non sempre facile per effetto di un'innata timidezza, certo non incline ai compromessi né alle prostituzioni mediatiche, quelle che portano a far sapere a tutti anche quando il proprio primogenito ha evacuato. Ciò, in connubio con un'ispirazione certamente originale e quindi non sempre facilmente intercettabile dal grande pubblico, ha fatto di lui una gemma rara nel panorama musicale italiano, rara al punto, paradossalmente, che le sue canzoni erano solo sue, nel senso che, udendo uno qualsiasi degli incisi dei suoi brani più famosi, anche l'ascoltatore più lontano da quel gusto non poteva che dire: "Ah, sì, questo è Mango", cosa che con certi complessini e solisti idoli dei bimbominkia non sempre avviene, ma la cosa vale anche per i cantanti più popolari, compresi i prodotti dei talent. Spiace pertanto che certi dizionari della musica mondiale, i cui autori non possono che sbrodolarsi in lodi e stralodi di artisti mainstream che non propongono nulla di davvero nuovo almeno da 20 anni, liquidino Mango con la dicitura: "Più musicista che cantautore". Il che, intendiamoci, può anche essere vero per chi, come il sottoscritto, non è sempre rimasto convinto dei risultati di Mango come estensore anche dei testi delle proprie canzoni, nondimeno, rispetto a cantautori con la "eeeeehhh" facile, o a robottini manovrati senza rimedio dalle case discografiche, Mango ha avuto almeno il coraggio di sfidare continuamente se stesso in primis e poi l'audience. 
Audience che avrebbe potuto tranquillamente mantenersi immutata se Mango stesso avesse continuato con le linee ritmico-melodiche esotiche e dispari che hanno caratterizzato la sua prima produzione. Ma appunto, falsetti e quinte dopo un po' devono aver saturato lui medesimo per primo, e quindi Pino ha provato altro, a volte riuscendo a volte meno. Resta comunque di lui il ricordo di una voce particolarissima, messa al servizio di musiche e testi mai banali, forse sin troppo elaborati, i testi, quando Mango ha ceduto all'abbraccio fatale con l'ermetico Pasquale Panella, già paroliere dell'ultimo Battisti. 
Un artista in ogni caso sui generis. Non mette certo conto di passare in rassegna tutta la sua discografia, anche perché la mia personale esperienza di lui comincia nel 1990, poi ho tappato il pregresso acquisendo musicassette e videoclip, poi, lo ammetto con lucida e filologica stima del defunto, l'ho un po' perso di vista, diciamo dal 2008 in avanti, quando la sua produzione mi è sembrata, per così dire, rinunciataria rispetto ai sentieri audaci degli inizi. Sono opinioni, of course, ma proprio per il bene che ho voluto a Mango sento di dover distinguere in lui sia il bello che il meno bello, con l'avvertenza che il suo "meno bello" è milioni di anni luce più avanti del presunto "bello" di moltissimi altri. 
La mia personale tassonomia mi porta a collocare l'akmé della sua produzione tra il 1988 e il 1992, ovvero in corrispondenza di "Inseguendo l'aquila", "Sirtaki" e "Come l'acqua". Seguono poi lavori caratterizzati da una unica grande leading song ("Giulietta" per l'album "Mango", "Primavera" per l'album "Credo", che di fatto creano una situazione simmetrica rispetto a "Odissea" del 1986, in cui troneggiava "Lei  verrà" e "Adesso" del 1987, l'album di "Bella d'estate" ), quindi la stagione delle raccolte + un paio di inediti (1995-1999, benché Mango stesso avesse in certo modo stigmatizzato l'abitudine ai greatest hits degli altri cantanti). Belli i live, belli i riarrangiamenti, ma certo avremmo gradito un numero maggiore di gioiellini originali come "Sospiro" o "Non dormire più". È comunque a quest'altezza che Mango prende ad allontanarsi con decisione dallo stile degli esordi e del grande successo per recuperare una dimensione acustica e vocalmente meno calligrafica e più corposa. Poi la svolta cantautorale piena, e siamo al 2002, quando il Nostro si scrive, si musica, si arrangia tutto da solo, offrendoci quindi un album in cui spigoli  ("Disincanto, "La rondine", "Mi piaci accanto") e tonde rientranze ("Non moriremo mai", "Gli angeli non volano") si alternano con coraggio: rinunciare a Mogol per le parole e a Celso Valli per gli arrangiamenti è certo una scelta ardita, tuttavia Pino ama le sfide, e questa è nel complesso vinta. Episodi più frammentari ma sempre di livello sono "Ti porto in Africa" del 2004, contenente l'etnicissima "Francesco" oltre al duetto con Lucio Dalla, e "Ti amo così" del 2005, in cui spicca il delizioso&commovente duetto con la moglie Laura Valente ("Il dicembre degli aranci"). Infine, il 2007, la partecipazione a Sanremo, il quinto posto con "Chissà se nevica" (lasciamo perdere la questione della "svolta rock"...). Ecco, per me l'ispirazione di Mango si compie qui, non dico né che si esaurisca né che si impoverisca: dico solo che il Mango che ha saputo rapire il mio gusto estetico arriva al traguardo con "L'albero delle fate". La tavolozza multicolore che ha sempre caratterizzato la sua produzione musicale tende già da un po' a privilegiare i grandi blocchi oppositivi piuttosto che il gioco delle mezze tinte e delle sfumature, come se da un bosco lussureggiante si fosse passati su un'assolata scogliera a picco sul mare. Il che funziona benissimo in rapporto alla terra natale di Mango che vive di questi contrasti paesaggistici. Tuttavia, per il mio gusto, dal 2008 qualcosa non "comunica" più, o molto meno di prima. Ma sono dettagli.   
Nulla che possa impedire il commosso ed entusiasta ricordo di melodie che hanno occupato pomeriggi, serate, notti, estati, inverni, videocassette consumate a furia di rivedere e risentire "Tu...sì..." e "Oasi", per tacere delle musicassette disintegrate e dei CD comprati e ricomprati. Quando la nostra testolina pre-spocchiosa cominciava a farsi tante domande sul mondo, a sbattere contro barriere estreme, a perdersi nel mistero dei misteri, la musica di Mango, avvolgente, suggestiva, quasi sciamanica nel suo evocare dimensioni "altre" rispetto alla piatta realtà ottanta/novantizia, ebbene quella musica ci ha sostenuto assai. Anche nei casi di canzoni più intimistiche e meno ritmate che abbiamo imparato ad apprezzare col tempo ("Terra bianca"), o nei casi di flagrante ammassamento di correlativi oggettivi che non eravamo ancora in grado di decifrare con compiutezza ("I giochi del vento sul lago salato", "Preludio incantevole"), sentivamo sempre qualcosa di non detto e non dicibile che rendeva tuttavia quei lavori irresistibili nel loro fascino evocativo. Altrove i suoi pezzi hanno rappresentato la risalita da baratri da cui credevamo di non uscire più ("Tu...sì...", "Passeggera unica", "Non moriremo mai"), in altri casi ancora la spinta a ricercare senza paura ("Mondi sommersi"), oppure a sognare in libertà ed evadere ("Ma com'è rossa la ciliegia", "Così  viaggiando", "Intime distanze", "La rondine"). Tutti i colori della psiche, ma in special modo il blu, il verde, l'arancio e il giallo, con relative sfumature, erompevano come da inesauribile cornucopia da ogni singolo pezzo, dipingendo di sé perifrastiche passive e participi predicativi, mostrandoci una sorta di mèta immanente e tuttavia agganciata in qualche modo alla trascendenza del fatto artistico, sia che con essa si intenda l'estasi metatemporale proustiana delle sensazioni che cuciono insieme tutti gli Io che si succedono in noi col tempo, sia che si intenda la superiore dimensione dell'Oceano ipercosmico di cui noi tutti siamo  alla  ricerca da tempo immemore.     
Questo è stato Mango, e la sua essenza è al principio stesso della mia conoscenza di lui, quando passò (in radio o in TV, non ricordo di preciso) il pezzo "Inseguendo l'aquila" che all'epoca, da dodicenne puccioso, ascoltai distratttamente, pur restando impressionato dalle qualità vocali di questo (per me) sconosciuto, che oltretutto si chiamava come un frutto tropicale e non riuscivo a capire perché (vabbe', eravamo scemi, che tte devo di'?). Recuperai in seguito tutto l'album (non c'era youtube, sapete...) e riascoltai quella canzone: le bianche città del mistero, gli abissi e strapiombi verdissimi, i limiti del pensiero, il punto più estremo dell'anima, l'altra metà di quel cielo, le sensazioni più intime, il tempo che ho visto già e quello che verrà in fondo al sole... In questo inseguire l'aquila, l'anima dell'artista insegue il mistero delle cose, cerca la chiave che sveli tutti gli interrogativi dell'esistenza e però poi scopre che la soluzione è già tutta dentro di noi, solo che la si sappia ascoltare, perché la nostra coscienza è un frammento dell'universo, frammento in cui pulsa la Potenza Attrice dell'Essere: "Inseguendo l'aquila, inseguendo me".
Grazie di tutto, Pino. A Laura, Filippo e Angelina, il più sentito degli abbracci.

EDM

2 commenti:

  1. Hai scritto molto bene, complimenti. È vero che nel 2008 le sue sfumature cominciarono a cambiare... Forse perché il sodalizio con il Fratello Armando che a sua volta alimentava i suoi frutti era finito da tempo? Non so ma notai anche io come tanti altri che nn era lo stesso. Comunque rimarrà sempre qualcosa d celestiale e indimenticabile.

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  2. Grazie! Come tutti gli artisti che non si accontentavano mai, anche Pino ha conosciuto evoluzioni artistiche che forse non hanno sempre centrato il bersaglio. Certamente anche le vicende familiari hanno pesato, ma la sostanza della sua arte è fuori discussione.

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