Alla
capiente Multisala Odeon di Ascoli (3
sale, però ha vicino il liceo classico) davano Star Wars e Quo vado?.
Avendo mancato l’unico spettacolo programmato del primo film, mi imbuco nella
SETTIMA replica giornaliera dell’opera quarta di Zalone Checco. Nessuno
snobismo: curiosità. Anche perché ormai ero lì.
Detto
che a noi spocchiosi non garbano certo i cinepanettoni, ma nemmeno i drammoni
cecoslovacchi monoinquadratura con sottotitoli in lituano, perché privarsi di
codesto lungometraggio? Zalone Checco ha incassato sette milioni di eurini in
un giorno? Non sarà la certificazione del Capolavoro Assoluto, come ci
insegnarono, però è un fenomeno degno di attenzione. E attenzioniamo, esclamò
l’Arciduca.
Eccoci
nella capace sala con le seggiole azzurre e pop corn ovunque sul pavimento.
Sono le 22.30, ma il pubblico affluisce copioso. Mi dirai che il tasso di
tamarraggine/bimbominkismo di molti dei presenti sconfina oltre ogni limite, ma
cosa vuol dire? La presenza di certi docenti mancini con l’erremoscia sancisce
senza dubbio veruno la transdirezionalità dell’opera in proiezione.
E in
effetti, a fine film, non possiamo dire di non aver ridacchiato. Esserci
sganasciati no, ma lì è che siamo proprio di gusti difficili noi, visto che
ridiamo alle nostre battute. Certo, rispetto ai cinepanettoni di cui sopra, qui
almeno lo sforzo di buttare sul piatto qualcosa di diverso, se non di nuovo
nuovo, c’è (per inciso, ci stupiamo dello stupore di quanti registrano le
performance bassine al botteghino dei film di De Sica: dopo 25 anni della
precisa, identica zuppa, cosa si aspettavano?); da qui a dire che 14 milioni in
due giorni ci incoronano il nuovo Billy Wilder, ovviamente, ce ne passa. Però
però, qualche idea per capire la travolgenza del successo zaloniano ce la siamo
ben fatta. Specialmente in rapporto dialettico con i giudizi critici letti
sull’internet (ahhhhh, l’articolo davanti a internet…) in questi due/tre
giorni.
Che il
film sia THE STRAFIGATA del XXI
secolo, l’opera che segna il prima e il dopo della comicità italiana, ecco,
magari no. Certo, simili giudizi sono partoriti dai critici de Il giornale, la qual cosa puzza un po’,
essendo Zalone prodotto Zelig, quindi
Mediaset. Del resto dall’altra parte si spellano le mani tutte le volte che
Benigni dice bao, quindi ci sta.
Anyway, parliamo di un film divertente, dotato di frizzante ritmo battutaro,
nel quale la trama fa da lisca alle cui spine si attaccano i momenti
sketcharoli gestiti da Zalone medesimo, esattamente come nei film di altri
comici di radice televisiva, siano Ale e Franz o Ficarra e Picone, che però
spesso steccano, a nostro giudizio. Gente abituata al ritmo serrato e compresso
dello sketch ha bisogno di una trama abbastanza autoreggente per dare tessuto
connettivo alla propria specialità, ovvero la situazione comica in sé conclusa.
E sin qui Zalone fa, dignitosamente.
Altri
accusano il film di partire a razzo con la descrizione spietata dell’universo
del ‘posto fisso’, proseguendo in modo più o meno divertente nella sezione
norvegese, per poi perdersi irrimediabilmente nella melassa buonista del finale
africano, là dove la ‘redenzione’ zalonesca (sorry, no spoiler here…) pare
frettolosa quanto forzata, giusto un contentino ai tradizionalisti dopo tanta
corrosiva satira antisistema. E’ mancato, dicono, il coraggio del pugno nello
stomaco finale. Brutta anche, dicono sempre, la celentanata di chiusura con
lode annessa dei malvezzi della Prima repubblica. Personalmente, che una
commedia possa avere un finale sin troppo semplicisticamente condensato, nel
quale i rovesciamenti caratteriali e fattuali appaiono inverosimilmente rapidi,
quando non logicamente problematici rispetto a quanto precede, non mi pare un
problema, visto che, da Plauto in giù (Aristofane gira da solo in background),
è più o meno sempre andata così. Ai fan del celluloide in bianco e nero non
potrà ad esempio non piacere il film del 1961 intitolato Uno, due, tre!!, tratto appunto da una commedia, nello specifico di
Molnar (sì, il signor Via Paal, lui proprio), per la cui trama vi rimando aWikipedia, e che sviluppa proprio nel finale una serie di ‘conversioni’
talmente rapide da potersi accettare solo attivando la sospensione
dell’incredulità richiesta da gran parte dell’universo comico (gente che fonda
città sulle nubi, del resto…). Cercare la coerenza caratteriale in questo tipo
di lavori è come pretendere che in un film di guerra il capo dei buoni si
sacrifichi per salvare il suo cagnolino. Il genere ha le sue leggi. Possono non
piacere, si possono anche violare, ma quando uno le rispetta, c’è poco da
criticare.
Non
vediamo poi quale ‘pugno nello stomaco’ ci si dovesse attendere da un film
simile: commedia vuole che alla fine gli angoli si smussino e il bene trionfi.
Cosa che qui puntualmente succede.
Zalone
Checco, insomma, fa il suo. Ciò che accalappia spettatori non è quindi certo il
dato, aridamente statistico, della distribuzione numericamente mostruosa della
pellicola nelle sale, ciò che a detta di alcuni avrebbe reso inevitabile
l’afflusso degli spettatori, privati di valide alternative. Bubbole: il
pubblico sarà tonto, ma non scemo: se un film non acchiappa, puoi diffonderlo
anche in otto milioni di copie, ma avrai le sale vuote. Che poi il passaparola,
il conformismo per cui se vanno tutti allora devo andarci anch’io (il
cosiddetto ‘irrazional-popolare’), la banale curiosità apportino ingressi è
indubbio, ma tutti questi incassi nascono anzitutto da un quid tutto interno al film che fa l’effetto che vediamo.
Ecco,
secondo me e la Spocchia, il glutammato monosodico di questo film sta nella sua
caricaturalità così esibita che alla fine si ride anche là dove ci si potrebbe
indignare o dispiacere. I vari elementi negativi tipici dell’universo del
‘posto fisso’ statale ci sono tutti, e nessuno potrebbe mettere in dubbio che
le pecche più odiose degli uffici della pubblica amministrazione siano proprio
quelle lì. Il fatto è che nel film tali pecche sono messe tutte, ma proprio
tutte, in una volta sola, sì che la rappresentazione, in teoria del tutto
verosimile, si fa appunto caricaturale e strappa la risata istintiva,
pre-razionale (l’impetus simplex,
come Seneca insegna – lol) anche all’autonomo dotato di partita IVA (che subito
dopo riprenderà a bestemmiare contro l’impiegato comunale o il docente di
lettere), così come non fa vergognare l’impiegato statale ‘alla Zalone’, perché
tanto “non esistono situazioni esattamente
così, dai….”. Il mondo zaloniano è vero e finto allo stesso tempo. Sarebbe
come se si volesse mettere in scena un dramma ambientato in una classe di liceo,
immaginando che la storia si svolga in una sola mattina, e si buttassero dentro
tutte la varianti umane e psicologiche possibili di alunno: il nerd, il bullo,
quello caratterialmente problematico che a casa è picchiato, il fascistone, il
comunistone, l’omosessuale fresco di coming
out, l’effeminato, la lesbica, il palestrato, il depresso, l’anoressica, la
bulimica, l’oca giuliva, quella politicamente impegnata ecc. ecc. Si pensi poi
di far succedere in una singola mattina sia l’occupazione che la ribellione
contro la medesima, il tentativo di suicidio di qualcuno e la riconciliazione
di qualcun altro, aggiungendo magari scene di docenti in crisi con sé e col
mondo. Chi crederebbe davvero alla concentrazione di tutto ciò in uno spazio
narrativo così esiguo? Ebbene, in Quo
vado? la compresenza di tutto il peggio del ‘posto fisso’ provoca una sorta
di collassamento comico di sicuro effetto.
Questa
‘tuttezza’ iperconcentrata sterilizza quindi anche quelle zone della trama a
detta di alcuni coraggiose e temerarie nel trattare i temi più scottanti
dell’attualità (ma per piacere…): tre figli da tre uomini diversi per nazione,
etnia e religione… e così imposteresti la questione della tolleranza…
crediamoci, sì… Il sistema talent-show per gestire l’afflusso degli immigrati
dal Mediterraneo con quasi tutti che sventolano la laurea… serissimo, certo.
Sarebbe secondo noi più onesto ammettere che Zalone Checco vuole intercettare e
sottoporre al comico tutto quanto gli passa sotto mano, sia il serio che il
meno serio, ma la volontà di far riflettere il pubblico ci pare davvero
lontanuccia.
A
condire il tutto, l’altra tipica componente comica, ovvero l’infantilismo
autoreferenziale del protagonista che provoca appunto i continui ribaltamenti di stato che tanto dispiacciono ai fan della coerenza a tutti i costi:
disperato al momento di perdere il posto prima, lieto di gironzolare subito
poi, prontissimo a norvegesizzarsi e a incivilirsi, ma rapido pure a farsi
sedurre dalla reunion di Al Bano e
Romina, entusiasta nel collaborare alla raccolta di materiale per gli
spermiogrammi dell’orso e dell’elefante, canaglione anche nelle trattative
finali con la Bergamasco (Sonia, we’ll always appreciate you, remember…), la
quale pure incarna un ruolo caricatissimo, donna che a un certo punto la prende
sul personale e agisce punta solo da vaghezza vendicativa, più ancora che per
svolgere la mansione ministeriale affidatale (anche lì: Zalone escluso, tutti
gli altri che accettano quelle condizioni? Suvvia…). Irrealistica per eccesso
di realtà (tacciamo sullo sgabuzzino dell'ufficio di lui grondante di omaggi in natura).
E va
bene tutto, il pubblico aggradisce, le parolacce sono al minimo, il carattere
lieve e bamboccio del protagonista garantisce che in fondo non c’è nulla di
veramente serio (nemmeno 25.000 euro di vaccini in un colpo solo… fosse così
davvero…), lo stesso Lino Banfi è un perfetto esemplare di relitto della Prima
repubblica che altrove su facebook si glorifica acriticamente. Ecco, senza
sovrapporre in modo semplicistico lo spirito di quella pagina a questo film,
v’è da dire che la capacità di alleggerire il serio ha comunque degli esiti
narrativi spesso stupefacenti: là vediamo foto d’archivio con dentro Fanfani,
Spadolini, De Mita, Andreotti, Craxi, tutti coloro insomma che i più ricordano
come artefici dello sfascio della Prima repubblica, o comunque membri di una
classe politica retriva e preoccupata soprattutto di mantenersi e
autoriprodursi immutabile nei decenni. Si sa, si sa. Ma lì, su facebook, non
trapela nulla di tutto ciò: solo istantanee di un’epoca che fu, nel (molto)
bene e nel (molto) male, decisiva per le sorti dell’Italia a livello interno e
internazionale. Ma persino un Andreotti, lì riprodotto, perde tutto lo zolfo e
rimane un relitto monumentale di un passato che non possiamo né dobbiamo
dimenticare. Zalone Checco, a cui nulla di ciò ovviamente interessa, chiude
tuttavia il film con l’inno alla Prima repubblica proprio per dirci, in tutta
leggerezza, che alla fine di un ventennio (la Seconda repubblica) da cui tutti
si attendevano la palingenesi dei mali della precedente, succede ciò che
succede dopo tutte le rivoluzioni che si vogliono antibiotiche: i batteri che
c’erano magari vanno in sonnolenza, ma sempre lì stanno, e quando il ‘nuovo a
tutti i costi’ cade vittima delle debolezze strutturali di ogni nuovo che
rinnega tutto il vecchio, eccoli, i batteri, che riemergono, più belli di
prima. Quindi, o si agisce come i predetti admin della pagina facebook e li si
chiude in un museo di scienze naturali, oppure li si respira, con effetti
imprevedibili. Qui, da Zalone Checco, l’effetto è la caricaturalità di cui
sopra. Data pure la 'redenzione' finale, ciò significa che il problema cessa di sussistere per tutti gli altri?
Cinema con la C maiuscola, quindi? Certo che no, vuoi mettere Il capitale umano di Virzì? E’ semmai un
segno, tangibile, dello spirito dei tempi: sorridere alla consapevolezza che
nulla è mai davvero cambiato.
(D’altronde
dicono che il PD sia la nuova DC, no?)
Io non ho mai visto per esteso un film di Zalone, ergo lo conosco solo come parodista di canzoni. Devo dire che, nonostante il becerismo, l'ho apprezzato. ;) Riesce a trasformare la melassa di tanta musica pop melodica italiana in qualcosa di almeno piccante.
RispondiEliminaDei suoi film, conosco solo uno spezzone di "Sole a catinelle": il figlio intelligente, la disoccupazione, la ricerca di un "lavoro stimolante" che si rivela una fregatura, il paesino molisano, il bisogno di mantenere una credibilità come genitore... Siamo lontanissimi dalle vette del Neorealismo, ma si può dire che ci sia tutta l'Italia. Forse, è per questo che i film di Zalone attirano e fanno ridere... a partire dalle lacrime.
Sì, penso anch'io che il pregio che lo rende così appetibile sia il carattere 'inclusivo' della sua satira. Poi per carità, l'Arte è altrove, intendiamoci.
RispondiElimina