È evidente che, con una catastrofe sismologico-umanitaria in atto
appena al di là del mare, discettare sulle prodezze di un
conterraneo millennial che, LEGGERMENTE imbaldanzito (leggasi:
gonfipallonito) dai più recenti (effimeri? traslucidi?) successi
discografici, si è messo a sfasciare il palco del Sacro Festivàl di
Sanremo (le Dionisie italiche, if you know what I mean…), potrebbe
risultare fuori luogo. Anzi, lo è di sicuro. Poiché però di
mestiere non faccio il sismologo né ho competenze in materia di
protezione civile, ma mi occupo di ammannire contenuti formativi,
preferisco parlare di ciò che so. E so che lo spettacolo blanchesco
di ieri sera non è stato triste solo per la cosa in sé (potremmo
citare perlomeno il ricco precedente dei Placebo nel 2001 o la goffa
galanteria di Al Bano nel 1999 che estirpò mezza aiuola dalla
scenografia per porgere un fiore alla presentatrice), ma per i
messaggi che esso veicola.
Ora,
il nostro [Riccardo Fabbriconi, in arte] Blanco, a fronte del
problemino con gli auricolari, non ha, come qualsiasi persona matura
(ha già 20 anni, remember) chiesto di interrompere l’esibizione,
aggiustare il guasto e riprendere. No. È andato avanti a distruggere il distruggibile con la risibile motivazione che “non funzionava
niente, non si poteva fermare [?] comunque mi sono divertito”. Che
il nostro Blanco non sia un mago della subordinazione era chiaro già
dall’anno scorso, quando le sue risposte nelle interviste non
superavano la reggente, una coordinata per asindeto, una risata,
un’espressione gergale (“siamo saliti sul palco abbiamo fatto i
felicioni”) e ciao. Ma del resto, si diceva, il suo mestiere è
cantare [accusa di spocchia da laureato in Lettere in arrivo tra
3...2...1...]. Certo. Poi è chiaro che una capacità di articolare
il pensiero dovrebbe essere spia di un’altrettanta capacità di
articolare i comportamenti. E, sapendo che nel periodo esistono una
reggente e le sue subordinate, si dovrebbe di conseguenza capire che
in una situazione formalizzata come il Sacro Festivàl non si può
fare quel che si vuole, ma esistono delle regole (certo, anche
Catilina subordinava benissimo, almeno a leggere i resoconti
sallustiani, e per poco non rovesciava il governo di Roma, ma
insomma).
Se
poi ieri sera la sua scarsità espressiva non ha mancato di
manifestarsi con quel “mi dispiace A tutti” ansimato a microfono
in gola, la vera scarsità da intorcinare le ime budella è stata
senza dubbio quella gestionale di [Amedeo Sebastiani, in arte]
Amadeus. Il quale, con la stessa espressione da “scusate, non so
fingere che sia tutto combinato” già impiegata nell’indimenticato
(pseudo-) alterco Bugo-Morgan di tre anni fa, non fa quello che ogni
adulto normosenziente avrebbe fatto, cioè afferrare Blanco per un
orecchio, trascinarlo giù dal palco, portarlo gentilmente fuori
dall’Ariston, caricarlo su un Boeing di sola andata per Albenga
urlandogli di non tornare mai più, risalire sul palco, scusarsi col
mondo intiero e offrire il capo alla (metaforica) ghigliottina di
giornali, Moige e social assortiti sperando in una (prevedibile)
assoluzione (“eri in buona fede, dai”). Macché: come certi
genitori schiavi dei capricci dei figli, anzitutto zittisce a più
riprese la platea inferocita (perché ovviamente il problema non è
Blanco che l’ha combinata, ma il pubblico che se l’è presa), si
rivolge con l’occhio umido a Blanco, gli chiede di spiegarsi,
Blanco non fa altro che aggravare la sua posizione a colpi di frasi
giustapposte una più imbarazzante dell’altra e poi arriva
subliminalmente la proposta di andare a rilassarsi un attimo in
camerino, “perché la canzone di Salmo bisogna sentirla, poi, se
vorrai, DOPO LA RICANTI”.
Certo.
Poi si passa, come si trattasse con un bambino cinquenne, a fare
l’esegesi dei fischi del pubblico, perché il ventenne Blanco (20
anni = diritto di voto = maturità) evidentemente non ci arriva da
solo: “Fischiano perché [anzi x’] non capiscono perché l’hai
fatto”. E Blanco cosa risponde? “No, li dovevo spaccare comunque”
e Amadeus subito a fargli eco asilo- style guardando in galleria: “Li
doveva spaccare comunque... perché, qual è il significato?”. Qui
Blanco poteva fare il Luigi Tenco 4.0, millantare crisi esistenziali
che manco Jean-Michel Basquiat, oppure denunciare i mali del mondo,
chiamare l’Occidente a raccolta contro la farina di grilli,
qualsiasi cosa E INVECE: “Il significato è che non andava la voce,
allora mi son detto mi diverto comunque [??]… tanto la musica è la
musica [???]….” più altri ragionamenti ugualmente
incomprensibili. La folla folleggia e Amadeus, in luogo di prendere
Blanco per un orecchio, trasformarsi in Rubber di One Piece e
con una sola torsione del braccio scaraventarlo direttamente a
Calvagese, scendere dal palco e farsi sostituire nella conduzione da
Dodò de L’Albero Azzurro, che fa?
Esige il silenzio dal pubblico, “magari non è stato bello quello
che avete visto e lo comprendo PERÒ siccome non ha funzionato niente
se vuoi torni dopo”. E Blanco: “Sì, dai, mi piace la musica”.
Del resto, chiosa Amadeus, povero cocco, era agitato e “gli è
partita la sciabbarabba”. No, caro [Amedeo Sebastiani, in arte]
Amadeus: prima che arrivino i soliti benaltristi a insabbiare il
tutto con frasi tipo: “vi scandalizzate per Blanco quando c’è di
peggio in giro”, diciamo subito CHIARO E NETTO che di [Riccardo
Fabbriconi, in arte] Blanco parliamo QUI E ORA e, consci di tutte le
tragedie dell’umanità in corso, esprimiamo il nostro assoluto
disgusto per la scenetta da bambino viziato andata in onda ieri e
soprattutto di come TU, assecondando l’andazzo che “i giovani
vanno capiti, se li sgridi si traumatizzano” che sta letteralmente
distruggendo la nostra società a partire dalla scuola, hai
minimizzato il tutto, forse anche con un occhio all’Auditel, agli
sponsor, ai diritti d’autore di Salmo, boh. Sarà la (super)star da
tenere buona a tutti i costi, ma di fronte a comportamenti incivili
come il suo non esistono attenuanti, altrimenti il messaggio che
passa ai giovani impressionabili è: “Visto che figo? Ha spaccato
tutto e lo hanno anche invitato a ricantare”. L’idea cioè che se
fai un po’ di caos tutto ti è perdonato perché, poverino, bisogna
capirti, che a 20 anni “sei ancora un ragazzo”, che in fin dei
conti “non hai fatto niente di grave”, che tutto ti è dovuto.
Poi – sempre POI- ci si straccia le vesti quando si assiste ad atti
di vandalismo assortiti, violenze di ogni tipo su cose & persone,
si organizzano pensose trasmissioni “su dove stiamo portando i
nostri giovani” e “chissà come mai siamo arrivati a questo
punto” quando la risposta è già lì. Ma ovviamente è sempre
colpa degli altri.
Raramente
abbiamo visto una simile prova di inciviltà giustificata, ma se c’è
qualcosa che ancor più ci indigna è il comportamento dei giornali
che riportano la notizia della Blancheide come fosse un dettaglio di
colore. Un unico articolo di condanna su Repubblica online è
sparito dopo che Blanco ha pubblicato il rap di scuse su Instagram;
per il resto, il nulla. Fosse accaduto nei Festivàl condotti da
[Giuseppe Raimondo Vittorio, in arte Pippo] Baudo, minimo ci
sarebbero state edizioni straordinarie con titoli a scatola [ORRORE
ALL’ARISTON] e richieste di ergastolo ostativo: tanto per dire, il
presunto aspirante suicida di Sanremo 1995 fu subito oggetto di
sarcasmo da parte dei giornali che pensarono immediatamente alla
montatura. Qui no, del Festivàl ormai si parla sempre e solo bene,
perché parlarne male non fa vendere le già poche copie che i
giornali riescono a piazzare. Altri tempi quando titoli come:
“Sanremo, va in onda la noia” erano pronti già un mese prima,
adesso un Festivàl che dal 2010 non si schioda dai 10-11 milioni di
spettatori a sera, che ai tempi di [Giuseppe Raimondo Vittorio, in
arte Pippo] Baudo sarebbe stato un ascolto fallimentare – e Sanremo
1995 non scese mai sotto i 15 milioni medi a sera - è sempre
celebrato come un trionfo perché invece dei numeri assoluti si è
deciso di considerare lo share. Il che non è certo un male, ma serve
a coprire l’emorragia di ascolti rispetto ai tempi d’oro. Ma chi
ne parla più? Ogni serata è un colpo di genio, sempre meglio
dell’anno prima, e i giornalisti snobboni – gli stessi di oggi–
che crocifiggevano [Giuseppe Raimondo Vittorio, in arte Pippo] Baudo
perché a Sanremo 1995 era finita ultima Patty Pravo con Giorgia
vincitrice, giornalisti che si vantano di aver dato del tu a De André
e di scambiarsi messaggi di buon Natale con De Gregori e Fossati,
oggi si spellano le mani ad applaudire i Coma_Cose, Madame [anch’essa
perdonata a furor di Spotify, “in fin dei conti cos’è un Green
pass falsificato…?”] e Tananai. Certo certo. Tengo famiglia. E
Blanco in fin dei conti è un ragazzo.
[ultima
nota ai benaltristi: prima di sentirmi chiedere – dopo tanto
pontificare- se anche noi della scuola non abbiamo da fare
autocritica, la risposta è ovviamente sì, ma le cause remote di
questi disastri – rassegnatevi – stanno altrove]