Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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giovedì 22 novembre 2012

Apologia, Critone, Fedone.....Sallusti? (Appunti di perduto pensiero democratico III).


Non è un periodo facile per il nostro sventurato Stivale: sembra che il destino si diverta a presentarci il conto di tutto il lassismo, i compromessi al ribasso, le facilonerie, gli atti di autentica incoscienza che siamo riusciti ad infilare come un rosario di bamboline voodoo nel corso di 65 anni di storia repubblicana. Diciamoci la verità: quando, fino a 23-25 anni fa, eravamo il baluardo dell'Occidente democratico in faccia all'Oriente comunista, ci si perdonava tutto. Bastava dare al resto d'Europa e agli Usa la garanzia che al timone del Paese ci sarebbe stata la Democrazia cristiana [con le frattagline social-democratico-liberal-repubblicane (e missine se proprio serviva, eh, Tambroni?)] e altri dettagliucci come l'instabilità perenne dei governi, l'intromissione sfacciata ed arrogante della politica in tutti gli appalti che andassero dalla cuccia del cane in su, i ritardi nella legislazione sociale, l'incapacità di sbarrare il passo alla criminalità organizzata costituitasi come anti-Stato al sud, insomma, tutto passava in cavalleria. Eravamo i paciocconi mediterranei, affidabili come le attuali Fiat Punto Evo, cialtroni, voltagabbana, ammiccanti con il medioriente, PERO' dai, figuriamoci se saremmo mai finiti in braccio ai sovietici. Alla fin delle finite, almeno su quello si poteva contare su di noi. Il resto era affar nostro. ["Sì, ma Sallusti?". Momento....]
Quando però il serratissimo meccanismo dell'Europa unita ha preso ad accelerare dopo il crollo del Muro di Berlino, ecco che un sistema che si credeva immutabile come le rughe di Ornella Vanoni è venuto giù come un castello di carte. L'Italia bonacciona e bonacciosa che andava bene fino a due giorni prima d'un colpo si scoprì scavalcata dalla Storia. Nessuno, dentro e fuori, fu più disposto ad accettare l'andazzo fin lì consolidatosi, venutene meno le ragioni storico-politico-tattiche. Tangentopoli, si sa....Crollato il regime democristiano, con i suoi tragici contrappesi che lo hanno reso sommamente detestabile e sommamente benefico nella nostra memoria della Guerra fredda, due regimi parimenti armati si sono ringhiosamente contesi l'arena lasciata vuota dalla Balena bianca: ["Sì, ma Sallusti?". Momento...]: da una parte, l'armata radical-chic ed elitaria dei partiti di sinistra, vicini alla ggente a parole, convinti in realtà che la cultura separi, in termini di diginità umana,  i "migliori" dai "peggiori", ben addentellata con i settori più influenti della società (università, magistratura, enti teatrali, redazioni giornalistiche, ecc.); dall'altra, la corazzata mediatica attorno a cui si è andato agglutinando il movimento politico di Berlusconi, le reti Mediaset e la stampa dei periodici Mondadori, ovvero i catalizzatori di un messaggio etico ed esistenziale incentrato sul consumismo edonista, sul primato dell'esteriorità, sulla ricchezza esibita come unico termometro del valore individuale. Se pure queste due parrocchie politiche non potevano essere più distanti tra loro dal punto di vista ideologico (cultura alta vs cultura pop, per dire, ma in realtà non vuol dir nulla), entrambe puntavano sull'uso dei mezzi di informazione come strumento di distorsione e propaganda faziosa atto a dare dell'altra parte politica non l'immagine, democraticamente ineccepibile, di "avversari", ma piuttosto quella dei nemici da abbattere, dell'incarnazione del Male assoluto da estirpare per il bene dell'Italia anzitutto, ma in generale a vantaggio dell'umanità intera. La cosa peraltro non ha costituito gran problema, essendo che la divulgazione informativa e culturale italiana è stata serva sin dai suoi albori, mai libera di dialogare col potere dominante, ma accucciata ai suoi piedi in cerca di prebende & protezione. ["Uffa, quando arriva Sallusti????".  Momento...].
Bisogna dire che le due parti di colpi bassi se ne sono scambiati assai, e volentieri. Tanto per dirne due, e lontani tra loro  così da capire quanto è durata questa ridda: l'avviso di garanzia a Berlusconi nel 1994, quando presiedeva a Napoli un vertice internazionale sulla criminalità, fu curiosamente anticipato dal Corriere della Sera; nel 2006 il Giornale  del fu Montanelli pubblicò MALIZIOSAMENTE  il testo di un'intercettazione in cui l'allora segretario di DS Piero Fassino gongolava come uno scheletro avvinazzato alla notizia della scalata di Consorte ad Unipol, cosa che avrebbe fatto "avere una banca" tutta sua al maggior partito della sinistra italiana.
E' chiaro che gli esempi si potrebbero sprecare, ma certo, se in epoca tangentopolizia chi temeva di finire nel registro degli indagati non doveva far altro che telefonare alla redazione di Repubblica e avrebbe avuto risposta, in epoche recenti sono i giornali di area PDL ad aver perfezionato un sistema di sputtanamento mediatico raffinato, benché non nuovo in un Paese come il nostro che sugli scandali ad orologeria campa da quei lontani giorni. Parlo evidentemente della cosiddetta "macchina del fango", altresì intesa come la scientifica creazione del "caso" in cui far precipitare colui che in quel momento assume posizioni eterodosse rispetto alla vulgata pidiellizia. Ecco che il direttore di Avvenire Dino Boffo finisce in odor di molestia sessuale dopo aver criticato la politica governativa nella gestione dell'esodo degli immigrati africani sulle nostre coste; ecco che Gianfranco l'Apostata Fini, uscito sbattrendo la porta da un partito in cui non ha mai creduto, scopre di aver case intestate al suo ex partito e abitate da cognati ad alto tasso di fighetteria; persino uno dei prodotti più puramente Mediaset della storia umana, Ambra Angiolini, si vede infamata sul settimanale Chi, con sospetto di corna rifilate al marito Francesco Ho Inghiottito Un Richiamo Per Anatre Da Piccolo Renga. Motivo? In pieno clima di scandali olgettinidi, Ambra aveva gridato al mondo intiero la sua indignazione per l'immagine degradante che veniva data delle ragazze coinvolte nelle vicende da Ruby in giù. Proprio una che ha cominciato la carriera come lolita di Non è la rai? Ecco pronto il servizietto fotografico signorinico, come dire: "Guai a chi critica, avete tutti il vostro bravo scheletro nell'armadio", che è poi la sintesi del relativismo costanzian- defilippico da noi ampiamente analizzato nei post ad hoc: tutti hanno la loro brava trave nell'occhio, non esiste la moralità condivisa, ciascuno viva per sé e lasci in pace gli altri.
Già. E così si pensava di arginare il crollo. Nel PDL, dico. La tattica di stornare sempre il discorso su altro, messa in atto in tutti i talk show, azzerava il dialogo. Alla prima accusa mossa a Berlusconi, ecco scattare la replica: "Ma guardatevi voi!". Il che, peraltro, è l'esatto simmetrico di ciò che si faceva in epoca di pensiero comunista dominante, quando ogni minimo appunto al Verbo Rosso era causa di scomuniche basate anzitutto sulla squalifica personale dell'interlocutore come individuo non umanamente degno di partecipare ad un dialogo che si voleva democratico, a patto che tutti la pensassero allo stesso modo. Dico cioè che, nella lunga bonaccia della Seconda Repubblica che va, pare, a morire (e temo per la Terza), chi critica cade, chi si adegua gode. Come nella Prima. Siamo cioé sempre lì, anche se cambiano i gestori della cultura dominante.
E Sallusti, insomma? Eccoci: l'attuale direttore del Giornale, all'epoca direttore di Libero,  ma interscambiatosi lepidamente con Vittorio Feltri alla guida di ambo i quotidiani,  sta rischiando (o forse non più) la galera per "omesso controllo" su un articolo di svariati millenni fa, uscito su Libero senza firma e ora scoperto essere frutto dell'agile e spionistica penna di Renato Farina, articolo che sparava a zero su un magistrato che avrebbe imposto un aborto coattivo a una tredicenne incinta, in ciò seguendo la volontà dei genitori di lei; l'articolo si chiudeva con la sobria richiesta della pena di morte per genitori e giudice; il magistrato ha sporto denuncia per diffamazione, però il colpevole è risultato non l'articolista, all'epoca anonimo, ma il direttore che doveva controllare la bomba; ergo l'articolista, oggi deputato e quindi un filino più immune del suo ex direttore, può dormire tra due guanciali, l'ex direttore, già ampiamente simile al tenente Kojak con una spruzzatina di Frankenstein, mostra da mesi ormai vistose occhiaie da notti insonni, agitate evidentemente dallo spettro del gabbio.

Credo che il commento alla vicenda sgorghi automatico da tutta la ricostruzione sin qui eseguita: laddove la magistratura ha, diciamo così, riservato una certa accorata attenzione agli affari di Berlusconi, indagandolo con sollecita puntualità a partire da dieci minuti dopo la sua discesa in campo nel 1993, la risposta a colpi di clava di Berlusconi medesimo e di tutto il suo entourage (giornali compresi) è stata un attacco a TUTTA la magistratura, rossa e politicizzata, impegnata a realizzare un progetto eversivo della libera democrazia. Chiaro quindi che anche vicende (sia detto con ogni pietà umana per la ragazzina di allora) che avrebbero avuto una risonanza pressoché nulla al di fuori delle cronache locali, avendo per protagonisti magistrati ritenuti un po' intraprendenti possono facilmente essere sbattute in prima pagina per alimentare un certo tipo di polemica. Pare però che Sallusti stavolta abbia toppato.
Resta assodato che mondo politico e giornalisti sono ai ferri corti: in Parlamento sta passando una legge anti-diffamazione che prevede al momento persino il carcere per giornalisti colpevoli di propalazione di notizie false & ingiuriose, salvo che si sta nel contempo provvedendo ad una norma salva-Sallusti che creerebbe la figura alquanto anomala del "direttore  irresponsabile" ,sollevando quindi il predetto dalla colpa per ciò che si è sfarinato sul suo quotidiano quel dì. Dicono poi che solo Guareschi nel 1948 e Jannuzzi molto più di recente sono finiti dentro per un reato simil-sallustico. Quindi perché infierire?

Se pure Sallusti ha ribadito in tutte le lingue e principali  dialetti (persino il santanchese) di non volerne sapere di provvedimenti ad personam e di preferire piuttosto la galera, vedrei nell'ambiguità della politica che agita mazze ferrate e pannicelli all'olio di lino l'inevitabile sbocco di un triste pregresso.
Dicasi: MAI, ripeto MAI in una democrazia libera e "normale" si dovrà vedere un giornalista finire dietro le sbarre per errori, omissioni o diffamazioni. Gli si commini una pena pecuniaria memorabile ed esemplare, ma MAI i giornalisti dovranno subire la deterrenza della minaccia carceraria, poiché pochissimi  avranno il coraggio di fare inchieste, denunce o approfondimenti sentendo pendere su di sé la cigolante spada di Damocle della prigionia. L'informazione giornalistica è la linfa della democrazia, poiché permette lo scambio delle idee e delle informazioni, ovvero tiene attivo il sistema circolatorio della sana convivenza civile. Se le cose non si sanno, non si sa come agire. Se non si scopre l'esistenza o anche solo l'ipotesi di un altro mondo possibile rispetto a quello in cui si vive, non si lotterà mai per cambiare. Il giornalismo è quindi professione nobile, ma rischiosa ove si prendano gravi cantonate. Si puniscano quelle, però, ma senza minacciare indirettamente chi sbagli non li fa (chissà perché mi pare di parlare della categoria degli insegnanti....).
E però l'occhio attento dell'uomo di mondo sa che il caso Sallusti va oltre questo nobil ciarlare di basi democratiche: il signor Santanché va in giro per talk show, quasi esclusivamente su La7 peraltro, a gridare la sua innocenza e a dichiararsi vittima di un perverso meccanismo da cui sarebbero immuni altri direttori ben più querelati di lui. 2411 anni dopo il processo e la condanna di Socrate, saremmo dunque davanti ad un nuovo, clamoroso caso di giustizia, se non compiutamente omicida, di certo liberticida.
E' l'Italia, signori, altro che Atene dopo la guerra del Peloponneso. Cioè: la Storia, questo bizzoso risultato delle follie umane, ha di nuovo drammaticamente accelerato negli ultimi 5-10 anni, giacché, mentre noi qui in Italia si stava a sdilinquirsi nello scontro tra destra populista e telementecatta e sinistra nostalgica e racchiusa nel fortino della Verità, l'economia diventava il vero perno attorno a cui si decidono i destini della collettività. Il governo di Berlusconi non ha saputo promuovere una politica economica seria, a causa tra l'altro della zavorra costituita dall'ideologia socialmente egoistica e particularistica della Lega, ed è franato. Con lui cominciano ora a cadere i suoi più acritici fiancheggiatori. Sallusti, rimembratelo bene, fu tra i primi ad inaugurare una nuova strategia di confronto mediatico degli uomini di destra contro quelli di sinistra. Fino a qualche anno fra, in tutti i talk show non c'era storia: D'Alema, Folena, persino la Melandri mettevano sempre nel sacco i loro interlocutori, facendo aggio sulla pluridecennale esperienza comunista delle Frattocchie, la scuola di partito da cui si usciva perfettamente corredati di facce, aplomb, dialettica sofistica per risultare sempre più convincenti nei dibattiti. Poi anche gli uomini della destra devono aver seguito qualche corso di strategia della comunicazione, poiché hanno imparato a loro volta una tecnica standard fatta, s'è detto, di aggressività togliparola, accuse di incoerenza, messa sistematica in dubbio delle parole dell'avversario. Sallusti, appunto, fu tra i primi a dare sfoggio di queste nuove robotiche abilità, facendo uscire dai gangheri nientemeno che D'Alema. Oggi la prima testa che rischia di rotolare pesantemente per andare a costituire il falò delle occasioni perdute della moribonda Seconda Repubblica è proprio la sua. Lo dico apertamente (so' anonimo, che mme frega....): questo spettro di galera per il direttore del Giornale mi sa tanto di atto primo di una serie di regolamenti di conti che rimbomberà possente quando, con la prossima legislatura, verosimilmente il PDL cesserà di essere forza di maggioranza. Di nuovo, come in tutti i fragorosi cambi di regime della nostra storia, la rappresaglia dei nuovi padroni farà strage di chi stava coi vecchi (sarà poi interessante contare i cambi di gabbana, altra  nostra specialità nazionale). Incriminare Sallusti per un articolo legato ad un fatto da novella naturalista francese del XVIII secolo è un avvertimento chiaro. Del resto, si dirà, il signor Santanché se l'è pure un po' cercata. E così tutti hanno la loro parte di ragione. Ma infatti è qui il sugo esemplare della vicenda: Socrate, nel 399 a.C., fece da capro espiatorio per un'intera cittadinanza che, umiliata da una guerra perduta contro Sparta e avvelenatasi nelle continue rappresaglie tra aristocratici e democratici, aveva raggiunto una tregua formale con l'amnistia, ma non aveva del tutto espulso i germi del malessere dal suo corpo; quale vittima migliore di questo strambo pensatore che predicava per strada e con la sua filosofia metteva in crisi gli schemi di pensiero tradizionali? Ecco, con tutto il rispetto, non è il caso di Sallusti: questo direttore di giornale non è vittima super partes di un folle meccanismo politico assetato di sacrifici simbolici; semmai paga (duole sospettarlo) pegno a una troppo radicata abitudine della società e della stampa italiana: la partigianeria.

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