Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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venerdì 30 novembre 2012

Vuoi vedere che mi legge? (Sallustiana again)

UPDATE DELL' 1/12: L'HANNO MESSO DENTRO. PENSA A VEDERE LA MORTE IN DIRETTA DI SOCRATE ALL'EPOCA, CHE AUDIENCE....


E' bastato tirare in ballo il processo a Socrate e lo sventurato Sallusti s'è adeguato (mi leggono, mi leggono!): oggi pomeriggio, presso la redazione del Giornale, s'è svolta una (comprensibilmente) tesa conferenza stampa, mattatore Alessandro Sallusti, sparring partner il sempre confettoso Nicola Porro, promosso sul campo direttore vicario in attesa di capire cosa accadrà al capo.
L'Alessandro, come potete vedere, ha ribadito le cose che ha sempre sostenuto, ritenendo aberrante di venire condannato a 14 mesi di detenzione per una mancata smentita riguardo ad un articolo che lui non aveva nemmeno letto prima che andasse in stampa, senza avere neppure i mezzi per effettuare la rettifica. Resta sempre a mio giudizio esilarante, pur in cotanta tragedia, che colui che ha vergato il pezzo incriminato segga beatamente incolume sugli scranni di Montecitorio: Renato Farina, alias Dreyfus (così si firmò a fondo di quell'articolo), o Betulla (questo il suo nome in codice quando faceva lo spione per conto della CIA) è stato citato da Sallusti più volte durante il monologo, e credo di aver colto una velatissima rimostranza da parte del povero condannato nei confronti della causa della sua sciagura. Non so, per quanto sembrassero riferimenti tangenziali, il mio orecchio abituato alle doppiezza dell'italico idioma ha sentito distintamente questa retro-frase: "Renato, quand'è che ti decidi a prendere le tue responsabilità e venire a farti versare l'olio bollente sulle chiappe qui al posto  mio? Hai davvero il coraggio di fare il deputatino intangibile mentre io affronto il gabbio per causa tua?". Ma si sa, i tribuni della plebe hanno sempre goduto della sacrosanctitas, l'iniviolabilità della persona, che in tempi nostri era diventata immunità parlamentare per deputati e senatori, poi cancellata, ma pure qualche minimo schermo contro l'adunco artiglio della Legge i parlamentari se lo sono tenuto.
Fatto sta che, con vena polemica appena imbrezzolita da subitanei tremolii della voce, Sallusti ha raggiunto vette di senso civico che neanche Socrate. Rivediamo i termini del confronto: qualche annetto fa, Socrate fu incriminato per aver corrotto i costumi della gioventù ateniese, nonché per aver introdotto nuovi ed anomali culti religiosi in città, il tutto con grave nocumento dello spirito collettivo, prova ne era stata la fragorosa sconfittta nella guerra contro Sparta. Dopo una vana autodifesa davanti ad un tribunale che aveva già deciso, Socrate accetta l'ingiusto verdetto e, di fronte agli amici che avevano sborsato tonnellate di  Gratta e vinci per corrompere le guardie del carcere e consentire al maestro di scappare, declina gentilmente l'offerta con il seguente ragionamento: per quanto l'accusa contro di me abbia la consistenza di un pezzo di feta macerato nel vino, io non posso fuggire, perché in tal modo trasgredirei le leggi della mia città, che probabilmente mi farebbero bau giusto mentre sto per uscire dai suoi confini, rinfacciandomi di averle tradite dopo che alla loro ombra ero cresciuto. Preferisco morire piuttosto che stuprare le mie stesse Leggi. E giù cicuta.
Ecco, Sallusti si è prodotto in una performance analoga: guai a chi pensa che io, direttore di cotanto Giornale, accetti di beneficiare della norma che presso l'opinione pubblica è già stata ribattezzata "salva-Sallusti"; non avrei mai il coraggio di stare agli arresti domiciliari, approfittando del decreto svuota-carceri,laddove circa 6000 persone nella mia stessa condizione giuridica stanno schiacciate le une contro le altre nelle comode carceri italiane. Piuttosto che fare la figura del privilegiato, attendo che i carabinieri mi traducano a San Vittore. A chi osservasse che non posso rifiutare gli arresti domiciliari, dico che la colpa è tutta di quei pasticcioni dei magistrati, capeggiati da quel comunistone di Bruti Liberati, che hanno applicato una legge assurda. Dirò di più: trasgredirò di mia volontà la condanna agli arresti domiciliari recandomi qui al Giornale al lavoro, finché non mi porteranno in carcere. Evaderò sì, ma non per rifugiarmi chissà dove, bensì per dimostrare che non voglio contentini o leggi eccezionali solo per me, ma a questo punto preferisco il carcere vero, che però sarà la prova della vostra incapacità di uomini di legge di impedire un autentico sopruso. Sono io che vi chiedo di farmi cadere dalla padella nella brace. Non mi basta la cicuta, voglio che mi facciate a pezzi.
Si nota insomma che, se già poteva suonare paradossale che Socrate giurasse fedeltà a leggi obiettivamente ingiuste (o perlomeno ingiustamente applicate), Sallusti stira ulteriormente gli elastici della logica e dichiara di voler risultare fuorilegge per vedersi applicare un'altra legge peggio di quella di cui è vittima. Certo, non avendo nessuno di noi assisitito in diretta al dialogo tra Socrate e i suoi discepoli, non possiamo cogliere quanta eventuale carica di polemica ironia potessse trasparire dal volto del filosofo mentre dichiarava quanto sappiamo. Resta inteso che Sallusti sta finendo immolato per il fatto di aver fatto parte di un ingranaggio mediatico più grande di lui, che doveva essere funzionale ad una macchina propagandistica in grado di mettere all'angolo con ogni mezzo gli avversari. Credo tuttavia che anche in questo caso si debba andare oltre, e infatti mi produrrò ora in una generosa richiesta spirante civismo.

[Roma. Piazza del Foro. La folla riunita per la provocatio ad populum di Alexander Sallustius Diurnalis (sulla provocatio, leggete qui). Sale sulla tribuna C. Aloisius Demarinius. Silenzio.]

Aloisius: Cittadini qui riuniti, assetati di quella giustizia che solo le leggi consentono di garantire, difendendo i piccoli dagli appetiti dei grandi, avete qui davanti un uomo, di più, un giornalista che si rivolge a voi, chiedendovi di impedire che lo stivale del diritto secondo lui corrotto calpesti fino in fondo la sua dignità. Avete udito le sue parole, avete dedotto la linea della sua difesa, avete raccolto in capienti ampolle ogni singhiozzo della sua voce e ora vi chiedete cosa fare. Non sarò io a condizionarvi, ma penso che i fatti dell'oggi siano i mattoni del domani. Ebbene, lasciandovi interrogare le vostre coscienze, mi rivolgo a coloro di voi che condividono con il qui presente Alexander il mestiere di giornalista, meglio ancora di direttore di giornale. Orbene, miei ottimi auditori, riconoscendo l'astrusa spinosità del caso in questione, essendo in vista le elezioni consolari di primavera, mi rivolgo a voi con una preghiera che dovete considerare provenga dal cuore stesso della Nazione: basta coi direttori di giornale che fanno le veci dei politici e vanno nei talk show a litigare coi politici veri come se fossero membri di partito. Legittimo è che un giornale si schieri politicamente con una fazione; insostenibile è che il direttore del medesimo ne sposi a tal punto le idee da diventarne non più solo il veicolo, ma addirittura il megafono. Al giornalista, anche al più invasato, si chiede perlomeno un minimo di obiettività nel saper giudicare, anche quando i rappresentanti della propria parte sbagliano. Difendere l'indifendibile e attaccare sempre unidirezionalmente l'avversario non è un vero servizio che si rende al partito di riferimento. Basta quindi coi Sallusti, coi Feltri, coi Sechi, coi Padellaro, coi Giannini, con le Concite che vanno in tivvù non a fare informazione, ma propaganda, non vanno per discutere, ma per seminare idee senza replica, non vogliono contribuire al dibattito, ma solo polverizzare l'interlocutore. Basta. State nelle vostre redazioni e salvate quel minimo di impressione di terzietà che dovrebbe traspirare anche dal giornale più smaccatamente schierato. E ancora: posto che tutti i cittadini italiani hanno il diritto all'elettorato attivo e passivo, cari giornalisti e direttori di giornali, avendo voi svolto una professione che doveva accreditarvi di una certa superpartezza, evitate di candidarvi in politica. Sono tempi in cui politica ed informazione non devono andare a letto insieme, poiché dalla loro unione promiscua nascono solo i regimi. I politici facciano, gli informatori informino e giudichino, ma il politico non entri in redazione, l'informatore non entri in Parlamento se non per raccogliere notizie. Fateci vedere, una volta tanto, che le idee non devono nascere per forza già a rimorchio di qualche segreteria. E tu, Alexander [si volta alla propria sinistra, Alexander alza stentatamente il capo], prega Giove che il tuo esempio sia da monito per costoro: chi coltiva la propria giustizia, pensando che essa debba valere per tutti, prima poi cade nella rete della giustizia degli altri. [Esce. Sipario].    

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