Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



Per scaricare il poliziesco pentadimensionale I delitti di casa Sommersmith, andate qui!!!

martedì 20 novembre 2012

Sogni di un Quirinale condiviso (appunti di perduto pensiero democratico - II)

Vorrei immaginarmi, in una delle dorate e sberluccianti stanzette del nostro Palazzo Della Presidenza -già Reggia Dei Papi Fino A Pio IX, appeso alla parete un calendario come quelli che ti regalano le banche a capodanno, fatto con quella carta/cartoncino traslucida e discretamente puteolente su cui si riesce a scrivere qualcosa solo calcando pesantemente la mano. Ebbene, da circa un anno quel pratico calendario è segnato ogni giorno con tocco rabbioso e insieme tremante, nel senso che su ogni data è impressa una crociona, come il conto alla rovescia che fanno i soldati quanto sentono avvicinarsi la fine della naja. L'unico dettaglio è che non siamo sotto naja e non ci sono soldati: l'autore delle crocione sul calendario è il nostro quasi ex-presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale, nell'ultimo anno, avrà cordialmente maledetto almeno dodici volte al giorno il fatto di essere stato innalzato ai fasti quirinalizi sei anni fa. Non dev'essere stato per nulla facile gestire i turbinosi giorni dello spread dell'ottobre 2011, litigare con Berlusconi, scegliere Monti, fornire puntelli & stampelle all'azione del governo tecnico anche nei momenti più impopolari e gaffeggianti (IMU, esodati, 24 ore degli insegnanti, ragazzi choosy, Ilva di Taranto brucia se puoi, ecc.). Ricordiamo che il Compagno Gio ha fatto il filotto delle 86 primavere, e che primavere: robusta militanza comunista prima, bagnetto di candeggina nel PDS poi, ministro dell'Interno, senatore a vita, gli è toccato assistere al crollo di casa sua (la climax discendente Berlinguer- Natta-Occhetto- D'Alema- Fassino-Veltroni-Franceschini-Bersani- RENZI!?!?!?!?), nel frattempo, in mancanza di chiunque altro lo hanno pure eletto Presidente Italico.
Già. Dirò che le ultime mosse di Napolitano, da Monti in giù, hanno indubbiamente rivelato una capacità d'azione e uno spirito d'iniziativa che non mi sarei aspettato in un pacato ex-comunista con in mira un ospizio per abbienti sulla Mergellina. Plaudo senza dubbio. Ma non scordo come siamo giunti a quirinalizzarlo e tremo parimenti all'idea che una qualsiasi delle pazzoidi riforme costituzionali che i nostri parlamentari possano sfornare oggi o chissà quando preveda l'elezione diretta del Capo dello Stato. Non ho nulla in contrario alla procedura in sé; rabbrividisco se la penso applicata in un Paese come il nostro. Vado semplificando:
A) E' pura follia osare solo lontanamente immaginare quale Parlamento nascerà dalle elezioni del 10 marzo. Certo, quale che sia l'esito del voto, l'Italia ha bisogno di uscire da una troppo lunga stagione di odio politico, polarizzata attorno al binomio Berlusconi-Resto del mondo. Dal 1994 ad oggi abbiamo visto riversarsi in TV e nelle piazze fiumi di lava e fango che hanno mostrato il degrado della convivenza civile in un Paese dove ormai la militanza politica è ridotta a tifoseria, la partigianeria acceca di fronte all'evidenza oggettiva dei fatti, il sofisma dialettico e il colpo di clava si alternano con voluttà per uccidere sul nascere qualsiasi dibattito serio. Serve indubbiamente un salto in avanti in fatto di maturità, in primis da parte dei nostri politici. Tale maturità, se prima del 1992 poteva dirsi formalmente esibita nelle aule romane e sotanzialmente affossata dalla partitocrazia ai quattro angoli dello Stivale, è definitivamente scomparsa con lo scoppio dello scandalo di Tangentopoli e il conseguente sommovimento del quadro politico nazionale. Se c'è infatti almeno un momento in cui un Parlamento, anche se diviso dalle barricate ideologiche più spesse, può mostrare a se stesso e agli elettori cosa voglia dire rappresentare una nazione, è l'elezione del Presidente della Repubblica. Dal 1948 al 1985, quando l'Italia era percorsa trasversalmente dall'opposizione tra Democrazia Cristiana e PCI, anche nello ore più buie, anche dopo estenuanti tornate di scrutini senza esito, e dopo trattative- fiume sottobanco e in case private, uno straccio di Presidente che ottenesse una maggioranza decentemente numerosa di votanti si è sempre trovato. Per Gronchi e Saragat, seppure dopo giravolte indescrivibili; per Leone, eletto praticamente a Capodanno; per Pertini, salito al Quirinale nell'anno del sequestro Moro e del quasi- impeachment del suo predecessore. Tacendo di Einaudi e Cossiga, giunti al traguardo al primo colpo e con una signora maggioranza.
Insomma, in qualche modo una figura che, almeno numericamente, potesse essere rappresentativa dell'Italia tutta saltava fuori. In modo, tutto sommato, ordinario. Ecco, da 20 anni non è più così, ed è qui che io colgo uno dei segni più gravi di squinternamento della nostra classe politica: nel 1992 Scalfaro fu eletto in tutta fretta dal sabato al lunedì, perché il 23 maggio, mentre a Roma ci si beava nelle votazioni senza sbocco, a Palermo la mafia uccideva Giovanni Falcone con una trappola al tritolo più adatta ad un convoglio di tank sovietici in Afghanistan. Certo, Scalfaro si infornò l'ottima cifra di 672 voti (vado a memoria, ma siamo lì), però, come giustamente scrisse Montanelli, più dei mille grandi elettori avevano contato i mille chili di tritolo su cui era saltato in aria Falcone. Diversamente, politici appena eletti ad Aprile, col terremoto tangentopolizio solo agli inizi, avrebbero continuato a farsi beffe di un Paese che ormai non credeva più in loro. Invece, come bambini che hanno rotto il vetro con la palla, hanno di colpo fatto i bravi.
1999: in un'Italia fresca di ingresso nell'Euro, ancora agitata dalla guerra in Kosovo, guidata da un governo di centrosinistra nato da una complicata operazione di chirurgia parlamentare (via Prodi, fuori Bertinotti, dentro D'Alema e l'UDR, manipolo di fuggiaschi ex berlusconidi), non ci si riesce ad accordare sul nome del successore di Scalfaro (che pure aveva lasciato balenare l'ipotesi di farsi rieleggere, ma tutti finsero di non sentire). Tanto profondo è il solco tra un centrosinistra perennemente in cerca di baricentro e un centrodestra che stava riallacciando i rapporti con la Lega Nord, che non si riesce a spremere UN nome, uno solo su cui far convergere i voti del Parlamento. In compenso erano tutti a "Porta a Porta" a disquisire di "scenari". Poi, consci di essere ad un passo dal ridicolo più irreparabile, ecco l'idea: mettiamo un tecnico, magari uno che gode di stima e che a fare il tecnico ci sguazza. Ciampi, per dire, Presidente del Consiglio (tecnico) prima di Berlusconi nel 1993, ministro dell'Economia (tecnico) con Prodi, massì perché no? Giù voti, anche qui abbondanti. E le prime interviste dopo l'elezione... Parlamentari di tutti gli schieramenti che si fregano le mani compiaciuti, fieri di aver dato al Paese un nuovo inquilino del Quirinale, ma sopratutto "finalmente abbiamo scelto una persona trasparente, fuori dalle logiche partitiche, uno FUORI DAL PALAZZO!!!". Prego? Siete lì dentro in 945, oltre ai senatori a vita, tra di voi non siete riusciti ad accordarvi su UN nome e adesso menate vanto di aver preso un esterno? E poi cosa vuol dire "fuori dal Palazzo"? E' l'ammissione neanche tanto implicita che DENTRO al Palazzo siete tutti così marci e compromessi da non poter esprimere nemmeno un candidato alla presidenza della Repubblica? Ma per cosa vi abbiamo eletto?
2006: l'Unione di Centrosinistra (altresì detta: "Basta che tu sia contro il Cavaliere che ti prendiamo a bordo") vince le elezioni, garantendosi una comoda maggioranza alla Camera e uno stillicidio di margine al Senato, comunque i numeri sono suoi, il diritto di esprimere il successore di Ciampi pure. Al centrodestra resta solo l'acre gusto del dispetto di dire NO a tutti i  nomi proposti. Finché, anche qui per evitare il ludibrio, salta fuori il nome di Napolitano. Berlusconi e i suoi, giusto per non fare la figura degli sfasciacarrozze ad inizio legislatura, accettano, ma non partecipano al voto ("MAI voteremo un comunista, MAI!!!"). Risultato: Napolitano è eletto con una ridicola maggioranza di 543 voti o giù di lì, appena al di sopra della decenza. . 
Insomma, al di là dell'operato dei singoli, sono 20 anni che non riusciamo ad eleggere un Presidente in condizioni numeriche e politiche di ordinarietà. Ciò è la spia di una classe politica disordinata e confusa, radicata in un sistema-Paese ancor più scombussolato. Possiamo solo sperare che il prossimo Parlamento sia baciato dalla saggezza civile e proponga di nuovo un uomo di profilo politico che catalizzi attorno a sé non meno di 650 voti.
B) Chiunque sia costui, verrà comunque eletto dalle Camere riunite in seduta congiunta. Spero assai che non sia questa l'ultima volta, che cioé non ci troviamo poi a vederci votata una riforma costituzionale che correga in senso (semi-) presidenziale la forma della nostra Repubblica. In Francia, negli USA, in Sudamerica quel sistema viaggia eccellentemente. Da noi sarebbe un' ulteriore fonte di traumi.
Il perché è presto detto: l'elezione presidenziale comporta che il vincitore sia riuscito ad accalappiare i voti dei cittadini, che sono voti estremamente "personali", frutto di un rapporto diretto con la base elettorale, sì che il Presidente può sentirsi davvero "eletto dal popolo", o perlomeno da una certa maggioranza di esso. La qual cosa conferisce a questi capi di Stato l'aria di uomini che hanno saputo "ottenere la fiducia" direttamente dagli elettori, senza intermediazioni, ciò che quindi rende lecite iniziative politiche che la notarile figura del Presidente italiano può solo sognare. Il Presidente, però, una volta eletto, è conscio di essere il Presidente di tutti, anche di quelli che non l'hanno votato. A parte dunque l'ovvio (per così dire) spoil system che porta ai posti di governo persone politicamente vicine a lui, non si concepisce che il neo-eletto agisca solo a favore di chi l'ha votato, scatenando rappresaglie contro gli altri; egli ormai è il Paese incarnato. Non riuscirà mai ad accontentare tutti, perché in politica ciò è impossibile, ma almeno farà in modo da non agire per scontentare scientemente qualcuno. In più, posto pure che i voti popolari siano voti diretti alla persona, il Presidente non ne è vincolato al punto da rendersi ricattabile. Vero è che ciò non mette del tutto al sicuro i sistemi presidenziali da scandali legati a finanziamenti/pacchetti di voti garantiti dai "grandi elettori", da ricambiare con appoggi e provvedimenti di legge ad hoc, però ciò rientra nella "normale" difettosità della democrazia. Provate però ad immaginarvi un sistema presidenziale qui da noi: se un membro del consiglio regionale lombardo faceva shopping di voti della 'ndrangheta a 400 euro l'uno, cosa succederebbe al momento di una campagna elettorale presidenziale? Quali lobby scenderebbero in campo? Quali "poteri forti" si spenderebbero a garantire appoggi numerici, salvo poi presentare il conto, ovviamente salatissimo, dieci minuti dopo l'insediamento?  E quali e quante sarebbero le azioni punitive nei confronti degli elettori dell'altro sfidante?
Credo insomma che il metodo elettivo attuale, pur con le sue orribili farraginosità, sia il meno peggio. I nostri Padri costituenti, del resto, l'avevano messo a punto con cognizione di causa: reduci da un ventennio di dittatura (o "Stato forte", come usa dire) in cui un uomo solo aveva preso il potere e l'aveva mantenuto poggiandosi su un carisma personale oggi incomprensibile, ma all'epoca efficacissimo, la loro idea fu chiara: fare in modo che il Capo dello Stato non rappresentasse una parte degli elettori, ma fosse espressione di  coloro che rappresentavano l'elettorato, cioé appunto deputati e senatori; in tal modo si evitava il rischio di una eccessiva personalizzazione (ergo polarizzazione) del rapporto tra Presidente e cittadini, in più, dovendosi procedere ad un'elezione che richiedeva una certa maggioranza, si auspicava che i numeri convergenti sul nome del Presidente provenissero da più settori del Parlamento, esprimendo così formalmente (transitivamente) la volontà di una larga maggioranza della nazione. Il "filtro" della votazione parlamentare, insomma, garantiva l'elezione di una figura super partes e ben accetta agli elettori, o a gran parte. Visto com'è l'Italia oggi, che è poi l'Italia di ieri in versione 2.0 LOL, spero che questo sistema rimanga. Non è un problema di contenitore, ma di contenuti. E su quelli mi taccio.

2 commenti:

  1. E' sempre un piacere leggerti, pura goduria a piu' livelli. Inoltre sono sulla tua stessa linea di pensiero e condivido pienamente quanto dici. Complimenti per la ricostruzione storica della politica degli ultimi decenni e per il tuo humor.

    RispondiElimina