Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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martedì 22 gennaio 2013

De fuga (contumace memoriale per Fabrizio Corona)

Quando ho trasportato dal profilo FB a qui le note sul bimbominkismo e su Mariah Phillips, non ho fatto lo stesso col ritratto di Fabrizio Corona, ritenendo ormai costui mediaticamente ed esistenzialmente decotto.

Poi apro il televisore (come diceva Mike Bongiorno) e scopro non tanto che l'ottimo fotografo dei vips ha avuto la conferma in Cassazione della condanna per le foto-ricatto a Trezeguet, ma che, prima ancora di sentire la sentenza, si è dato alla macchia, manco fosse Dante accusato di baratteria. Dubbio non v'è che la sua uscita di scena sia in linea col personaggio, poiché questo disperato è condannato a far parlare di sé per sentire di esistere. Egli, di fatto, assomma una serie di caratteristiche che sono un formidabile sunto di tutte le storture della nostra età, e non solo dal versante bimbominkiesco, cui lui peraltro, avendo 38 anni, non può tecnicamente appartenere.
Fatto sta che adesso incollo qui il ritratto che di lui feci a suo tempo, con annesso predicozzo finale di allora che adesso verrà fatalmente ampliato. Buona visione.

Fabrizo Corona (Namec 1974 – vivente), showman, pluricondannato per qualsiasi cosa abbia a che fare con la frode e/o la violazione di divieti (guardare su Wikipedia per credere), fotografo del bel mondo: la sua età anagrafica sconsiglierebbe di classificarlo come Bimbominkia (e difatti non lo classifichiamo tale), ma la sua attività, diciamo così, lavorativa ha prodotto un tale impatto sulle giovani menti dei nati dopo il 1990 che non è possibile trascurare il peso di questo personaggio sulla cultura nativa digitale d’oggidì. Il presente ritratto, quindi, gronderà di facile moralismo come una puntata di “Arnold”.
Il piccolo Fabrizio, figlio e nipote d’arte, passa un’infanzia spensierata a non far nulla. Così la fanciullezza. Idem l’adolescenza. Preoccupati di ciò, parenti e affini decidono di sondare le capacità del soggetto, posto che ne abbia. Falliti i tentativi di appassionarlo al badminton e al bridge, si prova regalandogli una macchina fotografica ad istantanee: il frugoletto, tutto eccitato, rivolge l’apparecchio verso di sé e si scatta una foto, restando abbagliato per due ore, passate le quali si accorge che la macchina ha slinguazzato una foto con la sua faccia. Convinto di aver trovato il Ponte spaziale per Cybertron che gli Autorobot cercavano invano da decenni, continua a scattarsi foto, perdendo fino a 4 diottrie dall’occhio destro e 3 dal sinistro (che a volte strizzava per apparire più cool), la qual cosa spiega lo sguardo spesso fisso nel vuoto che egli esibisce tutt’oggi in certe interviste. E’ a quel punto che comincia a venirgli il sospetto che il flash della macchina vada rivolto a qualcun altro che non sia lui.
E’ l'inizio del Futuro. Fabrizio scopre di poter fissare nell’Eternità i momenti più intensi di familiari e amici: la zia che fa la conserva di pomodoro, il giornalaio che si arriccia i baffi, i compagni di classe sporchi di Nutella alle feste della scuola. Che tenerezza... Sennonché, il sagace e puccioso fotografo realizza che le foto di momenti privati rubati alla privacy possono servire a ben altro, per esempio ricattare la gente: è così che, fotografando una scappatella del nonno con la lattaia del paese, tiene sotto scacco il vecchio con la minaccia di diffondere lo scottante dossier e ottiene, in cambio del proprio silenzio, il suo primo motorino. E’ poi la volta dei compagni di classe, sorpresi a studiare le coniche, non quelle di matematica, ma quelle ripiene d’erba: ecco arrivare, pur di evitare lo scandalo, soldi, orologi, braccialetti, copie gratis di Tex Willer et similia.
Ormai è chiaro: la fotografia d’alto bordo è il destino del Nostro. Dopo il diploma all’Accademia di Star Trek, Fabrizio parte per Milano e lì trova l’America, ovvero un mondo di vip e sotto vip di cui egli intuisce le potenzialità, nel senso che, da uomo navigato, sa benissimo che la gente che conta è anche quella che si caccia nei guai con più voluttà. Fondata un’agenzia di paparazzi (originalmente chiamata Corona’s), il Nostro batte (in tutti i sensi) a tappeto i locali della Milano che conta, conoscendo anzitutto colui che sarà l’arbitro delle sue glorie e sfortune, un budino semovente di nome Lele Mora: costui, abbagliato dal fisicaccio da muratore postatomico del fotografo, lo prende sotto la propria gelatinosa ala e, in cambio di servizi non solo fotografici (andate su wikipedia se non ci credete), lo copre d’oro, di automobili e lo fa entrare nei giri giusti; è a quest’epoca che Fabbri’, come affettuosamente lo chiamava il barbiere da cui non andava mai, conosce la prima donna della sua vita, un canotto di origine ceca con attaccata una donna di nome Nina Moric, fotomodella pettoruta di dichiarata fede cattolica. I due si guardano e, fulminati da affinità intellettuale, se zompano prima di subito, riproducendosi di lì a poco.
Sistemata dunque l’immagine da buon padre di famiglia, Fabrizio comincia a tentare di demolire le famiglie altrui: è del 2006 il suo primo Ricatto Di Un Certo Livello (d’ora in poi RDUCL) ai danni del calciatore juventino David Trezeguet, flashato all’uscita da un locale notturno in compagnia di una ragazza che NON era sua moglie. Al modico prezzo di 25mila euro Trezeguet ottiene che Fabbri’ non pubblichi le foto, che pure non sarebbero di per sé prova di alcunché, essendo la fanciulla “solo un’amica”, ma per evitare dicerie e guai coniugali il calciatore (che, lo ricordiamo, appartiene ad una stirpe umana non sempre dotata di cervello e facile al panico) preferisce sganciare denaro cash e chiuderla lì. Fabbri’ ha ora modo, nella sua latitanza, di pentirsi di tutto ciò.

Successiva vittima di RDUCL è la sempre frizzante Simona Ventura, già moglie del dotatissimo calciatore Stefano Bettarini, la quale dalla sera alla mattina vede sbattute sui settimanali più chic le sue foto “amichevoli” con Giorgio Gori, marito della giornalista del TG5 Cristina Parodi. Scandalo, pensieri piccanti, ma soprattutto una domanda: chi aveva le foto? Fabbri’, no? Il quale tenta di ricavar ciccia pure da questa vicenda, ma più che altro attira su di sé l’ira dell’agente della Ventura. E chi è costui? Lele Mora. Quando si dice: sparare alle proprie passere...
Qui la vicenda del Nostro conosce una brusca svolta: la procura di Potenza lo riduce all’impotenza (aaaahh ah, ah, ah...) facendolo arrestare con la delicata accusa di associazione a delinquere finalizzata all’estorsione. Dopo 77 giorni di detenzione, il fotografo che piace ottiene gli arresti domiciliari. Risulta tuttavia che la detenzione non abbia minimamente scalfito il suo Ego: all’ingresso del carcere, lo si è sentito ordinare ad un agente: “Portami un caffè”, all’uscita le sue prime affettuose parole sono tutte per il Pubblico Ministero che lo aveva sbattuto dentro (“Un talebano!!!”). Fabbri’ mostra a questo punto di aver capito il secondo grande assioma che regge il bel mondo: trasformare in Fatto Clamoroso tutto ciò che ti accade; è così che sui settimanali appaiono servizi fotografici di lui durante il gabbio (aveva corrotto una guardia per farsi portare una fotocamera digitale in cella, vedete voi...). Il Nostro si fa fotografare sobriamente in calze e mutande, esibendo la muscolatura fresata e lasciando intendere di essere stato vittima del sistema. Il sistema però, nelle ovoidali fattezze di Lele Mora, mostra sempre più insofferenza per Corona: sollecitato dagli amici che gli gridano continuamente: “Lele, nulla interposita Mora!” (jiggle jiggle....), Mora abbandona Fabrizio dichiarando di avere poco o nulla da spartire con le sue “imprese”. Corona tenta a questo punto, con il solito tatto, di farsi notare sui campi di battaglia meno usuali per il suo mestiere: pochi giorni dopo il delitto di Garlasco, ovvero l’omicidio della giovane Chiara Poggi, il cui maggiore indiziato, Alberto Stasi, risulterà poi innocente, Fabbri’ piomba nel paesello pavese, ma nessuno se lo fila. Dopo aver urlato ad un tizio seduto al bar: “Scusa, hai da accendere?”, il fotografo viene notato e tutti si stringono intorno a lui, dopodiché, avendo realizzato l’inutilità della sua presenza, lo rimollano. Restano sedotte da lui le cugine di Chiara Poggi, le famose sorelle Cappa, che fiutano l’occasione per farsi un po’ di pubblicità, essendo uno dei loro sogni proibiti la carriera nel mondo dello spettacolo: perché non approfittare di un bell’omicidio per vedere se il fotografo dei vip può ricavar qualcosa anche per loro?
Notevole era peraltro già stata la pertinente presenza di Fabrizio sul teatro di un’altra sciagura plurifamiliare italiana, la strage di Erba, autori i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, lievemente inaciditi nei confronti del vicino di casa marocchino al punto da fare strage della moglie italiana, del figlio e di altra gente. Il marito della vittima, tal Azouz Marzouk, riceve da Fabbri’ l’offerta di un servizio fotografico con l’obbligo contrattuale di indossare ai funerali la maglietta con il logo della Corona’s. Bonjour finesse.
Il resto delle vicende coroniane si svolge tutto più o meno sulla falsariga dei pochi esempi forniti: scandali montati ad arte, denunce, condanne, controcondanne, ospitate TV in cui il Nostro ovviamente si difende e dà lezioni di vita e di etica al mondo intiero, fan bimbominkia che stazionano sotto il suo appartamento in attesa che Lui compaia lanciando mutande come ricordo. Da ultimo, lasciata affondare la Moric, il Nostro si accoppia con la talentuosa soubrette latinoamericana Belen Rodriguez, con la quale verrà più e più volte ritratto mentre, ALL’OSCURO DI ESSERE SOTTO L’OBIETTIVO DEI FOTOGRAFI, si gode momenti di calda intimità, guardando di tanto in tanto, ma per puro caso, proprio in direzione dell’obiettivo.

Ebbene, come già la congiura di Catilina insegna, non si può condannare un personaggio a prescindere dal sistema che lo ha prodotto. Il Corona- pensiero è semplice: il mondo dei vip dello spettacolo e dello sport è marcio, dietro lo splendore delle serate al Billionaire e degli yacht si nascondono miserie di solitudine, rivalità, dispetti reciproci, tradimenti, droga, promesse di lavoro in cambio di zompi facili; a questo punto io (cioè Corona) non faccio altro che svelarvi quel marcio, e magari tento di guadagnarci pure su, visto quanto guadagnano loro nel condurre le loro ipocrite esistenze. Insomma, non date a me dell’immorale, è immorale il mondo che vi svelo. Che poi io faccia il Robin Hood di me stesso, questo non deve interessarvi.
E’ qui che il tribunale della Spocchia si permette di dissentire: che il mondo dello spettacolo sia una fogna rivestita di diamanti è noto fin da quando noi tutti assistevamo all’inarrestabile crollo psicofisico di Judy Garland, bambina prodigio ne “Il mago di Oz” poi spentasi nel 1969 a 47 anni per overdose di barbiturici. Non crediamo però allo zelo missionario dei Corona, che fingono di fare gli Apostoli della verità e sono in realtà più marci del marcio che pretendono di farci scoprire. Non si diventa Agenti del Bene ricattando calciatori e veline, per quanto squallida possa essere la loro vita: si scende semplicemente al loro livello. Ogni Grande Inquisitore deve avere la decenza di non sporcarsi con i liquami che sottopone a processo: non ci dev'essere guadagno in questo tipo di denunce, sennò il sospetto che si agisca per interessi non meno luridi è automatico. Il problema, e qui torniamo alla questione bimbominkia, è sentire i Nativi Digitali tifare per Corona, vedendo in lui il modello del figo che fa carriera sulle idiozie degli altri. No, Nativi Digitali (parte la musica paternalistica), non è così che va il mondo, quello vero, almeno: non ci si proclama immorali di professione rinfacciando semplicemente agli altri: “sei sporco tu, devo vergognarmi di essere sporco anch’io?”. Così non si fa altro che riprodurre all’infinito i difetti della società. Posto che nessuno è perfetto, non è facendo a gara di immoralità che si sviluppa un tessuto sociale coeso e produttivo; al contrario, ciascuno si chiuderà nel fortilizio del proprio egoismo, cercando solo il momento giusto di fregare gli altri in nome della relativistica considerazione che ciò che va bene a me è bene di per sé anche se fa il male di un altro. Di fatto, non è Fabbri' in sé che spaventa, ma il sistema di valori su cui ha fondato la sua carriera, a sua volta agganciato ad un sistema socio- economico su cui nutrire dubbi è lecito. Attenti ai modelli che seguite, Nativi Digitali: i fiori di maggio sono i primi a sbocciare e i primi ad appassire (e su questa intellettualistica metafora, parte l’Eroica di Beethoven).
[update] Erano giorni di maggio, quando tu, Fabbri', ospite della D'Urso, ammannivi verità esistenziali profonde e ti spacciavi per gran conoscitore del Sistema. Macché: eri solo uno di quei pesci-spazzino che vagano per gli oceani nutrendosi degli avanzi dei pasti dello squalo. Oggi quegli squali di cui tu ti credevi la spina nel fianco sono ancora lì, tu sei costretto alla fuga, poiché non hai capito che con le azioni di guerriglia si possono al massimo tenere impegnati i reparti di fanteria leggera del nemico, ma quando il nemico stesso sfodera l'artiglieria pesante, e tu non ce l'hai, devi solo sperare che abbia la mira storta. Detto fuor di metafora, Fabbrì, per quanto possano essere realmente miserande le esistenze quelli che tu hai preso di mira, LORO, agli occhi del Sistema, sono quelli che fanno girare spettatori, sponsor e soldi, e per quanti scandali li travolgano, prima di fare a meno della loro presenza dovrà succedere l'Apocalisse. Pensavi davvero che il Sistema, per quattro foto pruriginose, avrebbe preferito te a loro, tu che esisti solo perché loro esistono? Il Sistema sarebbe autoimploso per causa tua? Così potente davvero ti credesti?
Esci di scena, dunque, fregato da una hybris che neanche il più scriteriato degli eroi omerici avrebbe mai esibito. Esci di scena, dicono, passando per una palestra, da dove saresti scappato di soppiatto per eludere i poliziotti. La palestra, appunto: simbolo dell'ideologia tua e di quelli che hai illuso, poggiata  unicamente sull'apparenza, la muscolarità spacciata come valore autonomo, l'arroganza esibita, l'aggressività come unico linguaggio. Il tuo grugno litigioso nel replicare a chicchessia, il tuo fare capronesco, la tua sicumera che non si nutriva altro che di sé stessa, così da rendersi credibile agli occhi dei meno avveduti: tutto si spegne in questo inverno zottozero coi colori in bianco e nero. Fuggi come una superspia internazionale, fatti sguinzagliare dietro l'Interpol, fingi a te stesso di aver di nuovo le luci del palco puntate su di te mentre scappi: è il tuo più meraviglioso addio, e nonostante esso abbia l'apparenza di un'interminabile fuga, ti stai in realtà gettando addosso a Moby Dick come già Achab a suo tempo. Con la differenza che lui, di legno, aveva solo la gamba. [esce la Spocchia seguita da un corteo di giovani sacerdotesse di Mitra]

3 commenti:

  1. Guarda caso, due secondi fa, ho letto la notizia: Corona si è costituito a Lisbona... http://qn.quotidiano.net/cronaca/2013/01/23/834567-corona-si-costutuisce-a-lisbona-fine-latitanza-arrestato.shtml

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    1. E' come col post su Sallusti, non ho fatto in tempo a metterlo sul blog che l'interessato va al gabbio. Che questo blog sia così potente.....?

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    2. Bisognerebbe sottoporlo a una misurazione col gufometro... ;)

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