Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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giovedì 24 gennaio 2013

Ed è sempre Atene...


I numerosi ed affezionati lettori del blog ('Tiratela di meno!!', 'Ahò, machittevole?') mi perdoneranno se inzeppo di post ad argomento politico i miei ultimi, interessantissimi interventi, ma capirete bene che il momento è gravido di tensione, siamo alla svolta da Seconda a Terza repubblica (aridatece Giulio Cesare....), la blogosfera crepita ansiosa, in attesa dell'Evento che avrà luogo fra un mese esatto.
Ci avviciniamo alle elezioni con alcune curiose evenienze: non possiamo che complimentarci con i gruppi politici che hanno deciso, come si dice, di 'ripulire' le liste dei candidati al Parlamento, così da non presentare alla competizione personaggi in odore di malversazione. La qual cosa, se pure è la risultante inevitabile ANCHE del battage mediatico-piazzaiolo portato avanti dal movimento di Beppe Grillo, rappresenta comunque una presa di coscienza, pure un filino ipocrita, che un inquisito in lista porta via più voti di quanti ne fa affluire. Cosentino, per dire, gran collettore di tessere & suffragi in Campania, è stato allegramente lasciato a piedi perché il numero di voti da lui collettabile è certo inferiore a quelli che il PDL perderebbe presentando lui in lista.
Ma, come sempre in Italia, c'è un ma: lungi dal limitarsi a depennare certi nomacci dalle liste, depennatori e depennati si stanno esibendo in un esercizio di deformazione della realtà molto pirandelliano, ma nondimeno assai patetico. Nello specifico: Cosentino, a detta di Berlusconi, è stato escluso per colpa della magistratura che con le sue inchieste ha a tal punto infangato il buon nome dell'ex deputato che costui non è più presentabile, ma la colpa, appunto, è dei giudici. Scajola, detto anche 'L'inquilino autoincosciente', rinuncia alla candidatura perché non ne può più di dover sostenere esami di moralità su ogni virgola della sua esistenza, ma la colpa, appunto, è di coloro che gli hanno fatto notare l'esistenza dell'appartamento vista Colosseo e altre cosucce. A livello locale, nella ridente cittadina di Livorno si stava per nominare assessore un ex militante di Prima Linea, ma la dirigenza nazionale del PD ha detto no; l'interessato, tal Marco Solimano, ha quietamente rinunciato, ma 'solo per evitare polemiche', cioè a dire che sono esagerati gli altri ad inalberarsi così tanto per il suo trascurabile passato da terrorista, e insomma come la fate lunga, vabbe' vabbe', mi ritiro così la smettete di ciarlare, veh...   
Sembra insomma di assistere a certe interviste vippute nelle quali, ad un bel momento, si chiede al vip di dire un proprio difetto. Qualche secondo di esitazione e poi: "Mmmhhh...sai....a volte sono.... un po' troppo paziente....", oppure: ".... sono troppo altruista" et similia. In sostanza, i loro difetti sono in realtà pregi eccessivi. Così i nostri esclusi eccellenti danno ad intendere che il loro allontanamento dall'arengo politico non è dovuto ad un carico di accuse di fronte alla più piccola delle quali gente come De Gasperi o Pertini si sarebbe suicidata, ma anzi sono loro che, in un empito di bontà, accettano con stoica rassegnazione di cedere il passo di fronte alla soverchiante montagna di calunnie mosse loro. "Non siete voi a mandarmi via, sono io che me ne vado".  
Dice: 'Del resto Berlusconi, come da te piamente osservato qualche post fa, ha dato il via alle danze facendo la volpe e l'uva nel rinunciare alla candidatura a premier perché tanto è una carica senza vero potere'. Appunto. L'importante è l'angolatura da cui si osservano gli eventi.
Vero è però che, pur essendo Silviuccio nostro il gran capostipite degli Autonconvincentisi, c'è in lui una carica di manipolazione del reale che ha un che di artistico. Un conto è fare la vittima, come vediamo da parte di Cosentino & compagnia, altro è comportarsi coi fatti passati, presenti e futuri come se essi fossero pongo da plasmare per offrire al pubblico un'immagine del reale perfettamente sovrapposta al vero ('Ma la verità assoluta non esiste!!!", spari in sottofondo).
Il carattere, si sa, l'animo del lottatore... Silviuccio si convince e cerca di convincere con lo charme del grande venditore. Aggredisce, replica, sciorina dati in contraddizione con qualsiasi altro resoconto di qualsiasi istituto statistico dell'orbe terracqueo (nonché con l'evidenza empirica più nuda coglibile da tutti noi), ma lui si staccherebbe una rotula per convincerti che gli unici numeri affidabili sono i suoi; lui sa e vuole che tu sappia che il mondo è bello, la povertà è un illusione che si sono creati i poveri, la vittoria sarà sua, lui rivolterà l'Italia come un guanto, i suoi peccatucci carnali sono propellente per nuovo entusiasmo esistenziale, i suoi accusatori sono grigi burocrati, gli altri politici, tutti tranne lui cioè, sono mestieranti che se non facessero politica sarebbero spacciati, lui sì che ha il piglio, guidava aziende, lui.
Ma perché queste cose sono le stesse nel 1994 e oggi, intercorso un diciannovennio di traguardi mancati di fronte al quale chiunque avrebbe evitato di ri-mettere la faccia di fronte al popolo bue, detto pure che a 76 anni puoi anche pensare a passare una chiuccosa vecchiaia e spendere quei due-tre miliarducci che hai messo da parte? I soliti bene informati dicono che Silviuccio starebbe trattando con la futura maggioranza piddina una sorta di scambio: la presidenza del Senato per lui (= immunità quinquennale da qualsiasi inchiesta magistratuale), i voti del PDL + Lega per il candidato piddino al Quirinale.  
Ma dai, ingenui... vi pare che, dopo tutto il tuttibile, presenteremmo come seconda carica dello Stato un pluri-inquisito in odor di Ruby? Silviuccio si è ributtato in politica in ossequio al suo inguaribile ottimismo e alla convinizione, anch'essa già esplorata, di modellare il Paese a sua somiglianza. C'è però un dato in più, ed è l'ascendenza squisitamente letteraria di tale atteggiamento, che sin qui non avevo colto, me tapino. L'ottimismo berlusconide nella propria onnipotenza ha infatti un tratto talmente sesquipedale da sfiorare il gigantismo di certi fanciulli che si creano il loro piccolo regno nella cameretta e ne diventano sovrani assoluti, facendo sì che ogni minimo evento all'interno di quelle quattro mura dipenda direttamente dalla loro volontà. 
Ebbene, di dove viene a Berlusconi tutta codesta energia? Semplice, dalla lettura attenta e approfondita delle commedie di Aristofane (aaaaahhh, ecco il perché del titolo....sono un birbacchione, eh?).
I lettori sapranno che ad Atene, nel quinto secolo a.C. impazzava il genere comico ed il suo più autorevole esponente era un ricco signore col pallino della scrittura, Aristofane, appunto. Dove uno s'aspetta che la commedia nasca fin dai primordi come genere letterario 'de sinistra', dettosi che il comico in genere mette alla berlina i difetti della società e della classe politica al potere, c'è che ai tempi di Ary al potere c'era una squadra di demagoghi che sobillava la pancia del popolo ateniese, propellendola verso scellerate decisioni soprattutto in materia di guerra contro Sparta, guerra che infatti verrà persa. Ary, da buon proprietario terriero, si era un tantino scocciato di avere i propri possessi fondiari devastati dagli eserciti nemici, né potevano intravvedersi per lui prospettive di guadagno a guerra eventualmente vinta, i cui vantaggi sarebbero andati, semmai, a farsi godere dai commercianti e dal popolicchio. Accade cioè che uno dei maggiori comici della letteratura greca sia, giudicandolo con le dovute cautele secondo le categorie odierne, un reazionario di destra (Pingitore, non sei il primo, sorry).
Le commedie rimasteci, impregnate di vivissima polemica politica e quindi specchio interessanterrimo, seppure fatalmente deformato, della realtà contemporanea del poeta, si incentrano spesso su un personaggio di bassa estrazione che, a fronte di una situazione di partenza sfigatella, riesce con una serie di scelte e azioni fuori dall'ordinario a ricostituire l'ordine perduto. Il fatto è che il protagonista è animato da una fiducia nei propri mezzi che risulta istintivamente risibile, vista la condizione non certamente 'eroica' in cui esso versa, eppure, con una vitalità davvero fanciullesca, egli riesce a spezzare i vincoli della realtà ostile e a far trionfare la sua visione delle cose. Per dire: un tal Trigeo sale in groppa ad un gigantesco scarabeo stercorario e sale sull'Olimpo per cantarle agli dèi e ottenere la sospirata pace. Diceopoli, contadino stanco di vedere devastati dalla guerra i suoi terreni (chi si celerà dietro costui...?), decide di strafregarsene della politica ateniese e di procedere per conto suo alla pace con Sparta. Gli allegri amici Pistetero ('colui che si fida dell'altro') ed Evelpide ('colui che coltiva buone speranze') ('e smettila, abbiamo capito che hai la laurea in Lettere classiche, su') mollano il mondo di quaggiù e fondano una città celeste nel regno degli uccelli, la sublime Nubicuculia, luogo pionieristico in cui non varranno più le leggi corrotte della Grecia contemporanea, senza contare che la posizione strategica della nuova città permette di intercettare il fumo dei sacrifici fatti dagli uomini agli dèi, sì che costoro non possano deliziarsene, rischiando di morire affamati. Risultato: gli dèi protestano invano e le nuove divinità di Nubicuculia saranno gli uccelli.
E' quest'ultima commedia che secondo me Silviuccio ha letto più delle altre: in essa i protagonisti non si limitano a rimodellare il mondo in cui vivono, ma ne creano proprio un altro, all'interno del quale essi dettano legge secondo un'istintualità ed una voluttà di godimento che vanno al di là del possesso o meno delle doti politiche. Pistetero ed Evelpide vogliono una realtà dove poter gustare la realizzazione di tutti i propri desideri. La giustizia non sarà dettata dalla Legge, ma dal Capriccio. Assistiamo insomma ad una fuga utopica in un sistema privo di regole, dove sia finalmente possibile fare ciò che non è possibile fare giù tra gli uomini, ovvero quel che si vuole. Per dire cioè che Pistetero & socio non sono certo eroi rivoluzionari che raddrizzano i torti e abbattono i tiranni, eroi i cui ritratti di norma campeggiano sopra i caminetti del popolo eternamente grato, ma eroi del proprio interesse straccio, adulti-bambini guidati solo dai propri impulsi egoistici. Una cosa li rende davvero eccezionali: la convinzione che le proprie voglie, quali esse siano, si possano tramutare senza ostacolo veruno in realtà. Per godersela.

(L'avrà letto in lingua originale?).     

2 commenti:

  1. Quel che mi dà più fastidio delle scuse che mettono in campo gli "impresentabili" è che usurpino argomenti degnissimi, in realtà, di più approfondite riflessioni. Perché le calunnie vere esistono e così pure la complessa relatività di ciò che chiamiamo "verità". Solo che, essendo state strumentalizzate in questo modo, simili questioni rischiano di venir disprezzate. Quanto ad Aristofane, è vero che era un rancoroso reazionario... ma il suo modo d'impiegare il linguaggio è d'una perizia e una creatività straordinarie. Finora, è stato colui che, più d'ogni altro, è riuscito a reificare la Parola e a metterla, letteralmente, in scena... ;)

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  2. Ah, beh, ad avere un Aristofane oggi i teatri esploderebbero dal pubblico che verrebbe ad ascoltarlo. Il problema degli impresentabili è prorpio quello che dici tu, in linea di principio l'innocenza è sempre presumenda, ma di fronte a certe accuse a certi tipi di prova, la faccia tosta è tanta...

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