Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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venerdì 24 maggio 2013

Il prete scomodo che aizza le tribune.

 
Premesso che chi scrive, cioè la Spocchia, poco o nulla sa del recentemente defunto don Andrea Gallo, eccetto il fatto che piaceva a molti e stava sulle storie ad altrettanti, la sua morte ci consente di studiare in vitro le particolari movenze della nostra opinione pubblica, a dimostrare, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che da noi ogni posizione ideale od ideologica si risolve sempre e solo in univoco, a-dialettico, preconcetto, sordo, sprezzante tifo. 



L'uomo, a quanto ci pare di aver capito, era nato per dividere: sin dagli anni giovanili la sua vocazione cattolica si tinge di rosso, sì che in lui, come poche altre volte è capitato nella storia dell'umanità, il matrimonio tra carità cristiana e solidarismo socialista si compie alla perfezione. Con tutte le conseguenze del caso, s'intende: presa il Gallo la tonaca, il cardinale di Genova, Giuseppe Siri, uomo di rocciose convinzioni, al confronto del quale persino il tormentato Paolo VI o l'innocuo Albino Luciani potevano passare per rivoluzionari cubani, coglie nella predicazione gallesca germi di eccessiva eterodossia e lo sposta là dove il don troverà il suo spazio ideale, la ridente località di san Benedetto al Porto, poi sede della sua comunità di recupero di tossicodipendenti, prostitute, adolescenti difficili et similia. Da lì in avanti è tutto un fiorire di dichiarazioni e prese di posizione piuttosto forti su temi caldi e ovviamente compromettenti ove si volesse non dico sganciarsi, ma perlomeno eccepirsi dalle direttive ufficiali del Vaticano: fumo di spinelli, benedizione dell'omosessualità come dono di Dio, partecipazione a comizi con tanto di “Hasta la vitoria siempre!!” finale, eccetera. Ecco dunque che don Gallo si presenta come prete degli ultimi, niente a che vedere con le goderecce gerarchie ecclesiastiche standard, buone solo a predicare a vuoto dai loro pulpiti ingioiellati per poi concedersi stili di vita tutt'altro che francescani. 



Povertà, atteggiamenti controcorrente, provocazioni scientemente attuate secondo un piano divulgativo chiarissimo nella mente del don, e che però hanno avuto, come sempre in Italia, l'effetto di dividere la platea in due schieramenti bellicosi pronti a sommergere di improperi la sua figura o al contrario a santificarla ad ogni sillaba che gli esce dalle labbra, naturalmente in contrapposizione con l'altra Chiesa, quella bombardona, lussuriosa, anacronistica e maneggiona (Wojtyla compreso) che soffoca ormai nell'aria viziata dei palazzi apostolici senza sapere nulla del mondo reale.
Non risulta pertanto stupefacente che persone anche a me vicine, la cui ortodossia romana mai avrei messo in discussione, gente vicina ad un bigottismo quasi tridentino, si spelli ieri e oggi le mani per la morte del don, appellandolo come “vero prete”, “il parroco di tutti noi”, fatta poi la somma con i radical-chic sinistresi, i quali, pur di dire “nononono” a tutto ciò che è Chiesa ufficiale, candiderebbero Papa il primo sciamano Tagiko che gli capitasse a tiro, perché dare addosso alla Chiesa (fatta pure la tara dei suoi tanti e oggettivi errori di gestione degli ultimi decenni) fa sempre fino, fa sentire à la page col mainstream, permette di essere cool, pur non avendo alcuna forma di religiosità ad innervare la propria vita, ma chi se ne frega, l'importante è cantarle a quelli là con la tonaca, noiooooosi...
Dall'altra parte, sponda cattolico-pidiellina, i primi distinguo, e ovviamente palle incatenate da parte di chi vede in don Gallo nient'altro che “il prete comunista”, agitatore di piazze come un Che Guevara qualsiasi, spinellatore pro-froci, e chissà cosa combinava in quella sua comunità piena di ragazzi... Al che il non- pidiellino risponde per le rime, obiettando che a questi qui piacciono solo i preti di CL, gli affaristi alla don Verzé e alla don Gelmini, ovvero il pretume imprenditorial-fighetto che trasforma la Fede in un brand redditizio come lo zinco; ed ecco allora questi altri replicare che a don Gallo interessavano solo certi casi umani e non altri, e che è inutile accogliere tossici nella comunità se poi sei il primo a lodare le virtù del cilum. Insomma, il solito talk-show.
Quindi? No, niente, vorremmo dire la nostra, giusto perché l'oceano è formato da tante gocce, ma soprattutto vorremmo una volta tanto metterci in atteggiamento paraculo e bacchettare gli opposti schieramenti, stando equanimemente al di sopra delle parti.
Ai radical- chic innamorati della povertà altrui diciamo senza mezze riserve né mezze maniche che devono rassegnarsi: l'espressione “prete comunista” è e sarà sempre un ossimoro radicale. Comegià ampiamente argomentato altrove, cattolicesimo e marxismo hanno punti di combaciatura (o combaciaggio?) solo empirici nell'idea che la dottrina sociale di un popolo debba garantire l'uguaglianza dei diritti e dell'accesso all'ascensore sociale, dopodiché si sa come i comunisti trattavano e trattano i cattolici. O si accetta la dimensione metafisica o la si rifiuta, ma se la si rifiuta e al suo posto si sostituisce la religione della ragione, ovvero l'ideologia, e con essa il più disumano degli addentellati, ovvero la strage di chi non si allinea, e se poi si riduce l'uomo a tubo digerente, e se poi il linguaggio dell'uguaglianza deve essere imposto con la forza del gulag, e se poi l'orizzonte umano finisce qui e non va più su, insomma, difficile mettere d'accordo queste due parrocchie. Che sul piano pratico certamente possono sembrare simili, ma posizioni sincretistiche che prendono un po' di Cristianesimo e ne correggono l'afflato ultraterreno con robuste dosi di materialismo ateo (cioè ne concretizzano le illusorie promesse ultramondane con tangibili progetti transeunti) sono pura libido frankensteiniana. È ben vero che anche al tempo dei maiores nostri c'erano due filosofie, epicureismo e stoicismo, che non andavano d'accordo su niente tranne che sull'etica: l'atomismo epicureo, col suo carico di meccanicismo necessario appena corretto dal clinamen, mal si sposava con il 'provvidenzialismo stoico' che vedeva nel cosmo l'azione perpetua e finalizzata di un fuoco pneumatico; eppure, ridotte all'osso, le etiche delle due scuole dicevano più o meno la stessa cosa, ovvero che la felicità sta nella misura, se è vero che i termini usati da Epicuro e Zenone per indicare il raggiungimento della pace psichica sono rispettivamente atarassia (assenza di turbamento) e apatheia (assenza di passione, intesa come pressione degli agenti esterni che alterano la tonicità dell'anima), ovvero due quasi (quasi!!!!) sinonimi. Semmai il bivio era tra la visione comunque a suo modo 'missionaria' del saggio stoico, la cui volontà di giovare agli altri è diretta virtualmente all'umanità tutta, e il vivere nascosti dalla folla e dalle sue seduzioni confusive, che è uno dei precetti fondanti l'epicureismo. Poi uno poteva pure stoicheggiare epicureggiando o viceversa (Seneca, per dire...), pescando un po' qui un po' lì, ma alla fine, se tali eclettismi erano possibili, ciò si doveva non tanto alla natura intimamente eclettica del pensiero ellenistico (sì, anche Roma antica è culturalmente una provincia dell'ellenismo, rassegnatevi), quanto al fatto che epicureismo e stoicismo sono, alla loro radice, due filosofie materialistiche, entrambe radicate sulla credenza in un principio materiale da cui tutto si origina, sì che nulla vi è nelle regioni metafisiche, proprio perché tutto è mondo fisico e basta. Difatti, per quanto ci si ostini a ritenere lo stoicismo una specie di pre-Cristianesimo, le differenze tra le due dottrine sono tali che il presunto epistolario tra Seneca e San Paolo va giusto bene come argomento di filologia da macchinetta del caffè: un dio-pneuma impersonale che crea e non ama ciò che crea, essendo egli stesso materia fisica che si fa mondo creato, non è il Dio metafisico cristiano, spirituale e altro rispetto al mondo da lui creato dal nulla, mondo destinatario di un amore che discende poi nell'etica dell'agàpe, laddove il freddo (in senso emotivo) pneuma stoico non poteva che produrre l'etica dell'immunità dalle passioni, sì che pure la pietà e l'amore sono pericolose distorsioni dalla virtù. E parliamo di stoici, che regimi totalitari non ne hanno mai fondati. Orbene, non dovrebbe essere difficile capire che il prete comunista è tanto logico quanto lo stoico cristiano, nel senso che per esserci ci sono (Parini, per dire...), ma è evidente che la loro militanza religiosa si tinge di caratteri molto molto laici, di un laicismo che alle volte, semplicemente e senza che ciò debba fare scandalo, confligge con l'ortodossia, perché, che piaccia o no, l'ortodossia, c'è. Altro però è trasformare l'anticonformismo in contro-religione, ovvero decidere macchinalmente di cambiare di segno tutte quelle che sono le indicazioni della Casa Madre per dimostrare di non essere corrotti dalla pestilenza vaticana e pretendere di essere sempre nel giusto. Ebbene, il Gallo senza dubbio ha indulto a ciò, la qual cosa non gli ha mai per fortuna meritato la scomunica a divinis, e però possiamo comprendere certo disagio di certuni nei confronti delle sue uscite a volte assai estreme: le coscienze individuali, in materia di religione, sono molto spesso ben più fragili e ricettive di quanto non si pensi, ovvero vogliono che qualcuno dica loro qualcosa di sufficientemente certo e persuasivo, e che questo qualcosa regga anche alla prova dei fatti; quando però si vede una fetta della gerarchia muoversi in una direzione e sacerdoti singoli agire quasi a titolo personale, è chiaro che il dubbio su dove stia la ragione è forte; se poi il prete in questione strizza l'occhiolino in modo inequivocabile a certe dottrine che la Casa Madre fulminava con la scomunica fino all'altro ieri, il disagio è più che comprensibile. Tutto ciò però è affare per credenti che hanno il diritto di avere una parola univoca e sicura sulle questioni di fede, sia teologiche che morali: stiano per favore zitti i religiosi da salotto che non vanno mai in Chiesa perché è troppo scontato, ma plaudono a don Gallo come eroe civile per puro conformismo, giusto per far vedere che anche loro ci tengono agli ultimi (mica come quei preti là), sempreché ne trovino uno disposto a lavargli la Jaguar.
Ciò detto, l'ondata di commozione alla Gallo's death, con tanto di Cardinal Bagnasco, capo dei vescovi italiani, che officerà la Messa, a definirlo “un fratello”, sì, insomma, decidetevi, voialtri. È chiaro che il personaggio, nei suoi eccessi e nelle sue a volte bizzarre riuscite, mostra una volta ancora quale sia l'intima tensione contraddittoria che da sempre azzoppa l'operato della Chiesa, scissa ab origine tra la sua dimensione verticale di emanazione di Dio tramite Cristo e quella orizzontale di Verbo incarnato e quindi soggetto alla passione e alla condivsione. Il che, tradotto in termini casarecci, sta a significare che la Chiesa ha una duplice identità, gerarchico-manageriale e missionaria, solo che spesso la prima scavalca la seconda, con le nefaste conseguenze a tutti note, così che poi c'è sempre la corsa all'uomo di Chiesa 'anomalo' in grado di incarnare quei valori di purezza primigenia che la sete di potere, legata indebitamente alla funzione spirituale, prosciuga negli animi della maggior parte dei chierici, dal più dimenticato parroco di campagna su su fino alle stanze vaticane. Si finisce cioè in quella situazione per cui il supplentino alla prima esperienza o il professore pazzo che suona la chitarra in classe riscuotono più successo dei colleghi ormai calcificati in una didattica sempre uguale a se stessa, sordi alle richieste di adeguamento, incapaci di alcuna empatia con i discepoli, anche se alla fine la 'nuova' scuola non dà poi troppo di più dell'altra. Eppure il loro successo sta nella passione che mettono nel mestiere, al di là dei diktat delle riunioni di Dipartimento o delle circolari ministeriali: essi risultano dei battitori liberi e quindi più disposti a venire incontro agli alunni. Il bivio sta allora a valle: ricordarsi che, al netto della didattica più dinamica e meno ingessata, il fine del docente è sempre quello di lasciare certe competenze, e quindi sforzarsi di farle maturare anche con i nuovi approcci; oppure fregarsene bellamente di tutto, trasformare la scuola nel proprio palcoscenico, farsi amici gli studenti accontentandoli in tutto e poi saranno fatti loro. La sete di figure come don Gallo nasce proprio dal fatto che le gerarchie 'ufficiali' riducono troppo spesso la sostanza a forma, predicano povertà e girano in elicottero, esortano a cercare il volto di Gesù anche nei disperati e poi usano le offerte dei fedeli per costruirsi casa. Eppure è chiaro che una totale de-gerarchizzazione della Chiesa porterebbe all'anarchia o alla creazione della religione fai-da-te; il modus operandi di don Gallo elevato a sistema consentirebbe a chiunque di prendere un pezzettino di Cristianesimo, ibridarlo con qualche ideologia alla moda, e tirar fuori un prodotto da piazzare ai fedeli in concorrenza con altri Cristianesimi più o meno seducenti; l'altro problema è che l'aiuto ai diseredati è ovviamente scopo precipuo della carità cristiana, basta che poi non si crei una sorta di elitarismo a rovescio per cui meritevole di compassione è l'individuo che ha alle spalle almeno un suicidio in famiglia, mentre della ragazza anoressica o del nerd alienato nessuno si cura più: voglio dire che la nostra società ha prodotto forme di “ultimaggine” anche diverse rispetto a quelle ormai consolidate, ma non meno gravi; i dolori che non sono così evidenti, le depressioni nascoste, le famiglie dilaniate dalla gelosia o dai tradimenti, l'incomunicabilità diffusa sono certo cose meno eclatanti di un giovane che si pippa di eroina un giorno sì e l'altro pure, ma non per questo meritano meno attenzione. Il rischio sennò sarebbe quello di incorrere nella “sindrome delle due Simone”, a ricordo delle due volontarie Pari e Torretta, sequestrate e poi liberate in Irak ai tempi della seconda guerra del Golfo, le quali hanno sempre lasciato intendere che il vero volontario minimo va sui teatri di guerra, altrimenti è troppo comoda. Io non direi: se so che il mio vicino di casa ha un figlio con problemi e posso aiutarlo, non mi sento diminuito perché ho la disgrazia sotto casa. Ecco, il dongallismo, se estremizzato, potrebbe portare a questo curioso algoritmo; se invece trattato coi dovuti riguardi, esso può generare il lievito concettuale di cui tutti sentiamo bisogno: la Chiesa deve ricordarsi di tutti, e sopratutto dimenticarsi una buona volta della donazione di Costantino. 



[Ma tanto, il giorno del funerale, sarà tutto un darsi del fascista e del comunista tra detrattori e agiografi del don...]

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