Ogni match Italia-Croazia non può che risvegliare in noi commosse
memorie di giorni remoti, allorché le due nazionali si scontrarono
nel girone G della fase finale degli sciagurati mondiali nippo-coreani del 2002 (quelli di Byron Moreno, remember?): era l’8 giugno e noi, freschi supplentini sotto il quintale, pasturavamo su
maternità alla ragioneria dove, per effetto del simpatico fuso
orario a mandorla, la partita fu trasmessa esattamente a metà
mattina, motivo per cui lezioni, recuperi, interventi a cuore aperto
furono interrotti per consentire ai tifosi ragionieri di riunirsi in
massa nel seminterrato; lì, con ammirevole piglio ingegneristico,
qualche eroe aveva issato sopra un palco formato da banchi
certosinamente allineati la mitica TV a scatolone che in ogni scuola
ante-LIM che si rispetti girava tutta mattina di classe
in classe allorché giungeva “l’ora del film”, con somma gioia
degli studenti. Da quel mini-maxi schermo, che svettava come ardito
scoglio in mezzo ai flutti delle teste adolescenziali (più la
nostra, noi a cui uno di quarta aveva riservato un vippissimo posto
in tredicesima fila - “prego profe, si sieda..!”), arrivarono le
immagini di una delle partite più beffarde della storia, con
l’Italia andata in vantaggio al 55’ grazie a Vieri e al suo
dopobarba, vantaggio cui seguirono due gol croati e relativa
sconfitta; il che ci portò dalla parte sbagliata del tabellone degli
ottavi, quella con la Corea del Sud che ci sbatté fuori dalla
competizione ope Morenico, con tanti saluti all’acqua santa di Trapattoni.

Mentre
questa ondata mnemonica ci sommerge, Caressa opina con spirito
ellenistico che nella terra di Bach non c’è spazio per la fuga
(casomai, osserviamo noi, ce n'è per l’aria sulla quarta corda, che i
musicologi in genere traducono con 1-1), vediamo tifosi croati sugli
spalti mischiati agli italiani, Barella arrampicato come un koala su
Donnarumma durante l’inno, Chiesa lasciato in panchina a colorare
gli albi degli Sturmtruppen, mentre in campo scende Matteo Darmian,
l’unico individuo al mondo con la faccia più triste di Levi Ackerman. Che partita sarà?, ci domandiamo. Una nuova beffa?
Oppure, come lasciò scritto l’orfico Ieronimo nella sua teogonia
prima di scendere nell’Ade per presentarsi a Persefone
dichiarandosi figlio della terra e del cielo stellato, “Zaccagni al
98esimo?”.

L’opzione
1 ci sembra in realtà suggerita dai primi nove minuti, dominati
dalla consueta noia e dal nostro consueto subire le iniziative
avversarie, perdendoci in sciocchi passaggi orizzontali e fraseggi
insistiti quanto inconcludenti a centrocampo. Fa eccezione un colpo
di testa di Pellegrini al 10’, cui segue un minuto dopo una danza
avvinghiata in stile polinesiano tra Di Lorenzo e Gvardiol. Al 13’
c’è un calcio d’angolo generato da un tiro di Di Lorenzo stesso,
e da qui fino a fine match assisteremo ad una gragnuola di bicchieri
di plastica semivuoti che pioveranno generosi dagli spalti contro i
nostri. L’angolo fallisce, c’è un contropiede ma Barella
risolve, poi al 16’ Calafiori PERDE PALLA e noi tutti rivediamo
antichi fantasmi (e tuttavia ci sarebbe un papiro egizio della XXVI
dinastia su cui Champollion lesse chiaramente, in un cartiglio
dipinto sopra la testa di Anubi, “Calafiori per Zaccagni”). Il
primo quarto d’ora passa così evanescente che persino il querulo
Caressa tace. Da qui in avanti, invece, i nostri si sveglicchiano (al
20’ Pellegrini, al 21’ Pellegrini-Retegui, corner con cross di
Raspadori, ma Pellegrini e Di Marco erano impegnati a ballare la
salsa, al 25’ Retegui, al 26’ Bastoni di testa, salvataggio
miracoloso di Livakovic). In effetti anche i loro contro-affondi
quagliano poco. Insomma, qualche spiraglio si vede. Spiraglio largo
come il buco nell’albero che porta nella tana del Bianconiglio,
anyway. E insomma il primo tempo scivola via così, con questo
minuetto di minacce senza frutto, come quando i gattini appena
svezzati giocano a graffiarsi senza farsi male. Sul finale Caressa,
visto il nulla di fatto bipartisan, si ricorda di attivare i Power
Rangers esclamando: “Attesa, surplus, Darmian”, ma invece attiva
Brozovic che si allunga in area, mancando per fortuna l’aggancio. E
finisce così.

Ritornati
in campo, Caressa si abbandona al solito lepido gossip, stavolta a proposito
delle gesta di Budimir che sbaglia i rigori cadendo sulla palla e
però si diletta a dare passaggi alle vecchine del suo paesello che
hanno smarrito la strada e puntualmente c’è un affondo croato di
Budimir stesso, ma nulla, poi al 48’ una punizione su discutibile
fallo nostro con Di Lorenzo che tocca Kovacic e questo si inginocchia
come avesse avuto una visione, il traversone di Kramaric ci
abbrividizza, ma nulla.
E’
a questo punto che ci ricordiamo di non aver raccolto il basilico per
il pesto di domani [oggi per chi legge n.d.EDM], quindi ci rechiamo
nella serra al piano di sotto (“cosa vuoi che succeda in due
minuti…?”) e quando risaliamo, minuto 53, vediamo la classica
inquadratura in grandangolo da calcio di rigore, con il ringhioso
Modric sul pallone e Donnarumma laggiù solo soletto. Maledicendo in cuor nostro
la voglia di pesto (a miracolo avvenuto, risaliremo via web al folle
tocco di mano di Frattesi, vidimato dal VAR), vediamo il croato
tirare e Donnarumma allungarsi meglio di Mr. Fantastic e deviare
fuori la palla. Giubilo di Caressa, giubilo di Bergomi, giubilo dei
nostri giocatori in campo come se la partita fosse finita, entra in
campo Buffon con prosecco e tartine per congratularsi mentre i croati
riprendono a giocare e, dopo una flipperata clamorosa davanti alla
nostra porta, lo stesso Modric rigorefallente di 45 secondi prima
stavolta la insacca.

Panico.
Bastoni sputa la pizzetta con il cappero e l’acciughina, Jorginho
vuota il bicchiere di prosecco in faccia a Raspadori e comincia un
altro match: da qui alla fine, i nostri profonderanno i più generosi
sforzi per riportare il loro Europeo dal livello Schifo assoluto al
livello Tristezza epica. Spalletti deve a questo punto costringere
Chiesa a giocare minacciando di ridurre il suo album in coriandoli
(“Mister, un pennarello per colorare i pantaloncini a Brozovic…?”,
“No, togliti la giacchettina e fila in campo!”). I successivi 15
minuti saranno effettivamente giocati con vigore (al 57’ Raspadori
di tacco per Frattesi, corner; al 60’ Chiesa per Frattesi,
deviazione in corner, Bastoni di testa; al 64’ Chiesa traversone).
Poi, verso il 70simo, inevitabilmente l’afflato si indebolisce,
come si nota allorché Frattesi viene abbattuto ai limiti dell’area
e a calciare la punizione “andrà Jack”, dice Caressa riferendosi
a Raspadori, con quell’uso del nomignolo che tradisce palesemente
il calo di tensione generale, difatti la barriera devia. Raspadori
che poi esce al 74’ perché il fashion consultant della Nazionale
ricorda a Spalletti che dopo 74 minuti la riga in parte non si porta
più e va sostituita dai tatuaggi, e così entra Scamacca, il quale
regala al 78’ una rimessa ai croati con uno sciocco colpo di tacco
che fa sbottare Caressa. Di qui al 90’ in effetti i croati
riprendono fiato e si avventurano in un paio di azioni filtranti che
ci fanno temere il secondo gol, anche perché a furia di fare cambi
Spalletti ha tolto tutti i difensori. Replichiamo noi all’85’ con
Retegui che passa a Chiesa ma niente, poi all’86’
Retegui-Chiesa-Scamacca, ma niente e all’89’ Caressa attacca col
solito “ormai siamo alle preghiere”. L’arbitro decreta OTTO
minuti di recupero, numero che nei Tarocchi corrisponde alla
Giustizia (sportiva), la qual cosa ci fa ben sperare, anche perché
al 95’ entrerà Fagioli. Gli assalti non mancano, ma gli avversari
sanno chiudere, con tanto di saltelli alla Teletubbies nei pressi
della nostra area al 94’, mentre appena un minuto prima Calafiori
aveva preso il giallo. Il segno del crollo imminente? Sì, ma non del
nostro: lo stesso Calafiori, a OTTO secondi dalla fine degli OTTO
minuti di recupero (what an ominous circumstance…) affonda potente
al centro, passa a Zaccagni, nel quale si infonde lo spirito di Del
Piero nella semifinale del 2006, sì che dalla stessa zona del campo
da cui il nostro coneglianese preferito infilzò i tedeschi all’epoca
parte un tiraggìr che entra elegantemente in rete, scatenando un
terremoto in campo, con tutto lo staff azzurro che sommerge il
goleador, uno in tribuna, dove Caressa si strangola (“ci stavo
lasciando una corda vocale e una tonsilla”) e uno nei nostri
cuoricini, nella frizzante consapevolezza che sabato con la Svizzera
sarà come mangiare l’Emmenthal: a loro il formaggio, a noi i
buchi.

[prima
di dire che siamo disfattisti, riascoltatevi
le dichiarazioni di Spalletti a fine partita…]
Aufwiedersehen.