Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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domenica 18 novembre 2012

Cronache di Scholè. Capitolo 1. La calata di Battiferro.


Erano giorni di Agosto. Non percepivamo ancora l'aria pungente delle foglie d'autunno, eppure certo rosseggiare di alcuni bordi delle foglie del melograno già ci rimembrava ciò che sarebbe venuto. L'ultima estate prima della fine. Nulla sarebbe rimasto lo stesso, se i Cancelli di Moccia si fossero aperti.
Così fu.
Sulle prime non ci parve di udire niente. L'aria restava sospesa sopra il lago, una nebbia violacea inguantava le rupi a picco sull'acqua.
Un tremolio delle onde, anomalo rispetto alla loro direzione presunta, ci mise in allarme. Il suolo emise un gemito sottile, ma tangibilmente tagliente. Guardammo al centro del lago, là dove l'Antica Profezia diceva si sarebbe manifestato il Primo Esodo dalla Dimensione Perduta. Non capivamo come potesse esodare ciò che non c'era più, ma la saggezza degli antichi era fuori discussione. C'era poi un altro capitolo della profezia medesima che ci aveva sempre lasciato perplessi: l'accenno alla stirpe dei Battiferro, i quali sarebbero giunti insieme agli altri popoli della Dimensione Perduta per insegnare la nuova Verità. "I fogli saranno cartocci di topazio sbriciolato sotto il piede adunco del Battiferro", recitava l'ultimo versetto della profezia. Stavo appunto rileggendo queste oscure parole, quand'ecco che l'acqua del lago si sollevò, mentre la nebbia svanì d'un colpo, rastrellata via da una specie di artiglio di calore che proveniva da una inarcatura bluastra che era sorta dal fondo delle acque. L'inarcatura assunse rapidamente la sembianza di un ritaglio quadrato sospeso nell'aria, quindi i suoi lati fecero convergenza fino a formare un triangolo, intorno al quale guizzava una fiamma di vento rossiccio. Cupi boati stordirono le rupi plurisecolari che cingevano il lago, fino al punto che temetti di vedersi accartocciare quelle inespugnabili pareti.
Il triangolo si allargò fino a toccare coi suoi vertici inferiori le sponde opposte del lago. La sua superficie ondeggiava, come avessi davanti uno stagno verticale. Il terrore si impadronì dei miei compagni, i quali, presi da infantile reazione, cominciarono e gettare contro la superficie triangolare qualsiasi cosa avessero sottomano: sassi, pezzi di legno, persino le proprie spade. Tutti gli oggetti, appena sfioravano quella sprezzante ondulazione, venivano scaraventati verso l'alto e restavano sospesi a mezz'aria sopra il vertice superiore.
Poi, il lampo. Non so dire di che colore fosse. So solo che restai accecato per almeno un minuto. Fu dunque doppio o triplo il terrore che mi cinse, poiché, cieco ed indifeso, sentivo montare davanti e a fianco a me una marea di corpi, di urla, di  clangori la cui provenienza non poteva essere umana. Perlomeno, non di quel tipo di umanità che avremmo definito abituale. Passi attutiti dal muschio delle rive, grugniti pestilenziali, superfici ispide di mantelli immondi [H.P. Lovecraft, we'll always miss you....] , le prime avvisaglie di uno scontro, poi la rissa e gli schizzi di fango e sangue che iniziarono a lordarmi il viso.
Forse, ripensandoci, il mio accecamento durò più di un minuto: non potrei altrimenti spiegarmi il fatto che, ripresa lentamente la facoltà di vedere le cose, l'ambiente giallognolo attorno a me corrispondesse ad un campo di battaglia tappezzato di cadaveri. Quando riacquistai tutto lo spettro dei colori, mi accorsi che quelli non erano corpi, ma solo armature; i cadaveri erano tutti spiaccicati contro le pareti di roccia a picco sul lago, come se fossero stati spremuti fuori dalle corazze. Io solo ero stato riparmiato dalla carneficina. E fu allora che le mie facoltà sensoriali completarono il loro reindirizzamento e compresi di avere intorno a me gli esseri fuoriusciti dal Cancello dimensionale.
Non potrei mai fornire una descrizione esaustiva della sconfinata varietà di creature che mi circondava, guardandomi con una curiosità a dir poco scimmiesca. I loro respiri erano ancora affannosi, segno che i miei compagni, prima di cedere alla forza misteriosa ma oggettivamente soverchiante di queste anomale truppe d'assalto, avevano venduto cara la pelle. Un piccolo uomo-ratto (o qualcosa del genere) mi si avvicinò e mi squadrò da sotto in su, poi si allontanò sputacchiando al suolo vicino al mio stivale. Era vestito con una cotta di maglia azzurrognola fatta di scaglie di pino trapuntate di uno strano metallo, che però poteva anche essere un tessuto. Forse temendo una mia reazione, l'uomo-ratto saltò in groppa ad un suo, diciamo così, amico, un bipede dotato di quattro appendici tentacolari che si innestavano sulla schiena e che fungevano più o meno da braccia. Da lassù, chè l'uomo-piovra in questione era alto circa due metri e mezzo, lo sputacchiatore  mi guardava con aria provocatoria e trionfante; se anche il suo ospite mi guardasse non posso dire, poiché la testa di costui era di un violetto traslucido che non permetteva di distinguere la presenza di occhi là dove uno se lo sarebbe aspettato. Nemmeno direi fosse protetto da armatura, poiché mi pareva di vederlo piuttosto circondato da una pellicola arancio agitata da sfumature acquose che a intermittenza biancheggiavano.
Il silenzio del campo di strage, appena appena increspato dai cigolii che venivano emessi dalle multiformi fauci che mi circondavano, fu ad un certo punto rotto da una specie di barrito, che in realtà, come mi avvidi poi, era il rumore del Cancello dimensionale che si chiudeva, non dopo aver eruttato fuori da sé l'ultima, indicibile creatura: Battiferro.
Non ebbi dubbi nel capire che era il Battiferro della profezia: l'occhio azzurro era l'unico elemento del  volto che si poteva notare, essendo il volto medesimo serrato entro un elmo nerissimo, a forma di artiglio d'aquila, con protuberanze inquietanti all'altezza delle orecchie e della nuca, oltre a una specie di griglia protettiva per la bocca. Il corpo era ricoperto da una sottilissima tela di ferro dipinto di rosso, sorta di seconda pelle alla vista fragilissima, ma di robustezza inconcepibile, se è vero che un masso, staccatosi proprio in quel momento dalla parete della montagna, si disintegrò in miriadi di schegge al contatto con la schiena di Battiferro.
Rispetto al resto di quella masnada solo formalmente umanoide, Battiferro mi pareva un essere umano come me, ovvero l'unica cosa lì in mezzo che si staccasse da un vago antropomorfismo per avvicinarsi ai nostri  criteri di classificazione degli enti biologici. Non era altissimo, ma neppure basso, la struttura fisica poteva paragonarsi a quella di uno dei nostri soldati. Eppure, la sua apparente normatività fenomenologica mi spaventava più delle forme disumanoidi degli altri, poiché da essa spirava l'aria gelida delle costellazioni collassate, l'intreccio di galassie che fagocitano i loro stessi pianeti. Battiferro aveva in sé tutto il peso di qualcosa che si era perduto per sempre. Il ferro della sua armatura non copriva solo il corpo, ma impediva allo spirito che animava le membra e scorreva nel cervello di lasciarsi decifrare. Avevo davanti una creatura che aveva deciso di  essere qualcos'altro. Mi chiedevo come avremmo comunicato. Strano, in effetti. Ero semplicemente circondato dai compagni con cui avevo condiviso tutto, e che ora erano ridotti in poltiglia, probabilmente avrei fatto la loro stessa fine, entro sera il nostro mondo avrebbe cessato di esistere, ma in quel preciso istante pensavo solo a come comunicare con Battiferro. Non mi era neppure chiaro se fosse lui il capo di tutto quell'orrore, anche perché gli altri esseri non mostravano nei suoi confronti né deferenza né sfida. Lo vedevo muoversi tra i resti dei miei commilitoni, osservandoli con attenzione. Si accucciò per tastare il fianco di uno dei cadaveri e strappò via la spada che vi era appesa, quindi la appoggiò all'avambraccio: con una strana luminesecenza, la spada si dissolse ed entrò per così dire a far parte del resto dell'armatura. Battiferro nutriva la sua armatura col metallo delle armi nemiche.
Ad un tratto, i miei occhi e i suoi si incrociarono. Colsi un lampo d'odio, cui però pareva mischiarsi anche una strana pietà, ma non per me. Sentii un freddo gelo di solitudine spirare da quel volto invisibile. Fu un attimo: le pupille di Battiferro si accesero di subitaneo piacere quando attorno a lui comparvero i suoi compagni, voglio dire esseri della sua stessa foggia, i cui elmi variavano solo episodicamente la fattura, mentre le armature erano identiche.  Non era più solo. E allora mi parlò.
(  1- continua)

2 commenti:

  1. Ancora complimenti! Sia per come scrivi, una prosa poetica, sia per il significato che si legge in filigrana. Notevole. Direi che si collega a quanto si diceva a proposito della politica e dell'economia. L'economia capitalistica con tutti i suoi difetti e' comunque il meno peggio dei sistemi economici. Il guaio e' che e' avvenuta una trasposizione di valori dall'economia alla politica. Il mero guadagno e la produttivita' nell'immediato non possono diventare anche i valori della politica e quindi della societa', altrimenti i Battiferro distruggeranno la cultura, la bellezza, i sogni. Aspetto il seguito, fedelmente.

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    1. Grazie! Sì, di fatto dietro a Battiferro si cela un'umanità molto complessa. Stay tuned.

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