Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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lunedì 6 maggio 2013

Così, come foglie al vento - e l'Immortale muore

Giornate epiche, queste: mentre Fabio Fazio scuce a Enrico Letta un due terzi di promessa sul fatto di non tagliare più nel settore istruzione- cultura (Fazio cita scuola, università e ricerca, Letta risponde 'università' e 'ricerca', ma ci auguriamo che 'scuola' fosse sottinteso...), sale ai pascoli del cielo l'uomo-simbolo d una lunga epoca di ascese e cadute, di splendori e miserie, di misteri e penombre, dicasi Giulio Andreotti. 


Torme di esperti, gente che c'era, politologi navigati si sperticheranno ora nell'analisi dell'uomo e della sua carriera, tra successi e condanne, chi lo celebrerà come un santo laico (Bruno Vespa ha già ordinato otto quintali d'incenso per la puntata di stasera di Porta a porta), chi lo ricorderà come il capo della mafia, ecc. ecc., ma appunto non abbiamo fiato né voglia di squittire in mezzo a sì tonitruante accolita di opinionisti. Diremo ciò che la morte di Andreotti (e il suo personaggio a tutto tondo) simboleggia ai nostri occhi di appartenenti alla generazione X che ha visto sfaldarsi un mondo troppo presto per poterlo capire tutto (la Prima repubblica) ed è poi cresciuto dentro un sistema formalmente nuovo (la Seconda repubblica), ma viziato da antichi e mai sopiti difetti, solo più carnevalesco e mediatico, ma non meno immobilista e sprecone di quello che l'ha preceduto.



Ebbene, Andreotti è stato, mea quidem sententia, un personaggio di tragicità scespiriana, il che non costituisce motivo né di infamia né di lode. Egli è stato la pietra angolare, la chiave di volta di un sistema che era sua volta chiave di volta di un sistema più grosso. Un'Italia geopoliticamente punto di incontro e di equilibrio tra occidente democratico e oriente comunista non aveva alcuna scelta: o da una parte o dall'altra. E scelse l'Atlantico, il sistema capitalista, la lenta parabola ascendente del consumismo edonista. A blindare questa scelta, la democrazia bloccata che imponeva un unico partito di maggioranza relativa (DC) con attorno simpatici cespuglietti (PSI, PSDI, PRI, PLI), sì da mandare i comunisti in opposizione perenne. Così siamo usciti dalle tragedie della prima metà del secolo, così ci siamo modernizzati, così abbiamo conosciuto il benessere, il tutto a prezzo della più impressionante spirale corruttiva di malaffare conosciuta in occidente. Epperò l'alternativa era il deserto, morale e materiale, delle 'repubbliche' (a-ehm...) socialcomuniste. 



Vittima di un campo di forze a lei immensamente superiore, l'Italia è stata ciò che gli altri le hanno permesso di essere. E al centro di questo centro decentrato c'era appunto lui, Andreotti, uomo delle trame sottili, degli accordi sussurrati, della dialettica che non porta a nulla, dell'immobilità che si rinnova senza mutare, ma tutto ciò perché il mondo cui lui faceva da perno sembrava immutabile. Nei segreti che si porta nella tomba possiamo certo succingere il cinismo senza fine di un politico navigato e abile a mandare quasi sempre gli altri sugli scogli, eppure vogliamo vedere in lui nient'altro che una pedina mossasi in una selva di vettori invisibili agli occhi dei più, ma che ai suoi di Ministro della Difesa e degli Esteri per decenni erano chiarissimi e drammatici. Il potere gestito con la consapevolezza che l'ultima parola era sempre fuori dall'Italia, che il conflitto est-ovest portava in dote l'altra grande grana del '900, dicasi la guerra perpetua israelo-palestinese, che obbligava pure lì a schierarsi (e l'Italia riuscì a semi-schierarsi con entrambi...), consapevoli che i silenzi e le bugie, le mezze verità e le dichiarazioni di rimbalzo erano solo la facciata, da offrire al pubblico, di una trama assurdamente complicata, in cui una parola fuori posto poteva aprire voragini politico-militari imprevedibili. Ma il gioco spietato delle antinomie concentriche era pure dentro lo Stivale, non solo nell'antagonismo democristiani vs comunisti, ma nel più vasto scenario politico- sociale dei colpi di Stato mancati, della contestazione studentesca fasciocomunista, dei rapporti Stato-mafia. Andreotti si è trovato seduto (ingobbito, pure) su tutto ciò e si è mosso con la dinamica rassegnazione di chi sa che gli eventi si possono al più orientare, ma dominare mai. 


Dinamica, tuttavia: i maggiorenti dell'epoca, al grido di: "Non siamo noi l'alternativa peggiore!", gestirono la cosa pubblica come cosa propria, una specie di giocattolino in commodato d'uso da fare e disfare, governare e rigovernare, mettendo tutte le volte a capo dei vari ministeri chi faceva più capricci e cercava visibilità e non chi se ne intendeva effettivamente. Le poltrone erano poche, gli aspiranti molti, ovvio che ci volessero almeno 5-6 governi per legislatura. E Giulio sempre lì, incasellabile a piacimento per 22 volte come ministro e 7 come capo del Governo. La metonimia di una civiltà.


Ma, appunto, il pippone testé ammannitovi non sarebbe altro che l'ennesima Giulio-story se non fosse che chi l'ha scritto, cioè la Spocchia, si è basato più che altro sulle cose sapute a posteriori, lette nelle storie d'Italia montanelliane o nei condensati resoconti internettiani o altrove. Cioè a dire che noi, al tempo del piano Solo, di Gladio, del compromesso storico, dell'assassinio di Moro, dell'omicidio Pecorelli, dell'omicidio Sindona, delle stragi di Ustica e Bologna, dell'Achille Lauro o non c'eravamo ancora o eravamo implumi osservatori di un mondo indecifrabile. Di fatto, quando per noi Andreotti ha cominciato a significare qualcosa, quel qualcosa era già la storia di se stesso: il sistema che anche Giulio aveva contribuito a creare e, bene o male, a consolidare, non aveva più, per quei nostri tempi, alcuno spigolo, nel senso che si era ormai calcificato in una apparente sferica inamovibilità di cui noi godevamo gli ambigui frutti. Da noi, negli anni '80, parole come 'convergenze parallele', 'impegno', 'questione sociale' erano nulla più che il sottofondo delle sigle dei cartoni animati che andavano in onda su Fininvest poi Mediaset o sulle reti locali lombarde. Poggiavamo su un mondo incredibilmente viscido dentro, ma dalla superficie incredibilmente piacevole al tatto, proprio quel mondo che le mille acrobazie politiche ANCHE di Andreotti avevano costruito. Quell'Italia comodamente abituata a fare il pesce in barile mentre ormai USA e URSS si minacciavano con le pistole giocattolo,  boriosamente convinta di poter continuare ad libitum nella parte di ago di una bilancia che ormai pesava solo da una parte senza che nessuno se ne accorgesse ancora, l'Italia della Milano da bere, del CAF, dello yuppismo, dei paninari, dei walkman, del Festivalbar che durava 16 puntate, ebbene quell'Italia godeva della luce più intensa perché poggiava sull'ombra più nera. Bastò che il meccanismo della Guerra fredda perdesse uno dei suoi bilancieri (ciao, Soviet...) e un' intera classe politica passò nel volgere di un sospiro dagli altari ai liquami più fetidi. E Andreotti, giusto con quel paio di accuse di omicidio e associazione a delinquere di stampo mafioso, finì nel calderone, tra il giubilo di chi aspettava da quarant'anni la sua caduta e l'incredulità di chi vedeva negli avvisi di garanzia recapitatigli il segno dell'Impensabile, un nuovo Dies irae sotto i cui lapilli andava ad incenerirsi ciò che tutti si erano ormai abituati pensare come eterno. 




Cosa furono quei giorni del 1993 per noi? Mah, per la nostra percezione, tra l'Andreotti originale e la versione di Oreste Lionello la differenza era minima. Tanto caricaturale e caricaturato era ormai Giulio che in lui faticavamo a vedere Belzebù. Semmai, un vecchietto attaccato come una cozza allo scoglio del potere, neanche il più arrogante tra tutti i politici sulla piazza (volete mettere Craxi?), un po' il capro espiatorio di tutti 'quelli là' che avevano maneggiato soldi pubblici alle spalle degli italiani, i quali però un po' lo sospettavano e un po' se l'erano fatta andare bene, specie allorché ogni maneggio politico-finanziario poteva avere la sua controparte in copiose elargizioni al popolo bue (chessò, le baby-pensioni nel mondo della scuola, quando si lasciava il lavoro dopo 16 anni e mezzo di servizio...) che incassava e continuava a fingere di non vedere. Popolo bue che da un certo punto in poi decise invece che BISOGNAVA vedere, spalancando quegli occhi troppe volte conniventemente chiusi mentre si  godevano gli avanzi della mensa del potente, e fu subito tutto un vezzoso stupirsi e quasi sentirsi mancare tipo la padroncina della vergine cuccia alla scoperta che 'quelli là' avevano rubato per tutto questo tempo...



Così invece naufragava un mondo, e Andreotti con esso. Poi arrivò il Nuovo, e dopo 20 anni scopriamo che destra e sinistra si sono scannate per finire a governare insieme. Alla fine della fiera, mentre Giulio sale tra i cherubini gobbi, quell'Italia incapace di essere diversa da se stessa, coi suoi vizi clientelari, sotterfugisti, antimeritocratici, con la politica delle promesse non mantenibili, con le dialettiche appena più barbariche di un tempo, ma allo stesso modo inconcludenti, quell'Italia da lui plasmata è ancora lì, o si è appena appena cambiata l'acconciatura. È per questo che a nostro parere la morte di Andreotti non segna alcuno spartiacque tra nulla, né tantomeno sigilla alcunché di epocale, perché sotto la superficie agitata di questi 20 anni c'è un'Italia immobile se non regredita. Noi che uscimmo dalla pubertà al grido di miracoli italiani, tra ulivi e popoli delle libertà, ci troviamo ora davanti solo i relitti di un sistema che si è perpetuato sotto altra specie. Peccato che coloro che godettero di QUEI privilegi non li abbiano più persi, e che il prezzo di quelle storture sia stato fatto pagare alla nostra generazione in termini di mummificazione degli organici nei settori della cultura, dell'università e della scuola, sì che i tagli colpiscono noi che nulla facemmo e lasciano immuni al loro posto gli incapaci veri; sì che gli unici nostri coetanei 'che sfondano' sono quasi sempre quelli che sono riusciti a retrodatare il proprio orologio anagrafico-biologico, perpetuando la legge del paraculato ladro che fece la fortuna di tanti all'epoca d'oro dell'andreottismo; sì che noi, che da quell'epoca non volevamo tener buono niente, ci siamo trovati a non appartenere alla 'nuova' società postideologica e oggi paghiamo il prezzo di quella coerenza assistendo all'avanzata sociale di chi fa della falsità la sua prima virtù; sì che noi ci battiamo per l'indipendenza delle coscienze in mezzo a sistemi che come prima e più di prima aspirano solo a controllare il pensiero delle masse, senza più nemmeno il velo dell'ideologia, ma spinti solo dal pacchiano piacere del dominio.
No, Giulio, personalmente non ti dobbiamo nulla, se non il rispetto che si deve a chi ha dovuto risollevare un Paese a pezzi e tenerlo su alla bell' e meglio in un'epoca di tempeste. L'unico problema è che i tronchi divelti da quei fortunali sono caduti in testa a noi.  




 
    


   




4 commenti:

  1. "Fasciocomunista"? Credevo d'averlo inventato io... xD

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    1. No, è un termine che precede noi tutti, coniato credo da Esichio o da uno di quelli... Sono cose antiche...

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  2. Dimenticavo: scusi l'ignoranza (anzi, la " 'gnuranza"), ma... perché proprio Esichio? ;)

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