Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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domenica 25 gennaio 2015

Après le déluge.

Riteniamo (io e la Spocchia) che il fumigante composto lavico costituito dagli eventi terribili di Parigi delle settimane scorse si sia sufficientemente raffreddato per poter tentare qualche analisi più distaccata del fenomeno. Ciò non toglie che la cosa ci metta in difficoltà, per almeno un paio di motivi: primo, per quanto io e la Spocchia ci interessiamo ovviamente di vicende mondiali, e due cosine sui problemucci tra occidente e oriente islamico ci siano note, siamo consapevoli che le questioni in oggetto necessitano una preparazione ferratissima per non incorrere nei miracoli di qualunquismo che giornali e internet hanno visto sbocciare sulle loro pagine nel giro di tre giorni. Secondo, appunto in virtù di quanto appena detto, temo che qualsiasi cosa si volesse aggiungere ADESSO alle opinioni già scodellate nei giorni scorsi non riuscirebbe ad aggiungere nulla di nuovo al dibattito. Tra i tanti motivi per cui la tre giorni di massacri assortiti di Parigi passerà alla storia, c'è sicuramente il fatto che si tratta verosimilmente del primo episodio di cronaca nera/politica intra- e internazionale ad essere stato coperto integralmente dai giornali online e dai social network; cioè a dire, quasi nello stesso momento in cui si verificavano i delitti era possibile raccogliere qualsiasi tipo di opinione/analisi/polemica al riguardo ai quattro angoli del globo. Per gente come noi, abituata all'idea che un volume che parla delle influenze della medicina stoica su Seneca uscito nel 2011 possa ancora definirsi "una pubblicazione recente", ovviamente la prospettiva è vertiginosa. Tutti hanno già detto tutto. Immediatamente. Quindi, cosa rimane?
Rimane forse lo spazio per analisi di seconda fila, di meta-riflessioni su quanto è già stato riflettuto. Insomma, l'unica pozzanghera in cui noi, abituati ad interpretare il pensiero dei classici, sappiamo sguazzare. Sicché, per quanto spocchioso e filologico potrà sembrare il nostro approccio, altro non abbiamo.

La nostra impressione è che sia possibile, giusto per semplificare l'immane complicatezza dello scenario, raggruppare le reazioni ai fatti in oggetto sotto 5 ombrelli:

1) Coloro che vedono nell'azione dei terroristi la riprova che l'Islam è totalmente negativo, una religione che incita all'odio, che dichiara guerra perenne all'Occidente e che va respinta in blocco, dicasi tramite espulsioni di massa di musulmani a ogni latitudine d'occidente e ritorsioni militari assortite.
2) Coloro che esigono un inasprimento dei controlli sui sospetti terroristi e una decisa stretta per quanto riguarda ingressi e transiti di musulmani sul territorio europeo, auspicando che l'Islam moderato si stacchi dagli integralisti. 
3) Coloro che la liquidano dicendo che oriente e occidente sono fatti per non capirsi, quindi non serve sprecare fiato, al prossimo attentato saremo ancora qui a dirci le stesse cose.
4) Coloro che, pur sottolineando la gravità dell'accaduto, non ritengono di dover dire: "Je suis Charlie", perché quando si fa satira su determinati argomenti bisogna pure rispettare la sensibilità di chi potrebbe offendersi, quindi diamoci una calmata tutti.
5) Coloro che obiettano sull'uso della forza e sostengono che alla violenza si risponde con la pace, del resto anche noi occidentali abbiamo le mani sporche di sangue almeno dai tempi della guerra di Troia, quindi va bene così, cosa pretendevamo dopo aver ucciso migliaia di innocenti in medioriente a colpi di guerre preventive, noi che abbiamo foraggiato Saddam Hussein e Al Qaeda finché facevano comodo contro l'Iran e l'Urss?

In sintesi, l'arco sovraesposto va da "Oriana Fallaci aveva capito tutto" a "Oriana Fallaci non ha capito niente". Chi difende a spada tratta l'Occidente come il luogo della libertà e del Bene, chi rinfaccia all'Occidente medesimo di riempirsi la bocca di alati valori, nutriti però da ipocrite manovre liberticide ai danni di tutto il resto del mondo, manovre cui si aggiunge ovviamente una più o meno palese rapacità economica nello sfruttamento dei poveri per rendere i ricchi sempre più ricchi. Di una cosa comunque siamo quasi sicuri: i fatti di Parigi non hanno "mosso" alcuna opinione, nel senso che quasi nessuno ha cambiato la sua precedente idea sui rapporti tra noi e il mondo islamico. La velocità con cui il mondo dell'internet è stato alluvionato da commenti e prese di posizione secondo noi è dovuta anche al fatto che i massacri in oggetto sono stati una sorta di enorme esca che ha fatto uscire allo scoperto le idee che ciascuno già covava da tempo, i rapporti tra Occidente e Islam essendo materia irritabilissima: l'eccezionalità dell'evento e la sua copertura mediatica pressoché integrale sono state la molla per buttare sulla pagina web della "merce" ideologica che era già lì pronta da tempo, ma che mai come in quei terribili giorni ha avuto scaffali così ampi dove venire esposta. Per dire cioè che questi eventi non hanno stimolato riflessioni nuove, ma hanno riempito l'agorà virtuale di idee già compattate in precedenza. Ciò che ci ha colpito, in definitiva, è che su nessuno dei forum da noi visitati (che non saranno stati tantissimi, ma dopo un po' le idee andavano ripetendosi con regolarità frattalica e ci sono venute anche a noia) c'è mai stato un vero "dialogo", inteso come occasione in cui, senza abbandonare il nocciolo delle proprie convinzioni, si concede tuttavia una certa ragione anche alle posizioni dell'altro, ampliando la visione delle cose, oppure ci si pone in interrogante attesa che qualcuno chiarisca dei dubbi neonati. Spesso abbiamo visto menare la clava, in altri casi, più semplicemente, le catene di post erano dei dialoghi tra sordi. Il massimo dell'apertura era: "Sì, ho capito cosa intendi, però... ecc. ecc.", che è come dire: "Tanto ho ancora ragione io...". E' chiaro che siamo già di fronte ad un coacervo religioso, politico, sociale difficilissimo da comprendere, per tacere di come le dimensioni globalizzate e ipermediatizzate di ogni conflitto culturale siano di per sé terreno di crescita per infinite varianti e sottoinsiemi dei fenomeni medesimi: rifiutare a priori le ragioni di interlocutori che la pensano diversamente non aiuta certo il cammino conoscitivo, men che mai quello che porta alla soluzione dei problemi. Dobbiamo rassegnarci al cosiddetto "relativismo prospettico", ciò per cui nessuno di noi è in grado di conoscere integralmente nulla dei fenomeni che lo circondano (figuriamoci questo dell'integralismo islamico e della lotta con l'Occidente), e quindi non resta che mettere insieme diverse prospettive per giungere alla visione delle cose, se non più esaustiva, meno parziale possibile. E' invece la parzialità il difetto generale dei 5 ombrelli sopra illustrati: restando convinti che le propria visione sia l'unica possibile, rifiutando di vedere le infinite sfumature che gli eventi e le persone che li animano possono portare su di sé, ci si condanna individualmente e collettivamente a soluzioni che incideranno solo su una faccia del problema, lasciando irrisolte le altre. Non serve predicare "tutto tolleranza" o "tutti assassini", né ci fa bene il maallorismo per cui "ma allora cosa dovremmo dire dell'invasione irachena del 2003?" o le pose "io mi dissocio" e "dovevate aspettarvelo". Sono tutti comodi scranni per non cambiare nulla, una volta esaurita l'emozione del momento. Per parte nostra, possiamo mettere sul piatto personali osservazioni che fanno più da supplemento di analisi che da vera sintesi, tutto ovviamente sotto la lente del relativismo prospettico di cui sopra, pronti cioè ad aggiornare le nostre idee nel caso avvenisse qualcosa di nuovo: non si tratta di fare le banderuole, ma di adeguarsi alla mobile sfuggevolezza della realtà con cui si ha a che fare. Sicché:
1) Trovo difficile dire, sull'onda dello sdegno, che siamo in guerra o che l'Islam ci ha dichiarato guerra. Secondo la mia visione, la guerra si dichiara tra stati sovrani, non, come in questo caso, tra gli stati dell'Occidente e una galassia di organizzazioni terroristiche che pescano sia nei Paesi islamici che tra i musulmani nati e cresciuti in Europa. So che sembra una distinzione accademica, ma non è con le dichiarazioni di pancia che si risolvono problemi complessi come questo. Del resto, giusto per fare un esempio magari un po' tirato, se nel 1978 le nostre Brigate Rosse, invece di Aldo Moro, avessero rapito l'allora presidente della Repubblica francese Valery Giscard-d'Estaing, non credo che i francesi avrebbero detto che l'Italia aveva dichiarato guerra alla Francia. Una guerriglia fatta di attentati, bombe a tradimento, incursioni armate contro gente indifesa è qualcosa di diverso da una campagna militare che prevede anzitutto lo scontro di eserciti regolari. E' più subdola, più viscida, ma diversa. E non si combatte incitando le masse all'odio come risposta. Da ciò discende che:
a) Marine Le Pen ha ovviamente i suoi calcoli elettorali in tasca per invocare la pena di morte contro i terroristi; senza bisogno di scomodare Beccaria, ci limitiamo a farle osservare che, visti gli interlocutori, la pena capitale è l'ultimo espediente da usare. In luogo di un'emozione intensa ma passeggera, essa andrebbe a provocare negli integralisti un'ulteriore incitazione alla gloria del martirio.
b) Posto pure che si voglia fare la guerra all'Islam, cosa si fa? Si bombarda a tappeto tutta l'Asia dalla Siria al Pakistan? Con che risultati? Quale precedente andrebbe a crearsi agli occhi di Cina e India? Passeremo alla storia come quelli che hanno fatto piazza pulita di un'intera civiltà, innocenti compresi?  

2) Poi i simpatici nichilisti dell'Occidente, che vivono in Occidente ma gli fa schifo tutto, quelli che in fin dei conti ritengono che noi si debba ancora scusarci per le crociate e il colonialismo in Sudamerica, quelli per cui ogni azione terroristica è in fin dei conti un fio accettabile con tutto quello che abbiamo combinato noi agli altri, ecco costoro, se hanno tanta voglia di immolarsi per le colpe dei padri e dei bisnonni, che vadano direttamente  e vedano il da farsi e soprattutto il da subirsi. Il senso di colpa perenne che certi ceti intellettuali occidentali vogliono continuare ad alimentare non mi è meno odioso del semplicismo di chi mette tutti i musulmani nel medesimo calderone: si tratta in genere di anime belle che predicano umiliazione, solidarietà, povertà, rinunce, basta che a rinunciare siano gli altri. Accettare come una sorta di contrappasso generazionale che il terrorismo semini distruzione da noi, è un'idiozia inaccettabile.  Da ciò discende che:
a) Lo slogan che alla guerra si risponde con la pace va bene per chi non ha letto Machiavelli; di tolleranza, come Monaco 1938 dimostra, si muore. Nell'auspicio che da qualche parte l'Islam moderato esista, la via intermedia tra la pace e la guerra è il dialogo, inteso non come alzare le mani di fronte all'altro dichiarandosi in torto a prescindere, ma valutando se e in che misura i settori più illuminati delle due civiltà possano, diciamo così, allearsi per fare terra bruciata attorno agli estremisti; certo però il dialogo deve essere biunivoco, altrimenti le trombe guerrafondaie saranno non silenziabili; col che intendo che nessuna delle due parti deve sentirsi in atto di abbassare la testa nei confronti nell'altra, ma nemmeno al contrario atteggiarsi a parte offesa che aspetta l'umiliazione dell'interlocutore. Non si tratta di tendersi la mano fingendo che il male non esista: bisogna guardarsi dritti negli occhi e dire: "Vogliamo finirla o no?", senza la solita retorica del "veniamoci incontro e annulliamo le differenze". Ma teniamole pure, le differenze: non credo che esse intralcino un percorso comune di risoluzione di un problema che provoca disastri in serie su ambo le sponde.
b) Avremo, dalla nostra parte, uomini sufficientemente aperti da togliere il dito da grilletto ed entrare nella forma mentis della controparte per capire dove attaccare chirurgicamente l'integralismo? E dall'altra parte, avremo esponenti dell'Islam che sappiano andare oltre le condanne pubbliche delle azioni terroristiche e siano disposti a mettere a disposizione nostra una conoscenza del mondo musulmano e delle sue complesse varianti che noi non potremo mai avere, in sostanza spiegandoci come e dove colpire il bubbone per salvare il corpo sano? Perché, al di là dei buonismi di facciata, ogni società sa sempre dove si annidano le sue cisti e come scovarle. Di questo alla fine si tratta: alla guerriglia terrorista non si risponde con le bombe a grappolo; non ci sono da bombardare, fino a raderle al suolo, Amburgo e Dresda, per fiaccare la resistenza dei nazisti. C'è da agire solo sulle cellule impazzite, grandi o piccole che siano, augurandosi che esse siano anzitutto sconfessate dalla stessa civiltà che dicono di voler rappresentare. Mi rendo conto che detta così sembra fin banale, e non lo è, ma gli altri tipi di reazione al terrorismo sappiamo dove hanno portato. Certo però l'intelligence occidentale da sola non capirà mai dove mettere le mani: ci vuole il connubio tra noi e chi dall'altra parte ha davvero a cuore la pace, e allora le estreme verranno isolate.

Questa la ricettina. Vorrei dire però due paroline da spocchioso filologo classico a coloro che, si accennava sopra, vedono la spedizione greca contro Troia (sia quella storica che quella mitica) come una sorta di "atto di nascita" di tutte le nequizie dell'Occidente. Io credo che, se proprio si vuole trovare qualche archetipo, e non si voglia scomodare come al solito Odisseo/Ulisse, si potrebbe prendere in considerazione ciò che è narrato nella fabula Aristaei.

[riassunto per i non addetti ai lavori: racconta Virgilio (Georgiche, libro IV, versi 315-558) che il pastore Aristeo, esperto tra le altre cose nell'allevamento delle api, un brutto giorno trovò il suo sciame defunto; sconvolto da ciò, chiese lumi alla madre Cirene, la quale lo inviò a chiedere lumi all'indovino Proteo: costui gli rivelò che l'ira congiunta di Orfeo e delle ninfe compagne della di lui sposa Euridice avevano provocato la morìa delle api. Aristeo, infatti, aveva in passato tentato di usare violenza a Euridice ed essa, per sfuggirgli, non si era avveduta di un serpente nascosto tra l'erba che l'aveva morsa e uccisa; disperato, Orfeo era sceso nell'Ade e con la forza del canto aveva commosso Persefone, regina degli  Inferi, che gli aveva concesso di riportare tra i vivi Euridice, a patto di non voltarsi a guardarla finché non fossero tornati in superficie. Orfeo non resistette e si voltò, perdendo la sposa per sempre. Disperato per la seconda perdita, egli si abbandonò al dolore più nero, rifiutando qualsiasi altra compagnia femminile; fu per questo che le donne ciconie, invasate da Bacco, catturarono Orfeo e lo fecero a pezzi. Saputo tutto ciò, Aristeo tornò da Cirene che gli spiegò come organizzare un sacrificio che placasse l'ira di Orfeo ed Euridice; tale sacrificio, poi definito bugonia, prevedeva l'uccisione di buoi da cui poi sarebbero rinate le api].

Vedo nella sublime tragicità dell'episodio molto Occidente: Aristeo, che la tradizione mitologica greca ha sempre considerato un eroe della civiltà, scopritore di infinite tecniche agricole, risolutore di pestilenze, uomo insomma legato alla produttività e al progresso, "cade" in una passione amorosa deleteria che causa a sua volta la rovina di chi, come Orfeo, non ha colpa alcuna nell'aver perso la sposa; Orfeo, però, diventa colpevole nel momento in cui, di fronte all'enorme privilegio di poter riportare tra i vivi una defunta, rovina tutto anche lui per un puro istinto. Incolpevole all'inizio, lo diventa successivamente e ne paga fino in fondo le conseguenze. Aristeo, che è stato il motore della sciagura anzidetta, salva però la propria situazione placando con un sacrificio le sue stesse vittime. E' possibile dire che uno dei due protagonisti della storia sia il buono e l'altro il cattivo? Ovviamente no: uno si redime dopo aver causato il male, l'altro si rovina dopo aver avuto l'occasione (non scontata, né del tutto meritata, visto che legioni di gente altrettanto danneggiata senza colpa avrebbero desiderato essere al suo posto) di rimediare ad un dolore incolpevole. Alla fine, la vita del nuovo sciame di Aristeo nasce su un sostrato di storie mortifere. Eppure Aristeo andrà avanti. Io e la Spocchia vediamo qui una riproduzione fedele della nostra civiltà: lo sviluppo culturale, che si è sovrapposto allo stato di natura, ci ha consentito progressi mirabolanti in tutti i campi dell'esistenza, eppure su quanti conflitti poggia questo stesso progresso? Noi possiamo guardare a noi stessi come agli inventori della democrazia, della filosofia (pace gli indianofili), del teatro, ma più avanti delle tecnologie che hanno fatto compiere all'umanità il più grande salto qualitativo dalla rivoluzione neolitica; e certo, siamo i discendenti di civiltà che hanno insanguinato il suolo proprio e altrui con le guerre di religione e con quelle di espansione, nel secolo scorso abbiamo regalato al mondo due conflitti mondiali con annessi stermini etnici che ancora oggi ci paiono inconcepibili, ma sono accaduti. La nostra civiltà è quella dell'uomo come essere grandioso e terribile. Possiamo essere allo stesso tempo orgogliosi del nostro progresso e atterriti dal dolore su cui esso poggia; celebriamo le libertà individuali e vediamo ragazzine distruggersi di anoressia perché non riescono ad adeguarsi a certi modelli estetici; curiamo malattie fino a pochi anni fa senza speranza e poi scopriamo che la prima casa farmaceutica del mondo deve il grosso del proprio fatturato alla vendita degli psicofarmaci. Ci creiamo le maggiori occasioni di felicità e sappiamo distruggerci da soli come nessun altro. Eppure, a parte casi isolati, neppure il critico più critico dell'Occidente prende la cittadinanza, poniamo, iraniana. Sta qui, con noi, che dell'Occidente siamo gli osservatori inquieti, ma non mai i rinnegatori. In quest'angolo di mondo sbocciano le occasioni più alte di sviluppo umano, ma tante voci si levano per accusarci di fiorire ai danni degli ultimi del pianeta. E' la tragedia dello sviluppo dell'uomo, così ben esemplata dal mito anzidetto: la libertà di autodeterminarsi porta alla rottura delle costrizioni della natura attraverso le conquiste, psicologiche e materiali, della cultura. E siccome libertà chiama libertà, l'uomo vorrebbe liberarsi della sua animalità innata, ma non può, perché non sarebbe più uomo: egli non può che portare avanti il proprio sviluppo culturale sotto il segno della contraddizione, rompendo i sigilli della natura ma scontrandosi contro il fatto che questa rottura non è uguale ovunque. Chi progredirà di più, chi  meno, chi niente. In più, progredito o meno, l'uomo dovrà sempre fare i conti con le sue pulsioni incontrollabili: chi l'ha fatto fare al civilissimo e civilizzatore Aristeo di incapricciarsi di una ninfa a caso, essendo lui del resto già sposato e lei pure? Ma è successo. Non c'è livello di progresso che ci metta al riparo dalle nostre imperfezioni, eppure di bugonia in bugonia riusciamo sempre a salire qualche gradino evolutivo, portandoci appresso trionfi e catastrofi. Questo noi siamo. Tutti. Ed è per questo che, agli occhi degli altri, sentiamo a volte di esibire uno stile di vita non condiviso che vorrebbero farci ritracciare e altre volte ci pare invece che essi desiderino proprio essere come noi, anche a costo di usare la forza per privarci di ciò che abbiamo. Ci sentiamo dire che la democrazia è il peggiore regime politico esclusi tutti gli altri e che però siamo stati sciocchi a volerla esportare in un mondo abituato fin dai tempi dei Sumeri a concepire l'individuo come semplice "possesso" del suo sovrano e/o del proprio dio. Dicono che siamo al crepuscolo dell'Occidente; dicono anche che solo dalle ceneri dell'Occidente nascerà un nuovo Occidente, magari un po' più a Oriente, ma sempre Occidente.
Questa è la sostanza del nostro essere, ed è tutta riassunto nel mito virgiliano: vita, morte, pietas, empietà, sensualità delle ninfe e laboriosità divina della api. Se vogliamo progredire ulteriormente, rassegnamoci a non pretendere la perfezione in una dimensione ove essa non è attuabile; evitiamo le posizioni preconcette; separiamo il più possibile l'ape dalla ninfa, che pure nell'immaginario pre-greco erano una sola creatura e procediamo per passi prudenti e razionali, anche se nessuno potrà garantirci dalle future cadute. Essere consapevoli che esse siano sempre in agguato è tuttavia il modo migliore per desiderare di evitarle.    

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